33.
Tradimenti

Sabato 15 dicembre. Il giorno prima dell’omicidio

Quel giorno, a Verbier, erano le tre quando Macaire, che era andato a pranzo fuori, rientrò al Palace. Di lì a due ore il Consiglio si sarebbe riunito per la votazione finale.

A fine mattinata, Macaire aveva lasciato il Palace perché aveva sentito il bisogno di schiarirsi le idee e trovare un po’ di calma: non sopportava più di incrociare nelle sale dell’albergo i dipendenti della banca, che lo lusingavano tutti chiamandolo “Signor presidente” e sfoggiando sorrisi complici. Tutte quelle manfrine lo innervosivano. Aveva sentito il bisogno di un po’ di tranquillità e si era recato da Dany, un piccolo ristorante che amava particolarmente all’arrivo delle piste da sci, raggiungibile a piedi, dove aveva mangiato – la passeggiata gli aveva riaperto lo stomaco – una croûte au fromage seguita da una fonduta.

Mentre Macaire passava davanti alla reception, un dipendente lo riconobbe e lo fermò.

“Signor Ebezner, volevo informarla che è arrivata sua moglie.”

“Mia moglie?”

“Sì, non avevo ancora avuto il piacere di incontrarla. Anastasia Ebezner, è sua moglie, no?”

“Sì, assolutamente,” confermò Macaire, illuminandosi in volto.

“La signora ha chiesto un duplicato della chiave della sua suite e, dal momento che lei era assente, mi sono permesso di darglielo.”

“Ha fatto bene.”

Macaire salì prontamente in camera, ma quando entrò, Anastasia non c’era. Gli aveva però lasciato una scritta con il rossetto sullo specchio del bagno:

Sono qui, micino mio.

A.

Il rossetto era sul bordo del lavandino. Macaire lo prese e lo baciò. Quel rossetto, che Anastasia si procurava esclusivamente in un negozietto di Parigi e contro il quale Macaire aveva così spesso inveito quando, in viaggio per conto della P-30 nella capitale francese, aveva dovuto attraversare la città intasata dal traffico per comprarglielo. Quel rossetto, adesso, lo adorava. Lo venerava. Anastasia era venuta! Era venuta per sostenerlo! Avrebbero affrontato quella prova insieme, ne sarebbero usciti più uniti e più innamorati che mai. Macaire si sentì invadere da un travolgente senso di gioia. Improvvisamente, in virtù di tutto ciò che rappresentava, quel tubicino di cosmetico lo riempì di forza e di felicità. Era pronto a fronteggiare Tarnogol e recuperare quella presidenza che gli spettava di diritto. Aveva voglia di vederla, di stringerla tra le braccia. Ma dov’era?

Era nell’armadio a muro, a pochi metri da lui, e lo osservava dall’interstizio tra le porte senza osare mostrarsi. All’inizio aveva esitato a venire a Verbier. Poi, una volta giunta in paese, aveva esitato a mostrarsi al Palace. Come avrebbe reagito vedendola? Cosa sarebbe successo tra loro? Aveva preparato minuziosamente quel momento, ma adesso si sentiva così agitata che non sapeva più cosa fare. Non sapeva nemmeno più perché era venuta. Per sostenerlo ed essere al suo fianco nel giorno più importante della sua carriera? O per annunciargli la terribile notizia: che era tutto finito e che a Ginevra avrebbe trovato la sua casa vuota? Forse per ora era meglio non dire nulla, per non rovinargli il grande momento. Bisognava anzitutto capire come avrebbe reagito vedendola.

Nell’istante in cui si accingeva a rivelare la sua presenza, sentì all’improvviso dei rumori sordi. Come se qualcuno bussasse contro un vetro.

Macaire sussultò e si girò verso la porta-finestra.

“Wagner!” gridò quando scorse sul balcone il suo agente di collegamento.

Lei rimase nascosta. Wagner? E chi era? Sentì Macaire aprire la porta-finestra e uscire sul balcone, richiudendosi il battente alle spalle per non far entrare nella stanza l’aria gelida. Ma non riuscì a udire quello che i due uomini si dissero.

“Wagner,” ripeté Macaire, dopo averlo raggiunto sul balcone. “In nome del cielo, che cosa ci fa lei qui? Mi ha messo una fifa del diavolo!”

“Sono ore che la aspetto qui fuori al gelo,” si lamentò Wagner. “Che fine aveva fatto?”

“Sono andato a rinfrescarmi le idee, se la cosa non la disturba troppo.”

“Le sembra il momento di andare a prendere una boccata d’aria? Mancano poche ore all’annuncio. Potrebbe spiegarmi perché Tarnogol è ancora in vita?”

“Non si preoccupi, è tutto sotto controllo! Horace e Jean-Bénédict Hansen voteranno per me. Sono sicuro di diventare presidente.”

