Capitolo 29

Emma

La localizzazione di Beta ha risollevato il morale dell’equipaggio. Sentiamo di essere sulla strada giusta e che in un modo o nell’altro sveleremo il mistero. Nessun team può andare lontano senza una vittoria, e trovare l’oggetto è stata per noi una grande vittoria.

Ieri abbiamo lanciato il drone madre per trovare la flotta Giano. Ricaricherà le loro cellule energetiche e li indirizzerà verso Beta, che è molto più vicino al Sole di quanto pensassimo. Min è convinto che gli oggetti alieni siano alimentati dall’energia solare e che la loro accelerazione aumenti via via che si avvicinano al Sole.

Se è così, ci sono parecchie implicazioni. Una di esse è che il primo oggetto alieno si sia spinto oltre la nostra griglia di ricerca.

La scoperta ha messo a tacere ogni contrasto tra i membri dell’equipaggio. Ieri abbiamo lanciato sulla Terra e alla Fornax i droni con tutti i dati a nostra conoscenza sugli oggetti alieni. Abbiamo anche modificato la rotta per intercettare Beta.

Quando ho chiesto a Grigorij se potevamo raggiungere Beta, la sua risposta è stata evasiva. «È possibile». Ha lanciato un’occhiata a Harry e poi si è lanciato in una lunga diatriba sulla capacità di accelerazione dell’oggetto, che varia a seconda dell’energia solare, e sull’effetto della forza gravitazionale.

C’è sotto qualcosa. So che Harry, Min e Grigorij si incontrano in privato. Sospetto che parlino di me, perché ogni volta che mi avvicino cambiano argomento. E non sono gli unici a incontrarsi in privato. Ho sorpreso Izumi e James che sussurravano in infermeria. E so che è a proposito di me. Più precisamente della mia densità ossea, che è preoccupante. Le mie gengive si stanno ritraendo e la forza della mia stretta sta svanendo. Ho anche le unghie fragili e sempre più spesso mi vengono i crampi, soprattutto di notte. Mi sento come se stessi invecchiando a velocità accelerata, come se mi trovassi in una curvatura del tempo che si sta letteralmente disintegrando. Ma resta il fatto che a parte gli esercizi e gli integratori minerali non c’è nient’altro da fare.

Ed è comunque un destino migliore che morire sulla stazione spaziale o sulla capsula di salvataggio. Ho avuto la possibilità di partecipare a qualcosa – un’incredibile missione con alcune delle migliori menti e delle migliori persone che abbia mai conosciuto.

Nessuno di noi smetterà di lottare per questa missione.

Il drone madre ha rispedito alla Pax un drone esploratore per fare rapporto. Il drone madre ha trovato la flotta, l’ha ricaricata e inviata sulla rotta per Beta. Arriveranno tra due settimane. Sto facendo il conto alla rovescia dei giorni.

Poiché Beta è dietro di noi e si muove veloce, lo raggiungeremo molto prima di Alpha. È questa la buona notizia. Quella cattiva è che Beta potrebbe andare così veloce da superarci prima che riusciamo a intercettarlo.

Il tempo stringe. Presto lo sapremo.

Harry, James e io stiamo lavorando in laboratorio, quando entra Grigorij.

«Riunione nella bolla».

La sua espressione terrea mi fa presagire brutte notizie.

Quando tutti sono presenti e si sono allacciati al tavolo, Min dice: «Il drone di comunicazione è tornato dalla Fornax».

Il fatto che la Fornax non sia stata distrutta è un sollievo. Ma dalla faccia di Min intuisco che le buone notizie si fermano qui.

«Vi leggerò il loro messaggio», dice Min schiarendosi la gola e fissando il tablet. «Attenzione, la Fornax è compromessa. Sei capsule non hanno raggiunto il punto di assemblaggio». Min solleva il tablet. «C’è un elenco. Grigorij e io l’abbiamo già letto. Una era la capsula di Harry, naturalmente, e quattro trasportavano rifornimenti. La sesta è quella di Oliver Karnes, l’altro ingegnere aeronautico».

La controparte di Grigorij sulla Fornax. È grave.

Segue un lungo silenzio. Non avendo mai incontrato l’equipaggio originale, e avendo già perso qualcuno nello spazio, sono io a parlare per prima. «Immagino che questo spieghi perché la capsula di Harry sia stata inviata al punto d’incontro della Pax. La perdita di quella di Karnes implicava che non ci sarebbe stato nessun ingegnere aeronautico sulla Fornax, e la base operativa deve avere ritenuto che le competenze di Harry sarebbero state sottoutilizzate».

