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Quando si è feriti l’istinto umano è quello di nascondersi. O di ricorrere a quelli che amiamo perché si prendano cura di noi. Ero ferita. Non intendo in viso. Intendo nell’anima. Sentivo il gocciolare del sangue e i lievi singulti di dolore nella mia testa.
Guidai veloce con le mie gomme nuove, mi diressi nell’unico posto sulla faccia della terra in cui volevo trovarmi. Tenni i finestrini abbassati, così il vento che soffiava nelle paludi poteva depositare il gusto del sale sulle mie labbra per sostituire quello del tradimento. Ogni campo, ogni fiume, ogni pezzo di bosco contenevano ricordi di André, e adesso non significavano più nulla. Mi aveva servita ai suoi nemici su un piatto d’argento.
Cercai di odiarlo, di odiare mio fratello, al quale avevo affidato la mia vita, ma non ne ero capace. Se lavorava per la Russia sovietica, se era vero, allora io cos’ero? Una copertura? Ero io il fumo e gli specchi? Dovevo servire a distrarre gli osservatori della CIA, i vari Bertin e Piquet di questo mondo, mentre André portava avanti qualsiasi cosa stesse facendo?
E il messaggio segreto che mi aveva fatto recapitare ad Arles? I negativi che avevo scattato. Chi li aveva presi? Sbattei la mano sul volante e provai vergogna. Il naso rotto pulsava, ma il dolore non era paragonabile a quello della consapevolezza.
Mi aveva dato in pasto a quegli uomini. Pezzo dopo pezzo.
André, pensavi davvero che non mi sarei mai accorta che mi mancavano dei pezzi di me stessa? E che mi dici di Mickey Ashton? Mi hai fatto credere che era lui la spia alla base aerea e Piquet dice lo stesso, e se invece è stato ucciso perché aveva ballato con tua sorella? La sorella che la CIA crede sia un’agente sovietica.
Ci sono troppi e se, André. E se non mi avessi mentito? E se non mi avessi detto che Bertin e Piquet erano agenti nemici? Stavo vedendo tutto dalla parte sbagliata del cannocchiale, vero?
«André!»
Gridai il suo nome a squarciagola per farlo uscire dal mio corpo, perché venisse trascinato via dal vento e ridotto a brandelli. Le lacrime mi scendevano lungo il viso ma le scacciai con il dorso della mano. Non le volevo. Non volevo il suo nome. Nessuna traccia di lui nei miei polmoni. Se avessi potuto prendere le cesoie da giardino di mio padre e recidere il legame che ci univa l’avrei fatto.
Quando raggiunsi la svolta che portava a Mas Caussade pigiai sull’acceleratore e la superai. Dovevo parlare con lui. Ovvio che dovevo, che ne avevo bisogno. Il bisogno era così forte da far male. Ma prima andai nell’unico posto dove volevo trovarmi.
Mi fecero entrare solo perché ero una Caussade e il colonnello ci era grato per aver ricevuto la nostra terra. Un saluto gentile e una buona accoglienza, ma venni scortata per tutto il tempo. La base aerea di Dumoulin era in stato d’allerta. Aveva senso visto che tre persone del posto erano morte lì il giorno prima e, al di là dei torti e delle ragioni, adesso gli americani ci vedevano come una minaccia.
Percorsi il lungo corridoio abbellito da dipinti a olio raffiguranti aerei fino al reparto intonacato di bianco con i suoi uomini e i letti che non vidi nemmeno. Era come se l’intonaco avesse dipinto di bianco anche loro e fosse rimasto un solo letto, di un grigio militare brillante. Mi avvicinai. Léon era immerso nella lettura di una spessa pila di carte, seduto sulla sedia accanto al letto con addosso una vestaglia blu di un materiale setoso che lo faceva apparire leggermente dissoluto. Non avrei mai pensato di dire che Léon Roussel sembrasse dissoluto. Erano due mondi opposti.
Nonostante la sua mente fosse occupata da fatti e numeri sembrò percepire la mia presenza, come se riuscisse a sentire l’odore della mia pelle prima ancora che raggiungessi il letto. Sollevò la testa e gettò immediatamente gli incartamenti sulle coperte, alzandosi a fatica. Spalancò le braccia sussurrando il mio nome, e io mi ci fiondai.
Rimanemmo così, stretti l’uno all’altra, senza che alcun rumore penetrasse il nostro mondo. Nessun colpo di tosse, niente sbatacchiare di tazze o le grida «Hai barato!» in un gioco di carte nel letto lì accanto. Niente ci sfiorava. A un certo punto lui si ritrasse e mi osservò il viso, gli occhi grigi che scintillavano come quando il sole al tramonto colpisce la piatta distesa delle paludi in una sera d’estate e le incendia.
Rimanemmo abbracciati a lungo, stretti l’uno all’altra.