55.
Confidenze

Quello stesso giorno, a fine pomeriggio, nella casa degli Ebezner a Cologny.

Con il pretesto di pulire il pavimento, Arma camminava avanti e indietro di fronte alla porta dello studio, cercando in ogni modo di origliare la conversazione che si svolgeva all’interno. Ma con sua grande dannazione, non sentiva niente. Sapeva solo che aveva a che fare con l’omicidio del cugino del signore.

La signora Hansen era arrivata poco prima, tutta nervosa e tremante. Sembrava fuori di sé. Il signore l’aveva portata immediatamente nello studio e si erano chiusi dentro. Doveva essere una cosa seria. Il signore non aveva mai ricevuto nessuno in quel locale.

All’interno della stanza, Macaire e Charlotte bisbigliavano, consapevoli della gravità della situazione.

“Come avrebbe potuto Jean-Béné essere Tarnogol?” ripeteva Macaire, che non riusciva a crederci. “È impossibile, li ho visti insieme.”

“Spesso?”

Questa domanda fece vacillare la certezza di Macaire. A ben rifletterci, si rese conto che nel corso degli ultimi quindici anni erano state rare le occasioni in cui li aveva visti insieme.

“Tarnogol era poco presente in banca,” osservò Macaire. “Sembrava sempre andare e venire, il che oggi si spiega chiaramente. Ma c’erano le sedute del Consiglio, a cui partecipavano sia Jean-Béné che Tarnogol. Come avrebbero potuto essere una sola e unica persona? Jean-Béné aveva un complice, qualcuno che si travestiva da Tarnogol e lo spalleggiava?”

“Quindi tu credi che sia stato veramente Jean-Béné a inventare tutto?”

“Non ne ho idea,” confidò Macaire. “Visto quello che ti ha mostrato la polizia, vorrei tanto avere degli elementi per dimostrare il contrario. Sfortunatamente non c’è più nessun membro del Consiglio ancora in vita che possa aiutarci a vederci più chiaro.”

Ci fu un istante di silenzio inquieto. Poi Macaire chiese a Charlotte: “Hai preso l’agenda di Jean-Béné?”

Con un gesto nervoso, lei estrasse dalla borsetta un taccuino di pelle. Macaire lo aprì alla settimana prima del Gran Weekend.

“La notte tra lunedì 10 e martedì 11 dicembre ho visto Tarnogol,” spiegò. “Ero a casa sua alle tre di notte precise, di ritorno da Basilea, dove ero andato per fargli un favore.”

Macaire puntò il dito sulla casella corrispondente nell’agenda.

“Qui c’è scritto che era a Zurigo. Ricordo bene quel lunedì. Il giorno in cui è cominciato tutto questo casino. Ricordo che aveva lasciato la banca per un presunto appuntamento a Zurigo. E poco dopo Tarnogol irrompe nel mio ufficio, con il pretesto di vedere Levovitch, e mi chiede di andargli a ritirare una busta a Basilea.”

“Quindi si sarebbe trattato di Jean-Bénédict che si era rapidamente cambiato?”

“Tu mi hai detto che la residenza privata di rue Saint-Léger gli apparteneva...”

“È ciò che ha scoperto la polizia. Lui non me ne ha mai parlato.”

“Aveva tutto il tempo di lasciare la banca nei panni di Jean-Bénédict, cambiarsi in rue Saint-Léger e tornare travestito da Tarnogol. Ci sono meno di dieci minuti a piedi tra i due posti... E quindi, quella notte, quando sono rientrato da Basilea, credevo di essere con Tarnogol e invece ero con Jean-Béné...”

“E io lo credevo a Zurigo,” mormorò Charlotte.

Macaire era scioccato. Con l’agenda di Jean-Bénédict ancora aperta, fece scivolare il dito su martedì 11 dicembre, dove c’era scritto: “Cena da Macaire”, e confidò a Charlotte: “Quel martedì sera Jean-Béné e io, nella mia sala da pranzo, abbiamo ideato un piano che mirava a neutralizzare Tarnogol la sera di giovedì 13 dicembre.”

