Capitolo 49
Emma
Il drone ha catturato l’immagine della nave da una grande distanza, è granulosa e sfocata, ma riconoscerei ovunque quella nave. È la Pax.
James e io fluttuiamo per alcuni secondi sul ponte fissando l’immagine sullo schermo. Oscar non dice niente, aspetta la nostra reazione. Lui non rivela mai le sue emozioni, sono convinta che ne conosca una gamma molto limitata, ma sembra capire gli altri a livello basico e conosce molto bene James e me – oltre a sapere cosa significano per noi questa nave e il suo equipaggio.
Mi chiedo cosa ci stia facendo lassù la Pax. È molto lontana dal punto in cui abbiamo incontrato la cella solare. Perché? Come ha fatto ad arrivare lì, così vicina alla Terra? Forse è alla deriva.
Heinrich, il navigatore tedesco di Sparta Uno, fluttua sul ponte.
«Impossibile», dice quando vede l’immagine della Pax.
Il resto dell’equipaggio ci raggiunge e ognuno cerca di dare una spiegazione al mistero.
«Modificate la rotta per intercettarla», dice James senza staccare gli occhi dallo schermo.
Heinrich scuote la testa. «Recuperare la Pax non fa parte della nostra missione. Ci costerà tempo e carburante».
«È un ordine», dice James in tono pacato, senza alcuna aggressività. I suoi occhi sono ancora fissi sullo schermo.
Mi aspetto un confronto, che l’equipaggio cerchi di convincere James e me a non accostarci alla Pax. Ma nessuno dissente e modifichiamo la rotta. Inviamo dei droni di comunicazione al resto della flotta Sparta con l’istruzione di procedere verso Cerere come pianificato.
Nel laboratorio fluttuo verso James e lo abbraccio. La vista della Pax ha scatenato in me un fiume di emozioni. E so che anche per lui è così. Restiamo abbracciati per un lungo momento fluttuando a gravità zero.
«Potrebbero essere vivi», sussurro.
«Le riserve di cibo devono essere finite da un pezzo».
«E se l’avessero razionato o trovato un modo per sopravvivere?»
«Non coltivare speranze impossibili, Emma».
«Lo so, ma non posso farne a meno».
«Anch’io».
Ci sono cose della Terra che mi mancano. La mia famiglia. I miei amici. La gravità. Ma soprattutto mi manca l’alloggio che condividevo con James e Oscar, e in particolare il nostro letto, dove leggevamo, parlavamo e dormivamo tutte le notti, anche quando il freddo era insopportabile.
Quassù, la notte siamo separati per necessità. Mi sento più lontana da lui, e lui è diverso. Sulla Terra, di giorno era concentrato sul suo lavoro, ma quando tornava a casa la sera era più spensierato, felice. Qui, invece, è sempre teso, pensa sempre al lavoro. È come un motore che non si riesce a spegnere e mi preoccupa. Si mette troppo sotto pressione. E da quando ha visto la Pax sta mettendo troppo sotto pressione il resto dell’equipaggio. Il mio ruolo è costruire un drone ad alta velocità che stabilisca un contatto con loro.
Sto facendo gli ultimi ritocchi in laboratorio quando lui fluttua dentro.
«Come procede?»
«Ho quasi finito».
«Bene. Dobbiamo fare in fretta».
Dalle sue parole capisco che anche lui, come me, nutre la speranza che l’equipaggio della Pax sia sopravvissuto e che possiamo trarli in salvo come loro hanno fatto con noi. Il loro sacrificio potrebbe avere salvato tutta la specie umana. E a parte questo, sono il nostro equipaggio, l’equipaggio che avevamo perso, la nostra famiglia.
Ci raduniamo tutti sul ponte a guardare il lancio del drone ad alta velocità. Con un po’ di fortuna stabilirà il contatto tra qualche giorno e rientrerà entro una settimana.
Ogni notte registro un video. Fa parte del protocollo della missione, un rapporto su tutti i dati che abbiamo raccolto durante la giornata e sul lavoro che abbiamo svolto. Il piano è quello di inviare dei mattoni informatici alla Terra prima di affrontare il mietitore su Cerere. E la speranza è quella di fornire informazioni che saranno utili in futuro qualora noi fallissimo.
Ma i dati non dicono tutto. Per capire cosa succede durante una missione come questa, bisogna sapere cosa pensano le persone a bordo della nave – perché hanno preso certe decisioni, cosa hanno visto senza includerlo nei dati, anche quello che non pensavano fosse importante. Perché a volte si rivela essere molto importante.
Dopo il rapporto ufficiale registro sempre un messaggio per Madison. Mi rendo perfettamente conto che questi video potrebbero essere l’ultima cosa che vedono di me.
