Capitolo 41
Emma
La cosa forse più strana della vita qui al Campo 7, in Tunisia, è che non ci sono stagioni. So che in molte parti del mondo regna il Lungo Inverno, ma qui è completamente diverso. Qui ogni giorno sembra l’ultimo, spazzato dalle tempeste di neve. Ogni settimana fa un po’ più freddo e il Sole è un po’ più pallido, come se vivessimo sotto una luce che si spegne gradualmente. La gente si rintana nelle baracche affollate o nei confortevoli alloggi, resta al caldo la notte ed esce a lavorare nella fioca luce del mattino, circondata dalla neve. I giorni cominciano a essere tutti uguali: lavorare, dormire, ricominciare. C’è un senso di urgenza, la consapevolezza che il tempo sta per scadere.
Nessuno lavora più intensamente di James Sinclair. Nell’ultimo mese si è dedicato alla progettazione della nuova nave. Dopo un acceso dibattito, lui e il suo team hanno deciso di battezzare la nuova flotta Sparta. Le altre opzioni erano Alamo e Verdun. Perché dedichino tutto quel tempo alla scelta dei nomi per me è un mistero, ma per loro sembra importante. Naturalmente avevo già sentito il nome Sparta, ma non conoscevo la storia del piccolo gruppo di guerrieri greci che avevano respinto l’invasione persiana. James pensa che sarà un nome simbolico per tutti noi. Se il simbolismo favorirà il successo della missione, sono d’accordo… abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile.
I siti dove stanno costruendo le navi sono strettamente sorvegliati. Nemmeno io potevo accedervi, e quando James mi ha chiesto se volevo visitarli, non sono riuscita a trattenere l’eccitazione.
Saliamo su una macchina elettrica a guida automatica, James e io davanti, Oscar dietro. Sembriamo una bizzarra famiglia post-apocalittica che parte per una gita.
Il campo è cambiato molto in fretta. Ogni giorno sempre più persone si uniscono ai militari, dedicando il proprio tempo all’addestramento e agli esercizi. Forse il governo ha appreso dall’intelligence che un’altra guerra è imminente. Forse vogliono essere loro a iniziarla. O forse la leadership dell’Unione atlantica pensa che presto dovremo combattere le celle solari e il loro creatore qui sulla Terra. Vedere tutte quelle uniformi che marciano attraverso il campo evoca una minaccia incombente, accentuata dalla progressiva attenuazione della luce solare.
Un addetto alla sicurezza ci fa cenno di dirigerci verso l’edificio principale, una costruzione massiccia che sembra un gigantesco magazzino. All’interno gli operai sono intenti a costruire i moduli della nuova nave.
«L’edificio è protetto contro eventuali attacchi?», chiedo guardando l’alto soffitto.
«Sì. Nelle vicinanze ci sono parecchi falsi bersagli. Edifici simili a questo, ma completamente vuoti. Ogni giorno inviamo gruppi di operai per depistare il nemico nel caso voglia attaccarci. E il fatto che siano protetti ci permette di lavorare per periodi più lunghi mentre la temperatura continua a calare», spiega James.
Indica poi una porta in fondo alla sala. «Stiamo lavorando anche a qualcos’altro». Inarca un sopracciglio. «Top secret».
«Posso sapere di cosa si tratta?».
James mi porge il suo tablet. Sullo schermo c’è l’immagine di quella che sembra una colonia di formiche. Una serie infinita di cunicoli collegati tra loro che scendono a spirale nella terra sboccando in un grande spazio cavernoso.
«Un bunker?»
«La chiamiamo “la Cittadella”», risponde James. «È il posto ideale per un rifugio, lì vicino c’è anche una grande falda acquifera».
Mi chiedo se questo luogo sarà la chiave della nostra sopravvivenza nel caso il Lungo Inverno non dovesse finire.
«Quant’è grande?».
James coglie la speranza nei miei occhi e il suo tono si fa cauto. «Può ospitare soltanto duecento persone, e a breve termine. Quando il clima peggiorerà, trasferiremo qui sotto i più deboli, i malati e i bambini». Fa una pausa. «Se peggiorerà», aggiunge. Ma entrambi sappiamo che sarà così.
