2.
Vacanze
Sabato 23 giugno 2018, all’alba, infilai la valigia nel bagagliaio dell’auto e mi misi in viaggio per Verbier. Il sole affiorava sopra l’orizzonte, inondando le strade deserte del centro di Ginevra con un intenso alone color arancio. Attraversai il pont du Mont-Blanc e percorsi i lungofiume fioriti fino al quartiere delle Nazioni Unite, poi imboccai l’autostrada in direzione del Canton Vallese.
Tutto in quella mattina d’estate mi riempiva di stupore: i colori del cielo mi sembravano nuovi, i paesaggi che sfilavano davanti ai miei occhi mi apparivano ancora più bucolici del solito, i paesini disseminati tra i vigneti a strapiombo sul lago Lemano formavano uno scenario da cartolina. Lasciai l’autostrada a Martigny e proseguii sulla stradina a tornanti che, dopo Le Châble, si inerpicava fino a Verbier.
Dopo un’ora e mezza giunsi a destinazione. Il mattino era splendido. Risalii la strada principale e attraversai il paese, poi mi bastò seguire le insegne per arrivare al Palace. L’hotel era nelle immediate vicinanze dell’abitato – pochi minuti a piedi –, ma tutto era sufficientemente appartato perché ci si sentisse in un luogo unico. L’edificio – un tipico albergo di montagna, con torrette e tetti spioventi – era incastonato in un piccolo scrigno di verde, circondato dalla foresta di pini come da una muraglia e affacciato a strapiombo sulla valle del Rodano, di cui si godeva una vista spettacolare.
Al Palace fui accolto da un personale gentilissimo e pieno di premure. Mi sentii subito bene in quel luogo impregnato di serenità. Mentre mi registravo alla reception, l’addetto mi disse:
“Lei è lo scrittore, vero?”
“Sì.”
“È un grande onore averla nostro ospite. Ho letto tutti i suoi libri. È venuto qui per scrivere il suo nuovo romanzo?”
“Tutt’altro!” gli risposi con un sorriso. “Sono venuto per riposare. Vacanze, vacanze, vacanze!”
“Penso che si troverà bene da noi. È in una delle nostre suite più belle, la 623.”
Un fattorino mi accompagnò con i bagagli al sesto piano. Attraversando il corridoio, guardai sfilare i numeri delle camere. Vi lascio immaginare il mio stupore quando constatai che l’ordine era il seguente: 620, 621, 621 bis, 623!
“È strano,” feci notare al fattorino, “la stanza 622 non c’è.”
“Infatti,” rispose, senza darmi altre spiegazioni.
La camera 623 era magnifica, arredata in uno stile moderno che creava un contrasto perfetto con l’atmosfera del Palace. C’erano una zona giorno – con un ampio divano, un caminetto, una scrivania affacciata sulla valle e un balcone spazioso – e una zona notte con un letto enorme e una cabina-armadio comunicante con un bagno in marmo, dotato di una doccia con idromassaggio e di un’immensa vasca.
Dopo aver fatto un giro della suite, tornai alla faccenda dei numeri di camera che mi incuriosiva.
“Ma perché ‘621 bis’ e non ‘622’?” chiesi al fattorino che stava sistemando i bagagli.
“Sarà stato un errore,” rispose con aria vaga.
Non riuscivo a capire se davvero non lo sapesse o se mi nascondesse qualcosa. A ogni modo sembrava che non avesse nessuna voglia di prolungare quella conversazione.
“Ha bisogno d’altro signore? Vuole che le mandi qualcuno per aiutarla a disfare i bagagli?”
“No, grazie mille, ci penso io,” gli dissi, offrendogli con discrezione una mancia.
Si dileguò lesto. Spinto dalla curiosità, andai a ispezionare il corridoio: all’infuori di quella accanto alla mia, non c’era nessun’altra camera “bis” su tutto il piano. Era davvero strano. Ma mi sforzai di non pensarci. Dopotutto ero in vacanza.
