Capitolo 30
James
Mi sento come un marinaio naufragato su un’isola deserta che ha appena visto una vela all’orizzonte. Non so se ci salveranno, né se si tratta di un’imbarcazione amica, ma sento rinascere la speranza. La speranza di comunicare, negoziare e trovare un modo per sopravvivere.
Nella bolla, Charlotte non riesce a tenere a freno l’eccitazione. Siamo tutti attorno al tavolo. Emma ancora mezza addormentata. Min stoico come sempre. Grigorij con i capelli arruffati e un’espressione scettica. Lina e Izumi sono insolitamente animate, mentre Harry e io siamo sopraffatti dalla gioia.
Voglio che Emma senta tutto.
«Dobbiamo registrarlo per i posteri», dico alzando una mano.
Tutti si raddrizzano sulle sedie e Harry attiva la videocamera. Grigorij si passa persino una mano tra i capelli cercando invano di dargli una sistemata.
«L’equipaggio della Pax ha il piacere di comunicare che il novantaduesimo giorno della missione ha stabilito il contatto con Beta, il secondo oggetto alieno identificato nel nostro sistema solare. Beta sta attualmente transitando nel sistema con destinazione ignota. Abbiamo lanciato una flotta di droni, Giano, per localizzare il primo oggetto, Alpha, ma senza successo. Una seconda flotta di droni, Icaro, ha individuato Beta, verso il quale è stata dirottata anche la flotta Giano. Quest’ultima comprende due droni esploratori e tre specializzati rispettivamente nell’osservazione, la comunicazione e l’intervento».
Quando sento la parola “intervento”, non riesco a trattenere un sorriso. Harry l’ha preferita a “drone da battaglia” perché suona più rassicurante.
«Il drone di osservazione ha effettuato una prima ricognizione raccogliendo dati sull’oggetto alieno e rientrerà alla nave tra circa venti ore. Tra dodici giorni raggiungeremo Beta e tra quattro ci congiungeremo con la Fornax. Passo ora la parola a Charlotte Lewis, responsabile del primo contatto».
L’accento australiano di Charlotte sembra un po’ più pronunciato del solito. Sono sicuro che tutti stanno pensando che questo video sarà trasmesso in tutto il mondo e che anche le future generazioni lo guarderanno. Se ci saranno future generazioni.
«Il protocollo del primo contatto è il frutto di vari tentativi di comunicazione che utilizzando una serie di sequenze matematiche, microonde, onde radio e onde luce. La prima sequenza matematica è quella dei numeri di Fibonacci. Zero, uno, due, tre, cinque, otto e così via». Fa una pausa per inspirare. «Sono lieta di comunicare che dopo l’emissione della prima sequenza di quarantasei numeri di Fibonacci da parte del drone di comunicazione, l’oggetto alieno ha risposto con il quarantasettesimo numero. Per la prima volta nella storia dell’umanità abbiamo stabilito un contatto con un’intelligenza extraterrestre».
Questo sembra un buon punto per tagliare il video. Charlotte trabocca d’entusiasmo e chiunque la guarderà, ovunque si trovi e in qualsiasi momento, capirà cosa stiamo provando.
Eccitazione.
Speranza.
Faccio un cenno a Harry e lui digita sul tablet.
«Registrazione conclusa».
«Okay», esordisco. «Il piano prevede di inviare costanti aggiornamenti a Terra. Propongo di lanciare subito un mattone con le ultime informazioni e questo video».
Gli altri approvano e sciogliamo la riunione per ritrovarci dopo l’invio. È la prima volta che trasmettiamo comunicazioni alla base terrestre e non riesco a non sentirmi fiero per le buone notizie – oltretutto in anticipo sul programma.
Min apre la riunione.
«Iniziamo la discussione».
«Vorrei essere là», dice Charlotte.
«Aspetta di vedere cosa succederà a quel drone», dice Grigorij.
«Cosa vuoi dire?», ribatte lei.
Grigorij si stringe nelle spalle. «Mi sembra chiaro. Potrebbe disintegrarlo da un momento all’altro».
Alzo una mano. «Dobbiamo decidere se cambiare i nostri piani».
