CAPITOLO 15
La chiamata al 911 venne fatta alle undici e venticinque del mattino successivo. Tracy e Kins arrivarono al Joon’s Motel mezz’ora dopo. Attraversarono un parcheggio disseminato di agenti in uniforme e auto di pattuglia. I furgoni delle televisioni erano allineati lungo Aurora Avenue, insieme a un branco di fotografi e giornalisti che si contendevano i posti migliori sul marciapiede e a una folla di curiosi attratti verso il motel dai due elicotteri del notiziario che volteggiavano sopra le loro teste, le pale che sferzavano l’aria. Come se non bastasse, all’alba l’aria era stata limpida e fredda e ora, verso mezzogiorno, il sole splendeva in un cielo azzurro senza una nuvola. Nel nordovest, quando spuntava il sole la gente usciva di casa, e non c’era niente che incuriosisse di più della scena di un crimine.
«Non sarà piacevole» disse Kins lanciando un’occhiata alla folla.
«Non lo è neanche adesso.»
Due agenti erano di guardia ai piedi di una scala che portava al secondo piano. «Stanza 14» disse quello che sembrava più giovane. «All’angolo.» Era a mani vuote. Così come il collega.
«Chi tiene il registro della scena del crimine?» chiese Tracy.
«L’agente che ha risposto alla chiamata.» Lo indicò.
Le scale vibrarono sotto i loro piedi mentre salivano al secondo piano. In fondo al pianerottolo, liso e pieno di bolle, il nastro rosso della scena del crimine era stato legato alla ringhiera dalla maniglia di una porta. Un agente in uniforme dall’aria stanca uscì da una nicchia con un portablocco in mano.
«Raccontaci che cosa avete fatto» esordì Tracy mentre firmava il registro e passava il portablocco a Kins.
L’agente indicò il posto auto coperto oltre la ringhiera. «Il proprietario mi è venuto incontro fuori dall’ufficio. Ha detto che la cameriera l’ha trovata quando è entrata per pulire la stanza.»
«Dov’è ora la cameriera?» chiese Kins.
«Il mio sergente l’ha portata in ufficio con il proprietario. È parecchio sconvolta.»
«Che cosa ha detto?»
«Ha detto di aver bussato, che nessuno le ha risposto e di aver usato il passe-partout per entrare. Ha detto di aver messo piede nella stanza, di aver visto il corpo ed essere corsa fuori. L’unica cosa che ricorda di aver toccato è la maniglia della porta.» L’agente si schiarì la gola. «Non fa che pregare in spagnolo e farsi il segno della croce e baciare il crocifisso.» La voce gli si spezzò. Era scosso anche lui, anche se si sforzava di nasconderlo.
Kins fece un cenno del capo verso la porta aperta. «Sei entrato?»
«No, ma l’ho vista quando sono entrati i vigili del fuoco.»
«Metti un altro pezzo di nastro rosso ai piedi delle scale» lo istruì Tracy. «E consegna il registro a uno dei due agenti che sono giù. Riferisci loro che non voglio che nessuno salga le scale senza aver firmato e dato il numero di distintivo. Chiunque cerchi di passare quella linea dovrà fare rapporto, che li avvisino.»
Kins aprì lo zaino per le emergenze e passò a Tracy i guanti di latex e i copriscarpe. Dopo averli infilati, entrarono. La stanza era invasa dall’odore di fumo di sigaretta e di urina. Come nelle stanze in cui avevano trovato Nicole Hansen e Angela Schreiber, anche lì il copriletto sottile era in ordine e i vestiti della donna erano stati piegati con cura e lasciati in un angolo. La donna era incaprettata ai piedi del letto. A differenza di Hansen e Schreiber, non era stesa sul fianco e non era bionda. I capelli castano scuro erano raccolti in una coda. Era anche più robusta, tracagnotta. I seni erano schiacciati contro la moquette marrone a pelo lungo. Sui glutei e sul retro delle cosce si notava la pelle a buccia d’arancia della cellulite. Sotto il bacino, sulla moquette, si allargava una macchia scura. Come per Angela Schreiber, le piante dei piedi erano rosse e coperte di bolle. Tracy espirò, dopo aver trattenuto il fiato, e chiuse gli occhi.
«Stai bene?» chiese Kins.
«Qual è il suo scopo? Che cosa sta cercando di dirci? Vuole solo umiliarle o c’è sotto qualcos’altro?»
«Non lo so. Dirò a Faz di far piazzare dei paraventi fuori dalla stanza e ai piedi delle scale. Funk può sistemare il furgone in retromarcia verso il pianerottolo, in modo da bloccare la visuale.»
Il medico legale della contea di King non avrebbe potuto raddrizzare le gambe e le braccia della ragazza per parecchie ore. Anche sotto un lenzuolo, non sarebbe stato difficile per i giornalisti e per la folla sempre più numerosa di civili capire che il corpo della donna era contorto in modo grottesco.
Tracy si guardò intorno nella stanza, registrando ogni dettaglio. Andò alla scrivania e indicò una borsetta viola, la lunga catena dorata che pendeva su un lato. La borsetta era dello stesso colore del vestito piegato in un angolo del letto. «L’hai fotografata?»
Kins scattò una foto alla borsa. «Ce l’abbiamo.»
Tracy estrasse con cura un portafoglio sottile, di quelli con la custodia di plastica per la patente all’esterno. «Veronica Watson» disse. Fece i calcoli. «Diciannove anni.» Tolse diverse carte di credito prima di trovare quello che cercava: la licenza di ballerina erotica.
«Balla al Pink Palace» disse.
«Ballava» la corresse Kins.