Capitolo trentasette
Olivia salutò Jahi sulla strada per Ramleh (aveva iniziato a chiamarlo con il primo nome: El Masri le pareva troppo formale per l’uomo che era arrivato a salvarla, come un miraggio tra le dune). Si liberò della stoffa che le aveva avvolto intorno al viso e accarezzò il suo cammello con mano tremante. Fido destriero. Aveva dovuto abbandonare il cavallo di Clara, ed era un pensiero che non sopportava, ma non aveva avuto scelta: a un certo punto non riusciva più a seguire il ritmo serrato del cammello di Jahi, anzi, non lo vedeva nemmeno più.
«Grazie di avermi seguita».
«La prego, non mi ringrazi». Jahi guardò nervosamente il cielo che si schiariva. «Se la sente di proseguire da sola?».
Olivia annuì. «Mi hai salvato la vita», ribadì.
«Non avrebbe dovuto essere necessario». Un’altra verità.
Si girò per andare via quando due soldati inglesi a cavallo svoltarono l’angolo. Le loro voci ruppero il silenzio caldo dell’aurora. Olivia gli disse di allontanarsi subito, prima che potessero vederlo. Sentì che i soldati parlavano di arresti, di Kafele e poi di Nailah. Poi, all’improvviso, Jahi compì un gesto inspiegabile: si consegnò.
Così, semplicemente.
Olivia protestò con i soldati fino a ritrovarsi con il viso, già malconcio, arrossito e accaldato. Le faceva male parlare, sentiva dolore ovunque. Ma ormai le pareva che quella fosse diventata la sua condizione di normalità: non riusciva a ricordare cosa si provasse a vivere senza qualche dolore almeno in una parte del corpo. E questo la faceva arrabbiare, anzi, la faceva infuriare. Urlò ai due ufficiali che avrebbero fatto meglio ad andarsene a dormire, o a giocare a polo o a cricket o a qualsiasi altra cosa fossero in grado di fare, visto che, ne era certa, come investigatori non valevano nulla: Hassan era sempre stato lì, sotto il naso di tutti, per l’amore del cielo, e nessuno aveva capito. Neanche Jahi. Ma le sue proteste non valsero a nulla.
Andarono via, lasciandola come una sciocca nella strada deserta, con la sola compagnia del cammello di Jahi e di un gatto randagio che le si strusciava contro la gonna. Si guardò intorno. Per la prima volta dopo settimane era da sola, senza nessuno che potesse controllarla. Rimpianse di non aver chiesto ai soldati dove fosse Edward, se fosse sano e salvo. Lanciò uno sguardo al cammello, poi iniziò a tremare. Era tutto finito e lei era immobile, piena di paura e dolore. Non cedere. Non pensarci. Non puoi saperlo, non puoi esserne sicura. Non ancora. Ma per quanto si sforzasse di convincere se stessa, non riusciva a smettere di tremare: i cattivi presentimenti riecheggiavano e vibravano senza sosta dentro il suo animo. Afferrò le redini del cammello, prese in braccio il gatto e si avviò verso casa. Non aveva idea di cosa avrebbe fatto con quegli animali, ma pensò che per quel giorno ne aveva abbandonati a sufficienza.
Quando Olivia arrivò la nomade e suo figlio stavano sbucciando il granturco. La donna si alzò in piedi e con le lacrime agli occhi allungò le dita verso il suo viso. Olivia ricambiò il suo sguardo. Avrebbe voluto dirle quant’era affranta, ma non trovò le parole.
Le facevano male le braccia e le bruciavano gli occhi.
Dov’era Edward?
La donna annuì e anche Olivia. Pensò: Non so perché sto annuendo, voglio andare a casa, non voglio più stare qui. E poi: Non ho una casa, non qui, non in Inghilterra. Ti prego, fa’ che Edward stia bene. Ho bisogno di lui. Ho bisogno di lui, ho bisogno di lui, ho bisogno di lui.
La voce di Ada ruppe il silenzio. «Signora Sheldon, siete viva». Con le gonne scure che ondeggiavano, percorreva velocemente il vialetto seguita da Fadil.
«Oh Dio», disse Olivia quando si accorse delle sue condizioni. «La testa».
«Sta guarendo. Sayed Bertram mi ha trovato in cantina e mi ha tirato fuori. Sto bene, madame Sheldon».
