73.
L’assassino della camera 622

Quella notte Lev Levovitch raccontò a Scarlett e a me quello che era successo nei mesi precedenti all’omicidio.

“Dopo la morte di Abel Ebezner,” spiegò Lev, “avevo ritrovato Anastasia. Ero finalmente felice. Avevo un solo pensiero in testa: ritirarmi, dire addio ai miei personaggi e rifarmi una vita con lei. Ma sentivo che esitava al pensiero di lasciare Macaire. Non voleva fargli del male, aveva paura che si suicidasse. Allora ho deciso di agire dietro la maschera di Tarnogol. Quindici anni prima ero riuscito a realizzare quello che credevo il colpo del secolo: impossessarmi delle azioni di Macaire Ebezner, spingendo Anastasia tra le sue braccia. Ero convinto che mi sarebbe bastato mettere Macaire sotto pressione perché lui accettasse di rinunciare a sua moglie in cambio della presidenza. A cinque giorni dal Gran Weekend, quando lui era certo di essere nominato presidente, Macaire ha scoperto che Tarnogol voleva nominare me al suo posto. All’inizio ha reagito come immaginavo: si è afflosciato. Volevo giocare con lui, logorargli i nervi perché non gli rimanesse altra scelta che cedere Anastasia in cambio della presidenza. Ma Macaire non aveva intenzione di rinunciare né a sua moglie né alla presidenza. Nonostante i miei stratagemmi, si è incaponito. Quindi ho dovuto attuare il mio piano di emergenza: fare eleggere me dal Consiglio, ma impedire l’annuncio in extremis. Per mettere Macaire con le spalle al muro.”

“Avrebbe fatto meglio a tagliare la corda con Anastasia!” disse Scarlett, pragmatica.

Lev sorrise divertito.

“Ha perfettamente ragione. Penso di essermi ostinato per ridicoli motivi di orgoglio. Volevo spuntarla su Macaire.”

“E quindi il suo piano per ostacolare l’annuncio in extremis,” chiesi a Lev, “era l’intossicazione generale?”

“Esatto. Sono stato io stesso ad avvelenare tutte quelle povere persone. Precedentemente avevo fatto girare in tondo Macaire. Due giorni prima Wagner gli aveva consegnato il veleno – che in realtà era semplice acqua –, con il quale avrebbe dovuto sbarazzarsi di Tarnogol. Avevo tutta la libertà di far fallire quel falso avvelenamento e obbligare infine Macaire ad accettare il patto di Tarnogol. Ma Macaire non è passato all’azione. Allora Wagner, con il pretesto che il veleno ci avrebbe messo troppo ad agire, gli ha consegnato una bottiglia di vodka avvelenata da riporre nel bar al primo piano, dove si teneva il Consiglio. Mi è stato sufficiente approfittare di un momento di disattenzione di Macaire per recuperare la bottiglia e fargli credere che l’avesse perduta.”

“Ma la bottiglia era veramente avvelenata?” chiese Scarlett.

“Assolutamente no,” rispose Lev. “Non volevo correre rischi. Avevo preparato tutto in anticipo da mesi. Mi ero assicurato che prima del ballo venissero serviti dei cocktail a base di vodka Beluga per aumentare la confusione di Macaire. Poi ho fatto in modo che una bottiglia di vodka nella quale avevo messo un emetico abbastanza potente finisse nelle mani del barista. Avevo segnato la bottiglia con una croce, come quella consegnata a Macaire, perché lui pensasse che fosse colpa sua. L’emetico avrebbe dovuto fare effetto rapidamente, e allora il caos avrebbe impedito il normale svolgersi della serata. Ma devo aver calcolato male le dosi. Quando alle sei e mezzo mi sono reso conto che l’emetico tardava a produrre il suo effetto, ho chiamato in aiuto Alfred, che si è mescolato ai presenti con l’ordine di inscenare uno svenimento plateale al momento dell’annuncio. Ma non ne ha avuto il tempo, perché prima che potesse intervenire, un invitato si è finalmente accasciato, trascinando nella sua caduta una tovaglia e tutto quello che c’era sul tavolo. Immediatamente altre persone attorno a lui si sono sentite male e ben presto hanno cominciato a cadere come mosche. Ho finto anch’io di essere colpito per non destare sospetti. Il piano ha funzionato a meraviglia: Macaire ha finalmente accettato di rinunciare ad Anastasia in cambio della presidenza. Non ci restava altro che scappare. Ma Jean-Bénédict Hansen si è immischiato ed è stata una catastrofe.”

“In che senso?” mi informai.

“Macaire, convinto di avere potenzialmente ucciso tutti i dipendenti della banca con la sua vodka avvelenata, si era confidato con il cugino, che aveva deciso di ricattarlo: la presidenza in cambio del suo silenzio. Senonché Anastasia è venuta a sapere della loro conversazione e, volendo chiamare in suo aiuto Tarnogol, ha capito che ero io a interpretare quel personaggio. Abbiamo litigato, Jean-Bénédict Hansen ci ha sorpresi e ha scoperto a sua volta il mio segreto.”

