Capitolo 26

James

L’equipaggio si dà convegno nel locale più grande della nave, all’intersezione dei due bracci, uno spazio sferico che abbiamo soprannominato “la bolla”. Ci sono finestre affacciate su varie direzioni e al centro un grande tavolo bianco rotondo con cinghie per allacciarsi.

Emma, Harry e io abbiamo indetto la riunione per presentare un piano che potrebbe aumentare drasticamente le nostre possibilità di successo. C’è tuttavia una percentuale di rischio, e la cosa mi rende un po’ nervoso perché è la prima decisione importante che l’equipaggio deve affrontare.

Quando siamo tutti riuniti e fluttuiamo attorno al tavolo, Harry inizia a parlare.

«Vogliamo inviare in avanscoperta una flotta di droni. La chiameremo flotta Giano».

«Qual è l’obiettivo?», chiede Grigorij.

«La raccolta di dati», risponde prontamente Harry.

Charlotte aggrotta le sopracciglia. «Stiamo parlando soltanto di osservazione oppure di un vero e proprio contatto con l’oggetto alieno?»

«Entrambe le cose», rispondo.

Charlotte scuote la testa. «Sono contraria. Quando effettueremo il primo contatto, dovremo essere in grado di reagire e adattare il nostro approccio. È troppo importante per poterci affidare a un algoritmo o a un’intelligenza artificiale».

Mi aspettavo che reagisse così. «Tecnicamente, abbiamo già stabilito il primo contatto», le rispondo in tono pacato. «La prima sonda ha inviato dati dopo avere avvicinato l’oggetto alieno ed è stata distrutta».

«Questo avvalora il mio argomento», dice Charlotte. «In situazioni incerte come questa, con un range di variabili così ampio, inviare delle sonde può essere troppo rischioso».

«È proprio per ridurre i rischi che vogliamo mandare in avanscoperta una flotta di sonde», le rispondo indicando Harry e me. «Certo, non avranno molte possibilità di adattamento, ma ogni sonda avrà uno scopo specifico, e potranno rivelarci parecchie cose senza mettere a repentaglio la Pax e il suo equipaggio.

«Sapevamo fin dall’inizio di rischiare la vita», risponde Charlotte.

«Non è una questione di coraggio, ma di garantire il successo della missione», ribatto. «Se moriremo senza avere scoperto nulla, sarà un fallimento».

Min alza una mano. «Non sarà facile per me programmare le rotte dei droni. Tecnicamente, non siamo nemmeno sicuri di dove si trovi l’oggetto alieno. Abbiamo estrapolato una posizione basandoci sull’ultima localizzazione e sulla traiettoria, ma potrebbe essere ovunque. Se inviamo i droni nella direzione sbagliata, non potrebbero mai correggere la rotta e Grigorij dovrebbe trovare il modo per soddisfare il loro fabbisogno energetico. Detto questo, vorrei saperne di più prima di prendere una decisione».

Prima del lancio non era stato formalmente designato un comandante della missione, ma dopo l’assemblaggio della Pax Min ne ha assunto il ruolo. Forse perché è lui a stabilire la rotta della nave. O forse soltanto perché è un leader naturale. In ogni caso, sta facendo un ottimo lavoro e al momento ci è molto utile.

Faccio un cenno di assenso a Harry, che continua: «La flotta Giano includerà due droni esploratori e tre droni specializzati: osservazione, comunicazioni e intervento. Cinque droni in totale».

«Dimensioni?», chiede Grigorij.

«Molto piccole», risponde Harry. «La maggior parte non saranno più grandi di un booster e avranno tutti delle placche di comunicazione».

«E il fabbisogno energetico?»

«Minimo. Tranne per gli esploratori, che saranno più grandi e con maggiore capacità di accelerazione, si tratterà di un viaggio di sola andata. Il piano prevede che uno degli esploratori precederà la flotta e raggiungerà per primo l’oggetto alieno. Sarà dotato di un telescopio a lunga portata per verificare che l’oggetto si trovi nella posizione prevista. L’obiettivo è che il drone veda l’oggetto senza essere visto. Se l’oggetto non sarà in quella posizione, effettuerà una ricerca per localizzarlo e avrà a disposizione una settimana. Poi si riunirà alla flotta e comunicherà i risultati all’altro drone esploratore appena sarà allineato con il suo telescopio. E il drone invertirà la rotta per tornare da noi e riferirci i risultati».