Neutralizzare Tarnogol?” disse Charlotte, attonita. “Cosa vuoi dire?”

“Dopo la cena dell’Associazione dei banchieri,” spiegò Macaire, “avremmo dovuto uscire a camminare insieme sul lungofiume, che in quel periodo dell’anno sarebbe stato deserto e buio. Jean-Bénédict, al volante della sua auto, avrebbe dovuto fingere di non vederci e io avrei evitato l’incidente a Tarnogol, tirandolo a me. Mi sarebbe stato debitore e mi avrebbe eletto presidente.”

Charlotte fissò Macaire con uno sguardo inquieto.

“E cosa è successo quella sera?”

“Per qualche misteriosa ragione, Tarnogol non era presente alla cena dell’Associazione dei banchieri ginevrini. Che coincidenza, eh? Come se fosse al corrente del nostro piano!”

“Era la sera in cui Anastasia è stata investita da Jean-Bénédict,” si rese conto Charlotte. “Io ero a un concerto d’organo con mia sorella e Jean-Béné diceva di sentirsi male.”

“Non stava affatto male,” rivelò Macaire. “A che ora sei uscita per andare al concerto?”

“Presto, perché prima dello spettacolo io e mia sorella siamo andate a cena.”

“Non appena sei uscita, Jean-Béné si è recato all’Hôtel des Bergues travestito da Tarnogol. Io l’ho incrociato arrivando laggiù: mi è passato davanti, improvvisamente malato, dopo avere chiesto a Lev Levovitch di sostituirlo. A ripensarci ora, capisco che non era un caso. Dopo aver lasciato l’Hôtel des Bergues come Tarnogol, Jean-Béné si è nascosto nella sua macchina sul quai des Bergues, dove ha ripreso il suo aspetto normale e ha atteso, come previsto dal nostro piano.”

“Ma perché?”

“Da una parte perché lo vedessi al termine della cena e non potessi sospettare il suo segreto. Avrebbe fatto lo gnorri, mi avrebbe chiesto dov’era Tarnogol. Ma credo che abbia atteso perché aveva qualcosa in mente: sbarazzarsi di Levovitch.”

“Levovitch?”

“Penso che Jean-Béné – alias Tarnogol – avesse chiesto a Levovitch di sostituirlo alla cena per una ragione ben precisa. Immaginava che quest’ultimo, dopo la serata, con ogni probabilità sarebbe uscito a fare due passi sul lungofiume per sgranchirsi le gambe. E così è stato. Quando Jean-Béné ci ha visti, lui e me, davanti all’albergo, non ha esitato un istante: è partito a tutta velocità. Voleva eliminare Levovitch. Era il delitto perfetto: non c’era nessun testimone. E se l’avessero interrogato, avrebbe avuto un alibi solido che tu avresti confermato: aveva passato la serata malato, sprofondato nel letto. A me avrebbe assicurato di avere creduto che si trattasse di Tarnogol e di avere semplicemente messo in atto quanto avevamo orchestrato insieme: quindi non avrei potuto dire niente perché ero invischiato fino al collo. Ma qualcosa è intervenuto a ostacolare i suoi piani: nel momento in cui si immetteva sul lungofiume, Anastasia è passata davanti alla macchina e si è fatta investire.”

“Ma perché avrebbe dovuto uccidere Levovitch?”

“Per diventare presidente della banca. Jean-Béné aveva già pieni poteri perché era due volte membro del Consiglio, anzi tre con suo padre. Aveva sicuramente un piano per modificare le ultime volontà di mio padre e assumere ufficialmente il controllo. Ma non poteva fare un colpo di stato con Levovitch contro. Levovitch è sempre stato troppo potente.”

Quelle spiegazioni fecero impallidire Charlotte Hansen, che rimase a lungo senza parole.

