CAPITOLO 40

Tracy non vide la Tahoe di Dan parcheggiata nel vialetto né lungo la strada. L’auto di pattuglia del distretto della zona sud-ovest arrivò mentre la porta del garage si apriva sferragliando. Tracy pensò di chiedere all’agente di entrare con lei mentre controllava la casa, ma poi evitò. Era una poliziotta, ed era armata. Che cosa poteva fare lui che lei non poteva?

Tirò fuori la Glock mentre entrava in casa e la puntò verso ogni angolo del piano superiore, prima di andare in cucina. Posò la pistola sul bancone, prese la pasta avanzata dal frigo e infilzò gli spaghetti freddi con una forchetta mentre continuava a rimuginare sulle apparenti incongruenze nelle prove: Bankston che non aveva superato il poligrafo, le impronte di Taggart nella stanza del motel dov’era stata trovata Veronica Watson, l’omicidio di Beth Stinson nove anni prima.

Era esausta e dolorante, e con un gran bisogno di rilassarsi sotto una bella doccia calda, così rimise la pasta in frigo e si rese conto che Roger non era arrivato a salutarla. Non era da lui. Fece il giro della casa chiamandolo e quando le sembrò di sentire un miagolio distante, si fermò, in ascolto. Aprì la porta che dava sul garage ma non lo trovò. Quando tornò a chiamarlo, il gatto le rispose e lei seguì il suono fino in sala da pranzo, ma non lo vide neanche lì.

«Roger?»

Lo sentì una terza volta, più chiaramente, e seguì il miagolio fino alle scale che portavano al piano inferiore. La serratura di sicurezza era girata verso sinistra, quindi chiusa. «Roger?»

Il miagolio aumentò di volume e intensità. Una zampa nera spuntò da sotto la porta.

Tracy tornò in cucina e riprese la Glock. Le tornò in mente il coperchio del water sollevato di cui si era dimenticata di chiedere a Dan. Era stato da lei, era possibile che fosse sceso di sotto o in cortile, ma per quale motivo? Non aveva portato i cani. Poi le venne in mente: Forse è sceso per regolare il sensore delle luci. Dan poteva aver lasciato la porta aperta e Roger ne aveva approfittato per andare in esplorazione.

Il gatto picchiò di nuovo la zampa contro il fondo della porta, scocciato. Tracy scese fino al pianerottolo, fece scattare la serratura, girò la maniglia e aprì di scatto la porta, mirando nella stanza buia. Roger la superò sfrecciando e risalì la scale, una macchia nera sfuocata. Con la pistola sollevata, Tracy tastò il muro e premette l’interruttore. Le luci incassate illuminarono il divano in pelle a L e un vecchio supporto per il proiettore davanti al grande televisore contro la parete in fondo.

Tracy guardò la porta che dava verso l’esterno, dall’altra parte della stanza. Come in quella in fondo alle scale, la serratura era chiusa. Chiuse la porta interna, fece scattare di nuovo la serratura e corse di nuovo su.

Roger passeggiava sul bancone della cucina, protestando perché voleva essere sfamato. «Tu non andartene in giro dove non dovresti e non avremo problemi.» Tracy lo sollevò. «Avrei dovuto chiamarti Houdini, eh? Come hai fatto a finire laggiù?»

Roger mugolò, irritato e senza nessuna voglia di giocare.

«Va bene. Va bene.»

Tracy aprì una lattina di cibo, ne versò una cucchiaiata su un piatto e guardò Roger mangiare mentre lei chiamava Dan al cellulare. Non le rispose. Riattaccò senza lasciare un messaggio, andò in bagno e chiuse la porta a chiave. Posò la Glock e il telefono sul ripiano e si tolse i vestiti con prudenza. Il ginocchio era rosso ma non si era gonfiato. La caviglia le faceva male ma non era grave come temeva. Era la clavicola, dove Taggart le aveva sferrato il calcio, che la preoccupava di più. Nel riflesso dello specchio vide il livido. Prima di buttare i jeans nel mucchio del bucato, controllò le tasche per essere sicura che non ci fosse qualche monetina e trovò il messaggio che le aveva passato l’agente che si occupava della linea per le segnalazioni, subito prima che lei uscisse dalla Stanza del Cowboy per andare a parlare con Michael Melton. Si era dimenticata anche di richiamare Bennett Lee, l’addetto stampa a quel punto doveva essere sull’orlo di una crisi isterica.