Mentiva. Era chiaramente stravolto e aveva un colorito verdognolo, pareva proprio che avesse perso molto sangue.
Fadil le prese il cammello, Ada mise a terra il gatto e lo scacciò, poi la accompagnarono in casa. Fadil le disse che era appena rientrato dalla caserma. Fece una pausa, lunga e inquietante. Aveva gli occhi colmi di tristezza.
«Oh». Olivia si portò una mano allo stomaco. «Oh».
«Mi dispiace tanto».
«L’hai trovata?»
«La tempesta ha scoperto il corpo. A circa un chilometro e mezzo dall’oasi, più o meno». Il suo volto si incupì in un’espressione di rammarico: «Ho fallito, madame Sheldon». Una lacrima gli scivolò sulla pelle sottile della guancia. «Ho fallito di nuovo. Me ne vergogno tanto».
Olivia avrebbe voluto dire qualcosa, fargli capire che non lo riteneva responsabile, ma non riusciva a respirare. Afferrò i lacci impietosi del corpetto. Boccheggiava. Clara. Clara. Troppe verità in una volta sola. Sua sorella… la sua risata, la sua voce… la migliore. No. No. Non poteva sopportarlo. Non poteva essere… si rese conto solo adesso che fino a quel momento si era aggrappata alla speranza, ci aveva creduto.
Fadil proseguì con il racconto. Edward era ancora nel deserto, non si rassegnava a smettere di cercarla. Olivia boccheggiò di nuovo. Non era tornato? Fadil disse di no, non poteva tornare perché aveva troppa paura, aveva il terrore che fosse morta anche lei.
Alistair era ancora vivo. Quel pensiero le contorse lo stomaco. Ada le spiegò che i servitori di una casa vicina si erano uniti alle ricerche, avevano udito uno sparo e poi avevano portato Alistair all’ospedale militare. Era ancora incosciente, ma sicuramente sarebbe sopravvissuto. «Mi dispiace tanto, signora Sheldon», disse Ada. «Davvero tanto».
Olivia non riusciva a muoversi. Non era in grado di fare nulla. Si passò le dita tra i capelli impiastrati di sabbia. Gliene cadde un po’ addosso. Poteva sentirne il sapore, l’odore, aveva la lingua secca e gonfia. Come sicuramente era successo a Clara. Il suo ultimo respiro. Devo bere. Faceva male, Dio, quanto faceva male. Troppo. Clara, da sola. Così sola, e senza sapere quanto la sua mancanza fosse stata avvertita, sofferta. Olivia non era mai riuscita a dirglielo. Così come non le aveva mai rivelato che le dispiaceva immensamente di aver nutrito tanta sfiducia nei suoi confronti, nelle ultime ore che avevano passato insieme. Clara era morta sapendo che Olivia non si fidava di lei e che non ricordava praticamente nulla della loro infanzia.
Fu scossa da un singhiozzo. «La rivoglio. La voglio con me».
Imboccando il vialetto, Edward la vide ripiegarsi su se stessa. Accanto a lei, Fadil e Ada, a disagio. Fate qualcosa, stava per gridare, confortatela, per l’amore di Dio.
Fermò il cavallo e scese. Olivia si voltò verso di lui e lo fissò. La bocca e una parte del viso erano gonfi e insanguinati, i capelli erano scompigliati e pieni di sabbia, ma era lì, era vera. Si accorse a malapena di Fadil e Ada che si allontanavano, perché non si voltò a guardarli e non lo fece neanche lei. Tutto si fermò per un secondo. Poi entrambi scattarono, Edward la avvolse tra le braccia. «Grazie a Dio, Olly. La mia Olly».
Lei gli sfiorò il viso. «Alistair non è morto». Gli occhi le si riempirono di lacrime. «Clara sì».
«Lo so, Olly, lo so». Era stato lui a trovare il povero corpo prostrato nella sabbia. Solo, devastato. «Mi dispiace». La baciò. «Non riesco a spiegarti cosa provo».
«Come farò? Non posso accettarlo». Lo fissò a lungo, esaminandolo. «Edward…».
«Sono qui, Olly. Con te». Non l’avrebbe lasciata mai più. «Sono tornato indietro per dare una mano». Parlava con voce stridula. «Hanno portato El Masri in caserma. Me lo hanno detto. Credevo che tu… credevo che fossi…». La scostò per osservarla bene. «Oh, Olly, guardati». Le battevano i denti, tremava. Edward riconosceva quella paura, era la stessa che assale anche i soldati più esperti quando il pericolo è ormai passato. «Sei qui», la strinse forte.