“Non posso crederci,” mormorò.

“Quella famosa sera del 13 dicembre, dopo l’incidente, tu ci hai raggiunti all’ospedale e poi siamo venuti tutti qui, ricordi?” proseguì Macaire.

“Sì, assolutamente.”

“Come sei venuta all’ospedale?”

“Ho preso la macchina di mia sorella. Era parcheggiata proprio accanto alla Victoria Hall. Volevo arrivare prima possibile, così lei mi ha dato le chiavi e siamo rimaste d’accordo che gliel’avrei riportata il giorno dopo.”

“Quindi, quando ve ne siete andati da casa mia, quella notte, Jean-Béné era nella sua macchina e tu nella macchina di tua sorella. Vi siete seguiti?”

“Non lo so più... Perché mi fai questa domanda?”

“Perché immediatamente dopo la vostra partenza, Tarnogol è comparso davanti al mio cancello per parlarmi. In teoria avrebbe dovuto essere malato, ma all’improvviso sembrava sano come un pesce. Poi, per tutto il fine-settimana al Palace de Verbier, non ho mai visto Jean-Béné e Tarnogol insieme, fino al momento dell’ultimo Consiglio, alla fine del pomeriggio di sabato. È stato sempre Jean-Bénédict a reggere le fila, fin dall’inizio.”

Charlotte Hansen se ne andò da casa di Macaire ancora più frastornata di quando era arrivata. Lasciando la proprietà al volante della sua auto – che si spense più volte, tradendo il suo nervosismo – non notò l’autocivetta della polizia parcheggiata con discrezione nello chemin de Ruth, che l’aveva seguita per tutta la giornata.

Nello studio Macaire, sconvolto, ripensava all’ultima conversazione che aveva avuto con Wagner in febbraio: non gli aveva mentito a proposito di Jean-Bénédict.

Afferrò il carillon che teneva davanti e lo osservò. “Se un giorno avrà bisogno di me, faccia suonare il carillon,” aveva detto Wagner. Macaire strinse tra le dita la piccola manovella e la fece girare.

Man mano che girava, mentre in un concerto di note metalliche risuonava la celebre melodia della X scena dell’atto II del Lago dei cigni, un pezzetto di carta uscì lentamente dagli ingranaggi del meccanismo musicale. Vi si leggeva un numero di telefono.

Macaire pensò che fosse tempo di chiedere aiuto.

In quello stesso istante, a Corfù, sotto il sole di fine pomeriggio, Anastasia e Lev facevano il bagno nelle acque turchesi del Mar Ionio.

Anastasia rimase per un attimo a contemplare la caletta e il paese che si ergeva in lontananza, lungo le scogliere. Sembrava pensierosa. Lev la raggiunse e la strinse tra le sue braccia nodose.

“Va tutto bene?” le chiese. “Sei stata molto silenziosa oggi.”

“Tutto bene,” assicurò lei.

“È per la nostra discussione di ieri? Se veramente non vuoi che mi occupi della filiale di Atene, ci rinuncerò.”

“Non ti preoccupare, va tutto bene. Nessun muso, te lo prometto.”

Lo baciò, per farlo tacere.

Era lui la fonte delle sue preoccupazioni. Sentiva che le nascondeva qualcosa. Non poteva fare a meno di pensare alla sua pistola dorata, che aveva messo in borsa a Ginevra e che non aveva ritrovato all’arrivo a Corfù. La sola persona che avesse avuto accesso a quella borsa era stato Lev, nella sua suite al Palace.

Non aveva mai osato parlargliene. In fondo, non voleva sapere. Perché ogni volta che le veniva in mente quella pistola dorata, ripensava a ciò che era accaduto quattro mesi prima, al Palace de Verbier, quando Jean-Bénédict era andato a minacciare Macaire nella sua camera per impossessarsi della presidenza e quando in seguito lei aveva scoperto la verità a proposito di Sinior Tarnogol.

L'enigma della camera 622
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