Capitolo 16
James
Nella sala riunioni l’equipaggio smette di mangiare. Quelli che stavano sfogliando le cartelle le richiudono. Nessuno parla. Siamo tutti scioccati dalla notizia: c’è un altro oggetto alieno lassù.
Lo staff di Fowler smette di digitare. Tutti gli occhi sono puntati su di lui. E su di me. Stanno aspettando la mia prossima domanda.
È come se nella stanza ci fossimo soltanto Fowler e io, che ci scambiamo in rapida successione domande e risposte, due menti che si sono collegate per scambiare dati.
«Localizzazione?»
«Dieci milioni di miglia oltre Marte».
«Dimensioni? Composizione?»
«Apparentemente è identico all’altro oggetto o vascello alieno».
«Vettore? Velocità?»
«Ignoti».
«Come l’avete scoperto? Con una sonda?»
«Con un telescopio in una base terrestre».
«In che modo ci siete riusciti?», chiedo, rispondendomi poi subito da solo. «Avete tracciato la rotta del primo oggetto, Alpha, e poi l’avete invertita?»
«Sì».
«Questo implica che entrambi gli oggetti siano stati lanciati dalla stessa base».
«È molto probabile. Il secondo oggetto è stato denominato Beta e il loro presunto punto di origine Omega».
Molto interessante. Nel punto Omega deve esserci una nave più grande o una base di qualche tipo. Nella mia mente si affollano le possibili spiegazioni. Questa storia sta diventando sempre più complicata.
Lina Vogel, l’informatica tedesca assegnata alla Pax, si schiarisce la gola. «Mi dispiace, ma le mie conoscenze in questo campo sono piuttosto limitate. Qualche informazione in più sul contesto potrebbe aiutarmi».
Fowler solleva lo sguardo, come se soltanto ora si fosse ricordato che non ci siamo solo io e lui. «Cosa vorrebbe sapere?»
«Be’… potrebbe chiarirmi di che ordine di distanze stiamo parlando, per esempio?»
«Certo», risponde Fowler prendendo un foglio dal tavolo. «Immagini che questo foglio è il sistema solare, con al centro il Sole. I pianeti e gli asteroidi orbitano sullo stesso piano perché si sono originati da una nuvola di polvere a forma di disco per la conservazione del momento angolare».
Lina strizza gli occhi, perplessa.
«Mi scusi», dice Fowler, «questo non è pertinente alla missione. Il punto è che tutti i pianeti ruotano in un’orbita attorno al Sole. Le orbite sono in genere circolari, ma non si tratta di cerchi perfetti. Alcuni sono più irregolari di altri. E la maggior parte delle comete non seguono il piano orbitale. L’orbita di Plutone, per esempio, ha questo andamento», spiega tracciando sul foglio un ellisse molto inclinato rispetto al piano di rotazione della Terra.
«Immaginate lo spazio come un tessuto, un lenzuolo o un foglio sul quale sono posati tutti questi pianeti, lune, asteroidi. Quanto maggiore è la massa di un oggetto, tanto più comprimerà il tessuto». Preme un dito sul foglio. «Affondando nel tessuto, gli oggetti pesanti trascinano con sé altri oggetti. Questo fenomeno è chiamato “effetto gravitazionale”».
Nella stanza si leva qualche risata soffocata.
«Prendete la nostra Luna, per esempio. Secondo una delle teorie più accreditate, circa cinquanta milioni di anni dopo la formazione del nostro sistema solare un pianeta delle dimensioni di Marte si è schiantato sulla Terra. La Luna è quello che è rimasto dopo la collisione. La Terra ha più massa – il suo diametro è quasi quattro volte quello della Luna – ed è due volte più densa. Il risultato è che la Terra ha ottantuno volte più massa. La minore massa della Luna spiega la minore forza di gravità sulla sua superficie, perché la sua massa esercita un’attrazione inferiore sugli altri oggetti».
Fowler fa cenno a uno dei suoi assistenti di tenere il foglio per lui.
«Quindi i pianeti orbitano attorno al Sole perché è l’oggetto con più massa nel sistema solare. Il Sole rappresenta infatti quasi il 99,9 percento di tutta la massa del sistema solare. Il suo diametro di 864.400 miglia è 109 volte quello della Terra. E la sua massa mantiene in linea tutti i pianeti, facendoli orbitare su un piano». Preme un dito sul foglio. «E qui c’è la Terra, con la sua massa. Non può sfuggire alla gravità del Sole perché il Sole pesa 333.000 volte più della Terra. Non possiamo andare da nessun’altra parte, ma abbiamo abbastanza massa per tenere allineata la Luna».
Preme un altro dito sul foglio. «Perché la Luna subisce la gravità della Terra e non può quindi andare da nessun’altra parte. Immaginate le forze di gravità dei pianeti come colline che un oggetto deve superare per sottrarsi al potere di attrazione».
Fowler indica Grigorij, Min, gli altri ingegneri aeronautici e il navigatore. «Quando parliamo di distanze, e nella cartella potete vedere la posizione di Alpha rispetto alle orbite planetarie, lo staff tecnico ha tenuto conto dell’energia e della velocità di cui abbiamo bisogno, ovvero della potenza dei propulsori e della quantità di carburante richiesta».
Preme più forte un dito sul foglio. «Poiché la Terra ha una massa maggiore e una gravità più forte, ci vuole più energia per sottrarsi alla sua orbita che a quella della Luna. Abbiamo ridotto il fabbisogno energetico in due modi: tenendo bassa l’orbita attorno alla Terra e usando la velocità orbitale per sottrarre l’oggetto al campo gravitazionale».
