Capitolo 6

James

La cosa migliore delle prigioni federali è che in genere ti permettono di conoscere criminali di un livello superiore. Non i comuni ladri e assassini ospitati nelle carceri statali. I residenti di Edgefield e di altri istituti correzionali federali sono molto più evoluti. O perlomeno abbastanza ambiziosi da perpetrare crimini che superano i confini di stato o violano le leggi federali.

Lo svantaggio è che grazie alla loro astuzia non tarderanno a trovare Pedro e me. Il mio sospetto è confermato quando sento qualcuno aprire l’oblò della prima asciugatrice, poi della seconda…

In lontananza riecheggiano degli spari. La Guardia nazionale è entrata. A quanto pare non c’è stato nessun negoziato. Hanno cercato di sfruttare l’elemento sorpresa.

L’oblò della mia asciugatrice si apre e una mano carnosa scosta le lenzuola. L’uomo mi vede, si ritrae di scatto e mi punta contro una pistola. «Esci di lì!».

Alzo le mani ed esco lentamente dall’asciugatrice. Ho male dappertutto.

Fuori, gli spari riecheggiano sempre più forti. È come se fosse scoppiata la Terza guerra mondiale.

«Chiudi quella porta!», ordina a un altro prigioniero l’uomo con la pistola. «E mettici davanti quel tavolo».

Sono mezzo fuori dall’oblò e vorrei tornarci dentro. So cosa sta per succedere. Questi uomini hanno perso la testa.

«Ho detto fuori!».

Esco dall’asciugatrice e avanzo vacillando, come un cerbiatto che fa i primi passi.

Un istante più tardi scoprono Pedro. Anche lui esce dall’oblò, ma li fissa con aria di sfida, spingendo in fuori il petto. Quell’uomo mi piace sempre di più. Spero davvero che non moriremo in questa lavanderia. Lo perquisiscono e gli sequestrano la radio e il manganello elettrico che ha usato contro Marcel.

Mi appoggio all’asciugatrice. Stare in piedi mi fa male.

Gli spari sono cessati. La guerra in corso là fuori sembra finita.

Una radio si mette a gracchiare. Uno dei prigionieri deve averla sottratta a un’altra guardia.

«Uscite dalla lavanderia con le mani in alto. È finita. Non vogliamo altri spargimenti di sangue».

Il capo dei ribelli non è quello che avevo immaginato. Non è né muscoloso né tatuato, ma un bianco di mezza età con una calvizie incipiente e la barba di un giorno. Sembra uno di quei venditori che sulla CNBC cercano di convincerti a comprare azioni della loro compagnia nonostante l’andamento degli indici di Borsa sia molto preoccupante. Forse è proprio per questo che è finito qui.

Cammina su e giù per la stanza, scrutandola e constatando quello che io già so: non ci sono altre porte o finestre, nessuna uscita. Solo due bocchette dell’aria sul soffitto. E a differenza di quelle che si vedono al cinema, queste non sono abbastanza larghe per potercisi infilare dentro.

Quando risponde alla radio, la voce del capo dei ribelli è calma e pacata.

«Nemmeno noi vogliamo altri spargimenti di sangue. Vogliamo soltanto sopravvivere. Nel caso non l’abbiate notato, l’inverno sta arrivando. Non vogliamo andarcene. Vogliamo essere lasciati soli. Non siamo rimasti in molti. Ma siamo abbastanza per coltivare la terra qui attorno e provvedere ai nostri bisogni. Vi chiediamo solo di lasciarci qui dentro. Chiudete le porte e gettate le chiavi. Usate droni AI per uccidere chiunque esca dal perimetro del carcere. Non vogliamo fuggire. Vogliamo soltanto sopravvivere».

Quell’uomo deve essere il capo della rivolta. Ed è piuttosto astuto. Non è certo un bene per la mia aspettativa di vita.

I suoi occhi si posano su Pedro. «Abbiamo una delle vostre guardie». Porge la radio a Pedro. «Digli il tuo nome».

Pedro sputa nella radio.

Un prigioniero con il petto macchiato di sangue e una mazza in mano fa un passo indietro.

«Fa’ quello che dice, Pedro!», urlo. Gli altri prigionieri si fermano e ci fissano. «Diglielo! Te lo caveranno fuori comunque. Andrà tutto bene».

Il capo annuisce e mi guarda. Poi, senza togliermi gli occhi di dosso, dice: «Sì, ha ragione lui, Pedro. Andrà tutto bene. Forza, digli come ti chiami!».

A denti stretti, Pedro dice il suo nome e il suo grado.

«Se ritirerete le vostre truppe dalla prigione e accoglierete le nostre richieste, vi restituiremo Pedro Álvarez sano e salvo. Uscirà di qui sulle sue gambe e vivremo tutti felici e contenti», dice il capo dei ribelli.

«Evacueremo la prigione, ma non sono autorizzato ad accettare le altre richieste. Devo consultare i miei superiori. Dateci un po’ di tempo».

«Non ci sposteremo di qui. E nemmeno Pedro, se non soddisferete le nostre richieste».

Il capo dei ribelli spegne la radio e mi guarda. «Chi sei tu?»

«Quello che si occupa della lavanderia».

«E che si nasconde nelle asciugatrici».

«Quando non ho altra scelta».

Il capo abbozza un sorriso, ma i suoi compagni non sembrano contenti.

Uno di loro mi punta contro un rudimentale coltello. «È una spia, Carl. Sgozziamolo subito».

Tecnicamente non sono una spia, ho solo aiutato una guardia, Pedro Álvarez, che ho scoperto essere una persona degna della mia fiducia. Non è il caso di spaccare il capello in quattro.

Il capo, Carl, sembra essere d’accordo.

«Appena avremo risolto questo problema, potrai sgozzarlo o fargli quello che ti pare, Finey».