Non nominarono più Alistair – un patto silenzioso per fingere, almeno per un momento, che non esistesse.
La portò al piano di sopra, si rimboccò le maniche e riempì la vasca. Olivia si sedette su uno sgabello. Continuavano a guardarsi. Edward la aiutò a svestirsi lentamente, per non farle male, sussultando alla vista della pelle livida.
«Non guardare. Questa non sono io».
«Invece sì. Ma passerà».
Olivia gli gettò le braccia al collo, lui la sollevò e la mise nella vasca, poi entrò con lei.
Nessuno li interruppe. Solamente un lontano mormorio di voci proveniente dalle cucine rivelava che non erano soli in casa.
Edward le passò addosso la spugna, cancellando la sabbia e la notte appena trascorsa.
L’acqua divenne tiepida.
Olivia gli posò la testa sulla spalla umida e gli chiese in che condizioni fosse Clara quando l’aveva trovata. «Ho bisogno di saperlo».
«Olly, non credo che tu…».
«Per favore. Tanto mi tormenterei comunque».
Edward esitò. «Era ferita», disse lentamente, incerto. Non era sicuro che fosse giusto parlargliene. «Gravemente. Il sole le aveva causato delle vesciche, sembra che fosse stata esposta a lungo… le braccia erano girate. Fratturate, crediamo».
Olly rimase in silenzio. Le aveva detto troppo, forse? Teneva lo sguardo basso. L’ombra delle ciglia sulle guance, la pelle color crema e la ferita livida erano come un mantello che celava i suoi sentimenti. Avrebbe voluto chiederle di guardarlo, di non allontanarlo, ma capì che le serviva tempo.
«Chi le ha fatto del male?», chiese infine. «Hassan mi ha detto di non aver mai colpito una donna prima di me».
«Gesù». Fece una smorfia di disgusto. «Che gentiluomo».
«Ma se non è stato lui…».
«Potrebbe essere stato uno degli uomini che lo hanno aiutato a rapirla». Si fermò. Doveva rivelarle i sospetti che lui e Tom nutrivano su Alistair e il suo nuovo braccio destro, Wilkins? Dopo tutto non avevano prove.
Olly disse: «Non ricordi più come si parla?»
«Non è questo».
«Quindi?».
Edward fissò il suo viso tumefatto, la cicatrice sullo stomaco, e pensò a tutto quello che doveva aver passato. Decise che quel poco che aveva da darle, glielo avrebbe offerto con tutta l’onestà possibile.
Così le raccontò di essere andato con Tom al piccolo insediamento a Lixori, per ripercorre i movimenti di Wilkins e interrogare quell’egiziano che forse aveva visto qualcosa nel deserto. Le spiegò che a Lixori non avevano trovato altro che un gruppetto di contadini diffidenti: si erano limitati ad ammettere che Alistair e Wilkins erano stati là e se ne erano andati portandosi via un uomo.
«Il contadino di Wilkins?», chiese Olivia.
«Pensiamo di sì. Solo che Wilkins nega di averlo trovato. Quando è ritornato ad Alessandria ha detto a Jeremy che il loro uomo era scomparso da Lixori prima che lui e Alistair arrivassero».
Olly si accigliò: «Perché avrebbe dovuto mentire?»
«Non lo so», rispose Edward. «Non ne sono certo».
«Cosa credi?».
Lui alzò gli occhi al soffitto, scuotendo ancora una volta la testa. «Non so cosa pensare», rispose aggrottando la fronte. «Alistair forse aveva paura di ciò che Clara avrebbe potuto raccontare se fosse stata ritrovata. Così… Be’, tu sai meglio di chiunque altro che Alistair non è un uomo che perdona chi lo tradisce». Fece un lungo sospiro. «Chissà, potrebbe aver convinto Wilkins che era necessario uccidere quel contadino, per evitare che raccontasse quello che aveva visto. Magari voleva essere sicuro che Clara non venisse mai ritrovata». Edward lo riteneva più che capace di un’azione simile, e non poteva neppure escludere che Alistair si fosse spinto anche più in là. C’era un’altra possibilità, ancora più terribile. «Le ferite di Clara…», proseguì a fatica. «E se fosse stata ancora viva quando Wilkins e Alistair l’hanno trovata? Magari si sono accertati che non tornasse mai più».
