Capitolo trentadue
Incenso e olio: gli unici odori che sentiva. L’aria era satura di quel profumo e del tintinnio di cavigliere e di orecchini, di bisbigli e risate sommesse. Da dietro la porta Nailah vide alcune donne, le teste inclinate in modo civettuolo e sorrisi appena accennati. Dall’altro lato della stanza, un paio di loro cantavano. Una si sforzava di raggiungere la nota più alta mentre sfiorava una spalla all’altra, ammiccanti anche se erano sole, come se non potessero farne a meno.
Non riusciva a credere che Jahi l’avesse portata in un luogo simile. Quella specie di fortezza nel deserto era… era un harem. «Hassan ha detto che è un luogo sicuro», le aveva spiegato mentre cavalcavano. «È tutto ciò che conta adesso».
«Non è vero», aveva risposto Nailah, ricominciando a piangere. «Tabia vi odierebbe, se potesse vedere quello che state tramando tu e Hassan».
Nailah si premette le mani sullo stomaco chiuso dalla paura. Indossava ancora gli abiti che le aveva dato madame Sheldon, invece degli ampi pantaloni larghi e della camicetta di seta che portavano tutte le domestiche da quelle parti. Guardò gli indumenti ai piedi del materasso, gli asciugamani, il sapone e il rasoio. Una donna dai modi autoritari le aveva detto di passare la lama sotto le ascelle e sulle gambe. «Non arrossire, lo fanno tutte le cameriere. Gli piacciono le ragazze graziose. Riposa stanotte, domani ti assegneremo i tuoi compiti. Lavora bene e vivrai bene. Ricordati, lui ti terrà d’occhio».
Nailah chiese chi fosse quel misterioso lui. Nassar Shahid, rispose la donna. Nailah aveva sentito dire che era ricco come un faraone, pur essendo relegato ai margini dell’aristocrazia egiziana. Si vociferava di un suo coinvolgimento nella rivolta del 1882 e del suo odio per gli inglesi. In realtà non era una sorpresa che fosse lui l’amico che aveva aiutato Hassan a rapire madame Gray, suggerendo anche il posto in cui nasconderla: quell’oasi sperduta con un piccolo rifugio, provviste, una buona sorgente e l’ombra di due palme.
Perché Shahid lo aveva aiutato? Era forse un misericordioso aristocratico dal cuore d’oro sinceramente addolorato per la morte di Tabia? O un opportunista, un uomo orgoglioso in cerca di una scusa per ribellarsi e vendicarsi degli inglesi?
Lo avrebbe chiesto a Jahi, se fosse stato là, ma era andato via subito senza neanche aspettare che entrasse. Evidentemente non vedeva l’ora di allontanarsi. Si era limitato a bussare alla porta di servizio e le aveva dato un addio veloce. Poi era tornato al cammello preso in prestito ed era corso via senza dirle dove fosse diretto. Le aveva solo annunciato che sarebbe tornato all’oasi più tardi, una volta che fosse tutto finito, per aiutare Hassan con il corpo di madame Sheldon. Non aveva il coraggio di assistere all’omicidio. In un attimo quell’immagine occupò la mente di Nailah: Hassan che prendeva la mira nell’oscurità e madame Sheldon che si ripiegava su se stessa, accasciandosi nelle gonne di seta. Le mancò il fiato. Si portò una mano al petto come a cercare aria, ma subito le balenò in mente un’altra visione: Babu, accoccolato tra le braccia di Cleo sul pavimento della stazione del Cairo, in attesa del treno; Isa che camminava avanti e indietro con il suo abito di mussola sbiadita, rimproverando Jahi per aver portato via Nailah senza neanche fargliela salutare; gli occhi ambrati di Kafele che, sgomento, tentava di capire dove fosse Nailah.
Vide il bel viso del capitano sfigurato dal dolore alla scoperta della scomparsa di madame Sheldon. Il sorriso che le veniva cancellato dalle labbra.
Un altro sorriso.
Si avvicinò al materasso e prese gli abiti nuovi facendosi scivolare la seta tra le mani, più raffinata di quella degli abiti di madame Amélie. Quella notte li avrebbe indossati lei. Avrebbe fatto il bagno, si sarebbe oliata i capelli e avrebbe fatto credere a tutti di essere felice di stare lì.
Poi però sarebbe fuggita. Era colma di disgusto per la sua vigliaccheria, per non aver chiamato madame Cartier. Si augurò che non fosse troppo tardi per aiutare madame Sheldon. Non sapeva come avrebbe fatto, ma un modo lo avrebbe trovato. Non aveva niente da perdere. E aveva lasciato accadere troppe cose crudeli.
Era giunto il momento di farsi perdonare.
Nonostante l’area riservata alle donne fosse lussuosa, piena di cuscini ricamati, specchi e lampade dorate, c’era solo una porta che dava sull’esterno. Nailah provò a forzare la maniglia, ma scoprì che era chiusa a chiave.
Imprecò, scrutando le donne vicine per assicurarsi che non avessero notato il suo tentativo di fuggire. Sembravano indifferenti, assorte nelle loro chiacchiere accompagnate da un gesticolare nervoso. Uccelli dal piumaggio splendente intrappolati in una gabbia dorata.
«È quasi ora di andare a letto», disse una di loro con una risatina leziosa.
Nailah sentì contorcersi lo stomaco. Era disgustata, ma anche curiosa, e se ne vergognava. Era come se quelle donne bramassero le attenzioni di Shahid – Nailah percepiva la sua presenza ovunque. Invisibile e silenzioso, eppure percepibile con nettezza in quell’atmosfera di attesa che si faceva più soffocante minuto dopo minuto. Immaginò un uomo elegante, di circa quarant’anni, forte e sicuro di sé, con quella punta di durezza che lo aveva reso capace di ribellarsi e sopravvivere. Come ci si doveva sentire a farsi accudire da un uomo così? Ad affidarsi a lui, così sicuro, irreprensibile e devoto alle sue dee?
Per scacciare la tentazione Nailah scosse la testa così forte che una coppia di donne la guardò in modo strano, bisbigliando qualcosa e ridendo.
Le ignorò. Si guardò intorno per trovare un’altra porta, un modo per fuggire. Pensò all’immensità del deserto, all’interminabile sentiero che il cammello di Jahi aveva percorso per portarla là. Anche se fosse uscita dall’edificio, sarebbe morta prima di raggiungere la città.
La stessa sorte che doveva essere toccata a madame Gray.
Tornò in camera e si avvicinò alla finestra, le tende di mussola bianca ondeggiavano al vento. Guardò giù, verso il giardino: era troppo alto per un balzo, ma le persiane della camera di sotto erano aperte e forse, con un po’ di attenzione, avrebbe potuto usarle come punto d’appoggio prima di saltare.
Allontanò dalla mente l’idea del deserto. Ci avrebbe pensato una volta là, se mai ci fosse arrivata. Salì sul davanzale e si sporse. Il ventò le gonfiò i pantaloni di seta. Si voltò, si calò.