«Questo è un eufemismo», dice Harry. «Senza Grigorij saremmo stati persi».

Il russo si stringe nelle spalle. «La verità viene finalmente a galla».

Nella stanza si leva qualche risatina. È un debole tentativo di nascondere la delusione che proviamo tutti. E la responsabilità. Adesso la missione ricade interamente su di noi.

«Il messaggio continua», dice Min. «L’equipaggio della Fornax è favorevole al trasferimento dei nostri droni alla Pax. Fate attenzione: il carico delta è intatto».

«Carico delta?», chiedo.

James si sporge in avanti e risponde. «L’unica differenza nelle forniture delle due navi è che loro avevano una carica nucleare e noi componenti di droni».

«E un membro dell’equipaggio era diverso», dice Charlotte. «Io e Dan Hampstead».

«È vero», concorda James.

«Il messaggio si conclude così», annuncia Min: «Stiamo modificando la rotta e preparandoci al rendez-vous e all’ammaraggio. Attendiamo ulteriori ordini dalla Pax». Min solleva gli occhi. «Fine del messaggio».

Fa una pausa e dice: «Parliamo delle nostre opzioni».

«Concedetemi un minuto», dice James. «Devo pensarci. Dobbiamo farlo tutti prima di questa decisione».

In laboratorio James mi prende da parte.

«Stai peggiorando».

«Lo so».

«Ma non ti rendi conto quanto».

«Lo so, James».

«Izumi e io non possiamo curarti qui. Devi andare in un vero ospedale. Tornare sulla Terra».

«Quella nave è già salpata. Lo sappiamo entrambi».

«Stiamo per incontrarne un’altra, il cui unico scopo è quello di rilasciare una carica nucleare e poi tornare a tutta velocità sulla Terra».

«No».

«No cosa?»

«No, non ci vado. Non mi caricherai sulla Fornax per spedirmi a casa. Resto qui a lavorare. Sai che abbiamo bisogno della Fornax per la caccia all’oggetto alieno. Se non altro per osservare e trasmettere le nuove scoperte alla Terra nel caso che la Pax fosse compromessa. Non puoi usarla per il trasporto dei malati sulla Terra. Siamo tutti sacrificabili».

«No, non lo siamo».

«Sì. Fine della discussione».

«Hai idea dell’effetto che il tuo deterioramento e la tua morte produrranno sull’equipaggio?»

«Sono abbastanza forti per sopportarlo».

«Non esserne così sicura».

«Stai parlando per te o per loro?»

«Per entrambi. Ti prego, Emma, pensaci».

«Non ne ho bisogno».

Lui solleva in aria le braccia. «Sei fuori di testa, lo sai? E stai facendo impazzire anche me», dice, precipitandosi fuori dal laboratorio. Per fortuna nelle navi spaziali non c’è la forza di gravità o porte che sbattono, perché altrimenti uscendo avrebbe scardinato il portello.

Sono convinta di fare la cosa giusta per la missione e per tutti sulla Terra, compresa mia sorella e i suoi figli. Sono così in pena per loro.

Un’ora più tardi ci ritroviamo nella bolla e prendiamo la decisione: incontreremo la Fornax e trasferiremo tutti i componenti di droni sulla Pax. James è ancora accigliato, per la nostra conversazione o per il peso delle decisioni che deve prendere. Il suo piano non è elaborato e non prevede il mio passaggio sulla Fornax e il rientro della nave a Terra. Ma mi chiedo se ci stia pensando.

In laboratorio James, Harry e io discutiamo di cosa fare dei nuovi componenti. Potremo quasi triplicare il nostro stock. Ma soprattutto, avremo più motori.

Esprimo la mia prima reazione. A parte il diverbio che ho appena avuto con James, il laboratorio è una zona sicura, dove si può dare voce liberamente alle proprie idee e dibatterle in modo civile e produttivo. Mi ricorda molto la stazione spaziale.

«Potremmo fare altri test. Inviare una flotta davanti all’oggetto alieno per vedere come reagisce all’incontro».

«Giusto», dice James con lo sguardo fisso sul tavolo. «Ma dobbiamo considerare il quadro generale».

«Allora metterò il grandangolo», dice scherzando Harry.

James e io scoppiamo a ridere ma evitiamo di guardarci. Ce l’ha ancora con me. E questo mi spinge ad avercela a mia volta con lui.

«Non siamo quassù soltanto per quei due oggetti alieni», continua James. «La nostra missione è fornire alla Terra i dati di cui hanno bisogno per sopravvivere».