“Come fa a esserne così certo all’improvviso?”

“Ho stipulato un accordo: in cambio del loro voto, ribattezzerò la banca Ebezner-Hansen e tra quindici anni cederò il comando a Jean-Bénédict. Ormai è fatta.”

Wagner storse il naso.

“Non capisco i suoi indugi, Macaire: sarebbe stato molto più semplice eliminare quella canaglia di Tarnogol. Be’, se la sbrogli pure come vuole, basta che ottenga la presidenza. Non trovo tuttavia molto prudente da parte sua mettere il suo destino nelle mani degli Hansen: basterebbe che Tarnogol gli facesse cambiare idea e...”

“Se Tarnogol fa l’idiota, lo ucciderò!” lo interruppe Macaire, estraendo dalla tasca la fiala di veleno.

A quelle parole, Wagner lo fissò come se fosse l’ultimo degli imbecilli:

“Lei non è che un dilettante, Macaire! È già troppo tardi: il veleno ci mette dodici ore per agire. L’avevo avvisata. Bisognava avvelenare Tarnogol ieri sera. Se crepa dopo avere nominato presidente Levovitch, lei sarà il primo a essere accusato.”

“Merda!” imprecò Macaire.

“Roba da non crederci! Lei non ha fatto che disobbedire ai miei ordini! Se avesse seguito il piano fin dall’inizio, non saremmo arrivati a questo punto. A volte non c’è un’alternativa possibile, Macaire. Questo è l’insegnamento che può trarre dai suoi dodici anni all’interno della P-30!”

“Allora come faccio se devo sbarazzarmi di Tarnogol?” chiese Macaire, improvvisamente allarmato dall’assenza di un piano di riserva.

Wagner aveva ai suoi piedi un sacchetto di carta. Ne estrasse una bottiglia di vodka Beluga.

“Questa bottiglia sarà la sua ultima possibilità, Macaire. Il suo contenuto è avvelenato. Ne faccia bere un bicchiere a Tarnogol e morirà entro un quarto d’ora. Convulsioni, arresto cardiaco, e il lavoro è fatto. In linea di massima, il veleno passerà inosservato all’autopsia.”

“In linea di massima?”

“Non è del tutto irrilevabile, al contrario dell’altro, che agisce più lentamente. Ma ci sono poche probabilità che un medico legale faccia eseguire gli esami necessari per individuare la presenza di questa sostanza nel corpo di Tarnogol. Eviti semplicemente di farsi vedere in giro con questa bottiglia, o mentre la dà a Tarnogol prima che stramazzi sulla moquette. Potrebbe attirare i sospetti su di sé, non so se mi spiego.”

“Ma se ci sarà un’indagine,” disse Macaire in preda al panico, “se faranno gli esami, se...”

“Mantenga la calma, Macaire. Andrà tutto bene. Gli faccia bere un bicchiere di questa bottiglia e sarà tutto risolto.”

“E come riuscirò a fargli trangugiare un bicchiere di questa vodka?”

“Secondo le mie informazioni, il Consiglio della banca terrà la sua ultima discussione alle cinque. Lo so perché la sala delle Alpi, dove si sono già riuniti ieri sera, è prenotata per loro a partire da quell’ora. Il Consiglio resterà nella sala fino alle sette di sera, quando i membri si recheranno direttamente nella sala da ballo per annunciare il nome del nuovo presidente. Quindi sappiamo che intorno alle sei e mezzo Tarnogol ordinerà una vodka nella sala. È un vecchio rituale a cui tiene molto: tutti i giorni, al mattino e a fine pomeriggio, ovunque si trovi, si fa servire un bicchiere di vodka. E beve solo la Beluga.”

“E dovrei portargliela io, perché poi crepi subito dopo?”

“Mi lasci finire, Macaire, e presti bene ascolto alle mie istruzioni, sant’Iddio! Crede che noi della P-30 siamo dei dilettanti? Le ordinazioni fatte nelle sale non sono gestite dal bar del Palace, ma direttamente da un dipendente responsabile delle sale. Dispone di un piccolo spazio di lavoro, proprio accanto alla sala delle Alpi. C’è una nicchia con un piccolo banco e, dietro, un armadietto in ebano al cui interno c’è una selezione di alcolici. È lì che verrà preparata l’ordinazione di Tarnogol. Sostituisca la bottiglia di Beluga che c’è nell’armadietto con questa. Nel sacchetto troverà anche dei guanti di plastica: li indossi per non lasciare impronte. Per evitare qualsiasi confusione, la bottiglia avvelenata ha una croce rossa sull’etichetta posteriore. Lasci questa bottiglia nel bar. Non deve fare altro.”

“E se qualcun altro ordina una vodka?”