«Oltre all’acqua c’è anche energia?»
«Sì, geotermica. La grande sfida è scendere a una profondità sufficiente per immagazzinare abbastanza energia geotermica. Ma penso che il team di scienziati tedeschi e scandinavi sia riuscito a risolvere il problema. Sono molto brillanti».
James si sta animando.
«A una profondità di duecento metri ci sono circa 8 gradi Celsius. Se si scende a cinquecento metri, la temperatura sale a 170 gradi».
«Si può trivellare così in basso?»
«Anche di più», risponde lui. Poi digita sul tablet e sullo schermo appare una pianta dell’impianto. I tunnel, il bunker e la falda acquifera sembrano così vicini alla superficie. Ci sono linee che scendono da alcuni degli open space più piccoli direttamente verso il centro della Terra, come lenze gettate da una barca.
«Il nostro piano è di scendere a diecimila metri. Laggiù la temperatura sarà di 374 gradi Celsius e la pressione dell’acqua di 220 bar. La quantità di energia che potremo generare sarà sufficiente ad alimentare il bunker».
«Incredibile», sussurro.
Siamo quasi al centro dell’edificio e davanti a noi si aprono i tunnel. C’è una leggera discesa, come il sottopassaggio di un’autostrada. Mentre scendiamo ho l’impressione di calarmi nella bocca di un’enorme bestia sepolta sotto la terra.
James rallenta per tenere il passo con me. Non riesco ancora a camminare veloce come un tempo, o come vorrei. La dottoressa aveva ragione: non sarò più la stessa di prima, ma ormai mi sono rassegnata alla mia nuova realtà. È la vita.
All’imbocco del tunnel c’è una rotaia. Saliamo su una piccola auto elettrica e James si mette alla guida. Mentre scendiamo, la temperatura si abbassa e la luce del bunker svanisce alle nostre spalle. Tranne i LED, sopra le nostre teste, siamo circondati dalle tenebre.
«Benvenuta nella Cittadella, comandante Matthews», mi dice James con un ghigno da gatto del Cheshire.
«È incredibile».
«Ho lavorato a un progetto per coltivare frutta e verdura qui sotto. Volevo creare una colonia autosufficiente. Ma non abbiamo né tempo né risorse o spazio. Ogni metro quadrato sarà destinato a scopi abitativi».
Mi guardo attorno, chiedendomi come sarà la vita qui sotto. Senza mai vedere il Sole, senza mai respirare aria fresca. Lontano dalla natura. È un po’ come la stazione spaziale, un mondo separato.
Quando torniamo in superficie, mi fa vedere i moduli bianchi della nave.
«Questi faranno parte di Sparta Uno, la nave spaziale più grande che l’umanità abbia mai costruito. Sarà armata con testate nucleari, droni d’attacco e cannoni elettromagnetici. Spero soltanto che bastino per riportarci a casa».
Mi fermo e lo guardo. Pensa davvero che io resterò qui mentre lui rischierà la vita in missione? Mai e poi mai. Andrò con lui. So che litigheremo. E lo faremo fino in fondo, perché io non cederò.
Quella notte ci fanno visita Abby e i suoi figli. Jack e Sarah sembrano essersi ambientati bene al Campo 7. Vengono a trovarci anche Madison, David e i loro due figli. E naturalmente c’è Oscar. È un po’ come una riunione allargata di famiglia.
Dopo cena James ha una sorpresa per tutti: un cane robot. Abbaia, scodinzola e sa persino parlare. I bambini restano a bocca aperta. Non ci sono animali da compagnia qui al campo, sono considerati un lusso. Non possiamo permetterci di avere altre bocche da sfamare quando il governo non sa nemmeno se riuscirà a nutrire tutti gli umani.
Mentre il mondo è diventato sempre più freddo, Abby si è sciolta. Lei e io siamo diventate amiche. Se all’inizio era fredda e riservata, adesso è cordiale e gentile con James e la cosa mi riempie di gioia.
Il fratello di James, invece, si fa notare per la sua assenza. Ho cominciato a chiedermi se Alex si farà mai vedere. James non se n’è mai lamentato, ma so che questo lo fa soffrire. Alex è l’unica famiglia che gli resta.
