Capitolo sei

Olivia seguì fuori Alistair, diretto verso il suo cavallo, e gli chiese di cosa avesse parlato con Wilkins. «Perché sei andato tu a parlare con lui?». Alzò le gonne per non sporcarle sul sentiero di fango indurito, correndo per tenere il passo. «Che c’entri tu? Dimmelo, non vengo a casa fino a che non me lo dici».

«Non essere irritante». Alistair aprì le porte della stalla. «Non è da te. E non c’è assolutamente nulla da dire. Stavamo solo… incoraggiando… Wilkins a prendere sul serio quello che è successo».

«Perché? Che cosa sai tu che lui non sa?»

«Lasciamo perdere».

«No». La voce di Olivia si alzò nell’aria della notte, rimbalzando contro le balle di fieno; i cavalli scalpitarono nelle loro stalle. Il cocchiere di Clara, Hassan, si tirò su e la guardò mentre spalava la paglia, la curiosità che lo animava era scritta con chiarezza sui suoi lineamenti, sulla carnagione scura.

Alistair si fermò. Le sue spalle squadrate si sollevarono mentre faceva un sospiro. Si girò e tornò verso di lei. Olivia trasalì quando lui alzò le mani come per mettergliele in faccia. I suoi occhi blu saettavano sospettosi. «Andiamo ora», disse con quel suo modo di fare controllato. «Hai avuto una giornata difficile».

«Smetti di parlarmi come se fossi una bambina».

«Smetti di comportarti come una bambina».

Lei trasalì al suo tono gelido; c’era del vero in quell’accusa, e la cosa la rendeva furibonda. Incendiata dall’ira, insistette. «Ho visto Clara turbata, di recente, benché non abbia mai scoperto il perché. Penso però che tu potresti saperlo».

«E perché diavolo dovrei?»

«Lei diceva che Jeremy era arrabbiato con te, che non voleva nemmeno tornare».

«Oh, santo cielo. Basta».

Una vocina nella sua testa le diceva di dargli retta, di fare come diceva, di non superare il limite. «Clara ti detesta, lo sai». Le parole le uscirono di bocca prima che potesse fermarle. «Ti ha sempre detestato, fin da quando hai provato a convincerla a sposare te invece di Jeremy».

«Adesso basta».

«Non dirmi quando…».

«Olivia».

Una sola parola, secca. La determinazione si spense sulle labbra di Olivia. La bocca di Alistair si piegò in un sorriso; sapeva di aver vinto. Lei lo fissò con occhi lampeggianti di umiliazione e frustrazione, mentre lui si allontanava a grandi passi, superando Hassan, fino alla stalla più lontana. Sciolse il suo cavallo da caccia e montò in sella.

Olivia aspettò che se ne andasse. Tentò di farsi coraggio pensando a Edward. Ma questa volta non funzionò. Quando provava a pensare a lui, tutto quello che riusciva a ricordare era il modo in cui si era comportato l’ultima volta che lo aveva visto, testa a testa con Clara. Non riusciva a cancellare quell’immagine. E lui ora non era al suo fianco per aiutarla. Per quello che ne sapeva poteva anche non essere a casa.

Fece un passo indietro mentre Alistair la affiancava e le porgeva la mano per farla salire. Fissò i suoi tratti simmetrici, la sua pelle quasi trasparente, e cominciò ad arrossire. Ignorando la sua offerta di aiuto, andò a prendere una cassa lì vicino, afferrò la criniera del cavallo e si tirò su da sola. Fece leva con così tanta forza che perse l’equilibrio e quasi cadde sull’altro fianco a testa in giù. Si dimenò per rimettersi in posizione eretta, in una gran confusione di sottogonne e calze. Alla fine riuscì ad afferrare la cinghia della sella. Alistair la fece sistemare davanti a sé. «Sta’ attenta», disse.

«Sono a posto». Si scostò i capelli dal volto accaldato.

Alistair rise sommessamente e avviò il cavallo.

Hassan li fissava, con il rastrello nella mano immobile. Cavalcarono in silenzio lungo la strada illuminata dalla luna. Olivia, stretta nella presa di Alistair, contemplava il mare scintillante e le palme che ondeggiavano. Ogni cosa intorno a loro era così bella, e tanta meraviglia la faceva solo sentire peggio.