James e io siamo nel laboratorio, stiamo parlando del progetto di un nuovo drone d’attacco, quando all’altoparlante riecheggia la voce di Oscar.
«Signore, abbiamo stabilito il contatto con Midway».
Ci precipitiamo sul ponte, ansiosi di sapere cosa hanno scoperto.
Come al solito, la faccia di Oscar è una maschera che non tradisce alcuna emozione.
James digita su un terminale in fondo alla stanza e appaiono i dati. Ce ne sono molti più di quanti me ne aspettassi.
Clicca sulla mappa e la proietta sul grande schermo. Rimango a bocca aperta. I droni si sono spinti molto più lontano di quanto fosse programmato. Come? Perché? Qualcuno – o qualcosa – ha modificato le loro rotte.
«Tutto l’equipaggio sul ponte», dice James.
Come la bolla sulla Pax, Sparta Uno ha un tavolo circondato da terminali multiuso. Quando ci siamo allacciati tutti al tavolo, James dice: «Abbiamo appena ricevuto i primi dati da Midway».
Tutti fissano in silenzio lo schermo, alcuni restano a bocca aperta e altri sussurrano: «Mio Dio!».
James spiega che finora sono state localizzate 23.137 celle solari tutte in viaggio verso il Sole lungo un vettore che presumibilmente è originato su Cerere.
Vedere la scala della minaccia in bianco e nero sullo schermo la rende più reale. Ancora una volta l’ipotesi di James sembra corretta: c’è qualcosa che ci aspetta su Cerere.
Dobbiamo scoprire cosa è successo alla flotta Midway. È possibile che i dati siano falsi? Il nostro nemico ha intercettato i droni? Siamo caduti in una trappola?
James e io abbiamo calcolato con precisione il ritorno del drone inviato alla Pax. Allacciati al tavolo sul ponte, lo stiamo aspettando lavorando ai nostri terminali, o almeno cercando di far finta di lavorare. Gli altri membri dell’equipaggio entrano e prendono posto al tavolo.
Il drone è in ritardo. Nessuno lo annuncia. Nessuno vuole dare troppa importanza alla cosa, ma io sono preoccupata.
Tre ore più tardi sullo schermo appare un messaggio:
Comunicazione avviata.
Mi aspetto di vedere scorrere i dati, ma al loro posto appare un’immagine. È in bassissima risoluzione, su scala di grigi, ma è la cosa più bella che abbia mai visto. L’equipaggio della Pax ci sta guardando, fluttuano nella bolla facendo cenni di saluto verso la videocamera. Grigorij e Lina hanno un’aria impassibile. Izumi e Charlotte sembrano preoccupate. E Harry ha un largo sorriso stampato in faccia.
Mentre guardo l’immagine provo una stretta al cuore. Le loro facce sono scavate. Sono affamati.
Sotto la foto appare un messaggio:
All’equipaggio di Sparta Uno
Benvenuti alla caccia all’uovo di Pasqua alieno.
Immagino sia stato Harry a scriverlo e non riesco a trattenere una risata.
Immaginiamo che non siate qui per noi.
Immaginiamo che siate qui per mettere fine al Lungo Inverno. Non lasciate che intralciamo la vostra missione, non sprecate energia cercando di salvarci. Diteci soltanto di cosa avete bisogno e faremo del nostro meglio. }}
L’equipaggio della Pax
È chiaramente la mano di Harry.
Heinrich è il primo a parlare. «Dobbiamo modificare la rotta?»
«Sì», risponde James. «Ci accosteremo alla Pax. Pianificate una rotta e rispedite loro il drone con le coordinate».
Il primo dei nostri droni ad alta velocità ha raggiunto Cerere, ha fatto un passaggio ravvicinato ed è rientrato. Non ha trovato nulla. Soltanto una nuda massa rocciosa che fluttua nella cintura degli asteroidi.
Questo ci ha sprofondati nell’incertezza. Avevamo presunto che il mietitore si fosse camuffato in qualche modo, forse proiettando sul suo guscio un’immagine identica a quello che vediamo sulla superficie di Cerere. Ma poi abbiamo abbandonato questa ipotesi, perché i nostri droni di ricognizione sarebbero comunque riusciti a individuare un segno della sua presenza.
James insiste che deve esserci un errore. Abbiamo controllato di nuovo il drone, per verificare che non ci fosse qualche malfunzionamento, ma andava tutto bene.
La certezza che avevamo provato leggendo i dati Midway è svanita. L’unica cosa certa è che la Pax è là fuori. Presto li incontreremo e sentiremo la loro storia.
Il secondo drone ad alta velocità è tornato da Cerere e ci ha trasmesso i dati. Nemmeno lui ha trovato qualcosa.
