Capitolo cinque

Per quanto sospettasse che fosse una mossa priva di speranze concrete, Olivia chiese allo staffiere di rimanere nella piazza, nel caso Clara fosse tornata, mentre il cocchiere, Hassan, la riportava a Ramleh. Sedeva in ansia con le labbra serrate mentre la carrozza vibrava e saltellava giù per le viuzze verso il porto e lungo la polverosa strada costiera. La turbò vedere che il cammello era già tornato nel suo recinto, alla fine della giornata di lavoro, con le mosche affamate che gli ronzavano intorno agli occhi. La luce del sole riflessa dal mare aveva la tonalità dorata del primo pomeriggio. Erano già passate parecchie ore.

Tentò di immaginare dove si trovasse Clara. Per favore, fa’ che sia a casa, ti prego fa’ che sia a casa. Fissò il tratto di strada insopportabilmente lungo che doveva ancora percorrere e nella sua mente supplicò Hassan di sbrigarsi.

Alla fine comparve la curva sabbiosa della spiaggia di Ramleh. Tutto attorno si ergevano ville bianche e rosa. La casa dei Gray, un edificio di terracotta che, come quello di Alistair, si confaceva allo status di Jeremy, uno degli uomini più ricchi di Alessandria, era più in là nell’entroterra, proprio nella zona periferica del quartiere. Quando Hassan tirò le redini e girò nella strada che conduceva alla villa, Olivia era ormai in preda alla nausea per il nervosismo.

«Cerchi di non preoccuparsi». La voce bassa di Hassan interruppe i pensieri di Olivia e la fece sobbalzare. «Pensi alla signora Gray sana e salva».

«Perché?»

«Fede, madame Sheldon». Si accigliò. «Fede. Se ci crede accadrà».

Le sembrava una strategia a dir poco vana, ma Olivia ci provò comunque, immaginando il sollievo che avrebbe provato trovando Clara che giocava sul prato con Ralph o stringeva in braccio Gus. Lo desiderò con tutta se stessa.

Non funzionò. A casa di Clara non c’era nessuno, tranne i figli e la servitù.

Olivia si affrettò a mandare un domestico ad assicurarsi che Wilkins fosse in arrivo, per andare poi a prendere Jeremy in ufficio. Chiese a un altro domestico di passare in tutti i posti dove Clara avrebbe potuto recarsi: lo Sporting Club, l’ambulatorio medico di Ramleh, la casa di Amélie Pasha e anche (per sicurezza) a casa di Olivia stessa… Il domestico tornò un’ora più tardi, con numerosi messaggi gravidi di preoccupazione ma nessuna notizia di Clara.

Aspettò con inquietudine Jeremy e Wilkins. Sedeva con i piccoli nella camera dei bambini, tenendo Gus in grembo, accarezzandogli le guance paffute. Gli disse che andava tutto bene, che sua madre era solo un po’ in ritardo, niente di più. Non agitarti, ometto, mamma sarà a casa presto.

«Mamma c’è sempre, quando andiamo a letto», disse Ralph. «Sempre».

Olivia lo avvicinò a sé. Nel frattempo passava in rassegna gli eventi di quella giornata, alla ricerca di qualcosa che potesse aiutare la polizia. La sua mente continuava a tornare alla sensazione che aveva provato all’inizio: che qualcuno avesse seguito lei e Clara. Dubitava però che Wilkins, un presuntuoso che era arrivato da Calcutta per rimettere in riga la polizia egiziana, avrebbe preso in considerazione le sue sensazioni.

E infatti l’ufficiale affermò, con una certa sicurezza: «Mi sembra tutto un po’ inconsistente», quando finalmente fece il suo ingresso e lei lo mise a parte dei suoi sospetti. Si posò la mano sul panciotto aderente e oscillò sui tacchi. «Vediamo se ci imbattiamo in qualcosa di più tangibile». Sopirò. «Nessuna traccia negli ospedali, però – ho mandato i miei uomini a fare un giro prima di venire qui. Non si preoccupi, risolveremo la faccenda. È fortunata che io sia qui, davvero. Dovrei essere al Cairo, dove il nostro funzionario egiziano ha bisogno di tutto l’aiuto che può ricevere. E poi», un altro sospiro, «la missione del Protettorato è proprio questa: educare. Educare».