Emma parla per prima. «Per una volta sono ottimista. Forse perché voglio crederci, ma sono convinta che si tratti di una svolta positiva. Alpha ha distrutto o messo fuori uso la sonda…».
«Una sonda che lo spiava senza permesso», dice Charlotte.
«Si spia sempre senza permesso», risponde Grigorij con un sorriso di scherno.
«Quello che voglio dire», continua Emma, interrompendo Charlotte, «è che il comportamento dell’oggetto alieno è cambiato. Pur ammettendo che l’approccio del drone è stato diverso da quello della sonda, rimane il fatto che dopo averlo avvistato Beta non ha reagito aggressivamente. Che cosa significa? Forse questo oggetto è in guerra con l’altro».
Per un lungo istante l’ipotesi rimane sospesa nell’aria. Se è vera, le cose si complicheranno. Ma avremo un potenziale alleato e un’opportunità per mettere fine al Lungo Inverno.
«Forse quello che sta succedendo nel nostro sistema è collegato a quella guerra», dice Harry. «Forse uno dei due contendenti ha bisogno dell’energia solare. O forse, senza saperlo, siamo collegati a una delle due parti in conflitto».
«Forse siamo una razza discendente, la progenie di uno dei due oggetti alieni. Oppure droni biologici», azzarda Lina.
Teorie interessanti. I pensieri degli altri sono sempre una sorpresa, soprattutto quelli di chi sta quasi sempre in silenzio.
Prende quindi la parola Min. «Oppure siamo semplicemente finiti nel mezzo e una delle due parti in conflitto vuole proteggerci per ragioni morali».
«La domanda è se dopo questa scoperta dobbiamo cambiare i nostri piani», dice Harry.
«Naturalmente», risponde Charlotte. «Dobbiamo aumentare la velocità e raggiungere Beta il più in fretta possibile».
«Perché?», chiede Grigorij.
«Il motivo è ovvio», ribatte Charlotte. «Dobbiamo essere là per comunicare. Adattare il nostro approccio. Questo è l’evento più importante della storia dell’umanità e non possiamo prendercela comoda».
«Non ce la stiamo prendendo comoda», dice Grigorij. «Stiamo attraversando lo spazio alla massima velocità consentita dai propulsori».
«Potremmo andare più veloci».
«Avrebbe dei costi», borbotta Grigorij.
«Quali?»
«Meno energia per i droni. Il reattore può produrne soltanto una quantità limitata. E il sovrappiù ci serve per Midway».
Charlotte è esasperata. «Non riesco a credere che stiamo ancora pensando di lanciare la flotta Midway», dice guardando gli altri. «Vogliamo lanciare una flotta di droni per cercare altri oggetti alieni quando ne abbiamo uno proprio di fronte a noi con il quale stiamo già comunicando?».
Scuoto la testa. «Midway non serve soltanto a questo, Charlotte. Non possiamo raggiungere prima Beta e mettere tutte le uova nello stesso paniere». Min e Izumi non capiscono la metafora e mi fissano con aria interrogativa. «Dobbiamo agire in modo da preparare la Terra a tutte le possibilità. Il nostro obiettivo non è quello di comunicare con un oggetto alieno».
«Ricordaci qual è il prossimo passo nel tuo protocollo del primo contatto», chiede Harry a Charlotte per allentare la tensione.
«Il drone esploratore è stato programmato per tornare da noi appena ha stabilito il primo contatto», spiega lei dopo essersi schiarita la voce. «E il drone di comunicazione ha ricevuto la sequenza di Fibonacci cinquantadue ore fa».
«E mentre il drone esploratore ritorna da noi, cosa farà quello deputato al primo contatto?», domanda Emma.
«Il protocollo prevede l’uso di vocabolari più sofisticati per stabilire un metodo di comunicazione. L’obiettivo primario è convincere l’oggetto che siamo intelligenti e pacifici».
Nei miei trentasei anni di esperienza con la specie umana ho trovato entrambi questi punti discutibili.
«Ci stiamo avvicinando rapidamente all’oggetto», dico. «Il piano originale era di inviare di nuovo il drone esploratore verso Beta, osservare gli eventuali progressi nella comunicazione e poi rientrare. Vista la nostra velocità e la distanza, il prossimo viaggio di andata e ritorno dovrebbe richiedere circa quarantaquattro ore – se lo lanciamo adesso. Quindi sono favorevole a rispedire il drone, recarci al rendez-vous programmato con la Fornax e continuare la costruzione e il lancio della flotta Midway. C’è qualche obiezione?»
