Capitolo 4
James
Faccio un balzo e afferro il braccio di Marcel. È troppo pesante perché lo trascini a terra, ma riesco ad allontanare il coltello dalla gola di Pedro.
La guardia si libera dalla presa di Marcel, tira fuori qualcosa dalla tasca e lo colpisce al fianco.
Una violenta scarica elettrica ci attraversa, Marcel lascia cadere il coltello sul pavimento di linoleum e crolliamo tutti e due a terra in preda alle convulsioni.
Quel manganello elettrico è di certo illegale, ma sono contento che Pedro ce l’abbia.
Pedro allunga una mano per raccogliere il coltello, ma Marcel gli afferra il braccio e lo colpisce alle costole con l’altra mano. Pedro si lascia sfuggire un grido di dolore.
Avanzo strisciando verso Marcel e gli blocco il braccio mentre sta per sferrargli un altro pugno.
Fuori dalla porta riecheggiano delle urla. Un gruppo di detenuti avanza verso di noi chiamando Marcel.
Pedro impugna il coltello e all’improvviso dal petto di Marcel sgorga un fiume di sangue che mi cola sul braccio.
Marcel gorgoglia e i suoi occhi diventano vitrei.
Pedro si alza, prende la radio e l’accosta alla bocca.
Sollevo una mano tremante. «Non farlo, Pedro!».
Lui si blocca.
«Le guardie sono in minoranza rispetto ai detenuti. Cento a uno», riesco a dire tra un ansito e l’altro.
Pedro riflette un istante e poi scuote la testa.
«Devo andare, Doc. È il mio lavoro».
«Quando è entrato, Marcel non ha cercato subito di tagliarti la gola. Perché?».
Pedro corruga la fronte.
Rispondo per lui.
«Perché ti voleva come ostaggio. Per usarti come merce di scambio se il loro piano fosse fallito. Uno scudo umano. Se andrai là fuori ti cattureranno e diventerai uno strumento nelle loro mani. Ti metteranno sul Web, legato e malmenato, per far vedere al mondo e ai tuoi figli di cosa sono capaci».
Pedro lancia un’occhiata alla porta della lavanderia. È l’unico modo per uscire da questa stanza.
Le urla si stanno avvicinando. Ci resta soltanto un minuto, forse anche meno.
«Non c’è nessuna via d’uscita, Doc. Resti qui».
Pedro si alza e io gli afferro il braccio con la mano insanguinata. «C’è un altro modo per uscire».
«Quale…?»
«Non c’è tempo per spiegare, Pedro. Ti fidi di me?».
Quando arrivano i prigionieri, mi sto contorcendo sul pavimento accanto a Marcel.
Sono in sei, armati di mazze e coltelli. Uno di loro ha una radio.
«Abbiamo trovato Marcel. È morto».
Mi circondano. Mi alzo a fatica, ancora scosso dalle convulsioni. Sono talmente debole che non ho nemmeno bisogno di fingere.
«Chi è stato?», urla il loro capo.
«Non… non l’ho visto».
Un tizio calvo, più o meno della mia età, con le braccia coperte di tatuaggi, mi punta un coltello contro il pomo d’Adamo.
Rimango immobile, fingendo di essere terrorizzato.
«È spuntato all’improvviso alle spalle di Marcel e me l’ha spinto contro. Non sono riuscito a vedere la sua faccia».
Alla radio risuonano raffiche di spari. Il capo si volta e abbaia ordini camminando su e giù per la lavanderia.
«Non riesco a muovermi», sussurro. «Ho bisogno che qualcuno mi aiuti a uscire di qui…».
La lama si stacca dal mio collo, mi spingono a terra ed escono di corsa.
Quando sono sicuro che se ne sono andati, mi tolgo i vestiti insanguinati e li infilo nel cesto della lavanderia. Poi avanzo carponi fino alla terza asciugatrice e sussurro: «Via libera».
Le lenzuola si sollevano e vedo gli occhi di Pedro, spaventato ma riconoscente.
«Resta qui finché non vengo a tirarti fuori».
Per fortuna Pedro non è grosso, ma quando uscirà di lì sarà tutto indolenzito.
Io sono un po’ più alto di lui, quasi un metro e ottanta. Ci starò ancora più stretto, ma non ho scelta. Riesco a malapena a camminare, in questo stato non riuscirei né a correre né a lottare.
Sento ronzare la radio di Pedro, che l’ha accesa per controllare la situazione, e alzo il volume del televisore per coprire il rumore.
«Spegnila, Pedro», sussurro. «Se la sentono siamo morti».
Poi mi infilo in una grande asciugatrice, copro l’oblò con un mucchio di lenzuola e aspetto.
Mi sembra di essere qui dentro da ore.
Tendo l’orecchio per ascoltare le notizie e scoprire cosa sta succedendo là fuori.
Tutti i servizi del notiziario parlano del Lungo Inverno e di come le famiglie stanno cercando di sopravvivere.
Mi sforzo di non muovermi, ma tutte le giunture mi fanno male, sia per la posizione fetale che devo assumere sia per la scarica elettrica di poco fa.
Il notiziario sta trasmettendo un nuovo servizio. Le parole “rivolta carceraria” e “Guardia nazionale” attraggono la mia attenzione. Scosto le lenzuola quanto basta per vedere sullo schermo le immagini di elicotteri che atterrano davanti alla prigione. Non sono a più di duecento metri dal punto dove mi trovo.
La voce dello speaker mi conferma ciò che ho sospettato fin dall’inizio. «Con il Lungo Inverno che prosciuga le risorse delle forze federali e della polizia locale, le garanzie dei detenuti in caso di rivolte sono chiaramente sospese».
Immerso nei miei pensieri, non sento i passi che si avvicinano. Un prigioniero si affaccia alla porta, subito seguito da altri due. Stanno cercando Pedro per usarlo come merce di scambio. E quando scopriranno cosa ho fatto, vorranno vendicarsi. Nelle prigioni la vendetta è una questione d’onore. Nessuno cercherà di fermarli.