Capitolo quaranta
Olivia non ricordava come fosse uscita. Doveva averla portata Edward, perché adesso era lì, in ginocchio al suo fianco mentre lei vomitava ai piedi di una palma. Le stringeva la mano. Era lì, tra il caldo, l’odore del sangue, la pelle a brandelli e le urla. Era lì per lei. Sapeva che Olivia aveva bisogno di lui, più di quanto lei stessa potesse immaginare. Eppure, da lì a poche ore sarebbe andato via.
Non riusciva neanche a immaginarlo.
Si portò le mani alla bocca. Edward le passò il suo fazzoletto ma le dita le tremavano troppo e le cadde a terra. Lui lo raccolse, le asciugò le labbra e poi lo gettò via. Olivia lo fissò, aveva lo sguardo cupo per la rabbia nascosta a stento.
«Ada te l’ha detto?», gli chiese.
Annuì. «Devi venire con me, Olivia».
«Li ucciderà».
«Ucciderà te, se rimani. Possiamo garantire un’adeguata protezione ai due ragazzi. Ci penserà Tom».
«Non sarà sufficiente». La reazione di Wilkins appena Jeremy aveva nominato Lixori aveva dissipato ogni suo dubbio – sempre che ne avesse ancora – su quanto fosse immensa la crudeltà di Alistair. «Ci riuscirà, Edward. Si è già assicurato che Clara morisse, nulla gli impedirà di rifarlo».
«Non ti lascerò sacrificare la tua vita per loro».
Olivia ripensò al viso di Kafele, alle dita dei piedi contratte, alle grida. Non disse nulla.
«Olly…». Edward scosse la testa e la tirò a sé.
Lei gli posò la testa sul petto, percependo il suo calore, respirando il suo profumo – sapone, fumo, quel sentore così unico… lì, adesso, ancora vicino. Sollevò il viso e vide che aveva la mascella serrata e gli occhi pieni di dolore. Se avesse potuto lo avrebbe allontanato da sé, consegnandogli quella parte di sé che lui amava, affinché la portasse via: non voleva comportarsi da ladra.
Jeremy tornò con un bicchiere di acqua torbida. Lo passò a Olivia, rassicurandola: era stata bollita. Olivia osservò il liquido con aria dubbiosa, poi ne bevve un sorso. Era granulosa, ma le levò dalla bocca il sapore del vomito.
Edward chiese a Jeremy se fosse fiero di sé. No, rispose lui, non lo era affatto, ma avrebbe fatto curare Kafele a casa sua. Aveva già parlato con Nailah. Affrontare quella spregevole ragazzina gli aveva dato il voltastomaco, ma lo aveva fatto. Avrebbe ospitato anche lei, perché contribuisse alle cure di Kafele e, sì, aggiunse, si rendeva conto di quanto fosse paradossale la situazione.
Guardò Olivia strizzando gli occhi sotto la luce del sole. «Sto andando a parlare con Alistair. Lo ucciderei se potessi, ma credo che sia meglio aiutare te. Dio sa che è ciò che vorrebbe Clara».
Era quasi buio quando Nailah arrivò dai Gray. Prima era passata da Isa e dai bambini per metterli al corrente dell’accaduto. Aveva chiesto a sua madre di rimanere a gestire la situazione.
«Per questa notte va bene», le aveva detto lei. «Ma torna, perché domattina voglio andare a trovare Jahi. Potrai passare da Kafele dopo».
La paura le aveva chiuso lo stomaco. «Jahi non vuole vedere nessuno».
«Volere e aver bisogno sono due cose diverse», rispose Isa. «Ha bisogno di noi, per il tempo che gli rimane. Tabia avrebbe voluto che gli stessimo accanto». Abbassò lo sguardo. «Posso fare almeno questo per lei».
Nailah non aveva avuto la forza di controbattere e forse, ripensando a Jahi tutto solo in quella cella umida con il viso pieno di lividi, neanche avrebbe voluto farlo.
Isa aveva sospirato. «C’è del brodo sulla stufa. Ho comprato dei melograni al mercato. Mangia, sembri un cadavere, e poi va’».
