19.
L’inizio dei guai
“Lei?” mormorò Macaire, scoprendo che l’individuo del misterioso appuntamento altri non era che Wagner, il suo agente di collegamento della P-30. “Mi ha messo una fifa del diavolo!”
“Buonasera, Macaire,” lo salutò Wagner. “Sono spiacente di averla contattata in questo modo e averle chiesto di vederci così tardi, ma ero certo che a quest’ora saremmo stati soli qui.”
“Ci è mancato poco che le sparassi, vecchio mio!”
“Ha un’arma?”
“Semplice precauzione,” rispose Macaire, leggermente irritato. “Tra il messaggio e questa messinscena, ho creduto a una minaccia. Vuole spiegarmi questa sceneggiata? Perché non mi ha contattato alla solita maniera?”
“L’ho fatto! Le ho mandato tre inviti per l’opera, ma lei non è mai venuto. Non la legge più la posta?”
“Mi dispiace, negli ultimi tempi ho accumulato un bel po’ di ritardo con la corrispondenza.”
“Be’, sappia che il suo disordine mi è costato caro: ho dovuto sorbirmi tre volte il Barbiere di Siviglia.”
“Sono desolato. Cosa c’è di così urgente da doverci vedere in piena notte? Si tratta di quello che è successo a Madrid? Perez ha parlato?”
“Non ha niente a che vedere con Madrid. Riguarda la Banca Ebezner. La situazione è critica. La presidenza sta per sfuggirle di mano, ed è un grosso problema.”
“E cosa ha che fare questo con la P-30?” chiese Macaire, che non capiva perché all’improvviso Wagner si immischiasse in quella faccenda.
“In questo momento è la preoccupazione di tutti a Berna,” spiegò Wagner in tono grave. “Fino ai massimi vertici del governo. Il Consiglio Federale esige dai servizi segreti un rapporto quotidiano sulla situazione.”
“Ma perché?”
“Andiamo, Macaire! Sinior Tarnogol sta per diventare il presidente della più potente banca privata della Svizzera! Potrà ben immaginare che questo ci crei dei problemi!”
“Tarnogol presidente della Banca Ebezner? No, nient’affatto, si sbaglia: è Levovitch il vero candidato...”
“E chi vuole mettere Levovitch su quella poltrona? Tarnogol, per l’appunto,” ribatté Wagner. “Non trova strano che da febbraio il Consiglio si sia accordato sul suo nome e, all’improvviso, a pochi giorni dall’elezione, Tarnogol decida che debba essere eletto Levovitch?”
Macaire fu sorpreso di scoprire che Wagner era già al corrente di tutto.
“Una volta eletto,” riprese Wagner, “Levovitch rinuncerà a favore del vicepresidente, vale a dire Tarnogol.”
“Perché dovrebbe farlo?”
“Per soldi. Tarnogol gli darà una montagna di soldi. Tarnogol ha una rete enorme, è potentissimo. Tarnogol è il diavolo. È capace di tutto. Lei deve saperne qualcosa, Macaire, a giudicare dal vostro piccolo scambio di quindici anni fa.”
Macaire preferì non reagire a quest’ultima osservazione.
“Malgrado gli sforzi di suo padre,” proseguì Wagner, “non siamo riusciti a contrastare Tarnogol. Quindi è giunta l’ora di impiegare le maniere forti.”
“Mio padre?” si stupì Macaire.
“Suo padre ha fatto molto per noi.”
“Mio padre era membro della P-30?”
“Un agente eccezionale!” disse Wagner, ammirato.
Macaire rimase al tempo stesso sbalordito e commosso dalla notizia: suo padre e lui avevano avuto lo stesso destino.
“L’unica ragione per la quale suo padre non l’ha nominata direttamente presidente, Macaire, è stata per sbarazzarsi di Tarnogol.”
“Mio padre contava di nominarmi presidente?”
“Sicuro. Mi parlava spesso di lei. La strapazzava un po’ in pubblico, ma in realtà la ammirava. Ovviamente aveva previsto di affidarle la successione, ma noi l’abbiamo dissuaso. Se lei fosse stato eletto presidente, vi sareste ritrovati con Tarnogol come vicepresidente, e mi creda, lui avrebbe fatto di tutto per silurarla e prendere il suo posto. Bisognava trovare un modo per porre fine in maniera discreta a trecento anni di funzionamento della banca.”
“Quindi tutta questa storia della successione era un’operazione della P-30...” mormorò Macaire, che cominciava a comprendere.