Lev si interruppe. Per un attimo nella stanza regnò il silenzio. Poi si girò verso Scarlett.

“Come l’avete saputo?” le chiese.

“Che l’assassino era il signor Rose? Perché era il solo nel Palace a poter andare e venire senza che nessuno lo notasse. Perché possedeva un’arma...” Indicò il ritratto che lo raffigurava in uniforme di tenente colonnello. “Ho appena verificato su internet, gli ufficiali di grado più alto dell’esercito svizzero posseggono tutti pistole Sig Sauer P210 di calibro 9, come l’arma del delitto. E soprattutto, aveva un movente: voleva proteggerla. Poche ore prima dell’omicidio la sicurezza dell’albergo è intervenuta nella camera 623. Apparentemente un falso allarme. Ma il capo della sicurezza ha dichiarato alla polizia di avere riferito del suo intervento al direttore del Palace. Immagino che non appena il signor Rose ha saputo che c’era stato un problema nella camera 623, si sia preoccupato. Sapeva che la 623 era la camera di Tarnogol. E sapeva anche che Tarnogol era lei. Sappiamo dagli stralci del suo processo per truffa che Tarnogol era un personaggio inventato da suo padre su richiesta del signor Rose per impersonare un cliente e verificare la qualità del servizio. Dato che suo padre era morto, il signor Rose era quindi l’unico a sapere che adesso Tarnogol era lei. Così, quando il signor Rose ha appreso che Jean-Bénédict aveva scoperto il suo segreto, ha pensato che lei fosse in pericolo.”

* * *

Sabato 15 dicembre. Poche ore prima dell’omicidio

Il signor Rose camminava avanti e indietro nel suo ufficio al Palace. Era molto preoccupato. Lev lo guardava, un po’ smarrito.

“Non stia in pensiero, signor Rose, ho la situazione sotto controllo.”

“Sotto controllo? Da quanto ti chiedo di smetterla di giocare con il fuoco? Sapevo che avresti finito per farti prendere. Ti rendi conto che rischi la prigione e una multa colossale! La tua carriera sarà distrutta! Ti toglieranno tutto ciò che possiedi!”

“Jean-Bénédict ha accettato di non rivelare niente se domani interpreterò un’ultima volta il ruolo di Tarnogol durante una conferenza-stampa, per farlo nominare presidente. Dopo sparirò per sempre.”

“E tu credi che la giustizia non ti troverà?”

“Nessuno saprà mai niente,” assicurò Lev.

“Insomma, Lev,” si arrabbiò il signor Rose, “tu che sei tanto intelligente, come puoi essere così ingenuo? Credi che Macaire Ebezner accetterà di farsi fregare la banca dal cugino a causa di un grottesco ricatto? Tutta questa storia andrà a finire molto male!”

“Signor Rose, stia tranquillo, ho previsto tutto,” disse Lev, dopo un lungo silenzio.

“Questo non mi tranquillizza affatto. Cosa hai previsto?”

“Vedrà, tutta questa storia scoppierà tra le mani di Jean-Bénédict Hansen,” affermò Lev. “Gli starà proprio bene: è sempre stato un ipocrita. Da anni coltivava velleità di potere all’interno della banca, in particolare dopo la morte di Abel Ebezner. Quindi mi sono cautelato con... Come dire?... Con un’assicurazione sulla vita a sue spese.”

“Un’assicurazione sulla vita?”

“Sapevo che il personaggio di Tarnogol alla fine sarebbe stato smascherato. In quindici anni le procedure bancarie sono molto cambiate. Quindici anni fa non si facevano troppe domande sui flussi finanziari, oggi non è più così. Mi rendevo perfettamente conto che le autorità di sorveglianza bancaria avrebbero finito per ficcare il naso. Quindi ho deciso di proteggermi. Ho raccolto alcuni oggetti appartenenti a Jean-Bénédict per metterli nella residenza privata di Tarnogol. Mi sono adoperato per far coincidere le loro agende. Come quel famoso lunedì sera, quando ho spedito Macaire a Basilea: sapevo che Jean-Bénédict era a Zurigo. Ho anche venduto la residenza privata di rue Saint-Léger, che avevo comprato tramite una società di comodo, a Jean-Bénédict per un tozzo di pane. Pensava di investire in un fondo immobiliare: gli ho parlato di ritorni economici sensazionali, mi ha dato piena fiducia. Ha girato dei fondi alla società di comodo e, alla fine, si è ritrovato proprietario di un immobile a Ginevra senza nemmeno saperlo. Non mi ha mai fatto domande, soprattutto perché gli fruttava parecchio. Ma erano soldi che gli versavo io stesso in modo che non si insospettisse. Insomma, tutto questo per dirle che volevo confondere le tracce, nel caso si fosse rivelato necessario. Mi resta un’ultima cosa da fare.”

“Quale?” chiese il signor Rose.

“Nascondere una maschera di Tarnogol nella suite di Jean-Bénédict.”

Pochi minuti dopo Lev passò a trovare Jean-Bénédict Hansen nella sua camera con il pretesto di preparare la conferenza-stampa dell’indomani.