«Io sono d’accordo», dice Grigorij.
«Anche io», dichiara Min.
«Sono con voi», si aggiunge Emma.
«Il piano di Charlotte merita di essere preso in considerazione, ma sono ancora convinto che dobbiamo scoprire quanti altri oggetti alieni ci sono là fuori», dice Harry.
«Io sono d’accordo con James», dichiara Izumi.
«Il drone di osservazione arriva tra venti ore, giusto? E ci fornirà dei dati su Beta?», chiede Lina.
«Esatto», annuisco.
«E il drone esploratore ritornerà tra quarantaquattro ore con altri dati sul primo contatto. In questo caso, concordo nel seguire il nostro piano, a meno che i dati del drone di osservazione non ci diano motivo di cambiarlo».
Con questo la riunione si scioglie. Charlotte non è contenta, ma abbiamo detto tutti la nostra. Questa missione è molto più complicata di quanto avessi immaginato.
Ogni modulo e ogni dipartimento della nave porta alla bolla. È lì che si concentra l’energia dell’equipaggio e che le nostre opinioni si scontrano. E attraverso il dibattito delle idee miglioriamo i nostri piani e forgiamo il consenso.
Ma quando rientriamo in laboratorio, Harry, Emma e io siamo sulla stessa lunghezza d’onda e la tensione della bolla svanisce. Harry mi abbraccia calorosamente. Emma si unisce a noi e la stringo forte.
«Ce l’abbiamo fatta!», esclama Harry. «Riesci a crederci?»
«No», sussurra Emma. «Sono andata nello spazio con la speranza di gettare le basi di una futura colonia umana. Ma questo contatto… una forma di vita aliena… va ben oltre quella speranza».
Mi piace vederla così entusiasta. È contenta come una bambina.
È uno dei rari momenti felici da quando siamo partiti.
La notte prima dell’arrivo del drone di osservazione riesco a malapena a chiudere occhio.
Siamo tutti seduti nella bolla, fissando lo schermo, quando lo vediamo apparire. Sembra un piccolo asteroide. Min trasmette le istruzioni per l’ammaraggio attraverso le placche di comunicazione all’esterno della Pax. Il drone manovra accostandosi alla fiancata. Quando il portello esterno si chiude, Izumi fluttua dentro con la sua tuta EMU. Collega il drone alla nave e il software di Lina inizia a copiare i dati.
«Non aspettatemi», dice Izumi. Non vediamo l’ora di vedere l’oggetto alieno, e a questo punto ogni secondo è importante.
Lina digita freneticamente sul suo tablet. Sullo schermo appare un video registrato dal drone. Tutti fissano il tablet in un silenzio di tomba.
Beta si libra in lontananza. Il Sole, dietro il drone, illumina la prua della nave aliena. L’immagine precedente, scattata dalla sonda, era ripresa da dietro, con il Sole sullo sfondo che oscurava l’oggetto. Il drone zooma più vicino, e sono colpito da parecchie cose. Prima di tutto le dimensioni e la forma dell’oggetto. Da questa angolazione sembra circolare. Non posso dire ancora se sia una sfera o se quella che stiamo vedendo è l’estremità di un cilindro. Ma è grande. Avrà un diametro di più di un chilometro. Forse anche due. Il drone calcola le dimensioni, e nell’angolo inferiore destro dello schermo appare la scritta in bianco contro il nero dello spazio:
Larghezza stimata: 2,4 km
Altezza stimata: 2,4 km
Il drone si avvicina, muovendosi con una leggera angolazione, non in intercettazione diretta. L’obiettivo zooma e i contorni dell’oggetto vengono messi a fuoco.
Rimango a bocca aperta. Il cuore mi pulsa nelle orecchie. Non è un cerchio. È un esagono. Un gigantesco esagono. Le implicazioni mi colpiscono come una martellata. Mi gira quasi la testa.
Emma se ne accorge e mi lancia un’occhiata per chiedermi cosa mi succede.