Wagner confermò, annuendo.
“Era l’unico modo per liberarsi dell’influenza di Tarnogol. Grazie alla decisione di far eleggere il presidente dal Consiglio, escludendo al tempo stesso che i membri potessero presentarsi come candidati, suo padre da una parte ha ostacolato l’affermazione di Tarnogol, mentre dall’altra ha aperto una breccia che offriva la possibilità di rimodellare il Consiglio. Vede, Macaire, il piano era perfetto. Sapevamo che lei sarebbe stato eletto dal Consiglio, e sapevamo che in seguito avrebbe fatto in modo di cambiare le regole del gioco e designare come vicepresidente qualcuno di sua fiducia. Tarnogol sarebbe stato messo in un angolo. Sarebbe rimasto un azionista, certo, ma avrebbe perso tutto il suo potere.”
“Cos’è che non ha funzionato, allora?”
“Tarnogol si è dimostrato più in gamba di quanto pensassimo. Ci ha sconfitti al nostro stesso gioco. È riuscito a far cambiare idea a Horace Hansen, convincendolo a eleggere Levovitch. Siamo a tre giorni dall’elezione, la situazione è grave.”
“Ma lei ha qualcosa in mente!” dedusse Macaire. “Altrimenti non mi avrebbe convocato.”
“Vedo che è perspicace,” sorrise freddamente Wagner. “Non mi sarei aspettato nulla di meno da lei. Vede, Macaire, abbiamo capito subito che qualcosa non andava all’interno della banca. A gennaio Tarnogol non aveva nessun argomento per imporre il suo pupillo Levovitch a Horace e Jean-Bénédict Hansen. Restavano tutti e due aggrappati alla tradizione dell’istituto. ‘Soltanto un Ebezner può dirigere la Banca Ebezner,’ ripetevano. Ma ecco che, a pochi giorni dall’elezione, questi signori cambiano idea. È stato allora che abbiamo compreso che c’era un verme nella mela. C’è un traditore all’interno della banca che rema per Tarnogol e contro di noi.”
“Un traditore? Che carogna! L’avete identificato?”
“Sì, Macaire,” si limitò a rispondere Wagner con aria misteriosa.
“Parli, sant’Iddio! Di chi si tratta? Non mi dica che è Jean-Béné: non ci crederò mai. Non posso immaginare che non sia fedele alla banca!”
“Non si tratta di Jean-Bénédict,” assicurò Wagner laconico.
“La smetta con i suoi indovinelli, vecchio mio!” si spazientì Macaire. “Avanti, la prego, sputi il rospo!”
Wagner fissò Macaire con sguardo glaciale e, dopo un istante di silenzio, disse in tono sferzante: “Non faccia l’idiota, Macaire, non le si addice affatto! Sappiamo tutto.”
“Ma di che parla?”
“Il traditore è lei!”
“Cosa? Ma è ridicolo!”
“Ridicolo? I suoi risultati annuali sono disastrosi! In tutta la sua carriera in banca non sono mai stati tanto negativi! Tutti i suoi clienti hanno perso soldi! Arriva al lavoro a ore indebite! Non risponde alla posta! Si è sabotato da solo! E Tarnogol, sventolando il suo bilancio sotto il naso dei due Hansen, non ha fatto nessuna fatica a convincerli che non bisognava eleggerla presidente.”
“Ma è completamente assurdo! In nome del cielo, perché avrei dovuto fare una cosa del genere?”
“Per soldi, Macaire! Dio solo sa quanto le ha promesso Tarnogol. Probabilmente di che comprarsi un atollo alle Bahamas e passarci il resto dei suoi giorni. A lei non interessa minimamente di diventare presidente: lo ha già dimostrato quindici anni fa cedendo le sue azioni a Tarnogol. E adesso si accinge a confermarlo, permettendogli di accedere alla presidenza. Tarnogol e lei siete legati! E lei è anche grande amico di Levovitch. Il cerchio si chiude. Voi tre siete il triangolo delle Bermuda.”
“È assolutamente ridicolo!” si ribellò Macaire. “Come può dubitare della mia lealtà dopo tutto quello che ho fatto per la P-30? Sì, ho avuto un brutto anno, su questo ha ragione, ma è comprensibile, date le circostanze. I miei risultati sono sempre stati ottimi, fino alla decisione di mio padre di non nominarmi presidente, che mi ha inferto un colpo terribile al morale!”