Fowler respira a fondo. «Per farvi un esempio, ecco come viaggeremo fino a Marte. Abbiamo programmato il lancio in modo che le nostre navi possano sottrarsi alla forza di gravità terrestre in varie fasi. Immaginate di nuovo che sia come arrampicarsi su una collina. Usciamo dall’atmosfera e usiamo la velocità orbitale della Terra attorno al Sole per catapultarci verso Marte. All’inizio del viaggio siamo ancora sotto l’influsso della gravità terrestre, che ci attira verso di sé, ma noi sfruttiamo tutta l’energia per liberarcene. Più ci allontaniamo, più debole sarà la forza di attrazione della Terra e minore la quantità di energia richiesta. A un certo punto raggiungiamo la cima della collina – un punto dello spazio dove la forza gravitazionale terrestre è pari a quella esercitata da Marte. Alle nostre spalle c’è una collina che scende verso la Terra e davanti a noi un’altra collina che scende verso Marte. Da quel punto in poi l’attrazione esercitata da Marte è più forte di quella della Terra, e scendiamo verso la nostra destinazione. La quantità di carburante e i requisiti di accelerazione richiesti sono fondamentali per il buon esito del viaggio».
Fowler lancia un’occhiata agli altri. Grigorij e Min sembrano annoiati. Lina annuisce.
«Questo è davvero importante, perché i navigatori e gli ingegneri devono capire quale velocità orbitale raggiungere e a quali forze gravitazionali sarà soggetta la nave. Due fattori decisivi per stabilire la quantità di energia richiesta», spiega Fowler.
«E questo ci riporta ai propulsori: quanta potenza e quanto carburante? Francamente, non lo sappiamo per certo».
Fowler fa un cenno a un’assistente. «Può alzarsi, per favore? Questa giovane signora è il Sole», dice all’equipaggio.
La donna sorride, un po’ imbarazzata dall’attenzione.
Fowler dà istruzione ad altri quattro assistenti di posizionarsi in alcuni punti specifici della stanza, che misura con i passi. «E loro sono i pianeti», continua. «I pianeti interni, quelli dentro la fascia degli asteroidi, che orbitano tutti attorno al Sole a velocità e distanze diverse. Mercurio è a circa trentasei milioni di miglia dal Sole. Venere si trova circa trenta milioni di miglia oltre Mercurio. La Terra ventisei milioni di miglia oltre Venere. E Marte ad altre cinquanta milioni di miglia da noi – nel nostro punto orbitale più vicino».
Fowler posa una pinzatrice tra i due assistenti che rappresentano la Terra e Venere. «E questa è la posizione di Alpha».
Poi sfila una penna dal taschino e la posa a un passo da Marte. «E questo è Beta».
«Il nostro piano era usare la velocità orbitale della Terra per catapultarci verso Alpha. E poi sfruttare la gravità di Venere per avvicinarci ancora di più».
Lina piega la testa di lato.
«Non dimenticate che i pianeti sono sullo stesso piano e orbitano a distanze e velocità diverse. Mercurio compie una rivoluzione attorno al Sole ogni 88 giorni, Venere ogni 224, mentre Marte ce ne mette quasi 700».
Indica la pinzatrice. «L’oggetto sta orbitando anch’esso attorno al Sole, con un’orbita discendente, come una pallina da flipper che si infila nell’imbuto prima di cadere».
Fowler si avvicina all’assistente che rappresenta la Terra. «La velocità orbitale della Terra impartirà alla nave una spinta verso Alpha». Fa un passo verso la pinzatrice. «In questo momento Venere è dietro la Terra. Ma fra trenta giorni le passerà davanti. Tra altri dieci supererà le navi e sette giorni più tardi Alpha. Le navi useranno la spinta della gravità venusiana per avvicinarsi all’oggetto alieno».
Fowler fa cenno agli assistenti di tornare ai loro posti e si avvicina di nuovo al tavolo. «Non sappiamo esattamente quale velocità orbitale ci imprimerà la Terra perché ignoriamo a quali forze saranno soggetti i moduli della nave quando orbiteranno attorno alla Terra. Ci sarà un evento solare simile a quello che ha colpito la stazione spaziale? Sarà ancora più potente? Oppure non accadrà nulla? Non lo sappiamo. Sappiamo però con precisione quando avrà luogo il trasferimento orbitale dalla Terra a Venere. La finestra di lancio ottimale per sfruttarlo si chiude tra ventiquattro ore. Se la manchiamo, difficilmente riusciremo a raggiungere Alpha. Al momento non abbiamo abbastanza dati per sapere se potremo raggiungere Beta».
Un ufficiale della NASA irrompe con aria sbigottita nella stanza e tira da parte Fowler per sussurrargli qualcosa. Riesco a cogliere solo qualche brandello di conversazione.
«Il relitto è andato in pezzi».
«Una falla».
«Scudo termico compromesso».
Mostra a Fowler qualcosa sul suo laptop. Il direttore della NASA strabuzza gli occhi. Si volta e si allontana di qualche passo pizzicandosi il labbro inferiore. Poi ritorna, scuote la testa e parla in un tono così basso che faccio fatica a capire le parole.
«Non possiamo fare nulla. Almeno adesso. Cercate soltanto di tenerla in vita più a lungo che potete».