Capitolo ventinove

Olivia saltò la colazione, evitando in questo modo non solo Alistair, ma anche il cibo. A malapena aveva mangiato qualcosa a cena, e ora aveva fame. La luce del sole, la distanza che la separava dal tramonto: di nuovo le sembrava possibile mangiare, vivere. Giunta in periferia chiese a Fadil di fermarsi a un forno, una bassa baracca di pietra che odorava di farina e cannella ed era piena di matrone che spintonavano. Fadil le liberò un posto vicino alla vetrina dei pasticcini zuccherati; la fece sorridere rimproverando la proprietaria per averla fatta pagare troppo.

«Non mi importa», disse lei.

«A me sì», rispose lui.

Quando Olivia arrivò nel reparto, fu rincuorata nel vedere i sandali malconci di Nailah sotto il paravento del letto di Babu. Dunque poteva risparmiarsi una nuova spedizione al quartiere turco. Attraversò la stanza. Babu era sveglio, Nailah gli accarezzava la guancia mentre lui sorrideva. La ragazza indossava l’abito che le aveva portato Olivia. Si chiese se fosse un indizio favorevole. Forse era il segnale che era pronta a cedere e a cominciare a parlare? O semplicemente l’altro vestito era sporco e non altrettanto grazioso?

Tirò su il cesto. «Ho portato la colazione». Nailah la ringraziò. Olivia indicò Babu. «Ha ripreso colore».

«Sì. Dio sorride».

«Davvero? Devo dire che era da un po’ di tempo che non ne vedevo le prove». Olivia si accomodò sulla sedia libera, le gonne che si allargavano intorno a lei sul pavimento che sapeva di detersivo. Esitò prima di parlare, non sapeva da dove cominciare: l’amante di Clara o la morte di Tabia? Aveva la sensazione che Tabia potesse (potesse) essere l’argomento più semplice da affrontare, quindi disse: «Nailah, vorrei parlarti della morte di tua zia».

La mano della ragazza si bloccò sulla guancia di Babu.

«Tu sai cosa le è successo?».

Nailah sbatté gli occhi, poi disse: «Lo sanno tutti».

«Sul serio?». Olivia lanciò a Nailah un lungo sguardo. «Non ne sono così sicura». Ci fu un breve silenzio. «Penso che ci sia dell’altro», disse Olivia. «Che ha qualcosa a che fare con la scomparsa di mia sorella».

Nailah non cambiò espressione. Non diede segni di confusione. Il collegamento, che per Olivia non era ancora chiaro, a quanto pare per lei era del tutto logico. Olivia si piegò in avanti, le mani intrecciate sulle lenzuola di Babu. «Nailah, cosa sai che io non so?». Il volto della giovane restava immobile, come paralizzato. «Nailah».

Lei deglutì. «Non so niente».

«Penso di sì».

«No».

«O lo dici a me, oppure faccio venire qui il capitano Bertram per interrogarti al posto mio. Tornerà presto, oppure», stava bleffando, «farò venire uno dei suoi uomini. Meglio che ci pensi io, non credi?». Nailah scosse la testa in silenzio, senza parlare. «Puoi fidarti di me, Nailah». Silenzio. Olivia decise di tentare un approccio più astuto. «Tua zia viveva a Montazah, vero?»

«Sì».

«È stata uccisa nel cuore della notte. Che cosa ci faceva fuori, per strada? Perché non se ne stava a casa, al sicuro?».

Di nuovo Nailah scosse la testa.

Olivia esclamò frustrata: «Devo andare alla caserma, vero? O alla polizia?». Fece per alzarsi. «Ti porteranno dentro, lo sai. Tuo cugino rimarrà solo».

«No, la prego». Nailah allungò le mani quasi a implorarla.

«Perché Tabia era fuori casa, cosa stava facendo?».

Silenzio.

Olivia si girò per andarsene.

«Aveva un appuntamento». Le parole di Nailah erano un’ammissione di resa. «Doveva incontrare una persona».

«Chi?»

«Un uomo».

«Un amico?».

Le gote giallastre di Nailah arrossirono. «Un buon amico».

«Tabia aveva una relazione?». Olivia aveva bisogno di chiarire questo punto; temeva che i caotici avvenimenti che avevano investito la sua famiglia la stessero spingendo a saltare a conclusioni sbagliate.

Nailah arrossì ancora di più. «La cosa la stupisce?»

«Probabilmente non quanto dovrei».

«Tabia lo amava. Avevano programmato di sposarsi presto. Non si stava comportando in modo avventato».