Quando arrivarono a casa i beduini erano già andati a dormire, la loro tenda era silenziosa. La villa era avvolta nell’oscurità, i gelsomini rampicanti erano solo ombre dolcemente profumate sui muri. Nessun servitore in giro. Si sentivano solo Olivia e Alistair che salivano le scale, il crepitio della candela e il canto delle cicale all’esterno.

Alistair non parlò mentre Olivia si spogliava. Si limitò a guardare. E lei cercò di reprimere i brividi di ansia che sentiva crescere dentro. Questa notte no, vero? L’unica cosa che desiderava era stendersi in silenzio, senza essere toccata, tenendosi per sé le sue lacrime per Clara – una compagnia malinconica. Dove sei? Si rigirava continuamente questa domanda nella mente.

Si avvicinò al letto, non si era mai sentita così spaventata e sola. Scostò le pieghe sottili della zanzariera di tessuto e salì sul materasso. Si girò sul fianco, lontano da lui. Ansimava. Sentì un furtivo rigonfiamento, mentre piano piano suo marito si avvicinava e si piegava su di lei, allungando una mano sul suo corpo, ma senza toccarla.

«Girati», disse. «Guardami».

Olivia non gli obbedì, quindi lui la costrinse con la forza. Aveva la candela in mano.

«Perché prima mi hai detto quelle cose, Olivia?». La candela si stava sciogliendo, un filo di cera colava su un lato. «Perché oggi sei uscita di casa da sola?». Scosse la testa. La fiamma oscillava a ogni suo movimento. «Che cosa ti è saltato in testa? Vorrei poter leggere nella tua mente». Le baciò il collo. «Vorrei sapere tutto di te, se potessi». La baciò di nuovo. Lo stoppino crepitò. «Non puoi escludermi». La sua mano correva lungo il suo corpo. «Non devi».

«No, Alistair. Non mi va. Non con Clara…».

«Shhhh». Serrò la stretta sulla sua gamba, stringendo nel pugno il tessuto della camicia da notte. Le sue dita la tenevano ferma. E anche se Olivia sapeva che era inutile, che con ogni probabilità non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione, si oppose. In preda al panico i suoi arti si riempirono di energia mentre provava a respingerlo. Lui sorrise quasi come se il divertimento fosse appena cominciato. Tolse la mano da sotto la camicia da notte e la sollevò sopra di lei. Gli occhi di Olivia si spalancarono. Prima che potesse muoversi o almeno implorarlo di fermarsi, le diede bruscamente una gomitata nello stomaco, togliendole il respiro e le parole. Rantolò e restò bloccata dal dolore. Fissò la zanzariera, poi una mosca morta, tutto pur di non guardare suo marito. La candela che sfrigolava sulla scottatura infiammata del suo bacino non la sorprese ma la sconvolse, fu costretta a gridare e il cuscino scese giù pesante sul suo viso.

Alistair le divaricò le gambe. Olivia strinse gli occhi serrati.

 

Edward, in giardino, vide spegnersi la luce della loro camera e pensò: Ti prego, fa’ che Alistair la stia solo confortando. Dona a Olivia un po’ di sonno ora. Gli spezzava il cuore essere tornato, starle così vicino, finalmente, al punto che se solo l’avesse chiamata lei avrebbe potuto sentirlo, e tuttavia non poterla tenere tra le braccia. Si passò la mano sul viso. Con un sospiro tirò le redini del cavallo, conducendolo verso le stalle sul retro. Si slacciò il colletto mentre camminava, lasciandosi accarezzare dall’aria fresca della notte. Era sfinito, non ricordava l’ultima volta che si era sentito così stanco. Era sveglio dall’alba, cavalcando di buon passo tra le dune: il tratto finale di un viaggio di tre giorni innescato da quel messaggio. Lascia stare, hai cercato abbastanza. I Gray stanno tornando da Costantinopoli, abbiamo bisogno di te qui ora. Finalmente era a casa, e avrebbe voluto solo togliersi la sabbia di dosso, vedere Olly e poi andare da Tom per saperne di più sulla ragione per cui era stato mandato nel deserto insieme a Fadil per quella maledetta impresa disperata. Ma giunto a destinazione aveva scoperto che nessuno sapeva dove fosse Olly. Solo che era uscita con Clara.