Ci fu un breve silenzio.
Olly non disse niente, ma aveva il viso pallido per la paura. Si allontanò da Edward e si alzò. «No. No. Non è possibile. Neppure lui avrebbe mai osato». Si aggrappò al bordo smaltato della vasca, avvicinò il mento al petto emettendo respiri brevi e veloci.
«Non può… non può…». Si portò le mani alla gola.
«Olly». Spaventato, Edward si sporse verso di lei. «Respira. Piano, respira piano».
«Dio, non può aver fatto una cosa tanto orribile. O sì?»
«Forse no», disse per confortarla. Ma Olivia strinse ancora di più le mani intorno alla gola. «Non lo sappiamo. Olly. Non con certezza. È un sospetto, solo un sospetto». La abbracciò per calmarla. «Guardami, Olly. Ti prego, guardami. Olly?».
Lei si voltò.
«Non lo sappiamo», le ripeté.
«Jeremy?». Aveva lo sguardo vitreo e pieno di paura. «Cosa ne pensa? Gliene hai parlato?».
Annuì. «Proprio ora, in caserma».
«E?»
«Non vuole crederci. Ma sospetto che nel profondo ci creda eccome». Lo aveva intuito da quello che Jeremy gli aveva detto un attimo prima di andarsene. Qualunque sia la verità, alla fine c’è riuscito. Ha sempre desiderato che nessun altro potesse averla, e adesso nessuno la avrà.
Olly chiuse gli occhi. «L’altra sera, Alistair mi ha detto che in tanti trovano la morte nel deserto. Ho pensato che fosse una cattiveria riferita ai miei genitori. Ero preoccupata per te… ma forse si riferiva a Clara». Fece un respiro profondo. «Dev’esserci un modo per scoprirlo».
«Non vedo come. Se anche convincessimo i contadini a parlare – ammesso che sappiano qualcosa – Alistair e Wilkins troverebbero di sicuro un modo per uscirne puliti».
Olly aprì la bocca per protestare, poi non disse nulla. Edward la guardò e provò una fitta di dolore davanti alla sua frustrazione: Olivia era consapevole che aveva ragione lui. E infatti abbassò le spalle e si abbandonò contro di lui. «Odio questo posto. Lo odio».
«Mi dispiace tanto, Olivia».
«Non posso tollerare di non sapere. Non posso».
Sarebbe stato troppo crudele ripeterle ancora una volta che con ogni probabilità avrebbe dovuto rassegnarsi.
«Avrei voluto tanto ritrovarla e riportarla da te».
Tacquero entrambi per un momento, Olly persa in pensieri che Edward poteva solo tentare di indovinare.
Alla fine, Olivia posò lo sguardo su di lui e gli chiese, con voce resa inespressiva dal dolore, di cosa avesse parlato con Clara alcune settimane prima, sulla terrazza dello Sporting Club. Sembrava un’altra vita. «Della sua relazione?».
Edward si mosse nell’acqua e le chiese: «Lo sapevi?»
«Non so con chi. Me lo dirai adesso?».
Non c’era più alcun motivo di nasconderlo ormai. «Benjamin Pasha».
«Benjamin? Ma Amélie è la migliore amica di Clara. Benjamin è il fratello di Imogen. Aveva conosciuto nostra madre…».
«Lo so, ma è così».
«Mio Dio. Lui era talmente… rigido il giorno che abbiamo portato Ralph e Gus in visita dai Pasha. Ho creduto che si comportasse in quel modo per semplice disinteresse». Si portò le mani al viso. «Come lo hai scoperto?».
Edward le spiegò che era accaduto molto tempo prima, ben prima che nascesse Gus, durante una festa invernale. «Ero uscito per prendere una boccata d’aria e li ho sorpresi a parlare. Ho percepito qualcosa… Benjamin è andato via non appena si è accorto della mia presenza, ma Clara è rimasta. Non l’avrei mai spinta a rivelarmi tutto, Olly, ma lei l’ha fatto. Credo avesse bisogno di aprirsi con qualcuno».
«Clara. Povera Clara. Così sola. Troppo, troppo sola».
