CAPITOLO 7

Da un controllo al computer attraverso l’ufficio della segreteria di Stato risultò che una società a responsabilità limitata, la Pink Palace LLC, gestiva tre locali di strip tease con lo stesso nome a Seattle. Il presidente era un certo Darrell Nash, che viveva in una costosa casa vittoriana nella ricca zona di Queen Anne.

«E poi dicono che l’immoralità non paga» commentò Kins mentre saliva gli imponenti gradini di pietra.

Poco prima erano passati dal Pink Palace dietro Aurora, a circa tre chilometri dall’Aurora Motor Inn. Tracy voleva farsi un’idea delle dimensioni dell’attività. Come quasi tutto nella vita, anche i locali di strip tease non erano tutti uguali e non si rivolgevano alla stessa clientela. Il Pink Palace sembrava uno dei club più esclusivi e ricordava un moderno cinema multisala, con un’abbagliante insegna al neon. Su uno schermo gigante si alternavano le immagini di donne che si contorcevano mezze nude e gli annunci di attrazioni e sconti speciali. L’orario affisso informava che il club aveva chiuso alle due e non avrebbe riaperto fino alle undici.

Tracy bussò con decisione alla porta di Nash, scatenando i latrati furiosi dei cani all’interno. Il tizio a petto nudo che venne ad aprire aveva l’aria di chi si è appena alzato dal letto e avrebbe preferito restarci. Indossava un paio di pantaloni del pigiama sformati. Aveva un piercing al capezzolo sinistro, un cerchietto d’argento, e un petto notevole sopra uno stomaco piatto come un’asse da stiro. Una tigre viola e dorata gli adornava il pettorale destro. Sembrava uno studente universitario svegliato dopo una notte di baldoria.

«Lo sapete che ora è?» chiese.

Tracy era stanca e non era dell’umore giusto per sopportare stronzate. Gli mostrò il distintivo e il documento identificativo. «Sì, lo sappiamo. E qualcosa mi dice che per noi è molto più presto che per lei.» Notò una donna all’ingresso. Due bambine in camicia da notte le stringevano le gambe. Tracy ammorbidì il tono. «Ci spiace disturbarla» disse. «È lei Darrell Nash?»

«Sì.» Nash faceva una smorfia ogni volta che i cani abbaiavano, come se fosse reduce da una sbronza. «Puoi farli stare zitti, per favore?» gridò voltandosi. «E portami una maglietta.» Tornò a guardare Tracy. «Di che cosa si tratta?»

«Una delle sue dipendenti» disse Kins.

«Quale?»

«Una delle ballerine.»

«Io non assumo ballerine» disse lui. «Sono libere professioniste e ne ho più di novanta. Se una di loro ha fatto qualcosa di illegale, non posso essere ritenuto responsabile. Ne ho parlato con il mio avvocato.»

Tracy notò che Kins la guardava. Continuò a fissare Nash. «Possiamo entrare?»

«Dev’essere per forza adesso?» chiese Nash. D’istinto si guardò il polso, anche se non portava nessun orologio.

«Sì» rispose lei.

Nash li guidò verso il retro della casa, in quello che definì il suo “ufficio”, anche se in tutta la stanza Tracy non riuscì a vedere un solo pezzo di carta. Si ritrovarono su un tappeto viola e dorato con la stessa tigre del tatuaggio di Nash. Nelle vetrinette illuminate da una luce fioca si distinguevano palloni da football autografati, trofei e fotografie. In qualcuna Nash indossava l’uniforme della Louisiana State University.

«Difensore?» chiese Kins, mentre osservava una fotografia di Nash con la divisa da football.

«Safety» rispose Nash. «Non ero veloce, ma arrivavo con la forza di un treno merci. Mi sono fatto male al tendine del ginocchio all’ultimo anno, altrimenti sarei passato fra i professionisti.»

Kins annuì. Non parlava quasi mai della sua carriera troncata nella National Football League, terminata dopo un anno per una lesione all’anca.

Nash andò alla porta e gridò nel corridoio: «Mi si stanno congelando i capezzoli».

La moglie di Nash – ruolo ingrato, pensò Tracy – gli passò quella che lei considerava la tipica felpa dei tizi tutti muscoli e niente cervello: con le maniche tagliate all’altezza dei bicipiti. Nash prese un pallone da football da un’ampia scrivania e si sedette in una poltrona di cuoio.

Tracy e Kins rimasero dall’altra parte del tavolo.

«È lei il proprietario del Pink Palace?» chiese Tracy.

«Una società a responsabilità limitata li possiede tutti e tre. Di quale sta parlando?»

«Quello dietro Aurora Avenue.»

«È il club di bandiera.»

«Il club di bandiera?»