Olivia rispose che non era molto incline a parlare del Protettorato, visto quello che stava accadendo. Wilkins la fissò stringendo gli occhi, poi chiese dove fosse il signor Gray.

«Spero che stia tornando».

«Non è in casa?», chiese risentito. Non accadeva spesso che lui, un funzionario non particolarmente popolare dell’amministrazione – non importa quanto fosse alta la sua posizione nella scala gerarchica – venisse invitato in una villa così lussuosa. Un colloquio faccia a faccia con Jeremy, poi, sarebbe stato un vero colpo di fortuna. Dunque si era presentato lì aspettando di vedere la star, e invece ora scopriva che al suo posto recitava una controfigura. Ansimò, lasciandosi cadere su una sedia all’ingresso. Poi ordinò a Olivia di salire in camera di Clara per controllare che tutto fosse in ordine, che non mancasse nessun vestito e così via.

«Non è fuggita», disse Olivia. «A parte tutto, non avrebbe mai lasciato i suoi figli».

«L’esperienza mi ha insegnato che le donne compiono gesti inaspettati di ogni genere».

«Davvero?»

«Sì, davvero. Le chiedo quindi la cortesia di salire a controllare. Non dobbiamo lasciare nulla di intentato, e questo è tutto».

Olivia aveva la netta sensazione che quell’uomo volesse sbarazzarsi di lei. Ma fece come le chiedeva, fosse anche solo per dimostrargli che aveva torto.

Si fermò davanti alla porta della camera di Clara, con la mano sulla maniglia. Non era mai stata lì prima, non sapeva cosa aspettarsi. Aprì la porta e vide le pareti bianche e azzurre e le finestre a ghigliottina. La camera era grande e ariosa, nell’ombra del tramonto, e in perfetto ordine. Non c’era traccia dei bauli che sua sorella aveva portato da Costantinopoli: ovviamente i camerieri avevano già finito di disfarli. Al centro, sul pavimento piastrellato, un letto a baldacchino; gli abiti da notte di Clara erano piegati ai piedi del materasso, in attesa della padrona. Olivia si avvicinò, toccò il tessuto morbido e fece un sospiro.

Mentre continuava a cercare tra le cose di Clara, sentiva crescere dentro l’animo un peso oscuro. Non mancava nulla, per quanto riuscisse vedere, ma tutto – il potpourri dolciastro tra le calze di seta di Clara, la cipria rovesciata sulla sua toletta, i capelli biondi incastrati nel pettine – la faceva sembrare così presente e nello stesso tempo così terribilmente assente. Sul tavolo c’era un pacco aperto di dischi per grammofono: registrazioni dei musical di Londra. Sembrava che la carta del pacco fosse stata strappata, e con foga. Olivia respirò lentamente mentre immaginava la sorella che lo apriva, tutta eccitata per l’arrivo del pacco dall’Inghilterra. Probabilmente non vedeva l’ora di ascoltare quelle canzoni, non appena fosse giunta la sera.

Olivia chiuse gli occhi a quel pensiero doloroso.

Quando li riaprì il suo sguardo si fermò su un’immagine di un dagherrotipo incorniciata che stava sul comodino. Lo prese, studiando il ritratto color seppia nella luce calante del giorno. L’aveva già visto, Clara glielo aveva mostrato una volta. Erano loro due bambine al Cairo: Clara sorridente e allampanata in un vestito che le sfiorava i polpacci; Olivia in grembiulino, una ragazzina con il viso paffutello che si apriva in una risata.

«Guarda lì, Livvy», aveva detto Clara, indicando il pancino di Olivia. «E quella mano che ti afferra? Quella era mamma che ti faceva il solletico per farti ridere. Davvero non te lo ricordi, Livvy, non ti ricordi di lei? Per niente?».