«L’idea mi piace», dice Grigorij. «Il resto del piano è discutibile, ma verificare la posizione dell’oggetto alieno è fondamentale».

«Grazie per la fiducia, Grigorij», rispondo con un largo sorriso.

«Te la sei meritata».

«Riconosco che è una buona mossa», dice Min.

Tutti gli occhi si puntano su Lina. «Ci sto anch’io».

Charlotte si limita ad annuire. Lo stesso fa Izumi, che finora è rimasta in silenzio.

«Quale sarà il prossimo passo?», chiede Min.

Harry congiunge le mani. «Lanceremo dalla Pax un piccolo drone che intercetterà la Fornax e comunicherà al suo equipaggio quello che abbiamo scoperto: la posizione dell’oggetto e le sue caratteristiche. Questo permetterà loro di fare eventuali aggiustamenti di rotta».

Dopo un lungo silenzio Grigorij dice quello che stiamo pensando tutti: «Ammesso che la Fornax ci sia ancora».

«Questo ci permetterà anche di capire cos’è successo alla Fornax».

«E se dobbiamo modificare gli obiettivi dei nostri droni», aggiungo io.

«E costruire altre bombe», dice Min, «se la Fornax non è più lì o se ha perso il suo carico offensivo».

«Sì», rispondo.

Charlotte sgrana gli occhi. «Stai costruendo droni con capacità offensive?», chiede.

Annuisco. «Dobbiamo farlo», rispondo. «Senza Harry, è improbabile che la Fornax possa produrre droni. Inoltre, come ha notato Min, non sappiamo se la nave ce l’ha fatta, e determinare la vulnerabilità dell’oggetto potrebbe essere compito nostro. Non abbiamo scelta».

Charlotte inspira a fondo. «Hai già costruito le bombe?»

«No, le stiamo ancora progettando».

«Che tipo di carica avranno?»

«Nulla di nucleare. E alcune non saranno nemmeno incendiarie. Testeremo una vasta gamma di modalità offensive. Cinetiche, elettriche, laser e naturalmente artiglieria convenzionale adattata allo spazio».

Le risposte di Grigorij sono insolitamente caute. «Se necessario, posso riconvertire il reattore. Se me ne darete il tempo, potrei costruirgli un involucro e programmare un sovraccarico».

Il reattore è composto di due camere che, quando vengono attivate, si collegano ciascuna a una scialuppa di salvataggio. Lo svantaggio del piano di Grigorij è che le scialuppe di salvataggio sarebbero disattivate, precludendoci ogni possibilità di tornare sulla Terra.

«Questa è una questione che affronteremo in seguito», dice Min. «Per il momento concentriamoci sulla flotta dei droni. Qual è il piano dopo la localizzazione dell’oggetto alieno?»

«È a questo punto che diventa interessante», dice Harry. «I due droni esploratori monitoreranno gli altri tre mentre si avvicinano all’oggetto. Il drone di osservazione sarà il primo. Ha l’aspetto di un asteroide e passerà accanto all’oggetto senza stabilire alcun contatto. Raccoglierà informazioni – visive, elettroniche, onde elettromagnetiche e quant’altro ci potrà essere utile. Potremo così dare una prima occhiata ravvicinata all’involucro esterno dell’oggetto e magari capire di cosa è fatto. E potremo vedere l’altro lato».

«Scoprire se ha un ventre molle», borbotta Grigorij.

«Esatto», conferma Harry, mostrando un’immagine di vettori di volo. «Dopo avere effettuato le scansioni, il drone esploratore ci trasmetterà i risultati quando il suo telescopio sarà allineato con la Pax. Dopo il suo passaggio accanto all’oggetto, il drone trasmetterà le coordinate della Pax al drone esploratore e poi tornerà da noi con i dati».

Lancio un’occhiata a Charlotte. «Poi si avvicinerà il drone di comunicazione e inizierà il contatto».

«E come lo farà esattamente?», chiede in tono secco Charlotte. Penso sia convinta che il primo contatto spetti a lei e si senta espropriata da Harry e da me perché controlliamo i droni e possiamo arrivare lassù prima di lei.

«Non è compito nostro», rispondo con voce pacata, contrariamente a Charlotte.

Harry si stringe nelle spalle. «Noi ci occupiamo soltanto di droni».

«Hai finito il primo protocollo di contatto?», le chiedo.