Tracy aprì il biglietto e lo lesse. «Shereece» disse riconoscendo il nome della ballerina afroamericana del Pink Palace. Compose il numero.

Le rispose una donna.

«Shereece, sono il detective Crosswhite.»

«Era ora che mi richiamasse» disse lei. «Dobbiamo parlare. Subito.»

 

Johnny Nolasco scelse un tavolo in un angolo, vicino a un caminetto in pietra. I tavoli intorno a lui erano vuoti. Sorseggiò il caffè e tenne d’occhio la porta, mentre ripensava alla conversazione con JoAnne Anderson e si infuriava sempre di più.

Dan O’Leary era l’avvocato che aveva rappresentato Edmund House. Era un amico di infanzia di Tracy Crosswhite. Se si era messo a indagare nel caso di Beth Stinson, dietro doveva esserci lei.

Le indagini sul caso Stinson non erano state facili. Beth Stinson non era una prostituta morta ammazzata, una tossica o una ragazzina scappata di casa. Era la ragazza della porta accanto, viveva in un quartiere benestante ed era stata aggredita in casa propria. Le ragazze della porta accanto non vengono assassinate. Certe cose non succedono alle ragazze della classe media che vivono in quartieri sicuri. I vicini erano spaventati, i politici locali infuriati e i politici in centro premevano sui pezzi grossi perché si arrivasse a un arresto. E dal momento che la merda schizza sempre verso il basso, Nolasco e Hattie se la beccavano giorno e notte.

Avevano avuto un colpo di fortuna quando dal controllo delle carte di credito della vittima era risultata una chiamata alla Roto-Rooter, il giorno prima dell’omicidio. Con qualche telefonata erano risaliti a Wayne Gerhardt, un ventottenne che viveva da solo in un appartamento non troppo lontano dalla casa affittata da Beth Stinson. Le impronte di Gerhardt erano sparse per tutta la casa e ne aveva lasciato anche una di fango sulla moquette, dopo aver cercato di ripulirla senza successo. Non aveva un alibi. Nolasco e Hattie erano sicuri che fosse il loro uomo, ma la vicina, che all’inizio aveva detto che le sembrava di aver visto Gerhardt quella notte, quando si era alzata per prendere un bicchiere d’acqua, era un tipo religioso e continuava a dubitare, preoccupata di accusare un uomo innocente. Senza la sua testimonianza non avevano abbastanza prove per condannarlo.

Era un’altra epoca, e anche l’amministrazione era un’altra. I montaggi potevano essere manipolati. Così come i confronti. Si potevano incoraggiare i testimoni a ricordare quello che si voleva. Esistevano tecniche, sottili ma efficaci, che avevano l’unico scopo di sbattere il cattivo in galera, e nessun’altra squadra della Omicidi aveva alle spalle tanti successi quanti ne avevano lui e Hattie. Il partner non se ne sarebbe andato in pensione lasciando un caso irrisolto e Nolasco non voleva rovinarsi il curriculum proprio mentre cercava di fare carriera. Wayne Gerhardt era il loro uomo. Ne avevano la certezza. Dovevano solo dare a JoAnne Anderson un motivo per confidare in quello che aveva visto. Sapevano che una volta che fosse salita sul banco dei testimoni il processo sarebbe terminato. Gerhard avrebbe avuto due possibilità: chiedere il patteggiamento o rischiare la pena di morte. Nolasco immaginava che il ragazzo avrebbe scelto per il meglio.

Così avevano detto a JoAnne Anderson che avevano un sospetto e che avevano bisogno soltanto che lei confermasse che era lo stesso uomo che aveva visto quella notte. Le avevano mostrato la foto di Gerhardt e lei lo aveva identificato. Poi le avevano chiesto di andare in centro per un confronto e lei aveva indicato Gerhardt senza esitare, a colpo sicuro. E quando era salita sul banco dei testimoni, non aveva commesso errori. Gerhardt aveva patteggiato e Hattie aveva messo le foto di altri quattro sospetti nel fascicolo, insieme a quella segnaletica di Gerhardt, e se ne era andato in pensione con il caso risolto. Nolasco l’aveva fatta finita con le pattuglie e aveva iniziato a fare carriera fino al grado di tenente, poi di capitano. Non aveva mai più pensato a Beth Stinson o a Wayne Gerhardt.

