Capitolo 46

James

Per qualche giorno rimpiango di avere permesso a Emma di partecipare alla missione. È troppo rischioso.

Poi, però, mi convinco di aver fatto la cosa giusta. Il peso del mondo è ora tutto sulle mie spalle e ho bisogno di qualcuno al mio fianco che lo condivida con me. E quella persona non può essere che lei.

Abbiamo lavorato giorno e notte sulle navi e i droni, io il più delle volte all’Olympus Building ed Emma a casa. Per me è come fare un primo turno in ufficio e un secondo a casa.

Fa sempre più freddo e ogni mattina il Sole è un po’ più pallido. La neve continua a cadere senza sosta. Le strade e i sentieri sono come profonde gole e fossati scavati nel ghiaccio.

Il tempo sta scadendo e non siamo ancora pronti.

Vorrei poter comprare in qualche modo altro tempo.

Per un certo verso ho quasi paura di partire in missione. Mi spaventa lasciare questo posto dove Emma e io siamo felici, lavoriamo insieme, viviamo insieme, dormiamo l’uno accanto all’altra e chiacchieriamo sotto il Sole.

Parliamo della missione, della nostra infanzia, delle nostre famiglie. Ci sono però due argomenti che non affrontiamo mai: il futuro, perché non sappiamo se ce ne sarà uno; e il mio passato – ovvero perché sono finito in prigione. Lei ci gira attorno, ma so che vorrebbe chiedermelo. E io dovrei dirglielo. Merita di saperlo. Conoscersi reciprocamente e accettarsi l’un l’altro è il fondamento di ogni relazione.

È per questo che Emma mi ha parlato della sua salute nonostante avesse paura che io la prendessi male. Devo fare lo stesso con lei. Ma l’idea di fare qualcosa che potrebbe cambiare i suoi sentimenti mi terrorizza.

Le nostre riunioni di famiglia sono diventate una routine, ogni domenica sera ceniamo con Fowler, Madison e le rispettive famiglie e con Abby e i suoi figli. L’unico assente è Alex. Ormai ho rinunciato alla speranza che si faccia vedere.

Ma una domenica sento bussare alla porta e, quando Oscar va ad aprire, riconosco la sua voce. Emma mi lancia uno sguardo allarmato.

Ci alziamo entrambi.

«Sono venuto a trovare James», dice Alex.

Entra nella stanza e ci fissiamo per un lungo momento. Aspetto che lui faccia la prima mossa e mi dica perché è venuto.

«Volevo parlarti», sussurra timidamente.

«Oscar e io abbiamo delle commissioni da fare», dice Emma alle mie spalle.

«No», faccio io senza voltarmi. «Faremo una passeggiata».

«Con questo tempo?», chiede Emma. «Sei impazzito?»

«Ok, cambio di programma», dico. «Andremo in auto».

Un lieve sorriso increspa le labbra di Alex. È la prima volta da lungo tempo che la sua maschera di pietra si incrina davanti a me.

Do istruzione alla macchina di portarci alla Cittadella e avanziamo lentamente lungo le strade ghiacciate.

«Emma mi ha raccontato che partirai per un’altra missione».

«Sì».

«Ha detto che sarà pericolosa».

«Forse».

Mi fissa negli occhi, sollecitandomi a dirgli la verità.

«Probabilmente», rispondo incrociando il suo sguardo.

«Pensavo che sarebbe stato bello trascorrere un po’ di tempo insieme prima che parti».

Mi limito ad annuire. In parte perché non so cosa dire, ma soprattutto perché mi sento travolgere dalle emozioni. Gioia. Tristezza. Gratitudine a Emma per averglielo detto. È come se mi fossi spezzato una gamba ma avessi continuato a camminare ignorando il dolore o aggirando il problema perché pensavo di non poter fare nulla. Ma adesso me l’hanno steccata. Non è guarita. E non c’è alcuna certezza che un giorno guarirà. Ma sul momento, grazie alle sue parole, mi sento più forte. Come se un dolore che mi lacerava dentro fosse svanito.

So che Alex, come me, rifugge da ogni sentimentalismo, e così faccio quello che gli uomini come noi fanno per tenere a freno le emozioni: cambio argomento.

«Vuoi vedere qualcosa di speciale?», gli chiedo.

«Cosa?»

«Un bunker sotterraneo».