Capitolo ventidue
«Ti fischiano le orecchie, Edward?», chiese Imogen mentre attraversava il prato. Un sorso di gin si rovesciò dal suo bicchiere, tenuto in precario equilibrio. «Tom stava parlando di te. È ubriaco come una canaglia, ci va giù pesante».
«La giornata è stata dura», disse Edward.
«Così ha detto Tom. Mi racconterai che cosa è successo da Jeremy?»
«No che non lo farà», rispose Olivia. Aveva provato a farselo dire anche lei. (Edward si era limitato a ripetere in modo inquietante le stesse parole di Jeremy: «Mi crederesti se ti dicessi che non lo vuoi sapere davvero?»).
Imogen disse: «Tom sostiene che devi interrogare una ragazza egiziana, che da questa mattina sei alla sua ricerca. Non ho ben compreso il nome».
«No?», disse Edward.
«No», disse Imogen. «Ha detto che eri andato a cercarla presto, ed è questa la ragione per cui sei arrivato qui così tardi».
«Bene, stavo giusto dicendo a Olly che vado a prenderle un bicchiere di champagne». Le sue dita si soffermarono per un attimo sulla spalla di Olivia. «Torno subito».
Olivia lo guardò con la coda dell’occhio mentre si faceva strada tra la gente che festeggiava. Dal pianoforte sulla terrazza si alzava la musica, qualche coppia ballava qua e là. Quasi un centinaio di persone affollavano il giardino, mangiando couscous e carne prelibata, fumando alla luce delle candele. Olivia la sentì di nuovo Clara, proprio come prima, quando aveva avvertito la sua presenza nel vialetto dei Gray; un lampo di ricci biondi nascosti dietro le ombre degli alberi dei Carter. Quanto è bello. Che divertimento. Olivia si mise la mano al petto e la premette con forza per mettere a tacere il dolore. Quella serata le sembrava disgustosa, era come se stessero tutti ballando sulla tomba sempre più concreta e reale di Clara. Aveva detto la stessa cosa a Edward quando finalmente era arrivato. («Bevici sopra», aveva replicato lui, scolando il primo dei suoi brandy. «Lo farò anch’io»).
«Stiamo per andare», disse Imogen.
«Che cosa?»
«Fa’ attenzione, cara. Domani seguiremo Edward e Tom. Scopriremo chi è questa ragazza da cui vanno, che cosa vogliono da lei. Possiamo appostarci lì in strada fino a che non avranno finito, poi entreremo a vederla. Ti aspetterò fuori da casa tua alle sette in punto, fatti trovare pronta».
Olivia, frastornata, scosse la testa. «È davvero necessario?»
«Non dire sciocchezze. Ci vediamo alle sette». Imogen si allontanò passando per il prato.
Olivia sospirò rassegnata.
«Vieni», disse Edward. Lei sobbalzò, non lo aveva sentito tornare. Le mise un bicchiere in mano. «Facciamo una passeggiata».
Si tennero a qualche metro di distanza mentre seguivano la strada che portava in fondo al giardino. Più si allontanavano e più acceleravano il passo: senza bisogno di parole, entrambi volevano sparire nel minor tempo possibile.
Superarono una rigogliosa barriera di palme che sovrastava il mare. Olivia lasciò che il suo braccio sfiorasse quello di Edward, sentì quello di lui sfiorare il suo. Dita nelle dita, una stretta nello stomaco. Si dimenticò di respirare.
Si sedettero. La serata era mite, gonfia del profumo di limoni maturi e gelsomino, l’odore pungente del mare, la polvere del deserto. Olivia appoggiò la testa sulla spalla di Edward fissando il mare increspato. Cominciò a singhiozzare. Lui le prese la mano, se la portò alla bocca e la baciò, dolcemente e con calore. Per un momento lei pensò ad Alistair, alla faccia che avrebbe fatto se li avesse visti in quell’istante. Esisteva anche solo una speranza che acconsentisse a lasciarla libera? Sapendo che non era possibile – immaginava perfettamente che faccia avrebbe fatto, in realtà – scacciò dalla mente quel pensiero. Era decisa a tener lontano suo marito fino a che non fosse tornato, e a quel punto sarebbe stata costretta a pensare a lui di nuovo. Adesso non voleva pensare. E non pensare le piaceva. Quella serata piena di drink aveva lanciato un incantesimo su di lei. I programmi di Imogen per il giorno successivo le sembravano un dettaglio insignificante, un evento che forse sarebbe accaduto in qualche altra vita.
Il tempo scorreva. Olivia non era sicura di cosa avessero parlato, lei e Edward, sapeva solo che l’avevano fatto e che non c’era un ordine preciso nelle loro parole. Solo voci, alti e bassi, una musica fatta di confidenza.
Le chiese di ballare.
Lei afferrò la sua mano e si alzò barcollando, con la testa che le girava mentre lui la tirava a sé. Lui si liberò le mani e strinse le dita intorno alla sua vita di seta. Lei sentiva i polpastrelli premere attraverso i corsetti ma questa volta non avvertiva dolore. Per niente (l’alcol, forse). Si abbandonò tra le sue braccia, respirò il suo odore: fumo, brandy e un certo non so che. Lui la strinse più forte. Era ubriaco, lo sapeva, ma le sue braccia erano salde e i suoi passi fermi mentre la conduceva nel ballo al ritmo del piano in lontananza.