«Chi era?», chiese di nuovo Olivia.

Nailah abbassò gli occhi sul lenzuolo, passandoci le mani sopra. «Tabia lo chiamava Rohi», disse a bassa voce. «Significa “la mia anima”, un nomignolo affettuoso».

In qualche modo le suonava familiare. Olivia si concentrò, cercando di ricordarsi dove l’avesse già sentito.

Nailah disse: «La notte in cui Tabia è morta, era andata in spiaggia con lui».

«La spiaggia di Montazah?». Olivia la fissò, incredula. Santo cielo, cosa faceva di quella baia una tale luogo di perdizione? Clara e Tabia, entrambe là – forse persino nello stesso momento; Clara che sollevava le sue sottogonne di seta poco lontano da Tabia che alzava le sue vesti di stoffa ruvida.

Olivia sentì come un peso sullo stomaco.

«Come è morta tua zia, Nailah?». Si costrinse a fare questa domanda, anche se non avrebbe proprio voluto chiederglielo; all’improvviso si era convinta che la risposta, qualunque fosse, l’avrebbe trascinata in un luogo oscuro e tetro.

Nailah fissò il reparto con occhi vuoti. Era come se non avesse sentito.

Olivia glielo chiese di nuovo.

Ancora niente.

«Nailah».

«È stata assassinata». Nel momento stesso in cui lo disse, Nailah spalancò gli occhi, quasi a rimangiarsi tutto, se solo avesse potuto. Ma le parole le erano già sfuggite di bocca; la verità rimbalzava dalle orecchie di Olivia, saettando sulle pareti pulite e sulle lenzuola fresche di bucato, diffondendosi nel reparto.

Ormai era stata liberata. Ed era spaventosa.

«Da chi?», chiese Olivia meravigliandosi della calma e della fermezza della sua voce.

«Il… quel beduino, il suo cavallo». Lo disse in un sussurro.

«Che cosa è successo a tua zia, Nailah?»

«Io… non lo so. Come potrei saperlo?»

«Ma hai appena detto che a ucciderla è stato il cavallo di un beduino».

«Cosa?». Nailah si accigliò confusa. «Sì, è andata così».

«Menti». Olivia si portò la mano alla fronte. Si guardò intorno, provando ad aggrapparsi ai dettagli insignificanti dei letti e dei vasi di fiori, per fare chiarezza dentro di sé. Fuori, un carrello di metallo avanzava lungo il corridoio, mentre dalle finestre arrivava il rumore della strada e un bambino in un letto lontano faceva ridere la madre. «Clara sapeva cosa era successo?»

«Cosa?»

«È stata rapita dall’uomo che ha ucciso Tabia? In modo che non potesse parlare?». Olivia rivide l’immagine di Clara e Edward che parlavano nell’oscurità sulla terrazza dello Sporting Club, proprio la sera dopo la morte di Tabia e la festa dei Pasha. Edward era coinvolto in qualche modo? Stava supplicando Clara di non dire nulla? Ti prego, no. Ti-prego-no-ti-prego-no-ti-prego-no. Olivia non riusciva nemmeno a pensarci. Non lo sopportava. «Nailah, chi ha ucciso Tabia?»

«Non posso… non so».

«E invece lo sai. Te lo leggo negli occhi. Sei coinvolta in qualche modo».

«No».

«Sì».

«E mia sorella era là, vero, quando è successo?»

«Co… cosa vuole dire?»

«So che l’hai vista sulla spiaggia quella stessa sera, in compagnia di un uomo con cui non avrebbe dovuto stare». Olivia allungò il braccio sul letto e afferrò le mani gelate di Nailah. «Voglio che tu mi dica chi era quell’uomo, Nailah. Devo trovarlo. Penso che abbia rapito Clara».

Ecco. Alla fine l’aveva detto.

Ma il modo in cui Nailah la stava fissando… La sua espressione si poteva descrivere con una sola parola: inorridita. Anzi, in realtà non era vero. C’erano molte altre parole: sconvolta, allibita, terrorizzata. Il suo viso era il ritratto del terrore.

«Nailah, quest’uomo ti sta minacciando? Per non farti parlare, forse?».

Nailah mimò un no con la bocca.

«Dimmi la verità, Nailah. Non c’è nulla da temere».

Nailah scosse la testa come se invece ci fosse molto da temere. «Madame Sheldon, per favore, lasciamo perdere».

«Non posso», disse Olivia. «Dimmi, chi era quest’uomo?»

«Non posso. Io… Io non… non ho mai visto sua sorella con nessuno».