Scuoto la testa. «Non ti seguo».

«Pensaci: due oggetti sullo stesso vettore. Secondo te cosa implicano?».

All’improvviso ho una folgorazione. «Una nave madre».

Harry si pizzica il labbro inferiore. «Cosa proponi?»

«Una massiccia flotta di droni lungo la rotta del vettore degli oggetti, che lo seguono silenti raccogliendo dati. Un altro drone madre, più grande del precedente, per coordinare gli altri e inviare dati sulla Terra».

Harry sorride. «Un drone madre madre? Sembra una gara a chi ce l’ha più grosso».

«Sei così squallido, Harry».

«Le dimensioni sono importanti. E=mc2».

È la battuta più nerd che abbia mai sentito, ma rido lo stesso. E anche James. Mi lancia un’occhiata e capisco che non è arrabbiato con me. E io non voglio esserlo con lui. Litighiamo soltanto perché lui è preoccupato per me e io sono più preoccupata per la missione.

Nella bolla presentiamo il nostro piano. Con mia sorpresa, l’equipaggio è pensieroso. Forse perché, tecnicamente, stiamo travalicando l’obiettivo della nostra missione, che è trovare ed esaminare gli oggetti alieni noti.

Non raggiungiamo il consenso. Sospendiamo la riunione e torniamo alle nostre occupazioni.

Poco dopo Grigorij entra nel laboratorio.

«Ho mandato gli altri droni in avanscoperta, dobbiamo essere pronti a sostenerli».

«Madre Due», fa Harry, ma Grigorij solleva una mano.

«Non sto parlando di un drone madre più grande, ma del fatto che adesso abbiamo due navi. Una ancora senza uno scopo».

Non dice altro, fa un cenno con il capo ed esce dal laboratorio. James, Harry e io capiamo cosa intende dire, ma non ne discutiamo e ci rimettiamo tutti al lavoro, senza riuscire a toglierci dalla testa quell’idea.

Il giorno seguente James, Harry e io elaboriamo un piano nel quale non è inclusa la Fornax. Non vogliamo assegnare alla nave missioni che potrebbero condannare a morte l’equipaggio.

Nella bolla le discussioni sull’utilizzo dei droni sono accese. Si tracciano piani di battaglia. Harry, James, Grigorij e io siamo dell’idea di mandare i droni rimasti lungo la rotta del vettore per cercare altri oggetti e una potenziale nave madre.

Il resto dell’equipaggio è contrario, alcuni più di altri.

Min punta un dito contro James. «Questa non è la nostra missione».

«Certo che lo è. La nostra missione è fare tutto il possibile per salvare la Terra».

Min picchietta sul suo tablet. «La missione…».

«È molto più di quello che c’è scritto in quel briefing, Min». James è furente. Sta cercando di nasconderlo, ma ha perso il controllo. «Perché pensi ci abbiano mandati quassù? Per seguire alla lettera quel documento? No. Siamo qui per usare le nostre teste e scoprire di cosa si tratta. Dobbiamo trovare la nave madre».

James guarda gli altri. «È probabile che sia da queste parti. E se questi oggetti sono responsabili del Lungo Inverno, dobbiamo combatterli alla fonte. Ci possono essere milioni, persino miliardi di Alfa e Beta».

Le voci si alzano, i toni si fanno accesi. La discussione rivela le personalità dei membri dell’equipaggio.

Min, ultimamente, vuole attenersi alle istruzioni. Era favorevole alla localizzazione del secondo oggetto. Ma soltanto perché sentiva che non esulava dai parametri della missione. Non può immaginare di tornare a casa e dire ai suoi superiori che ha condotto una missione completamente diversa da quella per cui era stato spedito nello spazio.

Izumi è d’accordo con lui. Forse la sua formazione medica la predispone al conservatorismo. O forse è contraria alla nostra idea perché la considera troppo radicale.

Per Charlotte il punto critico è la prospettiva di perdere i droni – di riuscire a stabilire un primo contatto e poi non poter adattare il suo approccio.

Lina è indecisa. La programmatrice tedesca è la meno loquace di tutto l’equipaggio. Chiede soltanto quali sono i pro e i contro, scatenando un altro confronto tra James e Min.

Penso che Harry sia favorevole al piano soprattutto perché gli piace costruire droni e credo che seguirebbe James ovunque. Anch’io lo farei, ma riconosco i meriti del piano. L’istinto mi dice che quegli oggetti alieni sono ostili. E non soltanto perché penso che abbiano distrutto la stazione spaziale e ucciso l’equipaggio. Le prove lo confermano.