Fino a quel momento.

Dopo aver riattaccato con la testimone, Nolasco aveva fatto una telefonata a Olympia e gli avevano confermato che Tracy Crosswhite aveva richiesto il fascicolo Stinson dall’archivio e che se l’era fatto consegnare al Centro di Giustizia. All’inizio gli era venuta in mente una sola ragione per cui poteva essersi messa a curiosare nei suoi vecchi casi: aveva sentito le voci che giravano fra i detective più anziani, che criticavano i metodi investigativi suoi e di Hattie, e cercava qualcosa per metterlo in imbarazzo. Una volta passata la rabbia iniziale, però, aveva riflettuto più lucidamente. Tracy Crosswhite non era una stupida, non si sarebbe messa a rivangare un caso di dieci anni prima senza una buona ragione, soprattutto se il caso era suo. Sapeva bene che se avesse cercato di procurare un nuovo processo a un altro assassino i giornali avrebbero fatto di lei carne da macello. Quindi doveva esserci un motivo.

Nolasco aveva ripensato ai dettagli del vecchio caso e si era ricordato che la vittima era stata legata e strangolata con una corda. Si era ricordato anche che sulla scena del crimine avevano notato qualcosa di strano: il letto della donna era stato rifatto, nonostante il delitto fosse avvenuto nelle prime ore del mattino. Significava che c’era un’unica conclusione possibile. Crosswhite pensava che esistesse un legame fra Beth Stinson e gli omicidi del Cowboy e aveva chiesto a O’Leary di studiare il fascicolo e di parlare con i testimoni, che gli avrebbero detto sicuramente che Nolasco e Hattie non erano mai andati a interrogarli. Il capitano si chiedeva se JoAnne Anderson ricordasse che Hattie le aveva mostrato solo la foto di Gerhardt e non un montaggio. Se così era, O’Leary avrebbe potuto sostenere che lui e Hattie avevano condizionato in modo scorretto un testimone per condannare Gerhardt e che forse, per colpa della negligenza della polizia, non solo era stato mandato in prigione un innocente, ma un serial killer era rimasto libero di uccidere per quasi un decennio.

Nolasco non credeva che le cose stessero così. Era convinto che Gerhardt avesse ucciso Beth Stinson. Ma non voleva che Crosswhite ficcasse il naso nei suoi vecchi casi.

Era rimasto a sbollire la rabbia per parecchie ore, pensando alla reazione migliore. Se avesse affrontato Crosswhite direttamente, lei avrebbe potuto scavalcarlo, magari andando direttamente alla disciplinare o da uno dei procuratori. Avrebbe potuto chiedere che fosse riaperto non solo il caso di Beth Stinson, ma tutti i casi suoi e di Hattie.

Non poteva permettere che diventasse una questione personale.

Era stato allora che aveva pensato a Maria Vanpelt. Certo, era un rischio raccontare qualcosa a una reporter investigativa, ma perfino lui doveva ammettere che quella donna era una giornalista da strapazzo. Nella maggior parte dei casi sceglieva la soluzione più a portata di mano, perché era pigra, non le interessava darsi da fare e scoprire com’erano andate davvero le cose. Era a caccia di storie sensazionalistiche con cui conquistarsi i notiziari delle sei e delle undici.

E Nolasco aveva qualcosa che faceva proprio al caso suo, che le sarebbe valso la carriera.

Maria Vanpelt entrò nel bar con l’aria scocciata.

«Spero che non sia solo un trucco per farmi arrivare fin qui, Johnny. Ho avuto una giornataccia.»

«Anch’io sono felice di vederti» rispose lui.

La giornalista lasciò cadere le chiavi sul tavolo, richiamando l’attenzione della barista. «Caffè, decaffeinato. Senza latte.»

La ragazza la fissava come se la giornalista avesse parlato in una lingua sconosciuta.