Charlotte si mette subito sulle difensive. «Be’, no, non proprio. Questo tipo di lavoro richiede tempo. Non è come assemblare un robot. Dobbiamo procedere con grande attenzione. È la nostra sola possibilità».

«Come pensi di procedere?», chiede Min.

«Penso che dovremo stabilire delle comunicazioni e poi ideare un lessico».

È chiaro che non tutti comprendono il significato della parola “lessico”. A volte dimentico che per alcuni membri dell’equipaggio l’inglese è una seconda lingua. Grigorij strizza gli occhi. Izumi corruga la fronte. Izumi fissa Charlotte. Lina non reagisce.

«Dobbiamo creare un vocabolario per comunicare con l’oggetto», spiega Charlotte.

«Assumendo che voglia comunicare con noi», osserva Grigorij facendo roteare gli occhi.

«Sì, io parto da questo presupposto. Tu invece vorresti prima sparargli?»

«Nessuno sta dicendo questo», rispondo alzando una mano.

«Cosa stai dicendo, allora?», mi chiede Charlotte.

«Che la nostra missione non si limiterà a comunicare con l’oggetto alieno. Dobbiamo capire con cosa abbiamo a che fare e notificarlo alla Terra». Aspetto, ma nessuno fa domande. «Lo scenario migliore è quello in cui l’oggetto vuole comunicare. Ma se così non fosse, la Terra deve saperlo e sapere come combatterlo. Avremo una sola possibilità di stabilire un primo contatto. Quando avremo avviato le comunicazioni, si accorgerà dei nostri droni e perderemo il fattore sorpresa».

«Ed è per questo che prima volete studiarlo con il drone esploratore?», chiede Min.

«Sì. Prima lo osserviamo. Poi cerchiamo di comunicare. E se non ci riusciremo, il drone di intervento testerà le sue difese. Ci sembra l’unico approccio logico».

Charlotte si morde il labbro. «Sì, d’accordo, è una buona idea. Quando inizieremo le comunicazioni, l’oggetto probabilmente identificherà i droni. Potrebbe essere la nostra unica possibilità di avvicinarlo, il drone esploratore deve andare per primo».

«È quello che pensiamo anche noi», dico. «Ma spetta a te redigere il protocollo del primo contatto. A questo punto, ogni informazione potrà essere utile».

Charlotte intreccia le dita e posa le mani sul tavolo. «D’accordo. Il mio protocollo prevede che proviamo una serie di modalità di trasmissione – microonde, onde radio, onde luminose, radiazioni – finché non otteniamo una risposta».

«Qual è il messaggio iniziale?», chiedo.

«Una sequenza numerica non casuale. I numeri di Fibonacci. Numeri figurativi: triangolari, quadrati, pentagonali. L’idea è quella di dare una sequenza logica di numeri e vedere se rispondono con il numero successivo della sequenza. Se lo faranno, significa che sono disposti a comunicare. Il seguito è la parte più difficile».

«Come comunicare», dico.

«Esatto. Ci sto ancora lavorando».

«La mia sensazione…». Faccio un cenno a Harry ed Emma. «La nostra sensazione è che stabilire un rudimentale contatto iniziale come primo passo è sufficiente. Ci fornirà elementi per creare un lessico più complesso con l’oggetto alieno».

Charlotte riflette un istante e poi annuisce. «Sì. Sono d’accordo. Per me sarebbe un ottimo inizio, che ci consentirebbe di instaurare un dialogo produttivo».

«O di prepararci a distruggerlo», dice Grigorij. «È questo il compito del terzo drone, giusto?».

Tutti gli occhi si puntano su di me. «Giusto. Il primo drone osserverà. Il secondo comunicherà. E se non ci riusciremo, testeremo le sue difese. Quando raggiungeremo l’oggetto alieno, dovremo essere pronti a comunicare o a combattere. Inoltre, questo ci consentirà di sapere fin da ora con cosa abbiamo a che fare e potremo informarne la Terra prima del previsto. Siamo ancora più vicini alla Terra di quanto lo saremo quando raggiungeremo l’oggetto alieno».