“La smetta con la sua messinscena, Macaire! Sappiamo tutto dei suoi legami con Tarnogol. Sappiamo che lei è la sola persona di cui si fidi.”
“I miei legami? Non riesco a credere alle mie orecchie! Lei vaneggia, Wagner! Tarnogol mi detesta, passa il tempo a coprirmi d’ingiurie.”
“Ci prende veramente per idioti?” si arrabbiò Wagner, estraendo dal cappotto una busta che tese a Macaire.
Questi la aprì e trovò all’interno alcune foto scattate qualche giorno prima, nel cuore della notte, nelle quali lo si vedeva entrare nella residenza privata di Tarnogol, al numero 10 di rue Saint-Léger.
“Non le nascondo la nostra sorpresa, Macaire, quando, sorvegliando il domicilio di Tarnogol, i servizi di controspionaggio hanno scoperto le sue visite notturne al suo grande amico.”
“Si sbaglia su tutta la linea,” assicurò Macaire. “Tarnogol mi ha proposto di rendergli un piccolo favore in cambio della presidenza della banca.”
“Che genere di favore?” chiese Wagner.
“Ebbene, per l’appunto lunedì sera, un uomo ha chiamato al ristorante dov’ero a cena e mi ha fornito le seguenti istruzioni: ‘Bisogna recuperare una busta. Si metta in viaggio, vada a Basilea, al bar del Grand Hotel Les Trois Rois, chieda di parlare con Ivan, è uno dei camerieri. Gli ordini un caffè molto ristretto con annessi e connessi. Capirà.’ Ho seguito le istruzioni. Questo Ivan mi ha consegnato una busta, su cui c’era scritto di portarla al numero 10 di rue Saint-Léger a Ginevra, a casa di Tarnogol.”
“E quindi lei è andato a recapitare la busta a casa sua e lui, mi lasci indovinare, l’ha accolta come un re. Vodka costosissima, caviale iraniano e quant’altro. Poi le ha mostrato il quadro con la veduta di San Pietroburgo appeso al muro e le ha raccontato la triste storia della sua famiglia che fa venir voglia di piangere. E alla fine, l’ha chiamata ‘fratello mio’. È così?”
“Esatto... Come lo sa...?”
“Perché lei non è il primo che abbia ceduto a Tarnogol, Macaire. Da anni il controspionaggio sospetta che lavori per i servizi segreti russi. Ha il dono di saper usare la gente. Da quando abbiamo cominciato a seguirlo, abbiamo compilato un fascicolo con le testimonianze di tutti coloro di cui si è servito. Immagino che abbia esultato quando le ha dato del ‘fratello’!” Wagner scoppiò a ridere. “Trova dei creduloni, di cui può disporre a piacimento, e li manipola come creta. Li utilizza e poi se ne sbarazza. Ci sono buone probabilità che quella busta contenesse segreti che saranno consegnati alla Russia. Tecnicamente ha collaborato con uno stato straniero, Macaire. È alto tradimento!”
“L’ho fatto per diventare presidente della banca!”
“Allora mi spieghi com’è possibile che Tarnogol non abbia alcuna intenzione di eleggerla presidente.”
“A causa del disordine che regna nel mio ufficio,” confessò Macaire.
“E lei pensa che io le creda?”
“Ma è la pura verità!”
Wagner si strinse nelle spalle, come se la verità non avesse molta importanza ai suoi occhi.
“Macaire,” disse, “le darò una possibilità di dimostrare la sua lealtà alla banca e alla patria.”
“Mi dia le istruzioni e le eseguirò.”
“È molto semplice: ucciderà Tarnogol.”
Macaire sbarrò gli occhi, sconvolto:
“Come? Un omicidio? Lei è fuori di testa!”
“Non ha scelta, Macaire. È ora di mettere fine a tutto questo scompiglio all’interno della banca, e sarà lei a farlo. Sarà la sua ultima operazione per la P-30. Quella a cui l’abbiamo preparata in tutti questi anni.”
A quelle parole, Macaire comprese improvvisamente la cruda verità: non era stato reclutato per caso dalla P-30.
“Avevate programmato tutto fin dal primo giorno, vero? La mia primissima missione, l’Operazione Nozze di Diamante... Avreste potuto rivolgervi a qualunque altro impiegato della banca. Avreste potuto semplicemente chiedere a mio padre, visto che era un membro della P-30.”