«Non c’è il servizio al tavolo» spiegò Nolasco.

«Portami una tazza di caffè» disse Vanpelt alla ragazza. «E avrai una mancia.»

La ragazza si mise al lavoro. Vanpelt sorrise a Nolasco come a dirgli che tutto aveva un prezzo.

«Allora, cosa c’è di così importante da non poter aspettare fino a domattina?»

«Credo di avere una bella storia per te.»

«Ho già la mia storia. Il Cowboy mi ha regalato gli indici d’ascolto più alti della fascia serale e domani sarò in diretta con Anderson Cooper per parlare del fatto che Seattle è diventata la città degli omicidi. Nancy Grace potrebbe chiamarmi all’inizio della settimana prossima.»

«Buon per te.» Nolasco cambiò leggermente posizione sulla sedia, posò gli avambracci sul tavolo e si chinò sulla tazza. «Tracy Crosswhite ci sta provando di nuovo» disse.

La barista si avvicinò e Nolasco si tirò indietro per lasciarle spazio.

«Non ho dietro contanti» disse la giornalista. Nolasco cercò nella tasca anteriore, sfogliò alcune banconote e passò alla ragazza un biglietto da cinque. «Tieni il resto» disse Vanpelt. Sorseggiò il caffè e posò la tazza. «Sta provando a fare cosa?»

«E se ti dicessi che ho saputo che Tracy Crosswhite si sta dando da fare per liberare un altro omicida già condannato, un altro uomo che ha ucciso una ragazza?»

Maria Vanpelt aveva sollevato la tazza, ma la posò senza bere. «Quanto sono affidabili le tue informazioni?»

«Al cento per cento. Non devi fare altro che un paio di telefonate.» Fece scivolare un pezzo di carta sul tavolo. «Comincia da qui. Sono gli archivi di Stato.»

«E cosa dovrei farci?»

«Spiega che vuoi rivedere un fascicolo. Ho scritto il numero del caso sotto il numero di telefono.»

«Non me lo daranno senza una richiesta ufficiale.»

«Non te lo daranno perché il fascicolo non c’è. Chiedi chi è stata l’ultima persona a ritirarlo e quando.»

«Che cosa c’è nel fascicolo?»

Nolasco si appoggiò allo schienale. «Ti conviene tirar fuori carta e penna.»

Maria Vanpelt cercò senza fretta in borsa e tirò fuori una penna, ma nessun taccuino. Girò un tovagliolo.

«Nove anni fa, Beth Stinson era una ragazza nubile che viveva da sola nella zona nord di Seattle» disse Nolasco. «Wayne Gerhardt, un idraulico della Roto-Rooter, era andato da lei per sturarle lo scarico del water. La notte è tornato e l’ha ammazzata. Una testimone vide Gerhardt uscire dalla casa di Stinson alle prime ore del mattino. C’erano le sue impronte e il suo DNA sparsi per tutta la scena del crimine. Non aveva alibi, si dichiarò colpevole e fu condannato a venticinque anni.»

«E perché Tracy Crosswhite è interessata al caso?»

«Questo sta a te scoprirlo.»

«E perché non ci pensi tu?»

«Perché me l’ha tenuto nascosto, il che significa che non vuole che sappia quello che sta facendo e non credo proprio che mi risponderà in modo sincero. Ma posso dirti una cosa, ci sta lavorando con lo stesso avvocato che ha rappresentato Edmund House. È già andato a parlare con i testimoni ed è stato a trovare Gerhardt a Walla Walla.»

«Dan O’Leary» disse Vanpelt con un sorriso. Evidentemente si ricordava di lui. Si appuntò ancora qualcosa, poi si interruppe, si appoggiò allo schienale e osservò Nolasco con un sorrisetto. «La cosa ti preoccupa.»

«Mi fa incazzare, piuttosto.»

Il sorriso della giornalista si allargò. Aveva un’aria decisamente allegra. «Era un tuo caso.» Visto che Nolasco non ribatteva, aggiunse: «Cosa spera di ricavarne, Tracy Crosswhite?».

«Credo che sia il suo modo per cercare di mettermi in imbarazzo, per vendicarsi di qualunque ingiustizia crede di aver subito da parte mia.»