Nailah alzò lo sguardo verso la villa rosata dei Gray. Respirò, deglutì, poi fece un altro respiro e si avvicinò. Sulla terrazza c’era una donna grassoccia, dall’aspetto mediterraneo. Teneva in braccio il figlio di madame Gray che piangeva. Accanto a lei c’era un’infermiera altrettanto florida: a giudicare dalla piccola valigia che aveva con sé e dalla fronte sudata doveva essere appena arrivata. Parlavano in greco e le loro voci risuonavano nell’aria della sera. Sir Gray era in giardino, teneva Ralph per mano e guardava, con espressione sprezzante, un’anziana donna salire su una carrozza carica di bagagli, condotta da un servo dall’aspetto nervoso che indossava un’uniforme troppo grande.
La voce acuta dell’anziana sovrastò quella delle greche. Parlava di ingratitudine, sfiducia, scelte sbagliate. Non si era mai sentita tanto sfruttata, diceva. Era furiosa.
«Per l’amor di Dio», disse sir Gray. «Ti ho detto che non voglio vederti sulla stessa nave dei ragazzi. Ralph ne ha già passate anche troppe. Ti ho prenotato il miglior albergo del Cairo e poi, nel giro di una settimana, sarai a Port Said pronta a partire per l’Inghilterra. Il viaggio da lì e più breve, arriverai in un attimo. Non hai nulla di cui lamentarti, ma non avrai Ralph. È tutto…». Si interruppe. A quanto pareva aveva visto Nailah.
«Altri ospiti?», chiese l’anziana.
Nailah arrossì sotto lo sguardo intenso di sir Gray, che nascose Ralph dietro di sé. Temeva forse che volesse fargli del male? Davvero pensava che ne sarebbe stata capace?
Sir Gray indicò con un cenno della testa le donne in terrazza. Spiegò a Nailah che quella che teneva in braccio il bambino era Sofia, e l’infermiera era sua sorella Leila. Le avrebbero mostrato loro la casa. Kafele era in una stanza sul retro. «Io devo andare ora. Devo convincere mia cognata a fare una cosa che non desidera». La guardò con occhi socchiusi. «Forse dovrei chiedere a tuo zio di mandarle un’altra lettera».
Nailah non disse nulla.
«Tuo cugino Babu sta meglio? Spero di sì».
Nailah rimase in silenzio, ma intuì che era stato lui a pagare per le cure di Babu. Avrebbe preferito non saperlo, come avrebbe preferito che non si fosse mostrato tanto gentile con Kafele. Perché quell’uomo era tanto egoista da renderle così difficile odiarlo?
Jeremy sospirò. «Faresti meglio a entrare adesso».
Poi la richiamò, dicendole di aspettare.
Jeremy esitò, poi le disse: «So bene quanto mi disprezzi». Si passò una mano sul viso guardando Nailah, poi Ralph e poi di nuovo Nailah. «Mi dispiace per quello che è successo a tua zia. Non saprò mai spiegarti quanto».
Nailah rimase immobile. Non si sarebbe mai aspettata di ricevere le sue scuse.
«Nonostante questo, ti sto accogliendo in casa mia, dove ci sono i miei figli: non deludiamoci a vicenda».
Kafele giaceva in un ampio letto privo di sensi e avvolto in bende di mussola gelata. Dal fianco gli colava un rivolo di sangue e dalla bocca socchiusa un filo di saliva. Sofia, con il bambino ancora in braccio, si affannava dando ordini alla sorella. Leila sbuffava e rispondeva in greco, facendo no con il dito. Aprì la sua borsa e si sedette accanto a Kafele per ripulire le labbra dal sangue. Nailah notò che, nonostante i modi nervosi, le sue mani si muovevano con la stessa delicatezza che avrebbe utilizzato lei. Sofia annuiva, evidentemente soddisfatta.
Per alcuni minuti il silenzio venne interrotto solamente dal piagnucolare del bambino e dal fruscio delle gonne di Leila.
Là, al cospetto di Kafele, il suo buffone, Nailah si sentiva la gola secca e dolorante, scorticata.
