Capitolo 50
James
Dopo che ho esposto il mio piano cala un lungo silenzio. Scruto le facce dei compagni cercando di capire la loro reazione. Ci sono momenti che ci mettono alla prova, in cui riveliamo il nostro vero carattere. E questo è uno di quei momenti.
Conosco Emma abbastanza da sapere che è dalla mia parte. L’equipaggio della Pax ha fatto lo stesso sacrificio per lei e per me: le loro vite per le nostre. Per noi è una decisione facile.
E so che anche Oscar è favorevole al mio piano. Mi seguirebbe ovunque, a qualunque costo. Un giorno dovrò fare qualcosa per lui, se ci sarà un futuro dopo questa missione.
Sul resto dell’equipaggio non sono sicuro. Per loro i miei ex compagni della Pax sono degli estranei.
Ma mi sorprendono. Uno dopo l’altro, i membri seduti al tavolo annuiscono.
«È un buon piano», dice Heinrich.
«Comincio a scegliere i farmaci», dice Terrance. «Li suddivideremo tra le varie capsule?»
«Dobbiamo coordinarci con la Pax e scegliere un punto d’incontro», aggiunge Zoe. «Così sapremo esattamente di quanto carburante hanno bisogno per tornare sulla Terra».
Come mi aspettavo, la Pax si oppone al nostro piano. Sostengono che da loro va tutto bene. Alla fine invio un messaggio dicendo che lanciamo le capsule e che possono ignorarle oppure usarle per tornare a casa. Dopo una lunga pausa sullo schermo appare un semplice messaggio.
PAX: Grazie. All’intero equipaggio di Sparta Uno, grazie.
Ci spiegano poi di quali farmaci hanno bisogno. Apprendo con sollievo che non c’è nulla di grave. Soprattutto ferite da trauma come quelle riportate da Emma sulla stazione spaziale – qualche osso rotto e cicatrici delle ferite subite durante l’incontro con Beta. La densità ossea è a livelli critici, ma c’era da aspettarselo. L’equipaggio della Pax sopravvivrà.
Quanto a noi… vedremo.
Ci raduniamo tutti sul ponte per assistere al lancio delle capsule. Nessuno dice nulla, ma sento che tra di noi è sorto un legame, un sacrificio condiviso da cui non potremo tornare indietro. Le capsule fluttuano nell’oscurità dello spazio, lasciandosi alle spalle una scia di scintille bianche, come i primi proiettili esplosi in una battaglia finale. Ed è precisamente così. Non possiamo più tornare indietro.
Dieci droni di ricognizione sono rientrati. Tutti con lo stesso risultato: niente. Lassù su Cerere ci sono soltanto rocce e polvere. Analizzo i dati di ogni drone e scarico anche la telemetria. Hanno tutti la stessa anomalia tecnica. Succede in momenti e in luoghi diversi vicino a Cerere, e questo mi disorienta. Se là fuori c’è qualcosa che interferisce con i droni, dovrebbe accadere sempre nella stessa posizione o alla stessa distanza. I dati dovrebbero essere coerenti. Oppure potrebbe accadere in luoghi diversi ma in un’area ristretta, se ci fosse un drone nemico che li intercetta. Ma le localizzazioni sono troppo lontane tra loro.
Sento i dubbi dell’equipaggio crescere come una tempesta che si addensa all’orizzonte, l’eco di tuoni lontani ma presenti. Ma non mi faccio influenzare, sono certo che là fuori c’è qualcosa che ci aspetta.
Avanziamo nelle tenebre, spingendo la nave al massimo, con le tre testate nucleari armate e pronte. Mi sento come Achab che caccia la balena bianca. Sono un uomo posseduto.
Quando sono partito per lo spazio sulla Pax, la mia vita era vuota. Non conoscevo Emma. Mio fratello era per me un estraneo. Non avevo né famiglia né amici. Soltanto Oscar. Adesso invece ho qualcosa da perdere. Qualcosa per cui vivere e combattere.
Il tempo che ho trascorso nello spazio mi ha cambiato. Quando ho lasciato per la prima volta la Terra, ero ancora lo scienziato ribelle che il mondo aveva esiliato. Mi sentivo un outsider, un rinnegato. Adesso sono diventato un leader, ho imparato a leggere nell’animo delle persone, a capirle. Era stato quello il mio errore. Mi ero barricato nella mia visione del mondo con la convinzione che il mondo mi avrebbe seguito. Ma per essere dei veri leader bisogna capire le persone che si guidano, fare le scelte migliori per loro e soprattutto convincerli quando pensano che non lo siano. Il vero leader si riconosce in momenti come questo, quando le persone che devi proteggere dubitano di te e tutto sembra opporsi ai tuoi piani.
Ogni mattina l’equipaggio si raduna sul ponte. Emma e Oscar si siedono al mio fianco e ci scambiamo informazioni. La nave e l’equipaggio stanno operando al massimo dell’efficienza.
«Come sapete», esordisco «siamo ancora in viaggio per Cerere. Non abbiamo ancora dato ordine alle altre navi di modificare la rotta. Il fatto che i droni di ricognizione non abbiano trovato nulla non cambia i nostri piani. Il nemico è sufficientemente avanzato da interferire con i nostri droni per nascondersi. Dobbiamo tuttavia prepararci anche alla possibilità che su Cerere non ci sia nulla».
Prima di parlare Heinrich scruta il resto dell’equipaggio.
«Potrebbe essere una trappola».
Va sempre dritto al punto. È questo che mi piace in lui.
«Sì», rispondo «potrebbe esserlo. L’entità, il mietitore o comunque volete chiamarlo potrebbe costruire altrove le celle solari – più lontano nel sistema o da un altro asteroide della cintura. Potrebbe inviarle a Cerere e poi verso il Sole, per farci credere che è su Cerere che vengono create e attirarci lassù per tenderci un’imboscata».
«Potremmo dividere la flotta», dice Heinrich, «inviare navi su tutti gli asteroidi e i pianeti nani della cintura».
«Ci avevo pensato anche io», dico. «Ma c’è un rischio. Divisi saremo più facili da sconfiggere. Il punto è che non sappiamo cosa ci aspetta lassù. Dobbiamo cercare di colpire per primi, con tutta la nostra potenza».
«Sei sicuro che sia Cerere?», mi chiede Emma.
«No, ma sono sicuro che Cerere è la scelta più logica».
«Perché?», mi chiede sottovoce Emma.
«Energia».
Tutti gli occhi si puntano su di me. Il fatto più incontrovertibile di tutto ciò è che il nostro nemico non ha consumato energia per annientarci direttamente, anche se con ogni probabilità avrebbe potuto farlo. Ha preferito ucciderci con il minimo dispendio energetico. In realtà penso che il suo unico obiettivo nel nostro sistema solare sia la raccolta di energia. E ha deciso di congelare la Terra perché era il modo più efficace per toglierci dall’equazione.
«Abbiamo visto i vettori delle celle solari e sono tutti diretti verso Cerere. In teoria, il mietitore potrebbe fabbricarle altrove e poi mandarle su Cerere per depistarci, ma sarebbe uno spreco di energia. Potrebbe combattere la nostra potenziale interferenza in modi meno dispendiosi».
«Quindi, a questo punto, per cosa pensi esattamente ci stia aspettando lassù?», chiede Heinrich.
«Esattamente? Non lo so. Ma so che ci sarà la guerra».