Il mio primo giorno a Verbier lo dedicai a una passeggiata nella foresta fino a un ristorante in alta quota, dove pranzai ammirando il panorama. Rientrato in albergo, mi concessi un bagno nella piscina termale, dopodiché lessi a lungo.
Giunta la sera, prima di andare a cena nel ristorante del Palace, bevvi uno scotch al bar. Appoggiato al banco, conversai con il barman, che non lesinò gli aneddoti piccanti sugli altri clienti presenti in sala. Fu lì che la vidi per la prima volta: una donna della mia età, molto bella, chiaramente sola, che si accomodò all’altra estremità del bancone e ordinò un Martini Dry.
“Chi è?” chiesi al barman, dopo che l’ebbe servita.
“Scarlett Leonas, una cliente dell’albergo. È arrivata ieri. Viene da Londra. Molto gentile. Il padre è un aristocratico inglese, Lord Leonas: lo conosce? Lei parla un francese perfetto, è una donna davvero colta. Pare che abbia lasciato il marito per venire a rifugiarsi qui.”
Nel corso delle ore seguenti l’avrei incrociata altre due volte.
Prima al ristorante dell’albergo, dove cenammo a pochi tavoli di distanza. Poi in maniera del tutto inaspettata, intorno a mezzanotte, quando, uscendo sul balcone della mia suite per fumare, scoprii che occupava la camera accanto alla mia. In un primo momento credetti di essere solo nella notte azzurrognola. Mi ero portato da Ginevra una foto di Bernard e la tenevo in mano. Appoggiato alla ringhiera, accesi la sigaretta e osservai la foto con aria malinconica. All’improvviso una voce mi strappò al mio stato contemplativo.
“Buonasera.”
Sobbalzai. Era lei, sul balcone adiacente al mio, raggomitolata su una chaise-longue.
“Mi scusi, l’ho spaventata,” disse.
“Non mi aspettavo di trovare compagnia a quest’ora,” le risposi.
Si presentò:
“Piacere, Scarlett.”
“Piacere, Joël.”
“So chi è lei. È lo scrittore. Qui parlano tutti di lei.”
“Non è mai un buon segno,” le feci notare.
Mi sorrise. Avevo voglia di prolungare quel momento e le offrii una sigaretta. Lei accettò. Le porsi il pacchetto e le diedi da accendere.
“Cosa l’ha portata qui, signor Scrittore?” mi chiese dopo avere espirato una prima boccata di fumo.
“Il bisogno di prendere un po’ d’aria,” risposi in tono evasivo. “E lei?”
“Lo stesso anche per me. Ho lasciato la mia vita a Londra, il mio lavoro e mio marito. Ho bisogno di cambiamenti. Chi è l’uomo nella foto?”
“Il mio editore, Bernard de Fallois. È morto sei mesi fa. È stato molto importante per me.”
“Mi dispiace.”
“Grazie. Mi rendo conto che non mi è facile voltare pagina.”
“Non dev’essere bello, per uno scrittore.”
Abbozzai un sorriso forzato, ma lei colse la tristezza sul mio viso.
“Mi perdoni,” si scusò. “Volevo essere spiritosa, ma mi è venuta male.”
“Non si preoccupi. Bernard è morto a novantun anni: aveva tutto il diritto di andarsene. Dovrò farmene una ragione.”
“Il dolore non conosce regole.”
Non potevo darle torto.