“Nelle sale non ci sarà nessuno all’infuori del Consiglio. E non c’è alcun rischio che Jean-Bénédict Hansen o suo padre ne bevano, perché detestano la vodka.”

“Avrei preferito sistemare le cose con i miei mezzi, non dover arrivare a tanto... Non sono un assassino...” mormorò Macaire con lo sguardo perso nel vuoto.

“Lei agisce per il bene del suo paese, Macaire. Non è un omicidio, è un gesto patriottico. La Svizzera gliene sarà riconoscente per sempre. Adesso si sbrighi e vada a mettere questa bottiglia nel bar delle sale al primo piano. È la sua ultima possibilità. Non si può più permettere errori, spero ne sia consapevole.”

Nascosta nell’armadio a muro, lei sentì la porta del balcone che si apriva. Attraverso l’interstizio, vide Macaire e un altro uomo – probabilmente quel Wagner – attraversare la stanza. Macaire teneva in mano un sacchetto di carta. Prima che lasciassero insieme la camera, fece in tempo a sentire quel Wagner che diceva: “La sua avversione per l’assassinio le fa onore, Macaire. Ma è ora che lei si sbarazzi di Tarnogol. Lo uccida prima che lui rovini il suo fine-settimana e distrugga la sua vita!”

La porta si richiuse. Erano usciti. Lei rimase paralizzata dall’orrore.

Nel corridoio, Wagner scortò Macaire fino all’ascensore. Quando le porte si aprirono, gli disse: “Buona fortuna, Macaire! Probabilmente è l’ultima volta che ci vediamo. Porti a compimento la sua missione. È meglio che io non rimanga nei paraggi. Una volta che verrà eletto presidente, sarà come se niente di tutto questo fosse mai esistito. Né la P-30, né le sue missioni, né nient’altro. Quindi le dico addio. E grazie per i suoi dodici anni di servizio impeccabile.”

Per un attimo Macaire pensò di parlare delle foto di cui era in possesso Tarnogol. Ma rinunciò: meglio non gettare benzina sul fuoco. Wagner sparì dietro una porta di servizio, mentre Macaire scese al primo piano. Seguì un corridoio che dava su una serie di sale private. Vide la sala delle Alpi e, lì accanto, una nicchia proprio come gliel’aveva descritta Wagner, con un banco e un armadietto in ebano.

Dopo essersi assicurato che non c’era nessuno nei dintorni, si infilò i guanti e mise la bottiglia di Beluga con la croce in mezzo ai superalcolici, al posto di un’altra bottiglia della stessa marca di cui si affrettò a sbarazzarsi nei bagni vicini. Poi, preoccupato all’idea di lasciare una bottiglia piena di veleno alla portata di tutti, decise di restare nelle vicinanze e di tenerla d’occhio. Scorse una poltrona e andò a sedersi. Era un punto d’osservazione perfetto: poteva sorvegliare allo stesso tempo l’armadietto con gli alcolici e la porta della sala delle Alpi, dove dopo un’ora e mezza si sarebbe ritirato il Consiglio per la deliberazione finale. Restava solo da attendere. Se fosse stato eletto presidente, Macaire avrebbe recuperato la bottiglia di vodka avvelenata prima che un impiegato dell’albergo ne servisse un bicchiere a Tarnogol. Ma se per caso gli Hansen non avessero mantenuto la parola, allora avrebbe lasciato che le cose seguissero il loro corso. Tarnogol sarebbe stato stroncato dal veleno. Sarebbe morto quasi immediatamente in preda alle convulsioni. Gli Hansen avrebbero compreso il messaggio. In quell’istante, però, Macaire si rese conto che non aveva modo di conoscere il risultato dell’elezione prima dell’annuncio ufficiale. Tarnogol doveva essere neutralizzato nella sala delle Alpi. Aveva bisogno di un complice. Afferrò il cellulare e chiamò Jean-Bénédict, che stava riposando nella sua camera cinque piani più in alto. Lo pregò di raggiungerlo davanti alla sala delle Alpi e Jean-Bénédict venne subito.

“Va tutto bene, cugino?” chiese preoccupato Jean-Bénédict.

“Tutto bene,” rispose Macaire. “Ma ho bisogno del tuo aiuto.”

“Certo. Cosa posso fare per te?”

“Non appena vedi che il Consiglio si è accordato sulla mia elezione, mandami un messaggio sul cellulare.”

“I cellulari sono proibiti durante il Consiglio,” spiegò Jean-Bénédict. “È la regola.”

“Allora fingi un’impellenza ed esci dalla sala. Io non mi muoverò da qui.”

“Ma perché vuoi che ti avvisi? Sarai tu il presidente, ti ho già avvisato.”

“Fallo!” insisté Macaire. “Non farmi domande: fallo e basta! È molto importante.”

L'enigma della camera 622
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