Capitolo 27
Emma
James aveva ragione, le due settimane successive sono le più dure della mia vita. L’addestramento per la stazione spaziale era un gioco da ragazzi in confronto alla costruzione della flotta Giano.
L’equipaggio è sotto pressione, tutti si scontrano di continuo sul modo migliore di procedere. Mi rendo conto che se prima non ci sono stati attriti è perché ognuno viveva nella propria sfera e raramente entravano in contatto, mentre adesso che la scadenza è sempre più vicina sono diventati molto esigenti l’uno con l’altro.
Il più stressato è James, al quale spetta la maggior parte del coordinamento. È lui a stabilire le priorità e a istruirci su come procedere. Il tempo dei dibattiti è finito, dobbiamo portare a termine i nostri compiti il più in fretta possibile e abbiamo tutti cominciato a considerarlo come il vero comandante della missione.
Ma ultimamente tra noi si è creata una frattura. Una settimana fa James mi ha prelevato dei campioni di sangue e iniettato un farmaco per la densità ossea. Ha anche aumentato a tre ore al giorno il mio programma di esercizi fisici, ma io ne ho fatte solo la metà per non sottrarre tempo al lavoro. Dobbiamo finire i droni. Lui però non è contento che abbia ridotto le ore di esercizio. Siamo come una vecchia coppia sposata che litiga su un compromesso che nessuno dei due vuole accettare.
James fluttua nel laboratorio mentre sto saldando un circuito e si allaccia al tavolo.
«Dobbiamo parlare».
So per esperienza che quelle due parole non annunciano mai una conversazione piacevole. Uno sbuffo di fumo si solleva dal circuito e volteggia tra di noi come se qualcuno avesse appena sparato un colpo di pistola.
«D’accordo».
«La densità ossea è cruciale, Emma. Devi fare più esercizio».
«Dobbiamo finire i droni».
«Li finiremo».
«Rischiamo di non essere pronti per la data del lancio».
James scuote la testa, frustrato. «È una data ipotetica. Possiamo spostarla in avanti».
«Di quanto? Un giorno? Una settimana?»
«Se necessario».
«E se un giorno in più facesse la differenza tra la vita e la morte per un milione di persone sulla Terra?»
«E se invece non fosse così?»
«Nello spazio, ogni secondo è importante, e non è la mia morte a preoccuparmi».
«Ti sbagli. Se ti facessi male, metteresti a repentaglio tutti noi».
«Mi sento in forma».
«Non lo sei. Non ti fidi forse del mio parere di medico?»
«Sì. E tu rispetti la mia decisione di fare quello che penso sia giusto per la missione e per la gente sulla Terra?»
«Non è la stessa cosa».
«Non è necessario che lo sia. Questa è la migliore occasione che avremo, James. Non alzerò la testa dal lavoro finché quei droni non saranno pronti per il lancio».
«Come sei testarda», risponde lui con un sospiro.
«Ha parlato l’uomo che non scende mai a compromessi».
Ci fissiamo. Io sono arrabbiata, e so che lo è anche lui. Non lo conosco da molto, ma intuisco già le sue reazioni.
Harry si affaccia al portello con aria interrogativa. Pezzi di droni fluttuano in tutto il laboratorio: fili, circuiti, condensatori, come se fosse appena esplosa una bomba e i detriti galleggiassero in aria.
«Ehi… James… puoi aiutarmi a fare una cosa?», chiede.
Ogni volta che fluttuo nella palestra e c’è qualcuno impegnato a fare esercizi, mi cede subito il posto annunciandomi che ha finito, benché di solito non sia neppure sudato.
Sospetto che James ne abbia parlato agli altri. Sulla nave è in atto una cospirazione per farmi fare esercizio. Ma non funziona. Con l’avvicinarsi della data del lancio non ho tempo da dedicare a queste cose. E dormo anche di meno per non sottrarre ore al lavoro.
Manchiamo la data di quarantotto ore. Ma il lancio della flotta Giano è un’impresa di cui siamo incredibilmente fieri. Il giorno del lancio c’è una strana elettricità nell’aria. Tutti sono stanchi e stressati, ma riusciamo a stento a trattenere l’eccitazione quando ci allacciamo al tavolo nella bolla e fissiamo il grande schermo sul quale appare il tubo di lancio. Il meccanismo è lo stesso di quello del cannone elettromagnetico. Grigorij fissa il suo tablet per monitorare il reattore e assicurarsi che compensi il contraccolpo.
La nave ronza mentre i motori accumulano elettricità, e poi boom! Il primo drone è così piccolo e veloce che riusciamo a malapena a vederlo. Un altro colpo e parte il secondo. E così via, uno dopo l’altro, finché sulla nave non ripiomba il silenzio.