“Bernard era un grande editore,” dissi. “Ma era anche molto di più. Era un grande uomo, superiore in tutti i sensi, che nel corso della sua carriera editoriale ha avuto diverse vite. Uomo di lettere e grande erudito, era al tempo stesso uno straordinario uomo d’affari, dotato di carisma e di una capacità di persuasione fuori del comune: se avesse fatto l’avvocato, l’intero foro parigino sarebbe rimasto disoccupato. C’è stato un tempo in cui Bernard era il capo, temuto e rispettato, di alcuni importanti gruppi editoriali francesi, oltre che amico dei grandi filosofi e intellettuali del momento e degli uomini politici al potere. Nell’ultima parte della sua vita, dopo avere regnato sulla Parigi dei libri, Bernard si era ritirato senza perdere un grammo della sua aura e aveva fondato una piccola casa editrice, a propria immagine e somiglianza: modesta, discreta, prestigiosa. Era stato questo il Bernard che avevo conosciuto, quando mi aveva preso sotto la sua ala. Brillante, curioso, allegro e solare: era il maestro che avevo sempre sognato. La sua conversazione era spumeggiante, spiritosa, amena e profonda. La sua risata era una lezione permanente di saggezza. Conosceva tutti gli ingranaggi della commedia umana. Era una fonte di ispirazione per la vita, un faro nella notte.”
“Sembra che fosse una persona fuori dal comune,” disse Scarlett.
“Lo era,” le garantii.
“Quello dello scrittore, comunque, è un lavoro affascinante...”
“Lo pensava anche la mia ultima fidanzata, prima di mettersi con me.”
Scarlett scoppiò a ridere.
“Io lo penso veramente,” disse. “Voglio dire: chiunque sogna di scrivere un romanzo.”
“Non ne sono sicuro.”
“Io sì, in ogni caso.”
“Allora si butti!” le suggerii. “Le bastano una matita e un quaderno perché davanti a lei si spalanchi un mondo meraviglioso.”
“Non saprei neanche da che parte cominciare. Né come trovare l’idea per un romanzo.”
La mia sigaretta era finita. Mi accingevo a tornare in camera, ma Scarlett mi trattenne, cosa che non mi dispiacque affatto.
“Lei come trova le idee per i suoi romanzi?” mi chiese.
Riflettei un attimo e poi risposi: “Spesso la gente pensa che per scrivere un romanzo si parta da un’idea. Invece una storia prende le mosse innanzitutto da una voglia: quella di scrivere. Una voglia che si impadronisce di te e che niente può ostacolare, una voglia che ti allontana da tutto. Questo desiderio continuo di scrivere, io lo chiamo ‘la malattia degli scrittori’. Puoi avere la trama migliore del mondo, ma se non hai voglia di scrivere, non concluderai niente.”
“E come si fa a creare una trama?” mi chiese Scarlett.
“Ottima domanda, dottor Watson. Perché questo è un errore che gli esordienti commettono spesso: pensano che una trama sia costituita da una serie di fatti messi assieme uno dopo l’altro. Immagini un personaggio, lo cali in una situazione e via di seguito.”
“In effetti,” ammise Scarlett. “S’immagini che un’idea per un romanzo l’avevo anche avuta: una giovane donna si sposa e la sera della prima notte di nozze ammazza il marito nella loro camera d’albergo. Ma non sono mai riuscita a svilupparla.”
“Perché, come le ho appena detto, si limita ad assemblare dei fatti. Una trama deve essere fatta di domande. Cominci a tradurre la sua trama in forma interrogativa: Per quale ragione una giovane sposa ammazza il marito la sera delle nozze? Chi è questa giovane sposa? Chi è suo marito? Qual è la loro storia di coppia? Perché si sono sposati? Dove si sono sposati?”
Scarlett rispose con prontezza: “Il marito era immensamente ricco, ma uno spilorcio come pochi. Lei voleva un matrimonio da principessa con cigni bianchi e fuochi d’artificio, e invece, alla fine, ha avuto un ricevimento da quattro soldi in un miserabile albergo. Folle di rabbia, ha finito per assassinare il marito. Se al processo il giudice sarà una donna, le concederanno delle attenuanti, perché non c’è niente di peggio di un marito taccagno.”
Scoppiai a ridere.