L’arrivo di un drone è diventato un evento per l’equipaggio. Tutti sono riuniti sul ponte. Quando i dati appaiono sullo schermo, gli sguardi si puntano su James. La sua faccia è una maschera, un giocatore al tavolo da poker che ha appena pescato una carta e non ha nulla da calare.
«Fate una diagnosi. E questa volta voglio scaricare tutta la telemetria», dice in tono distaccato, come se fosse quello che si aspettava.
Abbiamo studiato la telemetria del secondo drone. C’è un’anomalia: una sovratensione due giorni prima che raggiungesse Cerere. Può essere un malfunzionamento casuale, ma ha destato la nostra curiosità – e la nostra speranza. Forse i dati sono sbagliati. Forse su Cerere c’è qualcosa che ha intercettato il nostro drone e alterato i dati. Stiamo lavorando su questa ipotesi. Un’ipotesi che ci offre una possibilità.
Il terzo drone di ritorno presenta anch’esso un’anomalia, ma questa volta si è verificata molto più vicino a Cerere.
C’è una nave madre o un mietitore che sta alterando i dati dei nostri droni per mascherare la propria presenza? Oppure c’è un difetto nei droni stessi?
Siamo abbastanza vicini alla Pax da poter stabilire una connessione con un relay di droni di comunicazione. Mi torna alla mente quando avevamo fatto la stessa manovra con la Fornax – la nave che abbiamo perso lassù. Mi chiedo se quello sarà il destino anche della Pax. O di Sparta Uno. Ma scaccio subito questo pensiero dalla mente. James ha un piano. Lui ha sempre un piano.
Ci raduniamo sul ponte e fissiamo sullo schermo il conto alla rovescia del collegamento con la Pax.
00:00:04
00:00:03
00:00:02
00:00:01
COLLEGAMENTO STABILITO
James digita freneticamente sul tablet, ma il messaggio dalla Pax arriva prima che lui invii il suo.
PAX: Marco.
James sorride. Deve esserci Harry dall’altra parte.
SPARTA 1: Polo! Ricevuto, Pax. Situazione a bordo?
PAX: Ordinaria.
James mi lancia un’occhiata. Stiamo pensando la stessa cosa: non sarà facile cavargli la verità. Probabilmente hanno indovinato qual è la nostra missione quassù e non vogliono interferire.
SPARTA 1: Harry, voglio un rapporto aggiornato della situazione reale. Non possiamo procedere nella nostra missione e lasciarvi qui. So che state finendo le provviste. Come avete fatto a farle durare così a lungo?
PAX: La nave ha subito pesanti danni dall’esplosione di Beta. Grigorij ha riparato il motore. Abbiamo perso parte del carburante del reattore. Abbiamo cercato il relitto della Fornax e usato il braccio robotico per recuperare le sue provviste e altro carburante.
SPARTA 1: Ottima mossa. E le condizioni ambientali? Lo stato del motore?
PAX: Abbiamo avuto qualche problema, ma nulla che non potessimo riparare. Ci siamo concentrati sul monitoraggio della flotta Midway, dando loro nuove istruzioni e rifornendo i droni.
SPARTA 1: È per questo che i droni Midway si sono spinti così lontano. Siamo rimasti sorpresi dalla portata della loro ricognizione. Siete stati voi a rifornirli di carburante?
PAX: Sì. Hanno monitorato un’area enorme.
SPARTA 1: Restate in linea, Pax.
James si slaccia dal tavolo e fluttua davanti allo schermo, di fronte all’intero equipaggio di Sparta Uno, che è seduto al tavolo.
«L’equipaggio della Pax ha sacrificato le proprie vite per mandare a casa Emma e me. L’hanno fatto per tutti voi, per le loro famiglie e per i miliardi di sconosciuti sulla Terra che sono venuti quassù per cercare di salvare. Come tutti noi, consideravano le loro vite meno importanti di questa missione. Non li lasceremo qui, li aiuteremo. Prima di discutere i dettagli tecnici, voglio sapere se qualcuno è contrario al salvataggio di queste anime eroiche».
James li ha messi in condizione di non rifiutare, sulla Pax ha imparato a conoscere molto più a fondo gli altri, soprattutto le dinamiche di gruppo.
I membri dell’equipaggio abbassano gli occhi sui tablet e sul tavolo, nessuno si pronuncia.
Alla fine è Heinrich a parlare.
«Sono favorevole, naturalmente. La questione per me è molto semplice: qual è il prezzo? Come li aiutiamo? Sono a favore fintantoché non compromette o interferisce materialmente con la nostra missione primaria». Indica lo schermo e aggiunge: «Presumo che anche i tuoi ex compagni di equipaggio siano d’accordo su questo. Vogliono che continuiamo la nostra missione».
Gli altri annuiscono.