Olivia ora si concentrò e ci provò di nuovo. Trattenne il respiro, in attesa.

Non successe nulla. E alla fine si sentì perfino più svuotata di prima.

Ma la commosse il fatto che Clara tenesse quell’immagine così vicina, affinché fosse l’ultima cosa che guardava ogni sera, prima di addormentarsi. E all’improvviso rimpianse di essersi trattenuta in carrozza, quando avevo sentito la voglia di abbracciarla.

 

Poiché quando scese di sotto Jeremy non era ancora tornato, Wilkins dichiarò (con aria rassegnata) che sarebbe stato meglio procedere con qualche domanda. Olivia si concesse un attimo per riprendersi da tutto quel coacervo di emozioni, poi lo accompagnò in salotto. L’ufficiale si sedette davanti a lei su una sedia con lo schienale alto. La luce della candela tremolava nella brezza che entrava dalle persiane aperte, gettando rapide e irregolari ombre sui suoi tratti floridi. Respirò pesantemente con il naso, un taccuino posato sul ginocchio carnoso. Olivia provò a convincerlo a prendere sul serio i suoi sospetti, gli ripeté che aveva la sensazione che lei e Clara fossero state seguite, ma Wilkins non scrisse neanche una riga.

«Ma ha visto qualcuno comportarsi in modo sospetto, signora Sheldon?». Wilkins parlava con un tono condiscendente, come se si rivolgesse a una ragazzina. Lanciava ogni tanto rapidi sguardi verso la porta, in attesa di Jeremy. La sua irritazione cresceva di minuto in minuto – eccolo lì, a trattare solo con Olivia, quando con un po’ di fortuna sarebbe potuto entrare nelle grazie del grande magnate del cotone. «Davvero, si concentri ora, potrebbe ricordare qualcosa».

«Le assicuro che ho provato molto seriamente a rifletterci», replicò Olivia. Wilkins fece un sorriso a mezza bocca. Lei si accigliò, ricordando l’umore teso di Clara. «C’era qualcosa che la preoccupava. Non sarebbe voluta andare a Costantinopoli; non sapeva perché Jeremy ce l’avesse condotta, ma mi aveva accennato che suo marito aveva intenzione di mandarla di nuovo lontano da qui, in Inghilterra con Ralph. Penso che la considerasse in pericolo in città».

Wilkins scosse la testa. «Voi donne, sempre agitate».

«Dovrebbe chiederlo a lui».

«Lasci fare a me».

«Davvero, potrebbe dirle qualcosa».

Wilkins fece un lungo sospiro cercando di restare calmo. Un pezzetto di pelle bruciata dal sole gli pendeva dalle narici. «Tuttavia, poiché al momento non è qui con noi, signora Sheldon, ci vogliamo attenere a quanto può dirmi lei?», E fece un altro sorriso forzato. «Le sembra una richiesta ragionevole?».

Olivia non gli restituì il sorriso. «Certamente».

«Bene».

Lei disse: «C’era Fadil».

«Fadil?»

«L’attendente del capitano Bertram. Era da quelle parti quando ho visto Clara per l’ultima volta».

«E pensa che sia in qualche modo implicato nella sua scomparsa?». Wilkins sollevò le sopracciglia. «Lo devo arrestare?»

«Non è affatto quello che ho detto».

«E dunque cosa ha detto, signora Sheldon?»

«Che lei dovrebbe parlare con Fadil. Potrebbe aver visto qualcosa».

«Signora Sheldon. Vuole insegnarmi a fare il mio lavoro, per caso?».

Qualcuno dovrebbe farlo, fu sul punto di rispondere lei. Datti da fare, trova Clara per l’amor del cielo. Si trattenne. Wilkins era chiaramente determinato a procedere al suo ritmo. Se lei, una semplice donnetta, avesse cercato di mettergli fretta, probabilmente non avrebbe fatto altro che rallentarlo. «Sto solo cercando di dare una mano», disse. «Fadil potrebbe avere un’idea su chi ci stava seguendo. Sono certa che ci fosse qualcuno dietro di noi». Wilkins continuava a non scrivere nulla. «Perché non mi prende sul serio?», gli chiese. «Perché non mi crede?»