Edward annuì, ricordando l’imbarazzo misto a turbamento con cui lei aveva confessato, con la voce piena di vergogna. Mi dispiace, Teddy. Penserai che sono una svergognata. Ero così felice che fossimo amici.
«Non ne abbiamo più parlato. A dire il vero, ho cercato di dimenticare. Poi, la mattina di quella maledetta festa allo Sporting Club, l’ho vista alla spiaggia… era così alterata. Mi ha detto che Benjamin aveva rotto con lei la notte precedente e poi l’aveva riportata a casa. Clara era ritornata dove lui l’aveva lasciata con ancora indosso l’abito da sera, Livvy. Voleva andare da Amélie e raccontarle tutto. Ho cercato di persuaderla a non farlo, l’ho riportata a casa a mia volta, ma era fuori di sé». Scosse la testa: «Quando al club ho visto che veniva verso di voi, ho intuito le sue intenzioni… avrebbe rovinato tutti, anche se stessa. Le ho parlato con grande durezza. Le ho detto che era un’incosciente e che stava agendo da egoista». Contrasse la mandibola. «Avrei potuto essere più gentile, Olly. Aveva bisogno di gentilezza, ma gliel’ho negata». E non se lo sarebbe mai perdonato. «Sai, mi ha detto che ero un ipocrita, perché sapeva cosa provassi per te».
«Davvero?»
«Sì».
«Non me lo ha mai detto». Si interruppe. «O forse sì. Prima di essere rapita, per strada, mi ha detto che io e lei non eravamo poi così diverse. Credo che stesse cercando il modo per parlarmene». Chiuse gli occhi. «Ci stavamo riavvicinando, Edward. Davvero».
«Mi dispiace tanto», disse lui, odiando la propria impotenza. «Avrei dovuto raccontarti tutto prima, ma volevo riportarla da te, lasciare che fosse lei a confidarsi».
«Con Benjamin hai parlato? Gli hai chiesto chi potesse aver rapito Clara?»
«Certo. Più di una volta. Ha detto che non ne aveva idea».
«Non ti ha rivelato che era Hassan ad accompagnare Clara da lui?»
«Mi ha detto che andava da sola».
«Magari era quello che credeva». Gli poggiò la testa sul collo e Edward sentì le sue lacrime sulla pelle. «Tanto ormai è troppo tardi».
Alla fine andarono a letto. Olivia era distesa su un fianco, accanto a Edward che con lo sguardo seguiva il contorno dei lividi sul suo viso, memorizzandone ogni centimetro.
«Ti ho visto», disse Olivia. «Nella mia mente, quando ho creduto che fosse la arrivata la fine. Eri tutto ciò che riuscivo a vedere».
Gli sfiorò il collo con le dita, percependo la ruvidezza della barba corta. «Vorrei che Alistair fosse morto», disse. «Perché non è morto?».
Edward non disse nulla, continuò a guardarla e basta.
«Non so come potrò stare di nuovo con lui. Non posso… non adesso. Non con tutto quello che ha fatto e che potrebbe aver fatto».
Edward rimase ancora in silenzio, ma la trascinò a sé, la strinse: due vite avvinghiate l’una all’altra. Erano tutto ciò che avevano.
Si addormentarono abbracciati. Quando bussarono alla porta Olivia non aveva idea di quanto tempo fosse passato, ma la stanza era invasa del calore pomeridiano. Sbatté le palpebre, aveva la bocca secca. Edward spalancò gli occhi, ma la strinse ancora più forte per farle capire che si era svegliato.
Bussarono di nuovo.
Da dietro la porta Ada annunciò che era arrivato un messaggio da parte del signor Gray: i funerali di Clara si sarebbero tenuti presso la chiesa St Mary’s alle quattro.
Edward sospirò.
«Ada ha detto oggi, giusto?», chiese Olivia assonnata.
«Sì. Alla piazza d’armi Jeremy ha detto che avrebbe voluto celebrarli prima della partenza di Ralph. L’ho ascoltato a malapena, volevo solo correre qui. Te la senti di andare?»
«Penso di sì. Devo».
La baciò, spostandole un ricciolo dalla guancia. «Dopo io e te dovremo parlare. Ci sono delle cose di cui dobbiamo discutere».
Proprio mentre stavano uscendo, dall’ospedale militare giunse la notizia che Alistair si era risvegliato da alcune ore e desiderava vedere sua moglie. Olivia fece l’unica cosa che poteva fare: finse di non mai aver ricevuto il messaggio.