«Metterti in imbarazzo?» La giornalista inarcò le sopracciglia. «Hai detto che avevi un testimone, il DNA e la confessione. Come può metterti in imbarazzo?» Esitò. «Questo tipo potrebbe essere innocente?»

«Certo che no.»

«Allora perché sei preoccupato?»

«Te l’ho detto, non sono preoccupato. Sono incazzato.»

«Sembri preoccupato.»

«Ascolta, ti ho lanciato un bell’osso. Se non lo vuoi, farò un’altra telefonata.»

«A chi?»

«Non credi che sia la storia perfetta per un bel dramma televisivo?»

Vanpelt sorrise. «Non saprei, Johnny. Se Tracy Crosswhite viene sbattuta fuori dalla polizia, perderò le mie storie migliori.»

«Non ti serve lei per fare carriera. Ci penso io.»

«Come?»

«Sto lavorando anche a un’altra faccenda» disse Nolasco. «Una cosa grossa, ma non puoi tirarla fuori, non ancora.» Se Tracy Crosswhite aveva intenzione di metterlo in imbarazzo, Nolasco sarebbe stato felice di ricambiarle il favore.

«Di che si tratta?» chiese Vanpelt.

«Uno dei principali sospetti nel caso del Cowboy non ha superato la prova del poligrafo.»

«Quale?»

«Te l’ho già detto, non puoi ancora usarlo.»

 

Tracy accostò e alzò lo sguardo sulla casa, il tipico edificio del Central District. Due piani, con un portico stretto sul davanti, separata dal marciapiede da un giardino in pendenza. Tracy salì i gradini in legno del portico e bussò a una porta rossa. Un attimo dopo si trovò davanti il viso angelico di un bambino, con un pigiama azzurro punteggiato di palloni da basket rossi. Calcolò che doveva avere sette o otto anni.

«Salve» disse il bambino. «Casa Scott, posso esserle utile?»

Le strappò un sorriso. «Sì, credo di sì. Tua madre è in casa?»

Tracy quasi non riconobbe la donna che comparve sulla porta, ma riconobbe la voce. «Che cosa ci fai fuori dal letto, signorino? E che cosa ti ho detto sul fatto che non devi aprire la porta agli estranei?»

«È una signora.»

«La conosci?» chiese Shereece, le mani sui fianchi. «Allora? La conosci?»

Il bambino scosse la testa.

«Allora è un’estranea.»

Il bambino sfoggiò un sorriso malizioso, con un buco al posto dei due denti davanti. Tracy era sicura che fosse un monello.

«Aspettavi qualcuno?» chiese Shereece.

Lui scosse di nuovo la testa.

«Allora sali quelle scale e ficcati a letto.»

«Addio, signora sconosciuta.» Il bambino si infilò sotto il braccio della madre e corse su per i gradini rivestiti di moquette.

Shereece non riuscì a trattenere un sorriso. «Entri.» Aveva il viso incorniciato da lunghi ricci, che le conferivano un’aria più dolce. Così come la maglietta bianca aderente a maniche lunghe e i leggings neri.

«Scommetto che ti dà un bel daffare» disse Tracy.

«È il mio biglietto per il paradiso» disse Shereece. «Se riesco a tenerlo fuori dai guai, forse mi faranno santa.»

Una donna più anziana, che assomigliava molto a Shereece, comparve dal retro della casa e si fermò in fondo alle scale, una mano sulla ringhiera.

«Salve» disse Tracy.

«Lei è quella detective che c’era in televisione.»

«Sì.»

«Quando prenderete quel tizio?»

«Spero presto. Stiamo facendo del nostro meglio.»

La donna la guardò poco convinta. «È quello che hanno detto in televisione qualche giorno fa.»

«TJ non è a letto, mamma» disse Shereece. «Puoi pensarci tu?»

Con un paio di jeans e una felpa con il cappuccio, la madre di Shereece non sembrava molto più vecchia di Tracy. «Se posso pensarci io? Sì, credo di sì.» Iniziò a salire le scale, poi si fermò e lanciò un’occhiata a Tracy. «Piacere di averla conosciuta.»

«Piacere mio» disse lei.