Tutti gli sguardi si puntano su Harry, che sta fissando il tablet. Lui solleva gli occhi e sorride. «La prima placca di comunicazione è attiva. Tutti i lanci sono riusciti».
In quello spazio confinato, le grida sono assordanti. Tutti esultano, ridendo e dandosi cinque e pacche sulle spalle. James si volta verso di me e mi fa un sorriso. Lo raggiungo per abbracciarlo e lui mi stringe a sé più a lungo di quanto mi sarei aspettata.
«E adesso?», chiede Charlotte.
«Adesso, signore e signori, festeggiamo», risponde James continuando ad abbracciarmi.
Harry apre un armadietto e comincia a distribuire pasti sottovuoto.
«La cucina è aperta! Fate le vostre ordinazioni. Bistecca. Pollo. Purè. Cocktail di gamberi. Fagiolini. E, come dolce, gelato o torta al cioccolato».
James apre un altro armadietto. «E per intrattenerci durante la serata abbiamo anche dei giochi da tavolo. Voteremo per decidere con quale iniziare».
È una notte perfetta sotto tutti i punti di vista. Nessuno schermo. Nessuna scadenza. Nessuna discussione. Mangiamo insieme e facciamo qualcosa che non abbiamo mai fatto prima: giochiamo.
Quando finiamo, siamo sazi e stanchi, ma so che tutti vorrebbero farsi una doccia. Nello spazio l’aria è secca. Ci sentiamo come se avessimo camminato nel deserto, sudando e accumulando sporcizia, ma da più di una settimana nessuno si è preoccupato di farsi una doccia. Ci siamo coperti di deodorante e abbiamo continuato a lavorare a testa china.
James allunga un braccio stringendo nel pugno otto pezzi di filo e ce ne fa prendere uno a testa. Charlotte, Lina, Izumi e io sfiliamo i più lunghi – faremo la doccia per prime. Poi toccherà ai quattro maschi, con James e Harry per ultimi. Evidentemente hanno barato, ma nessuno protesta. Siamo troppo stanchi.
La doccia è un minuscolo spazio cilindrico con una porta. Non c’è un tubo di scolo, ma l’acqua viene aspirata fuori. Mi sento la pelle come se l’avessero strofinata con la carta vetrata. Il getto è come una dolce pioggia che mi lava e spazza via la stanchezza.
Nelle ultime settimane ho dormito in laboratorio, ma questa notte entro in una delle cabine imbottite e insonorizzate, confortevoli e rassicuranti come le suite di un albergo di lusso, e mi allungo su una cuccetta.
Sulla nave ci sono soltanto sei cabine, e non sono destinate a ospitare più di una persona. Ma Grigorij si è già sistemato nel modulo del motore e Min si è preparato un’alcova nella stanza della navigazione.
Quando James scosta la tenda nera, sto quasi per dormire. «Buonanotte», mi dice con un largo sorriso.
È la migliore dormita che abbia fatto dopo il disastro della stazione spaziale.
Mi alzo, mi lavo viso e denti, e fluttuo giù nella bolla per la colazione. James è già lì, sta digitando su un tablet.
«Buongiorno».
«Buongiorno», risponde porgendomi una bottiglia d’acqua e un tablet con il mio programma di esercizi.
«Te lo chiedo per favore, Emma, segui questo programma».
Guardo lo schermo: quattro ore al giorno.
«È importante per la missione», dice lui. «E per me», aggiunge.
«D’accordo».
I giorni prima del lancio sembravano volare. Quelli successivi si trascinano senza fine.
Quando finalmente arriva il momento del contatto con il drone esploratore, siamo tutti nervosi, anche se non vogliamo ammetterlo. All’ora stabilita non ci ritroviamo nella bolla. Non siamo poi così sicuri della posizione dell’oggetto alieno né del momento preciso in cui avverrà il contatto. Ma io, e di certo anche gli altri, mi sono resa conto che quel momento è già passato da un pezzo senza che arrivasse alcun messaggio.
Un altro giorno trascorre senza notizie. Ci sforziamo di concentrarci sul lavoro per non pensare al peggio.
Il terzo giorno James ci convoca nella bolla. «Cominciamo con l’ovvio: i droni esploratori non hanno stabilito alcun contatto. La spiegazione più logica è che l’oggetto non si trovava nella posizione indicata dalla NASA».
«Oppure che ha neutralizzato i droni», dice Grigorij.
«Potrebbe anche trattarsi di un malfunzionamento», suggerisce Min.
«Tutto è possibile», dichiara James.
«Qual è il piano?», chiede Lina.
«Cercheremo di scoprire cosa non ha funzionato e di porvi rimedio».