34.
La votazione finale
Sabato 15 dicembre. Il giorno prima dell’omicidio
Erano le quattro e mezzo. Dopo aver fatto una passeggiata in paese, Lev era appena arrivato al sesto piano del Palace. Stava percorrendo l’ampio corridoio per tornare nella sua camera, quando all’improvviso, sbucando da dietro gli spessi tendaggi, una mano lo afferrò per la spalla.
Si girò di soprassalto.
“Anastasia?” esclamò. “Ma...”
Lei lo baciò e si rannicchiò contro il suo petto.
“Anastasia, che fine avevi fatto? Ero preoccupato a morte! Che cosa ci fai a Verbier?”
“Dovevo venire per vedere Macaire. È in grande pericolo, lui...”
Lev le posò un dito sulle labbra per farle segno di non dire una parola di più, poi la trascinò nella sua suite prima che qualcuno potesse vederli.
“Macaire sta per fare una terribile sciocchezza,” disse Anastasia dopo che Lev ebbe richiuso la porta della camera.
“Una sciocchezza di che genere?”
“Credo che voglia uccidere Tarnogol.”
“Come?”
“Lev, è una cosa molto grave. Macaire ha lavorato come spia per il governo svizzero.”
Lev scoppiò a ridere.
“È uno scherzo?” chiese.
“Niente affatto. Ha partecipato a diverse operazioni che miravano a proteggere gli interessi della piazza finanziaria svizzera. Sembra che sia anche collegato indirettamente a un duplice omicidio: un ex informatico della banca e sua moglie, che volevano consegnare i nomi di alcuni clienti al fisco spagnolo.”
“Nel caminetto della mia suite all’Hôtel des Bergues Alfred ha trovato i resti di un quaderno, ma il contenuto era illeggibile.”
“Erano le confessioni di Macaire. Ho bruciato tutto, per proteggerlo. Oh Lev, se tu sapessi...”
Non riuscì a terminare la frase: era troppo turbata. Lev, sentendola vacillare, l’abbracciò.
“Devo assolutamente parlare a Macaire,” disse lei, dopo un lungo singhiozzo. “L’ho visto poco fa, ero nascosta, ma non era solo.”
“È meglio che tu non lo veda,” le consigliò Lev.
“Perché?”
“Perché ho paura che rinunci a partire con me per restare con lui. Ho paura di perderti come quindici anni fa.”
“No, Lev, è con te che voglio stare. Ma non voglio che succeda qualcosa di brutto a Macaire. Voglio il suo bene!”
Lev assunse un’aria grave.
“Me ne occupo io, te lo prometto!” disse. “Macaire sarà presidente. Andrà tutto bene per lui. Devi fidarti di me. E soprattutto, non lasciare questa camera per nessun motivo!”
Poco dopo le cinque, nella sala delle Alpi, dove era iniziata la seduta del Consiglio.
In qualità di membro più anziano del collegio, era Horace Hansen a presiedere le discussioni dopo la morte di Abel Ebezner. Decise che era inutile accollarsi lunghe discussioni.
“È da quasi un anno ormai che confrontiamo i nostri punti di vista sui candidati,” rammentò. “Credo che sia stato detto tutto e che tutti abbiano avuto il tempo di fare la propria scelta. Possiamo passare direttamente al voto. Io do il mio a Macaire Ebezner.”
Tarnogol si sforzò di mascherare la propria sorpresa.
“Anch’io voto per Macaire Ebezner,” annunciò di slancio Jean-Bénédict.
“Due voti per Macaire,” contò Horace, che aveva fretta di chiudere. “La faccenda è risolta.”
A quel punto Tarnogol afferrò la sua borsa di pelle ed estrasse un computer portatile.
“Ho un’informazione di capitale importanza da condividere con voi. Un’ora fa ho ricevuto questa e-mail da un indirizzo anonimo,” disse.
Sei e un quarto. Macaire, nel corridoio di fronte alla sala delle Alpi, aspettava con febbrile impazienza un segno del cugino. Attraverso la parete, gli giungevano i suoni di un’accesa discussione, ma non riusciva a distinguere cosa stessero dicendo.
All’improvviso la porta si aprì bruscamente e apparve Jean-Bénédict. Sembrava sconvolto.
“Allora?” chiese Macaire.
“Allora hai perso!” disse Jean-Bénédict, incredulo e stravolto. “Ha vinto Levovitch.”
“Come?!”
“Non ho potuto fare niente. Abbiamo proceduto al voto. È finita. Levovitch è stato eletto presidente.”