«Sta esagerando», disse e alla fine scarabocchiò qualcosa sul suo taccuino.

«No, non è vero». Allungò il collo per leggere il suo foglio. «Che cosa ha scritto?».

Wilkins si diede un paio di colpetti con la matita sul mento.

Olivia respirò a fondo. «Alistair mi ha detto che le attività dei nazionalisti si sono intensificate», disse. «Non gli ho creduto, ma non saprei… È possibile che siano stati loro a rapire Clara?»

«Non saltiamo subito alle conclusioni». Wilkins si accigliò, piegando il collo. Aveva il doppio mento. «Certamente non desidero che certe illazioni vengano sbandierate in città. Al momento stiamo cercando di vivere in armonia». Schioccò la lingua, per dare l’impressione che fosse effettivamente in grado di riflettere. «Se fosse stata rapita…».

«Sono sicura che sia stata rapita».

«Se, signora Sheldon, è stata rapida, è molto probabile che si tratti solo di un semplice criminale. Gli ebrei possono essere molto astuti, sa?»

«Oh per l’amor del cielo. Gli ebrei? Mi sembra che lei si stia arrampicando sugli specchi».

Wilkins la fissò. Scrisse inspiegabilmente qualche altra nota.

La porta si spalancò. Wilkins fece un salto, Jeremy entrò a gran passi. Gettò sul tavolo il cappello a cilindro e i guanti. In netto contrasto con la calma compiaciuta di Wilkins, il suo viso era teso, il volto pallido. Nonostante tutti i discorsi di Clara, che lo aveva dipinto come un uomo terribile, ora sembrava molto in ansia per la moglie.

E questo non le parve affatto rassicurante.

Wilkins strinse la mano di Jeremy. Gli disse che era molto felice di poter essere d’aiuto. I suoi modi, così paternalistici fino a un attimo prima, tendevano ora all’ossequioso.

«Sono venuto appena ho potuto». Jeremy si voltò verso Olivia. «Mi dispiace di averci messo così tanto».

Olivia stava quasi per chiedergli perché, quando nell’ingresso risuonarono altri passi. Qualche istante dopo apparve Alistair. Avrebbe dovuto immaginarsi che sarebbe venuto anche lui. Non lo salutò, si limitò a guardarlo con freddezza. Lui la fissò brevemente con i suoi occhi celesti. Olivia mantenne una postura rigida mentre lui attraversava la stanza, la tirava in piedi e la stringeva tra le braccia contro il suo petto. «Non scappare mai più così», disse. «Sciocca, piccola stupida». In qualche modo le sue mani trovarono i punti esatti intorno alla vita che le dolevano. Stringendo i denti, fece uno sforzo per non urlare dal dolore.

Alla fine suo marito la lasciò andare e la rimise a sedere. Come un burattinaio…

Seguì un breve silenzio. Olivia si premette le mani sulla nuca. Sentiva il suo cuore che batteva con furia spaventosa.

«Wilkins», disse Jeremy, «se non ha nulla in contrario, vorrei parlarle nel mio studio».

Olivia fece per alzarsi. Alistair le ordinò di restare dov’era.

«Cosa?», disse. «No, no. Clara è mia sorella. Non potete escludermi».

«Ti ho detto di restare dove sei», le ingiunse Alistair.

«Solo per ora, Livvy», disse Jeremy con voce più gentile.

«Sì», disse Wilkins, seguendoli entrambi fuori, tutto gonfio d’orgoglio per essere stato incluso in quel piccolo conciliabolo. «Deve aver fiducia in noi».

«Aspettate, vi prego».

Ma se ne erano già andati. Alistair si chiuse la porta alle spalle con un freddo scatto.