Il funerale fu terribile, e non avrebbe potuto essere altrimenti. Olivia era seduta accanto a Imogen in un banco laterale, nascondeva il viso gonfio sotto un ampio cappello. Teneva gli occhi bassi sulla stoffa nera del proprio abito, poi guardava il fascio di luce polverosa che entrava dalla finestra, i cuscini da preghiera… qualsiasi cosa che non fosse la bara di quercia sotto l’altare, in cui aleggiava l’invisibile presenza di Clara.
Sola. Così sola.
Perché non aveva dato retta a Edward e Jeremy? Perché aveva insistito per vedere il corpo di Clara prima della funzione? Adesso tutto ciò che ricordava di lei erano le ferite sulla pelle esangue. La sua risata, il naso arrossato: tutto era cancellato, perduto per sempre, come il battito del suo cuore.
Rabbrividì. Imogen le strinse la mano. Anche lei aveva il volto bagnato di lacrime. Olivia si voltò a guardare Amélie, seduta nel banco avanti, appoggiata a Benjamin. Il braccio di lui era rigido, la sua espressione minacciosa.
«Non riesco a guardarlo», sibilò Imogen, seguendo lo sguardo di Olivia. Prima della funzione, le aveva raccontato di aver parlato con lui quella mattina, scoprendo che aveva sempre saputo la verità sulla morte di Tabia.
«Da quando Alistair gli ha portato quel povero nomade. Tuo marito non voleva correre il rischio di consegnarlo alla polizia personalmente, così ha detto a Benjy che doveva aiutarlo, perché sapeva della storia con Clara e avrebbe raccontato tutto se non avesse collaborato».
Olivia pensò che Alistair si fosse divertito immensamente. Chissà quanto lo aveva odiato per la sua relazione con Clara. Si domandò se fosse stato Benjamin a pagare la polizia per assicurarsi che l’uomo venisse picchiato a morte.
Lo domandò a Imogen mentre il pastore leggeva l’elogio funebre. (Il male senza senso che ci ha privato di Clara va oltre l’umana comprensione…).
«Benjy sostiene di no. Gli uomini muoiono spesso a causa dei pestaggi. Il caldo, la malattia… non lo so. Ma questo dubbio mi fa stare male, mi disgusta. Se penso a lui con Clara, per tutto questo tempo… Aveva quindici anni quando è nata, Olivia. Una volta siamo andati a trovare tua madre. Ha visto Clara da bambina». Imogen si premette le dita sulle labbra. «E poi, tenere nascosta tutta questa storia… Mi vergogno così tanto per lui».
Olivia osservò il contegno forzato di Benjamin, la testa china. Le rispose, con una voce tanto bassa da essere quasi inudibile, che era certa si vergognasse anche lui.
«Lo spero», rispose Imogen.
(Facciamo un minuto di silenzio per la vita di Clara, conclusasi tragicamente a causa di un’avida violenza. Preghiamo per la guarigione del nostro stimato amico Alistair Sheldon, ancora sofferente per le ferite riportate cercando di salvare l’amata moglie…).
«Non posso sopportarlo», disse Olivia. Si voltò verso Edward che scosse la testa con tristezza. Notò la presenza di Giles Morton, il giornalista, che affannosamente prendeva appunti qualche banco più avanti. Pensò a tutte le ricostruzioni distorte che stava scrivendo, a tutte le bugie che sarebbero passate per verità. «Hanno liberato Kafele, quel povero innocente?», chiese a Imogen. «Edward mi ha detto che dovrebbero farlo, ora che Jahi si è consegnato».
«No. Tom è furioso, ma Wilkins lo trattiene».
«Perché?»
«Chi lo sa? Dipende tutto da lui. Organizza le accuse, accumula le prove nello stesso modo in cui ha fatto tutto il resto: di nascosto».
«Cercheranno l’altro uomo, Nassar Shahid?»
«Non credo. Non ancora, almeno. È troppo legato alla famiglia reale. Sarebbe rischioso, politicamente parlando». Contrasse le labbra per trattenere le lacrime. «Mio padre conosceva il suo, sai. Prestarono entrambi servizio nell’esercito egiziano. Da bambina vedevo sempre Nassar alle feste. Mi sembra di impazzire…».
