CAPITOLO 29
La linea per le segnalazioni squillò ininterrottamente per quasi tre ore. Tracy sbrigò le chiamate mentre sentiva i membri della task force che incalzavano le persone dall’altra parte della linea a dire quel che avevano da dire, cercando di valutare rapidamente se poteva essere utile. Quasi tutti quelli che chiamarono volevano sapere come ritirare la ricompensa. Un tizio era sicuro che l’assassino fosse un uomo che frequentava un bar del suo quartiere e che aveva “un’aria sospetta”. Telefonarono prostitute convinte che l’assassino fosse uno dei loro clienti. Ex mogli che volevano incastrare gli ex mariti. La task force rispose alle chiamate di spioni, vicini e persone sicure che l’assassino fosse un loro collega. Sembrava che tutti fossero pronti a denunciare qualcuno pur di vincere alla lotteria del serial killer. Era il peggior incubo di una task force; per ogni chiamata, dovevano compilare un apposito formulario e approfondire ogni informazione. Avrebbero girato in tondo per settimane.
Si fece sera e le chiamate divennero meno frequenti. A un tratto Faz rispose a una telefonata sul cellulare e si alzò. «Torno subito» disse. Qualche minuto dopo rientrò con la moglie Vera e il figlio Antonio, alto quasi quanto lui. Antonio portava uno scatolone marrone e qualunque cosa ci fosse dentro, un attimo dopo la stanza fu invasa dall’aroma dell’aglio, delle spezie italiane e del formaggio fuso. Vera tirò fuori due grandi casseruole, piatti di carta, forchette e coltelli, un’insalata e diverse bottiglie di vino rosso e appoggiò tutto su una scrivania.
«Se Faz non va dai cannelloni, i cannelloni vanno da Faz» commentò il detective. Tracy non l’aveva mai visto tanto felice. «È o non è la migliore?» Fece per abbracciare la moglie, ma Vera si scostò.
«Si raffredda» disse.
Del chiuse la telefonata al volo. «Portatelo a casa o prenditi un piatto, Faz, se non vuoi che ti calpesti.» Se Del fosse stato sul Titanic e sulle scialuppe ci fosse stato del cibo, le donne e i bambini sarebbero affogati.
Fecero a turno a rispondere al telefono mentre gli altri mangiavano. Quando ebbero spazzolato tutto e le chiamate si fecero meno frequenti, Faz si alzò, con Vera e Antonio accanto. «In Italia, quando mangiamo, è tradizione rendere omaggio al cuoco e alla persona più importante nella sala.» Guardò Vera. «Quindi ecco a voi la cuoca migliore di Seattle.»
«Amen» disse Del.
Vera lo scacciò, imbarazzata ma felice per quelle attenzioni. Tutti imitarono Faz e sollevarono il bicchiere.
«Alla salute» disse lui in italiano. «Ci tengo anche a dire che questo posto non mi piace» proseguì. «Mi mette l’ansia, ma sappiamo tutti che abbiamo un lavoro da fare.» Guardò Tracy. «Questa è la nostra stanza adesso, Professoressa. Nessuno la chiamerà più la Stanza di Bundy. Ora è la Stanza del Cowboy.» Sollevò di nuovo il bicchiere. «A te, Professoressa. Costi quel che costi. Noi ci siamo.»
Questa volta si alzarono tutti in piedi, sollevarono i bicchieri di vino ed esclamarono: «Alla salute».
Tracy sorrise e brindò con un bicchiere d’acqua.
Così com’era stato con la decisione di archiviare le indagini su Nicole Hansen, qualunque cosa Nolasco sperasse di ottenere lasciando trapelare la notizia delle indagini della disciplinare o convincendo qualcuno ai piani alti che una linea per le segnalazioni fosse una buona idea (perché Tracy non aveva dubbi sul fatto che ci fosse lui, dietro quelle decisioni), gli si era rivoltato tutto contro. Gli uomini e le donne in quella stanza erano detective esperti. Con loro Tracy non aveva bisogno di troppe parole. Sapevano contro che cosa dovevano combattere. Erano state infrante alcune regole non scritte. E ogni poliziotto sapeva che quando quelle regole venivano infrante, bisognava pensare a guardarsi le spalle, le tue e quelle delle persone che lavoravano con te.