Olivia restò muta, furiosa non tanto per il rifiuto, quanto per la sua debolezza. Ce l’aveva con se stessa per esserselo fatto imporre. La sua bocca si apriva e chiudeva a scatti come quella di un pesce. L’isteria che aveva tenuto sotto controllo per tutto il giorno proruppe riecheggiando nella sua gola. Era pericolosamente vicina al limite; se fosse rimasta ferma lì anche solo un minuto in più, avrebbe perso il lume della ragione.

Quindi cominciò a camminare avanti e indietro per tutta la casa immersa nella penombra. La sua pelle, sotto il corsetto, sapeva di sudore secco, nella mente si agitava una baraonda di pensieri in disordine (Clara, Edward, “cattiveria”, Clara). Passò le dita lungo le pareti, il rumore dei suoi tacchi riecheggiava lungo i corridoi illuminati dai candelabri. Senza sapere come, arrivò alla stanza dei piccoli.

Diede un’occhiata a Ralph e Angus, entrambi addormentati sotto una zanzariera a tenda. Rimase a osservarli rapita, la loro semplice esistenza l’aiutava a credere che Clara fosse viva da qualche parte e stesse pensando ai suoi figli. E prima o poi sarebbe tornata da loro.

Avevano bisogno di lei, i suoi bambini. Gus, a braccia spalancate nel suo lettino, aveva solo sette mesi. Così piccolo. Il piccolo di Clara. Se sua madre non fosse tornata, non ne avrebbe avuto alcun ricordo. (No, no. Non pensarci neanche). E Ralph si era agitato così tanto, prima. «E se sta male?», le aveva chiesto. «Non posso andare a letto senza saperlo». Olivia aveva provato a calmarlo ma le sue braccia tremavano quando lo aveva stretto. Alla fine Sofia, la bambinaia, la stessa tata che un tempo si era presa cura di Olivia e Clara al Cairo, l’aveva sostituita confortandolo con il suo ampio seno, la promessa di una cioccolata prima di andare a letto e il solenne giuramento che il giorno dopo avrebbe rivisto la mamma. Era un balsamo, una pezza calda, niente più.

Olivia era sicura che Sofia avesse usato quelle stesse parole con lei quando i genitori erano scomparsi. Non che potesse ricordarsene, naturalmente. Non ricordava nemmeno Sofia. (Sofia le aveva assicurato che i ricordi le sarebbero tornati, che bisognava avere pazienza. «Ti stanno aspettando, agapi mou», le aveva detto usando il vezzeggiativo greco. Mio piccolo amore. «Vedrai»).

Clara le aveva consigliato di darle retta, Sofia era molto saggia dopo tutto, lo era sempre stata. Era quella la ragione per cui Clara l’aveva assunta, quando Jeremy l’aveva portata per la prima volta ad Alessandria, incinta di Ralph. «È sempre la stessa», aveva detto a Olivia. Ancora fa finta di sputare sul pavimento per tenere lontano il malocchio e dice forchetta e coltello invece di coltello e forchetta, proprio come quando eravamo piccole. Non è fantastico?».

E adesso era lì, a fumare una delle sue sigarette dall’aroma dolciastro mentre faceva cigolare la sedia a dondolo seduta tra i letti dei bambini. L’orlo del suo grembiule inamidato si muoveva su e giù mentre inspirava ed espirava. Aveva sistemato i suoi capelli sale e pepe in una crocchia, aveva la pelle olivastra e il naso adunco tipico di tanti greci in Egitto. Aveva vissuto lì per tutta la vita, poiché i suoi nonni erano fuggiti ad Alessandria durate la guerra di indipendenza greca. Olivia non sapeva quanti anni potesse avere. Forse quaranta, forse cinquanta. Sofia diceva che era scortese chiedere l’età a una persona dai capelli grigi.