«Potrebbe ancora pagare per i suoi crimini», disse Olivia senza molte speranze.
«No. Ora che Hassan è morto, nessuno testimonierà contro di lui, né farà i nomi di chi lo ha aiutato. Jahi di lui non sa niente e anche se Nailah dovesse parlare, dubito che la farebbero testimoniare, viste tutte le altre cose che sa. A ogni modo, lei è stata liberata».
«Davvero?», Olivia si voltò.
«Sì».
Si prese un attimo per capire che effetto le facesse quella notizia e con un certo stupore si accorse che non ne era del tutto infastidita. Era molto arrabbiata con lei, ma c’erano persone che odiava decisamente di più. E poi Nailah in qualche modo aveva provato a dare una mano.
Imogen proseguì: «Wilkins le ha detto che se si farà scappare anche solo un dettaglio di ciò che sa, la farà pagare a lei e al resto della sua famiglia. Ha anche messo in giro delle insinuazioni sui nomadi ai tuoi cancelli. Dice che dovevano per forza essere al corrente delle trame di Hassan».
«Non è vero, non sapevano nulla. La madre mi avrebbe detto qualcosa».
«Davvero?», sospirò Imogen. «La paura è un’arma potente. Comunque, Kafele e Jahi verranno processati domani alle dieci. Se saranno dichiarati colpevoli», sollevò un sopracciglio, «non perderanno tempo ad allestire il patibolo».
«Parlerò con Morton», disse Olivia. «Farò in modo che la verità venga fuori, che si sappia ciò che hanno fatto Jeremy e Alistair». Fissò con decisione la bara di Clara. «Non resterò a guardare».
«Temo che tu non abbia molte possibilità. I giornali non pubblicheranno nulla, non ora». Imogen guardò Ralph, tutto sudato con il suo vestito nero, la mano stretta in quella di Jeremy. «E forse è la cosa migliore», disse, lo sguardo ancora fisso sul bambino. «Suo padre è tutto ciò che gli rimane. Immagina cosa significherebbe per lui sapere cosa ha fatto».
Olivia sussultò a quel pensiero, eppure non le sembrava una ragione sufficiente per tenere tutto nascosto. Proprio per niente.
Si voltò e guardò di nuovo Edward. Anche lui la stava fissando. C’era qualcosa nella sua espressione che le ricordò il modo in cui lui l’aveva guardata sulla terrazza, la sera che Clara era scomparsa, quando ancora fantasticavano di fuggire insieme. Le aveva detto che aveva bisogno di parlarle di alcune cose…
Si sentì gelare dentro.
«Quanto tempo ci vuole per ottenere un trasferimento?», domandò.
Imogen fece una smorfia. «Te ne ha parlato?»
«Non direttamente».
«Io non sapevo come fare. Andrà a Jaipur, una promozione a maggiore. Tom ha provato a fermare la cosa, ma Edward deve partire. La sua nave salpa domani notte».
Olivia rimase immobile. Non riusciva a crederci. Un paio di ore prima erano nello stesso letto, e il giorno dopo, alla stessa ora, lo avrebbe perso per sempre. Non poteva accettarlo. Non avrebbe mai immaginato che potesse accadere così presto.
«Non partirà», disse.
«Non ha scelta. Mi dispiace, tesoro. Non ha scelta».
Dopo il funerale Jeremy diede una cena. Erano in diciassette, senza contare Mildred che era rimasta in camera adducendo un mal di testa o la stanchezza o il dolore o qualcosa di simile. Olivia aveva fatto del proprio meglio per non badare alle sue scuse. («Insensibile», le aveva detto Mildred mentre si allontanava).
La tavola era in giardino. Nell’aria si librava il profumo degli aranci di Clara, le sue belle rose ondeggiavano nelle aiuole. Olivia era seduta accanto a Edward. Guardò la finestrella illuminata al piano di sopra e pensò a Ralph, che sarebbe salpato insieme a Mildred da lì a due giorni. Era riuscita a scambiarci solo poche parole, non aveva parlato neanche con Edward. Non sapeva cosa dirgli, o meglio lo sapeva, ma non era certa di riuscirci. Il solo pensiero le faceva venire le lacrime agli occhi.