«Il primo.»

«Lei è il presidente della società?»

«Esatto.»

«Fra le sue dipendenti c’è una ballerina di nome Angela Schreiber

«Libera professionista» disse Nash.

«La conosce?»

«Non ho relazioni con le ballerine.»

«Non le ho chiesto se aveva una relazione con lei. Le ho chiesto se la conosceva.»

Nash posò il pallone in grembo. «Il nome non mi dice niente.»

Tracy piazzò la tessera da ballerina di Angela Schreiber (il regolamento municipale di Seattle prevedeva che le ballerine erotiche avessero una licenza), ora sigillata dentro una busta di plastica delle prove, sulla scrivania.

Nash si chinò in avanti per osservarla. «Questa è Angel.»

«Angel?»

«È il suo nome d’arte. Tutte le ballerine hanno un nome d’arte. Ascoltate, detective, gestisco club per signori perfettamente legali. Non consentiamo attività extra all’interno del locale. Non ho il controllo di quello che fanno le ragazze una volta che sono uscite, quindi se stava facendo un pompino a qualcuno nel parcheggio, non è un problema mio.»

«Ha visto Angela Schreiber fare un pompino a qualcuno nel parcheggio, ieri sera?» chiese Tracy.

«No, stavo solo… Ascolti, non ricordo neanche di averla vista, ieri sera.»

«Ma era andato al club?»

«Sì, c’ero andato. È il mio locale.»

«E non ricorda di avere visto Angela Schreiber per tutta la sera?»

Nash scosse la testa. «Di solito sto in biglietteria o nel mio ufficio sul retro. Ve l’ho detto, non presto molta attenzione alle ballerine.»

«Libere professioniste» puntualizzò Tracy.

«Che?»

«Ha notato se qualcuno prestava attenzione ad Angela Schreiber, ieri sera?»

Nash scrollò le spalle. «No. Ma non sarebbe stata la prima volta. Insomma, è così che fanno i soldi. Si fanno notare da qualcuno, gli chiedono se vuole una lap dance o uno spettacolino privato. Farsi notare dagli uomini è il loro lavoro.»

«Chi altro presta attenzione alle ballerine e ai clienti?»

«Il responsabile del locale.»

«Come si chiama?»

«Perché volete saperlo? Che cosa ha fatto Angel?»

«È morta» disse Kins.

Nash guardò Tracy, poi Kins. «Ho bisogno del mio avvocato?»

«Perché non cominciamo con il nome del responsabile del locale?» rispose Kins.

«Nabil.»

«È il nome o il cognome?» Kins prese un piccolo taccuino a spirale e appuntò il nome.

«Il nome. Il cognome è Kotar.» Nash fece lo spelling di entrambi i nomi. «Credo che sia egiziano o qualcosa del genere. Come è morta?»

«Qualcuno l’ha uccisa» disse Tracy.

«Ha l’indirizzo o il telefono di Nabil?» chiese Kins.

«Devo chiederlo al direttore delle risorse umane.» Nash guardò Tracy. «Uccisa come?»

«Avremo bisogno del nome di ogni dipendente e libero professionista che ha lavorato al locale ieri sera.» Kins gli tese un biglietto da visita.

Nash esitò, lo prese e lo mise sulla scrivania. «Allora, come è morta?»

«Stiamo ancora indagando» rispose Tracy.

«Quando potrà fornirci queste informazioni?» chiese Kins.

«Ma è stata ammazzata, giusto? Insomma, è per questo che siete qui.»

«Ci sono telecamere di sorveglianza al club?» domandò Kins.

«Sì. Una nell’ufficio principale e altre due che coprono l’esterno dell’edificio e il parcheggio.»

«E la pista da ballo?» chiese Tracy.

Nash scosse la testa.

«Non avete una telecamera sulla pista?»

«No. Vogliamo che i nostri clienti si sentano a proprio agio.»

«Mentre fanno sesso con le libere professioniste?» chiese Tracy.

«Vi ho già detto che non è permesso.»

«Ma succede. Per questo ha chiesto se Angel stava facendo un pompino a qualcuno nel parcheggio.»

«Ho detto in un parcheggio. Non intendevo il nostro. Ascolti, non sono in tutti i club ventiquattro ore al giorno e sette giorni su sette. Posso dire soltanto che non dovrebbe succedere. Se scopriamo che qualcuno lo fa, li sbattiamo fuori e licenziamo la ballerina.»

«Libera professionista» disse Tracy.

«Senta, detective, ogni tanto ci capita qualche maniaco esaltato, ma imparano alla svelta che il nostro non è quel genere di club.»

Tracy iniziava a divertirsi a dare sui nervi a Nash. «E di che genere è il vostro club?»