“Ma era una missione estremamente semplice, e dunque un’occasione d’oro per metterla alla prova e forse, in seguito, reclutarla,” disse Wagner. “Cosa credeva? Che avremmo lasciato che la perla del sistema bancario svizzero passasse in mani straniere? Lei si è rivelato un ottimo agente. Questo devo riconoscerglielo: ha sbalordito tutti alla P-30. Ma in realtà c’era un’unica operazione alla quale l’avevamo veramente destinata, nel caso si fosse rivelato necessario: eliminare Tarnogol. Ed è esattamente ciò che farà.”
Macaire sbiancò in volto. Per tutti quegli anni si era lasciato abbindolare come un novellino e ora la trappola si richiudeva su di lui.
“Insomma, Wagner, mi pare che lei abbia perso il senno! D’accordo raccogliere informazioni, ma non si è mai parlato di uccidere qualcuno!”
“Sospettavo che avrebbe fatto delle storie,” disse Wagner, prima di porgere a Macaire una seconda busta.
All’interno, una foto che gli fece rivoltare lo stomaco: l’informatico di Madrid e sua moglie, morti nel loro salotto, giustiziati con un proiettile alla testa.
“Il suo ultimo capolavoro,” sorrise cinicamente Wagner.
“Avete ammazzato quelle povere persone?” mormorò Macaire, spaventato.
“Rappresentavano delle minacce per il nostro sistema bancario! Non avevamo altra scelta che eliminarli...”
“Mi avete usato per assassinarli! Per questo Perez mi ha accompagnato! Non è mai stato arrestato dagli spagnoli, era solo una messinscena! Vi siete assicurati che sarei rimasto segregato nel mio appartamento mentre lui andava a giustiziare quei due poveretti!”
“Andiamo, non faccia così, Macaire! È lei il responsabile di quel duplice omicidio.”
“No, io non ho niente a che vedere con quell’orrore, e lei lo sa perfettamente!”
“Indovini un po’: Macaire, l’arma utilizzata per quel duplice omicidio è una Glock 26, un modello simile a quello che lei ora ha in tasca. Che incredibile coincidenza, non è vero? Credo che lei sia molto più invischiato in questo assassinio di quanto non pensi. Per il momento, la polizia spagnola crede a un furto d’appartamento andato a finire male. Ma dipende solo da noi mettere l’Interpol sulle sue tracce,” disse Wagner con un sorriso maligno.
“Allora sapeva che possedevo un’arma...” mormorò Macaire, completamente smarrito.
“Noi siamo la P-30. Come si renderà conto, ci piace tenerci informati su vita, morte e miracoli dei nostri collaboratori.”
Macaire era terrorizzato. Aveva l’impressione che il mondo gli crollasse addosso. La P-30, che aveva servito con tanta abnegazione, gli si era rivoltata contro.
Ci fu un lungo silenzio durante il quale i due uomini si fissarono. Cominciò a cadere una pioggia torrenziale.
“Mi ascolti attentamente...” disse Wagner, che sembrava non curarsi della pioggia.
All’improvviso risuonò una serie di colpi che interruppero la sua frase a metà. Ci fu un breve silenzio, poi altri colpi.
Scarlett stava bussando alla porta del mio studio.
Alzai gli occhi dal computer e, non appena smisi di lavorare al mio romanzo, la pioggia cessò, il suolo innevato del Parc Bertrand si trasformò di nuovo in moquette, gli alberi spogli e spettrali scomparvero e i mobili della stanza tornarono al loro posto.
Andai ad aprire. Davanti a me c’era Scarlett, incantevole, pronta per andare a cena, con un bell’abito corto. Si era pettinata i capelli su un lato delle spalle nude, lasciando intravedere i diamanti che le luccicavano alle orecchie.
Quando vide la mia aria totalmente stralunata dopo che avevo trascorso le ultime ore immerso nel mio testo, il suo sorriso radioso scomparve e sembrò molto delusa.
“Ha dimenticato la nostra cena?”
“Niente affatto,” mentii. “Stavo giusto finendo il...”
“Non sembra per niente pronto,” mi fece notare.
“Non mi sono accorto che erano già le otto,” ammisi.
“Non è grave, Scrittore, lasci perdere la cena. È evidente che non ha nessuna voglia di uscire. Mi dispiace di averla interrotta mentre era al lavoro, buona serata!”
Stava per voltarsi, quando le afferrai una mano per trattenerla.
“Aspetti, Scarlett, mi dia dieci minuti, il tempo di prepararmi e andiamo.”