«Basta bugie. Hai visto Clara con un egiziano alla baia di Montazah. L’ultima volta che Clara è stata vista prima di scomparire era in compagnia di un uomo, presumibilmente la stessa persona, fuori dal Draycott».

«Non so chi sia quest’uomo, lo giuro. E le giuro anche che sua sorella non sapeva niente della morte di Tabia».

Olivia fece un respiro profondo. Forse Nailah diceva la verità, per lo meno su questo. Si prese un momento di pausa e si rese conto che qualcosa non tornava. Se Clara era stata rapita semplicemente per metterla a tacere, perché tutti temevano per la sua salvezza? Perché la polizia sorvegliava la villa dei Gray? Che bisogno c’era di proteggere la famiglia? E certo, Clara non era in sé il giorno in cui era scomparsa – ed era a dir poco reticente nelle sue lettere da Costantinopoli. Eppure le era sembrata più triste che sconvolta. Certamente non era la reazione che ci si potrebbe aspettare da una donna che era appena stata testimone di un assassinio. Inoltre il suo umore malinconico era cominciato molto prima della morte di Tabia.

Imogen aveva ragione, ogni cosa era collegata in qualche modo. Ma Olivia non riusciva a capire come. E allo stesso modo, per quanto si sforzasse, non riusciva a capire che ruolo avesse giocato in tutto questo l’amante di Clara. Per non parlare di Tabia. Olivia abbassò le spalle, sconfortata. Si sentiva come se stesse tornando al punto di partenza – il posto peggiore in assoluto. «Te lo chiedo per l’ultima volta», disse a Nailah, «chi ha ucciso tua zia? E come hai saputo quanto era successo? Te l’ha detto l’amante di Tabia?»

«Madame Sheldon…».

«Quale è il vero nome di questo Rohi?»

«Non posso…».

«In che modo è coinvolto?»

«Per favore…».

Olivia sollevò le mani e si alzò. Guardò Babu che la fissava con aria amichevole e poi Nailah. «Ieri mi sono sentita in pena per te, davvero. Ma ora non più. Clara potrebbe essere morta e a te non importa niente».

«Invece me ne importa». Gli occhi di Nailah si riempirono di lacrime. «Oh, madame Sheldon, me ne importa. Per favore però non dica niente a nessuno».

Olivia fece una risata amara e si girò per andarsene.

«No, si fermi. Aspetti. Dimentichi questa storia».

Olivia se ne andò. Mentre superava in fretta le suore, sorella Rosis la chiamò, dicendole che le sembrava turbata. «Spero che Nailah le abbia dimostrato un minimo di gratitudine, dopo tutto quello che è stato fatto per lei».

Olivia si fermò, le venne in mente una cosa. Qualcuno sta pagando le spese della clinica. Si voltò verso sorella Rosis. «Il conto è stato saldato?», parlò a voce bassa. «Avete bisogno del mio aiuto?»

«Non si preoccupi, signora Sheldon, il dottor Socrates sta inviando tutti i conti direttamente al capitano Bertram. Si occupa lui di sistemare la questione dei pagamenti con il benefattore di Babu».

«Splendido». Sul viso di Olivia apparve un sorriso forzato, che le squarciò il volto come un coltello.

 

Dall’altra parte del reparto Nailah guardava madame Sheldon che andava via. Non meritava di soffrire così. Non era una persona cattiva; erano le persone attorno a lei a essere spregevoli, quasi tutte.

Nailah inclusa.

Si sentiva rapita in un vortice frenetico e folle fin dal giorno in cui l’amore di Tabia, Rohi, era andato a dirle che sua zia era morta. Invece di scappare via, era rimasta lì, e per questo era precipitata sempre più a fondo…

Posò la testa sulle lenzuola di Babu. Che sciocca che era stata. Perché si era lasciata sfuggire che Tabia era stata assassinata? Perché glielo aveva detto? Avrebbe dovuto tenere la bocca chiusa, rifiutarsi di dire anche solo una parola a madame Sheldon. Avrebbe dovuto ignorare le sue minacce di andare alla polizia e di farla arrestare. Egoista. Egoista.

Per ora non poteva far altro che sperare che madame Sheldon tenesse per sé i sospetti, e non solo perché aveva bisogno di tempo per fuggire con i bambini prima che qualcuno venisse ad arrestarla. Ne andava della salvezza di madame Sheldon stessa.

Perché se lui avesse scoperto che la signora aveva cominciato a intuire la verità, l’epilogo sarebbe stato inevitabile. Lo stesso che era toccato alla sorella.