«Ero terrorizzato, oggi, quando ti ho visto entrare in acqua in quel modo». Parlava sottovoce, mormorava, con la erre forte del Nord che le accarezzava l’orecchio. «Mi terrorizzi. Lo sapevi? Nessuno prima di te mi ha mai spaventato così».
«Imogen dice che le spezziamo il cuore». Olivia alzò la testa per guardarlo. Le arrivava sul viso il calore del suo respiro.
«Andiamo a casa», disse lui.
Lei fece strada risalendo il prato verso la luce delle candele e il suono della musica. Aspettò nell’oscurità del salone. Lui la raggiunse, le mise una mano sulle spalle. I loro passi riecheggiarono nell’ingresso, risuonarono sui gradini della veranda, scricchiolarono sulla ghiaia del vialetto. La teneva davanti a lui, le respirava sul collo mentre cavalcavano verso casa. Lei si appoggiò all’indietro, assorbendo la forza del suo corpo. Una muta domanda, a malapena pensabile, le frullava in testa: Stiamo davvero per farlo?
L’aiutò a scendere dal cavallo nel vialetto di accesso. In piedi, guardandosi reciprocamente, erano quasi increduli della rispettiva presenza. Gli occhi di lui brillavano nell’oscurità. Le fece una carezza e respirò profondamente. Lei gli mise la mano sulla mano. La girò e gli baciò il palmo. Guardandolo dal basso, lo vide chiudere gli occhi.
Edward portò il cavallo nelle stalle; lei nel vialetto lo guardava in silenzio mentre lo legava. Olivia era tesa, eccitata per l’aspettativa. Lui fece ritorno, la prese per mano ed entrarono. La seguì in cima alle scale, l’abbracciò sbottonandole il corpetto e allentandole i lacci del vestito. Le batteva forte il cuore. Le tremavano le dita, mentre apriva la porta della camera da letto.
Entrò nella stanza arretrando, lui la stava quasi sollevando, la sua bocca su quella di lei, spingendola sul letto. Edward si inginocchiò e si diede da fare per sfilarle le calze, sfiorando la puntura della medusa che ancora le doleva; posò le labbra sulle cosce e sui polpacci mentre la denudava. «Olly», disse, «la mia Olly».
Lei gli fece una carezza sul collo e si lasciò cadere all’indietro. Edward si chinò su di lei fissandola. In quel momento Olivia aveva un’unica certezza: lui era là e lei era con lui e non avrebbe voluto essere in nessun altro luogo. E ciò che lesse nei suoi occhi così profondi era un perfetto, felice riflesso di tutto ciò che lei stava provando.
Le slacciò i corsetti. Lei se ne rese conto troppo tardi. Cercò di trattenergli il braccio. «No», disse.
«Perché?», chiese lui.
«Perché no».
Lui la guardò diffidente. Poi scosse la testa. Le sue dita si muovevano con scioltezza, lei non poteva negare che fosse esperto. Fissò il soffitto mordendosi le labbra mentre sentiva il corsetto venire via.
Edward restò di sasso. «No». I suoi occhi si spalancarono per l’orrore e per la pena. «No. Perché non hai…? Era questa la ragione per cui sei scappata via l’altra notte…? Lo ucciderò, lo ucciderò con le mie mani».
«Ti prego». Gli sollevò il viso e lo costrinse a incrociare il suo sguardo. «Mi basta che resti con me, per favore». Gli occhi di lui tornarono sul suo corpo. Lei seguì il suo sguardo, poi si girò dall’altra parte. Era irriconoscibile e pieno di ferite e non era il suo corpo. «Per favore», disse. «Non pensarci».
«Ho paura di toccarti», disse. «Mi sembra di correre il rischio di spezzarti».
«Non potresti mai farlo». Lo tirò a sé e lo baciò. «Non tu».
Lui prese fiato, tremando, e lentamente le baciò la schiena. E d’un tratto i loro visi erano così vicini, le labbra di Edward si muovevano baciandole l’orecchio e il collo, più veloce e con più passione, come se comprendesse i suoi desideri, sfiorandole la clavicola salata e bagnata di sudore. Le carezzò tutto il corpo, seguendo le linee della sua pelle, toccandola a malapena. Si muoveva con dolcezza, prendendosi tutto il tempo necessario. Non c’era alcun dolore. «Non ti lascerò vivere così, mia cara Olly», disse. «Non ti lascerò qui».
«Resta con me ora», disse lei.
Dopo la strinse a sé, un bozzolo, un tenero bozzolo. Al sicuro. Chiuse gli occhi avvolta dal calore delle sue braccia, della sua spalla salda.
«Sei tutto per me», le disse lui. «Sei tutto. Non posso permettere che ti succeda ancora qualcosa di brutto. Non credo che potrei sopravvivere».
«Non mi succederà nulla», disse lei.
Lui le diede un bacio sulla testa.