Capitolo diciotto
Edward la stava aspettando quando Olivia arrivò nel vialetto pronta per andare a cavallo. Lui non era in uniforme, indossava solo una camicia bianca che faceva risaltare i pantaloni marroni da polo e i lunghi stivali. Nessuno disse una parola quando anche Alistair uscì da casa e li squadrò dall’alto in basso. Sotto il suo sguardo indagatore, Olivia istintivamente fece un passo di lato, allontanandosi un po’ da Edward. Alistair sbatté le palpebre. Lei aveva lo stomaco sottosopra. No, pensò, impossibile che abbia indovinato. Perché in quel caso mi ucciderà. Sorresse il suo sguardo, e si convinse che si stava immaginando tutto.
«Stai andando in ufficio, Sheldon?», La voce di Edward era calma.
«Sì», disse Alistair lentamente, «qualcuno di noi deve pur lavorare. Ma non ci metterò molto, ci vediamo dai Pasha». Si girò verso le stalle. «Fa’ in modo di farti trovare lì».
Olivia aspettò finché non fu abbastanza lontano da non poterla sentire e, scacciando via dalla mente il suo sguardo freddo, disse: «Aspetta e spera».
Un sorriso si diffuse sul viso di Edward.
E per la prima volta da una settimana, malgrado tutto, venne da sorridere anche a Olivia.
Disse qualche frase confusa, farfugliando che aveva avvertito Jeremy di tener pronti i bambini. In realtà non sapeva nemmeno cosa stesse dicendo esattamente. Edward la guardava in un modo che le faceva aumentare le pulsazioni. Non riusciva a concentrarsi su nient’altro.
Alistair li sorpassò al trotto, dritto come una bacchetta, le code della giacca sistemate perfettamente sul dorso del cavallo; un’immagine elegante che perse molta della sua compostezza quando il cavallo alzò la coda e lasciò cadere uno strascico di sterco fumante vicino al cancello del giardino.
Edward rise. «Pronta?», chiese.
Olivia allargò le braccia. «Come vedi».
Le fece strada verso le stalle. Bardò il suo cavallo in meno di un minuto. Le dita impacciate di Olivia ci misero molto di più. Aggrovigliò le redini mentre le tirava sulle orecchie di Bea, poi fece una gran confusione allacciando il sottopancia. Diede una gomitata alla pancia morbida di Bea provando a forzare il dente di metallo nel buco della cinghia. Arrossendo per lo sforzo, lanciò uno sguardo a Edward.
Era appoggiato contro lo stipite della porta, le gambe incrociate e fasciate dagli stivali di cuoio. «Hai bisogno di aiuto?»
«Ci sono quasi». Soffiò via dalla fronte una ciocca sciolta, rinunciando, e infilò la fibbia chiusa nel buco più in basso. «Ecco».
«Scivolerai se lo lasci così sciolto».
«Non si riesce a stringere di più».
Lui schioccò la lingua, facendo finta di riflettere. «Naturalmente sai che è possibile farlo, che è stato già fatto molte volte». La stava prendendo in giro.
E per qualche motivo, anche se non c’era nulla di particolarmente divertente, rise anche lei.
Edward si avvicinò lentamente, la guardò, e con frustrante facilità sistemò la fibbia. «Ora il tuo sedere può stare al suo posto».
«Come sei gentile».
Edward sorrise. I suoi lineamenti avevano una luce particolare, quella che di recente era stata così dolorosamente assente, e lei pensò. Questo posto lo rilassa, Poi: Oh Dio, e se fossi io a fargli questo effetto?
Portarono fuori i cavalli. Edward si accovacciò ai piedi di Olivia, le mani a coppa, come aveva fatto già tante volte in passato. Lei poggiò il tallone sui suoi palmi, sentì la sua rapida spinta per tirarla su, afferrò la sella e subito si sistemò, una gamba per lato, proprio come le aveva insegnato. Raddrizzò le gonne, in modo appropriato, aspettò che Edward le arrivasse accanto, poi fece muovere Bea. Edward accordò l’andatura del suo cavallo a quello di Bea mentre lasciavano il vialetto. Esaminò a lungo Olivia. Lei strinse i talloni, accorciò le redini, per farle sentire il morso nella bocca, e inarcò il sopracciglio verso di lui.
Gli brillavano gli occhi. «Perfetto, stai andando bene».
