51.
La Talpa
Primo martedì di aprile, quattro mesi dopo l’omicidio. Verso la fine del pomeriggio, nella sede della Polizia Giudiziaria di Ginevra in boulevard Carl-Vogt, il tenente Sagamore subiva una solenne lavata di capo dal comandante Hélène Righetti.
“Insomma, tenente,” disse seccata Hélène Righetti, “sono quattro mesi che questo omicidio è stato commesso e ancora non ha niente?”
“È un caso più complicato di quanto non sembri,” spiegò Sagamore.
“Tenente, le ricordo che è stato lei a volere che la polizia di Ginevra fosse incaricata di questo caso...”
“Dopo la scoperta che abbiamo fatto nella camera della vittima,” si giustificò Sagamore, “era evidente che l’indagine dovesse essere coordinata da Ginevra...”
“E io sono intervenuta in suo favore presso la polizia vallese, che ha accettato di affidarci le redini del caso,” lo interruppe in tono secco il comandante Righetti, per zittire ogni obiezione.
“Gliene sono molto grato,” assicurò Sagamore.
“E allora mi mostri la sua gratitudine chiudendo il caso, tenente! Perché per il momento passo per un’idiota. E lei assieme a me!”
“Signora, sono profondamente convinto che il bandolo di questa vicenda si trova a Ginevra ed è legato alla Banca Ebezner. Il furto presso il domicilio di Macaire Ebezner, due giorni prima dell’omicidio, non è stato una coincidenza. Poi c’è stata l’intossicazione al Palace de Verbier, che ha impedito la proclamazione del nuovo presidente della banca. E la notte seguente, l’omicidio di uno dei membri del Consiglio. È tutto collegato, resta da capire come.”
“Avrà pure un sospetto, no?”
“Nessun nome preciso, signora.”
Il comandante Righetti sospirò.
“Ha fatto perquisire la banca?” chiese.
“No, soltanto l’ufficio di Jean-Bénédict Hansen.”
“Se tutto è collegato alla banca come lei pensa, perché non ha condotto una perquisizione dell’intero edificio?”
“Non c’è bisogno di una perquisizione, signora. Ho qualcosa di meglio: dispongo di una talpa all’interno della Banca Ebezner.”
“Come?” trasecolò il comandante Righetti. “Lei ha introdotto una talpa all’interno della banca senza prima parlarmene?”
“Si tratta di un puro caso,” spiegò Sagamore. “La talpa è lì da mesi. La squadra finanziaria sta conducendo un’operazione di infiltrazione all’interno della Banca Ebezner con l’appoggio della Polizia Federale. Ci sarebbero sospetti di malversazioni ai vertici della banca.”
Righetti alzò gli occhi al cielo.
“Faccia come vuole, Sagamore, ma mi chiuda rapidamente questo caso!” disse.
Detto ciò, il comandante lasciò l’ufficio del tenente Sagamore. Questi, seduto alla sua scrivania, osservò a lungo l’enorme lavagna a muro sulla quale aveva annotato tutti gli elementi dell’indagine. Poi guardò l’ora e considerò che forse la talpa era tornata dalla banca. Alzò la cornetta e chiamò l’Unità Crimini Finanziari al piano di sotto. Effettivamente era lì. Le chiese di passare da lui per discutere dell’indagine.
Per la Talpa, tutto era cominciato poco più di un anno addietro, vale a dire subito prima della morte di Abel Ebezner, quando la divisione antiriciclaggio della Polizia Federale aveva emesso un’allerta circa importanti movimenti di denaro di provenienza sospetta in alcune banche ginevrine.
L’indagine, condotta in collaborazione con l’Unità Crimini Finanziari della Polizia Giudiziaria di Ginevra, aveva preso di mira la Banca Ebezner e si era ben presto concentrata su Sinior Tarnogol. Ma più i poliziotti avevano cercato di indagare su Tarnogol, più si erano trovati di fronte a un muro: non disponevano di alcun elemento precedente a quindici anni prima, quando il russo si era sistemato a Ginevra, in una residenza privata al numero 10 di rue Saint-Léger. Prima di allora, niente. Come se non fosse mai esistito. L’unico documento di identità disponibile era un vecchio passaporto di una ex repubblica sovietica i cui archivi erano stati parzialmente distrutti, cosa che aveva reso impossibile ulteriori approfondimenti. Sulla base del suo passaporto, Tarnogol aveva ottenuto un permesso di soggiorno corrompendo un impiegato senza troppi scrupoli del servizio anagrafe del Cantone di Ginevra. Poiché quest’ultimo gli aveva di recente rinnovato il permesso per altri dieci anni, gli investigatori avevano potuto risalire facilmente a lui e l’avevano smascherato.
Ma l’impiegato era stato incapace di dare la benché minima informazione su Tarnogol: quell’uomo sembrava totalmente inafferrabile. Durante i mesi successivi, i tentativi di pedinamento non avevano dato alcun risultato. Tarnogol sembrava dileguarsi nel nulla. Quanto alla sua rete di conoscenze, era molto limitata, il che era insolito per un uomo ricco come lui. A ciò che si sapeva, non aveva né amici, né famiglia, né relazioni d’altro tipo. I soli legami noti conducevano a Macaire Ebezner, che gli aveva ceduto le sue azioni della banca di famiglia, e a Lev Levovitch che, secondo gli elementi a disposizione degli investigatori, aveva presentato Tarnogol ad Abel Ebezner quindici anni prima.