Edward si era infuriato; dopo il mese che aveva passato, era assurdo che Clara se ne andasse a zonzo a quel modo. Lui e Fadil erano andati a cercarle: Fadil al centro mentre Edward perlustrava qua e là. Edward scosse la testa pensando a tutto il tempo che aveva perso setacciando i caffè e i parchi di Alessandria, alla sua rabbia quando aveva rinunciato ed era andato da Tom alla piazza d’armi. Aveva già pronto in testa il discorso, gliene avrebbe dette quattro. Non pensi forse che potremmo chiedere a Clara di metterci al corrente dei suoi programmi in futuro, prima di andare a bighellonare Dio solo sa dove? E magari potrebbe per lo meno fare attenzione prima di trascinare con sé la sorella. Non sono un dannato babysitter. Per quanto nutrisse rispetto per Tom e per le mostrine che aveva sul petto, aveva intenzione di parlare chiaro. Era troppo arrabbiato e troppo stanco per tacere.

Ma, non appena era entrato nell’ufficio di Tom e aveva visto la sua espressione sconvolta, le parole gli erano morte in bocca. L’aveva ascoltato in un cupo silenzio mentre Tom lo informava che Jeremy e Alistair se ne erano appena andati: era successo il peggio, Clara era sparita. «Lei non sapeva», aveva detto Tom. «Non l’avevano avvertita di quanto fosse serio il pericolo che correva, anche se mi avevano assicurato che lo avrebbero fatto. Le avevano propinato qualche sciocchezza sui nazionalisti e sulle loro attività. Sheldon sosteneva che sarebbe stato sufficiente per tenerla sul chi vive. Non volevano allarmarla dicendole la verità, per paura dei pettegolezzi. Se poi lei l’avesse raccontato a qualcuno…». Tom sembrava incredulo e pieno di rabbia non meno di Edward. E terribilmente in pena, anche. Conosceva Clara da prima di Edward, fin da quando era arrivata ad Alessandria da fresca sposina. Per quanto riguardava Imogen… Tom aveva paura di rivelarle cosa era successo. «Che maledetta arroganza», aveva detto Tom. «Quei due ora stanno parlando con quell’imbecille di Wilkins. L’aveva chiamato Olivia».

«Olly è al sicuro?», era riuscito a chiedere Edward.

«Sì, grazie a Dio. Per il momento».

Per il momento. Mai due parole così semplici e brevi avevano colpito lo stomaco di Edward con tale forza.

Si era girato per andarsene, deciso a recarsi a casa dei Gray, solo per incontrare Olly. Tom aveva provato a trattenerlo, aveva detto che dovevano discutere dell’India, e poi erano arrivati i documenti, quindi il suo trasferimento sarebbe diventato effettivo in meno di due settimane; doveva tenersi pronto e dirlo agli uomini. Edward si era rifiutato di dargli ascolto. Era uscito dalla stanza, e poi aveva cavalcato a tutta velocità verso la villa dei Gray. Ma l’aveva trovata deserta, il salotto e anche lo studio erano al buio. Un domestico gli aveva detto che erano andati via tutti. Il signor Gray era in terrazza, se il capitano Bertram voleva raggiungerlo. Edward aveva rifiutato. Era tornato dritto a casa. Dove c’era lei.

Piegò le sue dita sulle redini e le esaminò alla luce della luna. Stava tremando. Tutto il suo corpo era teso per la paura. Strinse forte la mano. Era assolutamente necessario che si desse una calmata. Non era mai stato così spaventato prima, né durante il suo brutale addestramento all’accademia militare di Sandhurst, né nei primi giorni in Egitto, e neppure nei pattugliamenti nel deserto in territorio nemico durante la guerra sudanese… Era sconvolto dall’emozione.

Portò lo stallone nelle stalle, oltre il recinto vuoto dove avrebbe dovuto riposare il cavallo da caccia di Fadil. Dunque non era tornato. Edward non lo vedeva dalla mattina, quando si erano separati. Pregava Dio che fosse impegnato a seguire una traccia.

Si fermò accanto al cavallo di Olly. Gli fece scorrere la mano sulla testa, schioccando la lingua mentre la bestia gli si stringeva contro. Sospirò pensando a tutte le lezioni di equitazione, a tutte le ore passate in quel campo. I ricordi gli avevano tenuto compagnia mentre era lontano. Il sorriso di Olly, la sua risata, quel momento in cui le aveva toccato il polpaccio, e la vita, per aiutarla a salire.

Chiuse gli occhi. Datti una regolata.

 

Andò dalle stalle fino alla terrazza. Non ci pensava neppure ad andare a letto, non sarebbe riuscito a chiudere occhio se prima non avesse parlato con Fadil. Salì la scala di legno, si accese una sigaretta e si voltò a guardare il mare lontano. Mentre aspirava le sue labbra tremavano.