Tutti restano in silenzio. Penso si siano resi conto della genialità del piano che Harry, Emma e io abbiamo concepito. La flotta Giano ci farà risparmiare mesi di viaggio, consentendoci di stabilire con grande anticipo la natura dell’oggetto. Ora capisco perché la NASA non ha designato un comandante della missione, non volevano creare frizioni nell’equipaggio. Volevano che tutte queste menti brillanti si sedessero attorno a un tavolo e discutessero senza che nessun leader decidesse per loro. Lo scopo di questa missione è identificare l’oggetto, e per ottenerlo non servono decisioni affrettate. Volevano che ognuno avesse una specialità e potesse dare voce alle sue idee e alle sue opinioni. È questo il presupposto di ogni buon piano.

«Di quali armi saranno dotati i droni?», chiede Min.

«Stiamo progettando un cannone elettromagnetico», risponde Harry.

«Pensavo che nello spazio non funzionassero», obietta Charlotte.

«Funzionerà», risponde seccamente Grigorij.

«Senza ossigeno?», chiede Charlotte.

«Sì», dice Grigorij. «Un cannone elettromagnetico non ha nulla a che vedere con un normale cannone».

Il tono di Harry è pacato e pragmatico. «Un cannone convenzionale, con un proiettile e la polvere da sparo come propulsore, può sparare anche nello spazio. Le munizioni contengono un ossidante chimico che scatena l’esplosione della polvere, sparando il proiettile. Ma nel nostro caso non ci sarà bisogno di polvere da sparo o di ossidanti, perché un cannone elettromagnetico è dotato di due guide che vengono magnetizzate usando cariche elettriche ad alto voltaggio. La corrente elettromagnetica lancia il proiettile a una velocità molto più alta di quella di un cannone tradizionale».

«Qual è l’obiettivo?», chiede Grigorij.

«Spareremo sei proiettili a distanza ravvicinata», rispondo.

«Mirerete al centro dell’oggetto?», domanda Grigorij.

«No, al bordo esterno».

L’ingegnere russo sorride. «Volete prelevarne un pezzo?»

«Sì, per studiarlo. Pensiamo che la prima cosa da scoprire sia di quale materiale è fatto. Questo ci aiuterà a capire come neutralizzarlo».

«C’è altro da sapere?», chiede Min dopo un lungo silenzio.

«No, per il momento è tutto», rispondo.

«L’idea mi piace», dice Min.

«Anche a me», annuisce Grigorij.

«Sono d’accordo», dice Charlotte.

«Io pure», dichiara Lina.

Tutti si voltano verso Izumi. «Tutto ciò esula dal mio campo. Sono qui per mantenervi sani ed efficienti, e questo piano sembra andare nella direzione giusta. Ci sto anch’io».

«Abbiamo ancora molto lavoro da fare, e quando i progetti saranno ultimati, dovremo affrontare le sfide della costruzione», dico indicando Harry ed Emma. «Penso che potremo essere pronti tra un paio di settimane», aggiungo guardando Emma per chiederle conferma.

Emma è rimasta in silenzio durante tutta la riunione perché sapeva cosa stavamo presentando Harry e io. Ci ha aiutati a formulare il piano e la sua presenza è fondamentale per metterlo in atto. Harry e io siamo bravi nella progettazione, ma quando si tratterà di costruire i droni, dovremo affidarci a lei.

«Due settimane dovrebbero bastare», conferma Emma.

Mi rivolgo quindi a Lina. «Avremo bisogno del tuo aiuto per il software», le dico.

«Nessun problema. Ho già elaborato dei sistemi autonomi per i droni, ma mi servono le loro caratteristiche specifiche». Si volta verso Charlotte. «I protocolli delle comunicazioni, tanto per cominciare».

«Ho le specifiche di base, te le invierò nei prossimi giorni».

«Bene. E mi serviranno al più presto anche i parametri di navigazione elaborati da Min».

«La navigazione è la parte più facile», dice Min. «Quello che ci serve sapere è di quanta energia propulsiva avremo bisogno».

«Sono d’accordo», dico. «Formeremo un gruppo di lavoro con Grigorij e Min per decidere cosa utilizzeremo per il primo lancio di droni».

Tutti annuiscono.

Inspiro a fondo e dico: «Le prossime due settimane saranno decisive. Sarà un’autentica lotta contro il tempo e non mancheremo di scontrarci. Ma ne varrà la pena. Scopriremo dove si trova l’oggetto alieno, che fine ha fatto la Fornax e, soprattutto, potremo raggiungere l’obiettivo della nostra missione con mesi di anticipo rispetto a quanto avevamo programmato. Non ci resta che rimboccarci le maniche».