All’inizio dell’estate precedente, dopo sei mesi di indagini che non avevano fornito alcun elemento concreto, era stato deciso di far assumere un membro della Crimini Finanziari nella Banca Ebezner, affinché indagasse in segreto. Una delle recenti reclute dell’unità corrispondeva al profilo perfetto: aveva fatto studi di economia e lavorato all’interno di una banca prima di entrare nella polizia. Disponeva dell’esperienza necessaria per ingannare tutti.
Affinché l’operazione potesse avere luogo, era stato necessario beneficiare di un complice nelle alte sfere della Banca Ebezner.
* * *
Giugno dell’anno prima
Nella grande serra dell’orto botanico di Ginevra.
Non c’era nessuno in giro, a eccezione dell’uomo in attesa sul piccolo ponte di legno che sovrastava lo specchio d’acqua. Era nervoso. Si chiedeva cosa volesse da lui la Finanziaria. Sì, c’era qualche piccola dimenticanza volontaria nelle sue dichiarazioni dei redditi – ma chi non si comportava così? E perché farlo venire lì? Appoggiato al parapetto, guardava due tartarughe che nuotavano pacificamente tra le ninfee bianche.
I due ispettori – la Talpa, accompagnata dal capo della Crimini Finanziari –, dopo essersi assicurati per mezzo di una foto che l’uomo fosse proprio la persona che aspettavano, uscirono da dietro il grande cespuglio fiorito dove si erano nascosti e raggiunsero a loro volta il ponte.
La polizia aveva deciso di avvicinare Jean-Bénédict Hansen perché il suo profilo era stato giudicato il più affidabile all’interno della banca. Nel segreto della grande serra, dove a fargli da testimoni c’erano solo le carpe multicolori e le tartarughe acquatiche, il capo della Finanziaria, dopo averlo accostato, gli spiegò le ragioni di quell’incontro.
“Una missione di infiltrazione?” si stupì Jean-Bénédict, fissando la Talpa.
Quest’ultima, ovviamente, non aveva rivelato la vera natura della sua missione all’interno della banca, fornendogli un pretesto preparato in anticipo.
“Stiamo indagando su un presunto riciclaggio di denaro proveniente dal traffico di droga da parte di alcuni clienti della banca che non sono ancora stati identificati. Deve rimanere un segreto assoluto, perfino per il Consiglio.”
“Può stare tranquilla,” assicurò Jean-Bénédict, ben contento di essere al centro di un piccolo intrigo con cui non aveva niente a che fare.
“Pensa di potermi far assumere alle dipendenze di Sinior Tarnogol?” chiese la Talpa.
“È complicato, non vuole una segretaria. È un tipo molto misterioso. E poi non ha clienti. No, la soluzione migliore è che lavori con uno dei gestori. Sarebbe la cosa più discreta. In questo momento c’è mio cugino Macaire che è superimpegnato. Dopo la morte di suo padre si è fatto sopraffare dal lavoro. Potrei sempre dirgli che ho preso una segretaria che lo aiuti.”
“Parla di Macaire Ebezner?” si informò il capo dell’Unità Crimini Finanziari.
“Sì, lo conosce?”
“Di nome.”
Quello stesso giorno, di ritorno in banca, Jean-Bénédict era passato da Macaire e aveva recitato la scenetta preparata con i poliziotti.
“Caro cugino,” aveva detto, estasiato, “ti ho trovato una perla rara! Una segretaria che potrà aiutarti a riprendere in mano i tuoi fascicoli. Esperienza solida e tutto il resto. Grazie a lei, non avrai più noie con i tuoi clienti.”
“Oh, Jean-Béné, tu mi salvi!” lo aveva ringraziato Macaire. “Non ti nascondo che non mi ci raccapezzo più.”
La Talpa era arrivata in banca pochi giorni dopo. All’inizio era stata sistemata nell’ufficio comune di tutte le segretarie del piano della gestione patrimoniale, ma dopo qualche giorno aveva chiesto a Jean-Bénédict di essere spostata altrove. Aveva bisogno di un luogo più discreto, nel cuore dell’azione, dove non sarebbe stata costantemente spiata dalle colleghe. Aveva suggerito l’anticamera davanti agli uffici di Macaire Ebezner e Lev Levovitch, gli unici due legami conosciuti con Sinior Tarnogol. E Jean-Bénédict, prendendo molto a cuore il proprio ruolo, era andato a persuadere il cugino.
“Di’ un po’, Macaire, perché non suggerisci alla tua nuova segretaria di trasferire la sua postazione davanti al tuo ufficio? Potrebbe aiutarti senza che si noti troppo, non so se mi spiego. Se gli altri si accorgessero che svolge una parte del tuo lavoro, non farebbe una buona impressione. Sai come si fa presto a spettegolare qui... E questo non gioverebbe molto alla tua elezione alla presidenza della banca.”
Macaire aveva trovato quell’argomento convincente e così la Talpa si era spostata a lavorare nell’anticamera. E nei mesi seguenti aveva cercato, attraverso Macaire e Levovitch, di arrivare a Tarnogol. Invano.
* * *
In quel tardo pomeriggio di aprile, nella sede della Polizia Giudiziaria, bussarono alla porta dell’ufficio del tenente Sagamore.
Era la Talpa.
Era Cristina.