Pensò a Olly addormentata al piano di sopra, il suo corpo raggomitolato tra le lenzuola. Pensava anche a Clara: a dove potesse essere, a cosa stesse passando, a cosa dovevano fare per trovarla.

Era così sconvolta l’ultima volta che avevano parlato. Un pensiero che non sopportava. Quella notte, sul terrazzo del club, era stato brusco, troppo brusco con lei. Come hai potuto essere così egoista, Clara? Che senso avrebbe dirlo adesso? Non pensare sempre a te stessa. Dio, quanto gli era sembrata mortificata.

Prese un altro tiro dalla sigaretta. Gli tremavano le gambe. Non poteva starsene in piedi lì senza fare niente. Dove diavolo era finito Fadil? Decise di andare a cercarlo. Stava per mettersi in moto quando sentì che le finestre sulla terrazza si stavano aprendo e si bloccò immediatamente.

Si girò. Nel momento stesso in cui la vide, la tensione che gli irrigidiva i muscoli si sciolse. Capì che fino a quel momento non era affatto riuscito a convincersi che lei fosse salva sul serio.

Olivia non si accorse subito di lui. La sua espressione, mentre guardava il giardino, era distante. La brezza le muoveva i capelli castani, si stringeva le braccia intorno al corpo per tenere la camicia da notte ben aderente al corpo. Sussultò, come se avesse provato una fitta di dolore. Appena la vide, Edward capì che stava pensando a Clara e fece un passo in avanti. Un’asse del pavimento scricchiolò.

Olivia si immobilizzò dalla testa ai piedi. Trattenne il respiro.

«Ciao, Olly».

Il sorriso di lei gli spaccò il cuore. Così triste ma anche così sollevato. «Sei tornato».

«Sì», disse. «Sono qui».

«Grazie al cielo».

Restarono fermi per un momento guardandosi. Con uno sforzo di volontà Edward tenne le braccia lungo i fianchi. Deve fare lei la prima mossa. «Mi dispiace tanto», disse, «per il modo in cui sono partito. Ti avrei scritto ma eravamo accampati nei villaggi. È stata dura. E non volevo che Alistair intercettasse il biglietto».

Lei annuì lentamente poi attraversò la terrazza fermandosi proprio al suo fianco. Edward poteva sentire il profumo di lavanda sulla sua pelle.

Le offrì la sua sigaretta.

Lei la prese e fece un tiro. La sigaretta crepitò, con la punta che brillava.

Le loro braccia erano appoggiate alla ringhiera, a distanza di pochi centimetri.

Gli chiese se sapesse di Clara. Lui le disse di sì.

«Ho visto Fadil in strada», disse lei, «proprio prima che Clara sparisse».

«Davvero?». Edward si accigliò, sorpreso. «Gli hai parlato?»

«No. Ho provato a raggiungerlo. Ho mandato Clara avanti da sola, per poter parlare con lui». Le si spezzò la voce. «Potrebbe essere ancora tra noi, se non lo avessi fatto».

«Olly…».

«Perché Fadil era là, Edward? Perché siete partiti entrambi?». Si voltò verso di lui. «E perché siete tornati proprio oggi, tra tanti giorni?».

Prima di rispondere Edward esitò, indeciso su quanto dovesse rivelare. Non che approvasse la decisione di Jeremy e Alistair di nascondere le minacce ricevute (uomo avvisato mezzo salvato, come si suol dire: e quello che era successo ne era la prova), ma tutta quella segretezza lo turbava. Tom aveva detto che non avevano mostrato neanche a lui la lettera di ricatto che Jeremy aveva ricevuto prima di recarsi a Costantinopoli. Gli avevano detto solo che qualcuno aveva messo gli occhi sui soldi dell’azienda e pianificava di far del male a Clara o ai bambini, se Jeremy non avesse pagato – forse avrebbero anche potuto prendere di mira Alistair. («Faremo il possibile mentre i Gray sono lontani», aveva detto Tom ad Edward quella sera allo Sporting Club. «Possiamo interrogare i soliti sospetti, cercare nei villaggi del deserto, tenere d’occhio chi gioca sporco. Ma avrei preferito che Sheldon non avesse gettato via quella dannata lettera di ricatto, per quanto potesse trovarla ripugnante. Avremmo potuto ricavarne qualche indizio»). Edward non poteva fare a meno di chiedersi perché Alistair, un bastardo accorto se ce n’era uno, avesse fatto una cosa tanto stupida. Anche Tom si era detto sconcertato per la stessa ragione.

