Capitolo 44
James
Il mondo è cambiato. Non solo la triplice alleanza tra l’Unione atlantica, Caspia e Pac, anche il mio mondo è cambiato. E il mio mondo è Emma.
Abbiamo orbitato l’uno attorno all’altra come due pianeti, entrambi incerti sulla forza di gravità tra di noi. E ora, all’improvviso, la massa della nostra attrazione è diventata troppo forte per tenerci separati. Non so cosa ci riserverà il futuro, ma non sono mai stato così eccitato in vita mia.
Dopo la collisione restiamo sdraiati sul letto con la sua testa sulla mia spalla.
«Com’è andato il viaggio?», mi chiede lei sottovoce.
«Un gioco da ragazzi».
«Bugiardo».
«Tutto è bene quel che finisce bene».
«Ci aiuteranno?»
«Sembra di sì».
«Quando è fissato il lancio?»
«Non si sa ancora. Quando l’abbiamo pianificato non sapevamo quali forze avessimo a disposizione. Se l’Unione atlantica sarebbe stata sola o se uno o due alleati ci avrebbero aiutato. E non conoscevamo le loro attività spaziali».
«Ve ne hanno parlato?»
«Non ancora, ma Fowler e io abbiamo incontrato i responsabili dei programmi spaziali e i vertici militari di tutte le nazioni. Abbiamo formato un gruppo di lavoro di tre nazioni. Alla fine della prossima settimana dovremmo scoprire cosa ci aspetta. Penso che tra pochi mesi potremo essere pronti. Tre o quattro al massimo. Dobbiamo muoverci. Non so quanto tempo ci resta».
Emma si alza dal letto e mi fissa mordendosi il labbro, come fa sempre quando è nervosa.
«Vuoi dirmi qualcosa?»
«No, non è niente», mormora.
Ma io non le credo. C’è qualcosa che vuole dirmi, ma di qualunque cosa si tratti, ha deciso che non è il momento giusto per farlo.
Quando Emma e io ci alziamo, non parliamo di quello che succederà dopo. Ci muoviamo come se avessimo inserito il pilota automatico. Sposto le mie cose dalla mia camera alla sua. Ci sembra la decisione più logica: la mia è nel disordine più totale, la sua sembra invece uscita da un catalogo di mobili.
A parte la mia camera e il mio studio, il resto dell’alloggio è immacolato. Grazie alle sue continue pulizie sembra quasi un ambiente sterile.
«Cosa vuoi farne dell’altra camera?», mi chiede.
«Non lo so».
«Ho avuto un’idea», propone lei con un sorriso.
Inarco un sopracciglio.
«Un laboratorio di droni».
«Come sulla Pax?»
«Ma con più gravità».
«Perfetto».
La sera invitiamo tutti a cena: Fowler e Madison insieme alle loro famiglie, Abby e i figli. Sono contento di averli tutti in casa.
Emma e io ci sediamo vicini e quando abbiamo finito di mangiare le cingo le spalle con un braccio e lei posa la testa sulla mia spalla. È una cosa che non avevo mai fatto prima, perlomeno davanti agli altri.
Madison fissa Emma con un’espressione che non riesco a interpretare. È una cosa tra sorelle. Sono un bravo scienziato e un abile investigatore, ma non potrò mai decifrare il loro codice.
Jack, Sarah, Adeline e Owen giocano insieme; i quattro bambini sono diventati subito amici. I figli di Fowler sono più grandi e trascorrono la maggior parte del tempo chini sui loro tablet mentre gli altri si rincorrono e giocano con il cane robot che hanno battezzato Marco Polo.
La scena mi ricorda i natali a casa dei miei. Mio padre aveva un fratello e due sorelle e trascorrevamo sempre il Natale insieme. La casa era piena, erano serate caotiche e gioiose, e a volte litigavamo. Era perfetto. E anche questa sera è così, con un’unica eccezione: Alex. È come se tra di noi si fosse spalancato un abisso che nessuno dei due riesce a varcare.
Quella notte, mentre Emma e io stiamo leggendo a letto, lei si volta verso di me.
«Devo parlarti di una cosa».
Sta usando lo stesso tono con cui nei film le ragazze annunciano al fidanzato che non vogliono più vederlo o che sono incinte. Mi metto sulla difensiva. Voglio che sputi subito il rospo, così saprò con cosa dovrò confrontarmi.
Poso il tablet. «Ti ascolto», le dico, e il suono della mia voce è come una spada che mulina nell’aria.
«Vado in missione».
«Quale missione?»
«La missione».
«Su Cerere? Verso il mietitore?»
«Sì, quella missione».
«Emma…».
«No, non dirlo. Lo so che non vuoi che venga. Ma sono preoccupata per te. Quando sei partito con Fowler per me è stato un inferno. Non posso rimanere qui ad aspettarti per mesi, chiedendomi se sei ferito o se qualcosa è andato storto. Non posso restare con le mani in mano sperando che tu ritorni. Verrò con te. Devo farlo».
La mia mente corre come un computer che cerca la password – testando una combinazione dopo l’altra per trovare una chiave che sblocchi la discussione, convincendola a restare sulla Terra. Questa missione si prospetta molto più lunga di quella del primo contatto. È un tentativo disperato e non posso portare lassù la donna che amo.
Decido di ricorrere all’approccio più logico.
«Hai già perso troppa densità ossea, Emma. Non puoi andare di nuovo nello spazio».
«Se sarò morta, la mia densità ossea non avrà alcuna importanza. E nemmeno se tu sarai morto». Deglutisce e poi inspira a fondo. «Ti chiedo soltanto di ascoltarmi un minuto».
«D’accordo».
«Qui sulla Terra mi sento inutile. Non sarò mai più la donna che ero prima. Non recupererò mai la forza che avevo prima di partire per la stazione spaziale. Ma se quaggiù sono debole, lassù potrò essere di nuovo forte. Avrò un ruolo da svolgere e potrò aiutarti. E se il tuo destino sarà quello di morire, morirò con te. Partirò anche io, James».
Ha davvero bisogno di partire. E, sotto sotto, voglio che venga con me.
Annuisco lentamente e lei mi cinge il collo con le braccia. La decisione è presa. Torneremo nello spazio. Insieme. Forse per l’ultima volta.