Grigorij è convinto che siamo in guerra e parla sempre di «trovare il nostro nemico».

Alla fine Lina vota per noi e raggiungiamo un compromesso: i componenti di tre piccoli droni resteranno sulla Pax. Questo convince Charlotte a schierarsi dalla nostra parte. Min e Izumi non sono invece d’accordo con la nostra decisione ma ci assicurano il loro sostegno. E, in privato, James e Min si scusano l’uno con l’altro per avere alzato la voce.

Stiamo diventando più di un equipaggio, siamo ormai come una famiglia che combatte unita, accetta i compromessi e si preoccupa per il destino degli altri membri anche quando non la pensano allo stesso modo.

Gli ultimi giorni prima dell’incontro con la Fornax sono frenetici. Tutti ci chiediamo se la flotta Giano raggiungerà Beta prima dell’ammaraggio delle due navi.

James e Harry stanno progettando i droni della terza flotta, che hanno soprannominato “Midway”, come la decisiva battaglia navale che ha mutato le sorti della Seconda guerra mondiale nel Pacifico. Oltre a essere una fonte inesauribile di citazioni cinematografiche, Harry è anche appassionato di storia.

«Senza la battaglia delle Midway, i giapponesi avrebbero vinto la guerra», dichiara Harry, allacciato al tavolo nel laboratorio dei droni. «È stato un autentico capolavoro di strategia navale».

Mi chiedo se pensa che quassù stiamo facendo un elaborato gioco di strategia contro un nemico che sembra avere tutte le carte vincenti e che vincerà.

«Nella battaglia delle Midway la flotta americana affondò quattro grandi portaerei giapponesi. Quattro delle sei che avevano attaccato a Pearl Harbor. I giapponesi non poterono sostituire né quelle navi né i piloti che avevano perso».

«Anche la battaglia di Guadalcanal è stata decisiva», dice James, impegnato a districare una matassa di fili.

«È vero», risponde Harry dopo una pausa. «Ma quella era una campagna terrestre, e noi combattiamo nell’aria», aggiunge con un sorriso.

Mi piace sentirli parlare di storia. La storia militare non mi ha mai particolarmente interessata, ma il loro entusiasmo è contagioso. Negli ultimi due giorni ho imparato di più sulla guerra nel Pacifico che in tutto il resto della mia vita.

Abbiamo battezzato i droni della flotta che rintraccerà gli oggetti alieni. Ci saranno tre droni portanti – Hornet, Yorktown ed Enterprise – e quasi un centinaio di piccoli esploratori contraddistinti dalla sigla PBY (come gli idrovolanti usati per operazioni di ricognizione, salvataggio e localizzazione dei sottomarini) seguita da un numero.

E infine tre droni con funzioni specifiche. Vestal è un grosso drone che si muove lentamente e trasporta componenti di ricambio che i droni portanti potranno utilizzare se necessario. Mighty Mo è un drone da combattimento con quattro cannoni elettromagnetici e un’enorme batteria per alimentarli. James e Harry l’hanno battezzato così ispirandosi al soprannome della USS Missouri, l’ultima corazzata costruita negli Stati Uniti, a bordo della quale i giapponesi firmarono la loro resa.

Ho scoperto così che James e Harry sono un po’ superstiziosi. Per i droni hanno usato soltanto i nomi di navi “vittoriose”. Harry mi ha detto che gli Stati Uniti non sono mai usciti sconfitti da una battaglia navale, nonostante la perdita di quattro corazzate durante l’attacco di Pearl Harbor.

La mia unica preoccupazione è che Izumi si possa offendere per i nomi che abbiamo scelto. Quando glielo chiedo, lei mi fissa con aria assente e risponde: «Perché mai dovrei offendermi?»

«Be’, per via della guerra».

«No, non mi disturba affatto», risponde stringendosi nelle spalle.

Probabilmente mi convocherà per un consulto psichiatrico.

Sto dormendo nella mia cabina quando delle urla mi svegliano. Cerco di distinguere le parole ma non ci riesco. C’è qualcuno che parla in cinese e giapponese e Harry che urla: «ET telefono casa!».

La tenda si scosta e James si china su di me. «Ce l’abbiamo fatta, la flotta Giano ha raggiunto Beta», dice con le labbra a pochi centimetri dalle mie. «Abbiamo già raccolto dei dati e stabilito il primo contatto. Stanno comunicando con noi».