«Gliel’ho già detto. È un locale per signori. In questa zona funzionano alla grande. Gli uomini possono rilassarsi, bere qualcosa e vedere ballare delle donne bellissime.»

«Avete clienti regolari?»

«Certo. Vengono alcuni atleti, soprattutto i giocatori di baseball che sono qui per il campionato. Ma a darci da vivere sono i tizi incravattati del centro. Sareste stupiti di vedere chi entra da quella porta.»

«Ne dubito» rispose Tracy. «Avremo bisogno dei nomi dei clienti regolari.»

«Non ho una lista dei nostri clienti.»

«Non avete un indirizzario email, una newsletter o qualcosa del genere?» chiese Tracy.

«No, il passaparola è la nostra pubblicità migliore.»

«E una pagina web?»

«Certo.»

«A cosa serve?»

«Per la pubblicità. Gli uomini possono connettersi e prenotare una lap dance con la loro ballerina preferita.»

«Avremo bisogno di quella lista» disse Kins.

«Devo parlare con il mio avvocato. Non vi serve un mandato?»

Tracy gli passò un biglietto da visita. «Posso ottenere un mandato di perquisizione prima che questa conversazione sia finita, oppure lei può accettare di collaborare a un’indagine per omicidio. A che ora avete chiuso ieri sera?»

A giudicare dall’espressione di Nash, doveva essergli tornato il mal di testa. Osservò il biglietto di Tracy per un attimo. Poi disse: «Alle due. È il regolamento municipale».

«Le ballerine sono andate via subito?»

«Non avevano nessun motivo per restare.»

«Ha visto Angela Schreiber uscire?»

«No.»

«E lei?» chiese Kins. «A che ora ha lasciato il club?»

«Ho chiuso la cassa e preparato i versamenti. Credo di essere uscito intorno alle due e mezzo, due e tre quarti.»

«Dove è andato?» chiese Tracy.

«Perché me lo chiede?»

Tracy non rispose. E neanche Kins. Il silenzio poteva essere snervante.

«Sono tornato a casa e sono andato a letto.»

«Qualcuno può confermarlo?»

«Mia moglie.»

Tracy lanciò a Kins un’occhiata per dirgli di continuare senza di lei e si avvicinò alla vetrina dei trofei.

«Le telecamere funzionano ininterrottamente?» chiese Kins.

Nash teneva d’occhio Tracy. «Credo che restino accese ventiquattro ore su ventiquattro» rispose.

«Avremo bisogno delle registrazioni di ieri sera. Faccia una chiamata e si assicuri che non vengano cancellate. Ha detto che ci sono telecamere nel parcheggio. È lì che posteggiano le ballerine?»

«In quel club sì.»

Tracy osservò una fotografia incorniciata. Non c’erano solo reliquie dedicate al mondo del football. Vide Nash seduto su un cavallo, un mustang, si sarebbe detto. Portava un cappello di feltro da cowboy spinto all’indietro sulla fronte, una camicia di jeans e un paio di jeans sopra gli stivali da cowboy. Fra i denti davanti gli sporgeva una pagliuzza di fieno. Teneva le mani posate sul pomolo della sella, da cui pendeva un rotolo di corda.

Tracy si voltò. «Va a cavallo?»

Nash, che aveva ricominciato a lanciare in aria il pallone da football, lo afferrò prima di rispondere. «Sì. Mio padre era proprietario di un ranch vicino a Laredo. Io e i miei fratelli abbiamo lavorato lì da ragazzi. L’abbiamo venduto dopo la sua morte.»

Il che spiegava come facesse uno come Nash a permettersi una casa costosa con un tempietto dedicato a se stesso e una catena di locali di spogliarello. «Lei e i suoi fratelli avete mai partecipato a qualche gara con il lazo?»

«Qualcuna.»

«Era bravo?»

«Mi difendevo.»

«Tre legnoli?»

«Che cosa?»

«Preferiva la corda a tre legnoli o a cinque?»

Nash riprese a lanciare il pallone da football. «Non mi importava. Non ci badavo molto.»

«Manderemo qualcuno al locale oggi» disse Kins. «Per ritirare le registrazioni della sorveglianza e i nomi delle persone che hanno lavorato ieri sera.»

«Dovrò consultare il mio avvocato» disse Nash. «State intralciando i miei affari.»

Se avesse avuto con sé un Taser, Tracy probabilmente l’avrebbe usato. Lei e Kins si diressero alla porta. Kins si voltò e sollevò le mani. Nash gli lanciò una spirale tesa.

«Avrebbe dovuto giocare come quarterback» disse Kins restituendogli il tiro.

«Naa» rispose lui. «I quarterback le prendono. A me piace darle.»