I suoi occhi certamente ora sembravano gli occhi di una vecchia. Gonfi e pieni di preoccupazione. Nonostante tutte le parole di incoraggiamento che aveva detto prima a Ralph, era chiaro che aveva pianto. Olivia avrebbe voluto dirle qualcosa per consolarla ma non sarebbe mai riuscita a trovare le parole. Invece, poiché Angus tossicchiava, guardò con aria interrogativa le volute di fumo che si addensavano sul suo lettino.

«Non dovresti…?»

«Non preoccuparti».

Sofia sventolò la mano distrattamente. «Lo mando via, il fumo».

Un altro colpo di tosse.

«Potresti farlo con più forza?»

«Lui sta bene».

«No, non sta bene». Olivia non sapeva perché aveva reagito in quel modo. Non era con la povera vecchia Sofia che era arrabbiata, per niente. Ma non aveva potuto trattenersi. «Non sta bene». La voce le uscì strozzata, a metà strada tra un sussurro e un grido. «Sta per soffocare. Come se non avesse già abbastanza problemi, con sua madre che non si trova più. Spegnila».

Sofia spalancò gli occhi. Allungò la mano sul posacenere e spense il mozzicone.

Olivia prese un respiro. «Mi dispiace», disse. «Non avrei dovuto».

«No». Sofia le sorrise con tristezza. «È la vivace signorina che ricordo così bene a parlare. Mi ha fatto piacere rincontrarla in te».

Olivia scosse la testa. Alzò lo sguardo verso il soffitto oscuro. «Tutto a posto con i bambini?»

«I piccoli stanno bene. Gli ho detto che la loro mamma sta tornando a casa». Sofia mise le mani sotto il grembiule e tirò fuori un fazzoletto. Si soffiò il naso. «Sono contenta che sei qui, agapi mou. Stavo per venire a cercarti. Non potevo parlare prima davanti ai piccoli…». Si fermò e si morse il labbro. Era agitata, indecisa se parlare o tacere.

Olivia, confusa, si accigliò. Che cosa poteva essere tanto difficile da dire? «Sofia?», la esortò. «Che succede?».

La tata sospirò annuendo. «Devi fare una cosa per tua sorella, nel caso che non torni così presto come speriamo. L’ho vista scrivere una lettera questa mattina, nello studio. L’ha nascosta appena si è accorta che l’avevo vista. Vai a prenderla, signora Livvy. Non penso che la signora Clara volesse che la trovasse il signor Jeremy».

Lentamente, Olivia assorbì l’ennesima, stramba novità. E così Clara aveva dei segreti per Jeremy. Una notizia inquietante che però non la sorprendeva.

Nulla sembrava più avere senso: ormai questa era l’unica certezza. Olivia aveva la sensazione di essere sprofondata in un mondo incantato alla rovescia; come l’Alice di Carroll, voleva davvero, davvero tornare a casa. A differenza sua, però, non aveva la sorella al suo fianco pronta a svegliarla da un incubo che stava diventando sconvolgente. No, non aveva la minima idea di dove fosse Clara, ed era terribilmente certa di essere del tutto sveglia.

«Puoi andare tu a prendere la lettera?», chiese a Sofia.

«E se qualcuno mi vede? No, è meglio se vai tu».

«Non posso infilarmi nello studio, ora. C’è Jeremy, con Alistair e il commissario Wilkins». E chissà di che cosa stavano parlando.

«Puoi andarci domani. Il signor Jeremy non la troverà comunque così presto. Impossibile scovarla senza sapere dove cercare».

«E tu lo sai?»

«Nel secondo scaffale dall’alto, dentro il terzo libro».

«Tu l’hai letta?»

«No, agapi mou».

«Sai però di cosa parla. Mi pare».

Sofia non negò. «Segui il mio consiglio, signora Livvy. Sbarazzatene. Se la signora Clara avesse voluto farti sapere cosa stava scrivendo, te ne avrebbe parlato».

Prima che Olivia potesse dirsi d’accordo, la voce di Alistair rimbombò in corridoio. «Olivia, dobbiamo andare». La paura le gelò il sangue.

Riluttante, lo raggiunse.