«Forza, forza», le disse un uomo di cui Olivia non ricordava il nome. La sua attenzione venne catturata dal suo sguardo arrossato da anni di club pieni di fumo di sigaro. «Animo, ragazza mia!». Si diede un buffetto sulla mandibola. «Si sentirà meglio, una volta che saranno stati impiccati. Si fidi di me».
«Ha esperienza diretta al riguardo?», domandò.
«Certo», rispose lui con un sorrisetto complice.
«Che fortuna».
Sentì la gamba di Edward premere contro la sua.
Ne nacque una discussione a proposito dell’impiccagione: era la giusta condanna per i due prigionieri o no? Jeremy fu riempito di rassicurazioni, aveva fatto bene a non cedere alle minacce. Dio solo sapeva chi sarebbe stato il prossimo, altrimenti. Maledetti barbari, uccidere una donna innocente…
Jeremy non parlava.
Olivia chiese scusa, scostò la sedia dal tavolo, fulminò Jeremy con uno sguardo di puro disprezzo (e lui ebbe almeno il buon gusto di arrossire) e andò via.
«Povera ragazza, troppe emozioni», disse un uomo alle sue spalle.
«È stata dura per lei», aggiunse Jeremy.
Con un tintinnio di posate ricominciarono a mangiare. Olivia si ripromise di recarsi il prima possibile nell’ufficio di Giles Morton. Mentre percorreva le scale della terrazza, sentì una voce: «Starà meglio quando Sheldon sarà tornato. Una donna ha bisogno di suo marito…». Varcò lentamente la porta del salotto. «È proprio così», confermò un altro invitato.
Edward mandò tutti al diavolo. O forse no. Forse Olivia se l’era solo immaginato. Di certo però non ne poteva più, perché la raggiunse e chiuse con violenza la porta della terrazza.
Le mise le mani sulle spalle e la attirò a sé.
«Torniamo a casa», le disse. «È ora di andare».
«Sì», rispose lei. «A Jaipur».
Si incupì. «Maledetta Imogen. Te lo avrei detto io».
«Perché non lo hai fatto?»
«Non sapevo come fare, con tutto ciò che stava accadendo. Non riuscivo a trovare le parole per chiedertelo».
«Per chiedermi cosa?».
Edward le mise un dito sotto al mento, facendole inclinare la testa, in modo che non potesse far altro che guardarlo. «Vieni con me, Olly. Divorzia da Alistair, denuncialo, fatti denunciare da lui per adulterio, per quel che mi importa…».
«Non cederà mai».
«Lo obbligheremo. Non ti lascio con lui. Sarò io a prendermi cura di te, non mi importa nulla di quel che penserà la gente. Andiamo».
Non seppe cosa rispondergli.
Dormirono di nuovo insieme. Olivia non aveva idea di cosa pensasse Ada, ed era certa che il resto della servitù fosse sconvolto, ma non le importava. Se fosse riuscita a costringersi a lasciarlo andare, rassegnandosi a perderlo per rimanere a fare la zia ai suoi nipotini, almeno avrebbe trascorso con lui tutto il tempo che le rimaneva; se invece fosse partita al suo fianco, nulla avrebbe più avuto importanza, no?
E comunque, poteva davvero fargli una cosa simile? Esporlo allo scandalo? Non sarebbe stata una cosa terribilmente egoista?
Non aveva una risposta, ma mentre era distesa tra le sue braccia, pensò a come sarebbe stato fuggire da quell’inferno insieme a lui, trascorre la vita sentendosi amata e al sicuro. Che meraviglia.
«Ti rovinerei. Sarei il marchio della tua vergona».
«Meglio averti come marchio che non averti». Edward si tirò su un gomito, la guardò nella penombra argentata. «Ci riusciremo, la gente dimentica. E se così non fosse, che vadano a farsi fottere. Noi saremo felici».
«Davvero?».
Era una fantasia piacevole.
Era l’ora più buia della notte quando Olivia venne svegliata dalle grida in giardino. Si rigirò nel letto per controllare se Edward avesse sentito qualcosa, ma lui non c’era più. Si avvicinò lentamente alla finestra, incerta: davvero voleva sapere cosa stava accadendo? Preoccupata, spostò la tenda e spalancò le persiane, cercando di dare corpo alla sensazione di pericolo che avvertiva.
La nomade stava piangendo. Edward, con la camicia fuori dai pantaloni, gridava.
Due uomini in uniforme stavano brutalmente trascinando i due fratelli nomadi verso un carro della polizia.