Scuoto la testa, sperando che gli altri non lo notino.
Il drone accorcia ancora di più le distanze. Il Sole illumina la superficie di Beta. Risplende come un lago all’alba. Ma è un riflesso attenuato, come un mare di ossidiana racchiuso in una forma esagonale. Non ci sono linee né protrusioni.
Penso di sapere cosa arriverà dopo, ma ho paura di vederlo, ho paura di avere ragione.
Il drone supera l’oggetto e il fermo immagine del video mostra distintamente la sua fiancata. A quella distanza sembra sottile come un’ostia. Una vela che va alla deriva verso il Sole. Il drone stima uno spessore di tre metri. Sento una stretta allo stomaco. Devo concentrarmi.
La forma è la chiave di tutto. Un esagono. Una forma che in natura ha le sue buone ragioni. Un nido d’ape. Gli occhi di una mosca. Le bolle di sapone.
Perché un esagono e non un cerchio?
Gli esagoni si combinano insieme.
È questa la conclusione.
Non sono ancora sicuro di cosa questo implichi per l’umanità. Ma ho un’ipotesi. E non è incoraggiante.
Lo schermo ritorna in modalità video e appare il retro dell’oggetto alieno. Non c’è nessuna scritta, soltanto una macchia scura che non riflette la luce del Sole. Sullo sfondo nero dello spazio sarebbe invisibile se il Sole non ne illuminasse il contorno.
Sullo schermo scorrono i dati. Lina li legge.
«I test di emissione sono tutti negativi. È come noi. Viaggia silente».
Quando il video finisce, Min domanda: «Secondo voi cosa significa?».
Seguo distrattamente il dibattito. Grigorij si chiede se sia una sorta di gigantesco insetto spaziale. Min suggerisce che possa trattarsi di un detrito di nave spaziale in avaria. Charlotte ribadisce che poiché è in grado di comunicare si tratta di un’entità intelligente.
Sono talmente immerso nei miei pensieri che odo a malapena il mio nome quando Min mi chiama. «James. James».
«Sì. Sono qui».
«Cosa ne pensi?»
«Penso… di avere bisogno di un po’ di tempo per pensare».
Una lunga pausa.
«Anch’io. Forse è meglio che lo facciamo tutti», concorda Harry.
Appena torno in laboratorio Emma mi tira in disparte. «Tu sai qualcosa», mi dice.
«No, non credo».
«Dimmelo, James».
Non posso dirglielo. Non finché non ne sono sicuro.
«Abbiamo bisogno di più dati».
Dieci ore più tardi abbiamo altri dati. Quattordici ore prima del previsto. E confermano le mie peggiori paure.
«Il drone esploratore è tornato», dice Min in tono distaccato. «Il drone di comunicazione che ha scambiato i numeri di Fibonacci con l’oggetto non risponde più».
«Un guasto?», chiede Charlotte.
«Possibile», risponde pacatamente Harry.
«Il drone esploratore è in anticipo», dice Grigorij, arrivando al punto.
Min annuisce. «Sì. Stava dirigendosi verso Beta quando ha incrociato il drone di comunicazione alla deriva».
«Quando è…». Grigorij sembra esitare, come se cercasse le parole. «…diventato inattivo?».
Min lancia un’occhiata al suo tablet. «Subito dopo avere instaurato il primo contatto».
Deglutisco sforzandomi di non lasciar trapelare la mia emozione. Mi sento come quel giorno in tribunale, quando ho sentito il giudice pronunciare la mia condanna all’ergastolo. Ma questa volta non sono il solo a ricevere la brutta notizia, è l’intera umanità, il cui unico crimine sembrerebbe quello di essere nata sul pianeta sbagliato, e nel momento sbagliato.
«L’oggetto l’ha attaccato come aveva fatto con la sonda», afferma Grigorij.
«Potrebbe essere un malfunzionamento», obietta Lina.
«Avremmo dovuto essere là», dice Charlotte.
«Bisogna decidere cosa fare adesso», suggerisce Emma.
«Sono d’accordo», annuisce Min.
Tutti gli occhi si puntano su di me.
«Per prima cosa dobbiamo recuperare il drone di comunicazione e scoprire cos’è successo», dico.