“Di cosa vuoi parlare a quest’ora?” disse seccato Jean-Bénédict Hansen. “Stavo per andare a letto.”

“Dobbiamo assicurarci che tutto funzioni perfettamente,” disse Lev. “I giornalisti faranno un sacco di domande: bisogna sapere cosa rispondere.”

All’improvviso bussarono alla porta della suite. “Ancora?” si irritò Jean-Bénédict Hansen. “Ma cos’è questa abitudine di disturbare la gente nel bel mezzo della notte?” Aprì la porta imbufalito, ma si calmò vedendo che si trattava del signor Rose.

“Mi scusi, signor Hansen,” disse il signor Rose, “so che è un’ora indebita, ma le circostanze sono eccezionali. Dal momento che lei è incaricato, a nome del Consiglio, dell’organizzazione del Gran Weekend, devo assolutamente parlarle.”

“Cosa succede?”

Approfittando che Jean-Bénédict era distratto dal visitatore, Lev aprì con discrezione la porta-finestra.

“Gli ispettori della polizia sanitaria sono ancora nelle cucine. Ci terrei molto che li incontrasse, di modo che possano confermarle che l’intossicazione non è legata in alcun modo al cibo preparato qui in albergo.”

Jean-Bénédict non sembrava molto entusiasta, ma il signor Rose insisté e alla fine accettò. Lev lasciò la camera 622 per tornare nella sua, mentre i due uomini si diressero verso gli ascensori.

Nel segreto della notte, Lev, con in mano un sacchetto in cui c’erano il volto in silicone di Tarnogol e un cappotto indossato da quest’ultimo, passò dal suo balcone a quello della 623 – la camera di Tarnogol –, poi raggiunse quello della 622, penetrando nella suite di Jean-Bénédict Hansen dalla porta-finestra aperta. Dopodiché utilizzò il telefono della camera per chiamare la reception e ordinare per l’indomani mattina una colazione identica a quella che aveva l’abitudine di prendere Tarnogol: uova, caviale e un bicchierino di vodka.

* * *

Qual era lo scopo di questa manovra?” chiese Scarlett.

“Durante la conferenza-stampa che Jean-Bénédict voleva convocare il giorno dopo, l’avrei accusato pubblicamente di aver interpretato Tarnogol per quindici anni e di avere tradito la banca. Da Ginevra a Verbier, tutte le prove erano predisposte. Avrei detto di aver indagato per mesi, di avere scoperto che era il proprietario della residenza privata di rue Saint-Léger, e che bastava perquisire la camera e vedere cosa c’era negli armadi e nella cassaforte (dove si trovavano le azioni di Macaire). La trappola si sarebbe richiusa su di lui.”

“Ma il signor Rose sapeva che, grazie al suo piano, se avesse eliminato Jean-Bénédict Hansen, l’avrebbe messa al sicuro per sempre, perché tutti avrebbero pensato che era stato lui a interpretare Tarnogol. Così, nel cuore della notte, in gran segreto, è andato a uccidere Jean-Bénédict Hansen con due colpi di rivoltella. L’ha protetta come un figlio. È stato un gesto di amore assoluto,” dissi.

“Alla fine il signor Rose mi ha confessato tutto una sera a Ginevra, quando era venuto per darmi il suo sostegno durante il processo. Era tormentato dal crimine che aveva commesso. E soprattutto, pensava che fosse colpa sua, che uccidendo Jean-Bénédict Hansen aveva affrettato la mia caduta. Non riusciva a perdonarselo. Ripeteva che avrei perso tutto a causa sua. La mia condanna lo ha annientato. Alla fine si è suicidato il giorno prima che io uscissi di prigione. Aveva fatto di me il suo erede universale,” concluse Lev, commosso.

“Le ha lasciato il Palace?” disse Scarlett. “Quindi è lei il direttore di questo albergo, l’inafferrabile direttore che cerco invano da quando sono arrivata?”

“Sì. Quando sono venuto a sapere che stavate indagando sull’omicidio della camera 622, all’inizio mi sono preoccupato. Poi mi sono detto che era l’occasione per fare definitivamente luce su questa faccenda.”

“Signor Levovitch, dov’è adesso la pistola del signor Rose?” chiesi.

Lui abbozzò un sorriso.

“È stata requisita dalla polizia dopo il suo suicidio. Nessuno l’ha mai collegata all’omicidio del Palace. Poiché ero il suo erede, un giorno, molto tempo dopo il mio rilascio dalla prigione, un poliziotto mi ha contattato per dirmi che potevo riavere la sua arma. Ho detto che non la volevo. Allora il poliziotto mi ha comunicato: ‘Se non viene a prenderla, la distruggeremo.’ Gli ho detto: ‘Distruggetela.’ E l’hanno fatto. La polizia ha distrutto la sola prova che potesse incriminare il signor Rose. È stato il mio modo di proteggerlo. Cosa siamo capaci di fare per difendere le persone che amiamo? È da questo che si misura il senso della nostra vita.”

L'enigma della camera 622
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