“Lo vede?” dissi. “Il solo fatto di mettere la sua trama sotto forma di domande offre un numero infinito di possibilità. Rispondendo a queste domande, i personaggi, i luoghi e le azioni si presenteranno da sé. Ha già abbozzato le figure del marito e della moglie. Ha perfino immaginato un seguito della trama pensando al processo. Il fulcro è l’omicidio? O il processo? La donna verrà assolta? La magia di ogni storia è che un semplice fatto, qualunque esso sia, tradotto in forma interrogativa, apre la porta a un romanzo.”
“Qualunque fatto?” ripeté Scarlett in tono un po’ incredulo, come se mi lanciasse una sfida.
“Sì, qualunque. Prendiamo un esempio molto concreto: se non sbaglio, lei occupa la camera 621 bis, esatto?”
“Sì,” confermò Scarlett.
“E io sono nella 623,” spiegai. “E la camera prima della sua è la 621. Ho percorso tutto il piano per verificare: la camera 622 non esiste. Questo è un fatto. Perché al Palace de Verbier c’è una camera 621 bis al posto della 622? Questa è una trama. È l’inizio di un romanzo.”
Scarlett fece un gran sorriso: cominciava ad appassionarsi.
“Attenzione, però,” obiettò subito, “potrebbe esserci una spiegazione razionale. Talvolta capita che gli alberghi rinuncino alla camera numero 13 per riguardo verso i clienti superstiziosi.”
“Se c’è una spiegazione razionale immediata,” dissi, “allora la trama si esaurisce e non nasce nessun romanzo. È a questo punto che lo scrittore entra in azione: affinché un romanzo esista, l’autore deve superare le barriere della razionalità, sbarazzarsi della realtà e, soprattutto, creare una posta in gioco laddove non ce n’è nessuna.”
“E come farebbe lei nel caso di questa camera d’albergo?” mi chiese Scarlett, che non era sicura di afferrare appieno.
“Nel romanzo, lo scrittore, in cerca di una spiegazione, va a interrogare il portiere dell’albergo.”
“Andiamoci!” suggerì.
“Adesso?”
“Sì, certo, adesso!”
“La camera 621 bis è un po’ un emblema del Palace de Verbier,” ci spiegò il portiere, divertito di vederci piombare lì a quell’ora per fargli una simile domanda. “Quando fu costruito l’albergo, la targa 621 fu apposta per errore sulla porta di due camere. Sarebbe bastato sostituire uno dei 621 con un 622 per sistemare tutto. Ma il proprietario di allora, il signor Edmond Rose, che era un avveduto uomo d’affari, preferì aggiungere la parola ‘bis’ sotto il 621, e la camera divenne la 621 bis. Questo non mancò di stuzzicare la curiosità dei clienti, che richiedevano espressamente quella stanza, convinti che avesse qualcosa di speciale. E il trucco funziona ancora oggi, visto che siete qui, nel cuore della notte, a interrogarmi su questa famosa camera.”
Quando risalimmo al sesto piano, Scarlett mi disse: “Quindi, per questa camera 621 bis, si è trattato soltanto di un errore di numerazione.”
“Non per il romanziere,” le ricordai, “altrimenti la storia si ferma qui. Nel romanzo, il portiere mente per rimettere in moto la trama. Perché il portiere mente? Qual è la verità su questa misteriosa camera 621 bis? Cos’è successo al suo interno perché i dipendenti dell’albergo vogliano tenerlo nascosto? Ecco come si può costruire un’idea a partire da una semplice situazione.”
“E adesso?” chiese Scarlett.
“Adesso,” risposi in tono scherzoso, “sta a lei approfondire. Io me ne vado a letto.”
Non sospettavo nemmeno lontanamente di essermi appena rovinato le vacanze.
Alle nove della mattina dopo fui svegliato bruscamente da alcuni colpi contro la porta della camera. Andai ad aprire: era Scarlett, che si stupì della mia aria addormentata.
“Stava dormendo, Scrittore?”