«Sono qui», gli disse. «Mi dispiace tanto».
Lui non rispose.
Nailah si inginocchiò al suo capezzale, osservando il suo corpo martoriato, le labbra che si muovevano in un bisbiglio. Sollevò una mano e, senza sapere se fosse imprudente toccarlo, prese la sua. Non poteva farne a meno.
Le sembrò che gliela stringesse anche lui.
Olivia, seduta sul letto di Edward, fissava il suo bagaglio, ormai quasi pronto. Dalla finestra aperta si vedeva il cielo ormai nero. Il giorno era svanito e lei non sapeva cosa sarebbe accaduto.
Alzò lo sguardo verso Jeremy all’ingresso. «Alistair ha detto che posso andare in Inghilterra con Ralph, Sofia e Gus? Domani?».
Jeremy annuì.
«Lo accetta?»
«Non gli fa piacere».
«Ha ammesso qualcosa?»
«Secondo te?». Jeremy fece una risata breve e amara. «Tuttavia, non vuole che parli dei miei sospetti. Proprio come Wilkins, ha sufficiente buon senso da sapere che lo farei». Aveva gli occhi iniettati di sangue. «Ti chiede di rientrare tra sei mesi. Penseremo in seguito a come evitare la cosa».
Olivia si guardò le mani. L’anello sul quarto dito le andava largo, al punto da essere ormai fastidioso. Tutto ciò che Alistair toccava si tramutava in dolore, anche i gioielli. «Credevo che volessi convincerlo a divorziare». Si era aggrappata a quella speranza tutto il pomeriggio, era stata l’unica cosa che le aveva permesso di mantenere la calma mentre Edward continuava a ripeterle che avrebbe affrontato la corte marziale e la vendetta di Alistair, piuttosto che lasciarla lì. «Non voglio andare in Inghilterra», disse. «Voglio partire con Edward».
«Alistair non l’accetterà mai. Ha detto che appartieni a lui. Inoltre, sai bene quanto detesta gli scandali». Jeremy guardò prima lei e poi Edward. «Avete pensato alle conseguenze? Se anche Alistair accettasse, ci vorrebbero mesi, forse anni, prima di ufficializzare il divorzio». Si voltò verso Edward: «Sarebbe la tua rovina».
«Non mi importa».
«Non ora, forse. Ma poi, quando vedrai i vostri figli ghettizzati…», sospirò. «È una questione puramente retorica, comunque. Se tentate di mettervi contro Alistair, lui riacciufferà quei ragazzi. Potete esserne certi».
Ci fu un breve silenzio.
«Come riesci a stargli accanto?», gli chiese Olivia. «Proprio tu? In quella casa, sapendo cosa avete fatto, cosa ha fatto a Clara…?»
«Non ci riesco», la interruppe. «È ovvio. Appena avrò sistemato i miei affari, me ne andrò. Ma voglio che i bambini partano subito». Attraversò la stanza. Le tese la mano, ma Olivia tenne le braccia incrociate sul grembo. «Amavo tua sorella, Livvy. So che non sembrava, ma la amavo. Non le avrei mai fatto nulla del genere e lei non lo meritava, no, non meritava…». Prese fiato. «Lasciami procedere in questo modo, Livvy. Se non per te, per Ralph e Gus, i figli di Clara». Esitò. «I miei figli. Hanno perduto lei, ma possono avere te».
«No, non giocare questa carta», rispose Olivia con espressione tesa.
«Non sto giocando proprio nulla». Parlò con voce bassa e sincera. «Hanno bisogno di te, e tu hai bisogno di andare via. Non puoi farlo con Bertram…». La sua voce si affievolì.
Olivia rigirò la fede nuziale. Si sentiva addosso il peso degli sguardi di entrambi gli uomini. Poi Jeremy si spostò e Edward si accomodò al suo posto, accanto a lei.
Gli diede le mani. Olivia sentì il calore delle sue dita che le stringevano con delicatezza.
Si guardarono.
Nessuno dei due disse nulla. Non c’era niente da dire.
Sapevano entrambi che ormai era finita.