«James, quali sono le opzioni?», chiedo. Voglio che il resto dell’equipaggio sappia che James e io non abbiamo discusso il piano, ma che lo stiamo decidendo adesso, tutti insieme.
«Abbiamo poche opzioni. Alcune più costose, altre più rischiose».
«Possiamo attraccare e trasferirli qui», dico.
Sul ponte cala il silenzio.
«È un’opzione estremamente rischiosa», risponde Heinrich evitando di guardarmi.
«Sono d’accordo», dice James. «Le possibilità di successo sono troppo scarse e farli salire sulla nostra nave non è l’ideale. Significherebbe raddoppiare il fabbisogno di cibo e di spazio. Sparta Uno sarebbe troppo affollata. Nonostante la loro lunga esperienza, gli uomini della Pax finirebbero per esserci d’intralcio. Non possiamo permettercelo».
Terrance, il medico inglese, alza una mano. «L’altro problema è che potrebbero essere feriti. Li abbiamo visti soltanto in una fotografia. Sembrano in buone condizioni, ma potrebbero nascondere ferite contratte durante l’incontro con Beta. Senza menzionare tutte le altre complicazioni associate a una così lunga permanenza nello spazio», conclude lanciandomi un’occhiata, come se ne fossi l’esempio vivente.
«Quello che intendo dire», spiega Terrance, «è che questa gente ha bisogno di una terapia medica il più presto possibile».
«Stai dicendo che vuoi trasferirli qui per curarli?», chiede Heinrich, irritato. «Oppure che non possiamo trasferirli qui perché le loro cure toglierebbero tempo e risorse alla nostra missione?».
Terrance fa oscillare la testa da un lato all’altro, come se soppesasse la domanda. «Non sono sicuro».
Heinrich lo fissa. «Cosa vuol dire che non sei sicuro? Come puoi sollevare una questione senza sapere quello che stai dicendo?»
«So cosa sto dicendo», ribatte Terrance. «Ma non spetta a me prendere la decisione. Ho detto soltanto che l’equipaggio della Pax ha bisogno di urgenti cure mediche».
James alza una mano. «Stop. Non possiamo portare qui l’equipaggio della Pax. È troppo rischioso. E anche se riuscissimo a trasferirli, non siamo attrezzati per accoglierli».
Lancia un’occhiata a Terrance. «Sulle cure mediche hai ragione, ma non abbiamo più attrezzature di quante ne abbiano loro. Se hanno finito qualche farmaco, possiamo passarglielo, ma se hanno bisogno di cure mediche che nessuna delle due navi può fornire, devono tornare sulla Terra».
«Perché non l’hanno già fatto?», chiede Heinrich. «La Pax è dotata di capsule di salvataggio e non le hanno usate per rispedire a casa lei ed Emma. Perché allora non hanno abbandonato la nave per tornare sulla Terra?»
«L’equipaggio stesso ci ha dato la risposta», dice James. «Hanno deciso che restare qui e monitorare la flotta Midway era più importante che tornare a casa e salvarsi. Ma il loro lavoro è finito. Ci hanno mostrato dove andare. Probabilmente hanno usato il carburante delle capsule di salvataggio per alimentare i droni».
Heinrich si volta verso Zoe, la piccola ingegnera italiana. «Possiamo fargli avere carburante?», le chiede.
Zoe storce il naso. «Tecnicamente, sì. In pratica, non proprio. Mi ci vorrebbero giorni, forse anche più di una settimana».
«C’è una soluzione molto più semplice», interviene James.
Tutti si voltano verso di lui.
«Le nostre capsule di salvataggio. Le riempiamo di provviste e di medicine e le inviamo alla Pax, così l’equipaggio potrà usarle per tornare a casa».
La spazio è un luogo silenzioso. Per la maggior parte del tempo su Sparta Uno non c’è nessun rumore, ma la nave non è mai stata silente come in questo momento. Istintivamente, sento che non dovrei parlare per prima. Sono favorevole al piano di James. È un buon piano. Semplice. Possiamo eseguirlo in trenta minuti e salverebbe l’equipaggio della Pax. Senza nemmeno rallentare il nostro viaggio verso Cerere. L’alleggerimento della nave ci permetterà infatti di viaggiare più veloci. E funzionerà. Le nostre capsule hanno abbastanza carburante per riportarci da Cerere alla Terra. Anche se ne consumeranno parecchio per abbordare la Pax, ne resterà comunque più che a sufficienza.
Il problema è che noi non riusciremo a tornare. L’equipaggio di Sparta Uno resterà alla deriva nello spazio. La nave non ha abbastanza carburante per andare su Cerere e tornare indietro. Se daremo loro le nostre capsule, sanciremo il nostro destino. Scambieremo le nostre vite con le loro. E questo sarà un viaggio di sola andata.