E poi c’era il favore per cui Jeremy lo aveva implorato, proprio il giorno prima dell’arrivo di quelle minacce poi strappate: la capanna nel deserto, a Montazah. I bambini muti, la diffidenza con cui li aveva guardati la cameriera Nailah. Edward non riusciva a toglierselo dalla mente.

Doveva esserci un qualche collegamento, ne era sicuro. Ma fino a che non avesse scoperto di cosa si trattava, non voleva opprimere Olly con sospetti infondati.

Lei lo squadrò con uno sguardo interrogativo e impaziente.

«Non so cosa dirti», le disse francamente. «Sono tornato perché me lo hanno ordinato».

Lei strinse gli occhi.

Edward fece un tiro, posando le labbra sul segno lasciato sulla carta dalla bocca di lei.

Lei chiese: «L’hanno presa i nazionalisti?»

«Non lo so».

«Ma credi che sia stata rapita?»

«Sì», rispose corrucciato, «mi dispiace».

«Pensi di poter fare qualcosa?»

«Lo spero».

«Di che cosa stavate parlando allo Sporting Club?»

«Olly», fece una smorfia. «No, non chiedermelo».

Lei lo fissò. «Edward, che diavolo è successo?».

Lui rimase in silenzio. Il suo bel viso, a pochi centimetri, era tremendamente triste. All’improvviso scoprì che non ce la faceva più. Starle accanto, guardarla trasformarsi – sempre meno simile alla persona che aveva conosciuto, sempre più infelice. «Non so quanto potrà durare tutto questo», le disse. «Io non posso restare qui».

Olivia inspirò profondamente. Sembrava quasi che l’avesse colpita, che le avesse tirato uno schiaffo: una cosa che non avrebbe potuto fare, mai e poi mai.

«Così perdo anche te», disse.

«Olly, no. Non è quello che volevo dire». Fece un passo in avanti, verso di lei, mentre Olivia faceva un passo indietro. C’erano così tante cose che avrebbe voluto dirle, ora. Ma non era certo il momento adatto per parlarle dell’India – sempre che ci fosse, un momento adatto. Non doveva neanche pensarci. «Devi rimanere a casa fino a che non avremo scoperto che cosa è successo a Clara», le disse. «Non uscire da sola. Solo Dio sa se anche tu sei in pericolo, ora».

«Perché dovrei esserlo?»

«Promettimelo, Olly».

Non rispose. Non promise né rifiutò. Si girò e se ne andò, le spalle curve, come gravate da un grosso peso.

«Olly, aspetta».

Lei non si fermò, non si girò nemmeno.

Edward imprecò. Accartocciò il mozzicone ancora acceso della sua sigaretta e lo gettò nell’oscurità. Che idiota. Appoggiò il palmo delle mani sulla ringhiera della terrazza e respirò profondamente.

«Signore?».

Con un salto si guardò attorno.

Fadil era in fondo alle scale della terrazza. Finalmente era tornato. I suoi occhi neri sembravano offuscati dalla stanchezza quanto quelli di Edward.

Con un terribile sforzo, Edward scacciò Olly dalla sua mente. Chiese a Fadil un resoconto della sua giornata.

Fadil rispose prontamente. Edward piegò la testa mentre lo ascoltava, corrucciato, cercando di dare un senso a ciò che udiva.

Quando il suo attendente ebbe finito, Edward chiese: «Perché non sei venuto prima a cercare aiuto?»

«Non volevo perdere tempo prezioso, signore».

Edward annuì. Rimase in silenzio a riflettere. «Chiunque abbia preso Clara», disse alla fine, «conosce questa città come le sue tasche».

«Certo, signore».

Edward guardò verso il mare. La luce stava tingendo l’orizzonte. Presto si sarebbe fatto giorno. Le moschee in città avrebbero aperto le loro porte per la preghiera dell’alba. Da lì a un’ora le strade si sarebbero riempite di gente, la polizia si sarebbe riversata ovunque per indagare, per fare domande. Ma chi sapeva avrebbe tenuto la bocca chiusa.

Edward si tirò su, mentre nella sua mente si faceva strada un’idea. Perché non ci aveva pensato prima? Doveva andare in città. Subito. Il sonno poteva aspettare.

Non doveva perdere tempo, se volevano avere ancora una speranza di trovare Clara.