“Sì, sono in vacanza. Ha presente? Quei momenti di riposo in cui la gente ti lascia tranquillo.”
“Ebbene, la sua vacanza è terminata!” mi annunciò, entrando nella suite con un grosso libro sotto il braccio. “Perché ho la risposta alla sua presunta trama: per quale ragione al Palace de Verbier c’è una camera 621 bis al posto della 622? Perché c’è stato un omicidio! La finzione supera la realtà.”
“Cosa? E lei come fa a saperlo?”
“Sono andata di buon’ora in uno dei bar nel centro del paese per interrogare gli avventori. Me ne hanno parlato in molti. Posso avere un caffè, per favore?”
“Come, scusi?”
“Un caffè, please! Accanto al frigo-bar c’è una macchina a capsule. Ne inserisce una, spinge il bottone e il caffè scende nella tazza. Vedrà, è una magia!”
Ero completamente sedotto da Scarlett. Obbedii subito e preparai due espressi.
“Nulla indica che esiste un legame tra questo omicidio e la stranezza della camera 621 bis,” le feci notare, portandole il caffè.
“Aspetti di vedere cosa ho trovato!” disse lei, aprendo il libro che aveva sottobraccio.
Mi accomodai al suo fianco.
“Che cos’è?” chiesi.
“Un libro sulla storia del Palace,” mi spiegò, sfogliando le pagine. “L’ho trovato nella libreria del paese.”
Si fermò su una foto della pianta architettonica dell’albergo e ci posò sopra il dito.
“È il sesto piano,” disse. “Un vero colpo di fortuna! Vede, questo è il corridoio, e per ogni suite è indicato il numero. Si succedono in maniera perfettamente logica, guardi! E la 622 c’è, tra la 621 e la 623.”
Constatai, sbalordito, che Scarlett diceva la verità.
“Cosa ne pensa?” le chiesi, certo che si fosse fatta una sua idea.
“Che l’omicidio ha avuto luogo nella camera 622 e che la direzione dell’albergo ne ha voluto cancellare il ricordo.”
“È soltanto un’ipotesi.”
“Che noi verificheremo. Ha una macchina?”
“Sì, perché?”
“Allora muoviamoci, Scrittore!”
“Come sarebbe a dire: ‘Muoviamoci’? Dove vuole andare adesso?”
“Negli archivi del ‘Nouvelliste’, il principale quotidiano della regione.”
“Ma è domenica,” le feci notare.
“Ho chiamato in redazione. Sono aperti.”
Scarlett mi piaceva. Per questo la accompagnai a Sion, a circa un’ora di strada da Verbier, dove si trovavano gli uffici del “Nouvelliste”.
Dietro il banco della reception, una segretaria ci informò che l’accesso agli archivi era riservato agli abbonati.
“Bisogna abbonarsi,” annunciò Scarlett assestandomi una gomitata.
“Perché io?” protestai.
“Avanti, Scrittore, non abbiamo tempo per cavillare: si abboni, per favore!”
Cedetti ed estrassi la mia carta di credito. Ci garantimmo così il diritto di accedere alla sala degli archivi. Mi ero immaginato uno scantinato polveroso con migliaia di vecchi giornali ammassati, ma in realtà si trattava di una piccola stanza con quattro computer: era stato tutto informatizzato, il che ci semplificò la vita. A Scarlett bastarono poche parole-chiave per trovare una serie di articoli. Cliccò sul primo e lanciò un grido di vittoria. Il caso era in prima pagina. Si vedeva una foto del Palace de Verbier con alcune macchine della polizia parcheggiate davanti e il titolo:
OMICIDIO AL PALACE
Ieri, domenica 16 dicembre, il corpo di un uomo è stato trovato nella camera 622 del Palace de Verbier. È stato un dipendente dell’albergo a scoprire il corpo della vittima al momento di portargli la colazione. Secondo gli inquirenti si tratta di omicidio.