Shereece aspettò che la madre fosse in cima alle scale e che scomparisse in una delle stanze. «Mi scusi.»

«Nessun problema.»

«Venga, si accomodi.»

Il soggiorno era arredato con gusto, con mobili dall’aria comoda e un parquet scuro coperto in parte da un tappeto. Le foto di famiglia incorniciate erano allineate sulla mensola del caminetto piastrellato. Tracy si sedette lentamente su una poltrona di tessuto.

«Che le è successo?» chiese Shereece.

«Sono solo un po’ acciaccata. Tua madre vive con te?»

Shereece si sedette di fronte a lei su un divano di pelle rosso e ripiegò un piede scalzo sotto di sé. «Abbiamo sistemato il seminterrato dopo aver perso mio padre. Mio marito a volte lavora di notte, quindi ci serviva che la mamma badasse ai bambini.»

«Sei fortunata ad averla» disse Tracy, e desiderò che sua madre fosse ancora viva.

«A volte ci pestiamo un po’ i piedi» disse Shereece e lanciò un’occhiata su per le scale. «E lei continua a dimenticarsi che sono una donna adulta. Ogni tanto mi chiedo come abbiamo fatto io e mio marito ad avere tre figli.»

Tracy sorrise. Poi disse: «Non lavori stasera».

«Ho chiamato e ho detto che non stavo bene. Sto pensando di non tornare più. Certo, guadagno un sacco di soldi, ma non abbastanza da rischiare la vita. Potrei tornare a scuola quando mio marito si sarà sistemato con il lavoro, ma mi sa che adesso non è un buon momento.» Shereece si chinò in avanti. «Ma non l’ho chiamata per raccontarle tutto ciò. Ho chiamato perché l’altra sera è venuto l’Avvocato. È il tizio di cui le parlavo, quello a cui piacciono le ragazze con le tette grosse. E gli piaceva Veronica, molto.»

«Mi ricordo.»

«Già, be’, l’altra sera ho visto che si interessava a Gabby.»

Tracy si sporse in avanti. «In che senso?»

«Ha capito in che senso. Io ero sul palco e l’ho visto che allungava il braccio per toccare il polso di Gabby mentre passava vicino al suo tavolo. Lei sembrava scioccata. Le ha sussurrato qualcosa all’orecchio e Gabby ha sorriso e annuito. Poi l’ha portato nella stanza sul retro. Quindi adesso mi chiedo che cosa ci facesse con quella ragazza pelle e ossa.»

«Li hai visti uscire?»

«Ci sono stata attenta. Gabby sorrideva da un orecchio all’altro. Dietro le quinte le ho chiesto che cosa succedeva e mi ha detto che le aveva dato una banconota da cinquanta dollari per una lap dance. Cinquanta. Era così felice che non me la sono sentita di dirle qualcosa tipo: “Perché ha scelto proprio te?”. Ora mi pento di non averlo fatto.»

«Quanto tempo è rimasto?»

Shereece sembrava sul punto di piangere. «Ha finito di bere e se n’è andato. Forse altri dieci minuti.»

«Che ora era?»

«Le undici e mezzo, mezzanotte meno un quarto.»

«Anche Gabby è andata via a quell’ora?»

«No. Ha finito il turno.» Shereece alzò la mano. «La smetta di farmi domande e lasci che le dica quello per cui l’ho chiamata. Quando ho visto che l’Avvocato si preparava per andarsene, ho fatto una pausa e sono uscita a fumare una sigaretta. Lo tenevo d’occhio, ha presente, ma senza farmi notare. Aveva le chiavi della macchina in mano e io stavo per seguirlo quando è partito un bip da una macchina parcheggiata proprio lì davanti. Una BMW. Una gran bella macchina.»

Tracy sentì le pulsazioni accelerare mentre ripensava alla berlina scura nel video, quella che aveva seguito Walter Gipson e Angela Schreiber dal parcheggio del Pink Palace. «Di che colore?»

«Blu. Blu scuro.»

«Hai letto il numero di targa?»

Shereece sorrise. «Non era un numero. Era una di quelle targhe personalizzate. “Ti difendo.” Scritto T-D-1-F-E-N-D-O