Quando tutti se ne sono andati, rimettiamo in ordine il nostro umile alloggio. Per una volta è bello avere un po’ di caos in casa e quasi mi dispiace cancellare le tracce del passaggio dei bambini. Di solito siamo James, Oscar e io a fare le pulizie, tranne nello studio di James, dove nessuno può spostare le sue carte.
Quando abbiamo finito, James si siede al tavolo del soggiorno e accende il tablet. Anche io accendo il mio, mentre Oscar guarda una serie di video educativi sugli scavi minerari su AtlanticNet. Quando aveva cominciato a guardarli mi ero chiesta perché gli interessassero, ma adesso lo so: si sta documentando per aiutare James a costruire la Cittadella. Quei video sono l’unica cosa che guarda, non ha nessun hobby o interesse tranne aiutarmi nella riabilitazione e assistere James nelle sue ricerche.
Ci sono un paio di cose di cui devo parlare a James. Ho cercato di rimandarle, temendo la sua reazione, ma non posso più aspettare. Dopo avere visto la nave e sentito quello che mi ha detto, è arrivato il momento di tirare fuori il discorso.
«Possiamo liberarci di molta di questa roba», dico indicando gli attrezzi per gli esercizi che occupano più di metà del soggiorno.
Lui sembra confuso.
«Così i bambini avranno più spazio per giocare», aggiungo. «Con il freddo che fa, presto non potranno più farlo fuori».
«C’è la palestra».
«È troppo affollata».
Lui guarda di nuovo gli attrezzi. «Lo faremo quando sarà il momento. Adesso la cosa più importante è la tua riabilitazione».
Mi mordo per un istante il labbro.
«E se ti dicessi che la mia riabilitazione è finita?»
«Che intendi?», risponde lui posando il tablet.
«Che più di così non posso migliorare. Dovrò camminare per il resto dei miei giorni con un bastone, mi stancherò facilmente e le mie ossa resteranno fragili».
«Questo non significa che dovresti smettere di fare esercizio».
«È vero, ma potrò fare tutti gli esercizi di cui ho bisogno al centro di riabilitazione. Sono sicura che queste attrezzature potranno servire a qualcun altro. Ho molto apprezzato che tu me le abbia procurate. Quando non riuscivo a camminare mi è stato utile averle qui vicino».
Lui si limita ad annuire.
I palmi delle mani mi sudano al pensiero della prossima conversazione.
«Cosa pensi del fatto che non posso più aspettarmi alcun miglioramento?».
Lui mi fissa con aria perplessa, come se non avesse capito la domanda.
«E tu cosa ne pensi?», risponde.
«Te l’ho chiesto prima io».
«D’accordo. Sapevo che tua riabilitazione sarebbe stata un’impresa difficile, e che oltre un certo punto non saresti migliorata. E so che prima hai avuto una vita molto attiva e che adesso dovrai adattarti. Ma in questo momento tutti noi dobbiamo adattarci a questa nuova vita. Tutto sta cambiando. Dobbiamo rivalutare le nostre capacità per far fronte alla nuova realtà. In un certo senso, stiamo facendo tutti il tuo stesso percorso. L’intera specie umana sta imparando a camminare di nuovo».
«Questo cambia in qualche modo i tuoi sentimenti per me?».
Lui mi guarda di nuovo con aria confusa e un brivido di paura mi corre lungo la schiena. Mi sono fatta un’idea completamente sbagliata su quello che c’è tra noi?
Qualcuno bussa alla porta e James si precipita ad aprire, togliendosi dall’imbarazzo. Voglio disperatamente che risponda alla mia domanda. Ho bisogno di sapere.
Sento la voce di Fowler. Dal suo tono capisco che è qualcosa di importante. Mi avvio verso la porta, ma quando arrivo Fowler se n’è già andato.
L’espressione di James è un misto di eccitazione e apprensione.
«L’incontro è fissato. Fowler e io andremo a Caspia per fare la nostra presentazione».
«Quale presentazione?»
«Chiederemo il loro aiuto».
«Pensi che accetteranno?»
«Non lo so. Spero soltanto che non ci dichiarino guerra e non ci trattengano come ostaggi».