Si fermarono quando lui rivolse la parola ai beduini davanti al cancello. Olivia aveva mandato alla famiglia una cesta di verdure la notte prima, e la madre stava sgusciando i fagioli, lo scialle allentato sulla testa, mentre i ragazzi raccoglievano legnetti. Edward parlava in tono delicato e gentile, loro rispondevano amichevolmente. Olivia chiese che cosa stessero dicendo, e Edward le rispose che aveva chiesto se stavano bene. La madre era vedova, si preoccupava per lei. «Non mi ha detto cosa l’abbia portata qui. Spero che si deciderà a farlo, prima o poi».
«Pensi che abbia qualcosa a che fare con Clara?»
«No, no. Ma è strano che abbia portato i propri figli qui. Prima vivevano solo a qualche chilometro di distanza, a Montazah, per la precisione. Perché spostarsi? E poi per andare a stare nei pressi della casa di un uomo che detestano?». Scosse la testa. «Non riesco a capirlo».
Olivia si accigliò. Messa così, non aveva molto senso neanche per lei.
Aspettò mentre Edward parlava un altro po’ con la madre. Poi lui disse che era ora di andare. I ragazzi diedero delle pacche al manto di seta dei cavalli, poi fischiarono mentre Edward li spronava al galoppo. Quando Olivia si girò a guardarli, li vide correre nella loro scia, baciati dal sole, i pantaloni corti che svolazzavano sui polpacci magri.
Lei e Edward sbucarono sulla strada costiera. Olivia respirò profondamente l’aria di mare, godendosi il vento sulle guance. Rovesciò la testa all’indietro e guardò il cielo azzurro. Dio, quant’era bello stare fuori. Il suo torace si espanse, battendo contro la gabbia del suo dolore. Le vennero i brividi per la velocità, per l’aria e per il caldo, caldo sole nell’aria pungente. Abbassò di nuovo lo sguardo e fissò le spalle forti di Edward. Aveva una sola certezza: quel giorno serbava qualcosa di speciale.
Quando arrivarono a destinazione Jeremy era nella veranda coperta di buganville, teneva Gus in braccio, tutto sbilenco, e infuriato come al solito. Guardava Hassan ed El Masri che sellavano i cavalli della carrozza. Hassan salutò Olivia, El Masri le fece semplicemente un cenno. Lei lanciò uno sguardo alla porta principale.
Le pareva quasi di percepire l’ombra indistinta di Clara, appena fuori dal suo campo visivo. Quanto è bello. Che divertimento.
Ralph, vestito di tutto punto malgrado il caldo, con pantaloni alla zuava, panciotto, cravatta, calzini lunghi e camicia inamidata (povera creatura), era in piedi accanto ad Hassan e si trascinava dietro quello che sembrava proprio un lazo. Appena scorse Olivia e Edward gli corse incontro.
«Sei un cowboy ora?», gli chiese Edward.
«Posso venire a cavallo con te, per favore?», Ralph lo guardò di sbieco arricciando il naso pieno di lentiggini sotto il cappellino di paglia. «Non voglio andare in carrozza come un bambino piccolo. I figli dei Pasha mi prenderanno in giro».
«Avvertili che dovranno vedersela con me, se lo fanno», disse Jeremy raggiungendoli. Sistemò meglio Gus, che allungava le gambette paffute mentre piangeva. Lo girò verso l’esterno, e scoccò a Olivia e Edward un sorriso stanco. «Siete stati gentili a venire», disse. «Ralph è molto eccitato».
Edward scese da cavallo. Prese Ralph sotto le ascelle e lo mise sulla sella. «Dovremmo farti prendere un paio di lezioni», disse.
«Wilkins sta venendo a trovarmi», disse Jeremy. «Vuole parlarmi degli sviluppi della situazione».
Edward fece una breve risata amara.
«Ha richiesto la presenza di Sheldon», disse Jeremy.
«È già andato in ufficio», disse Olivia.
Jeremy annuì, non sembrava particolarmente contrariato. «Anche Mildred è andata in città», disse. «È uscita dopo colazione per andare ad assillare Wilkins, senza dubbio. Non l’ho fermata e non le ho detto che il commissario stava venendo qui. Se è per questo non le ho detto neppure che saresti venuta anche tu, Livvy. Ho pensato che preferissi evitarla».
«Hai fatto bene», disse Olivia sorpresa dalla sua premura. «Ti ringrazio».
«Non ce n’è bisogno». Le allungò Gus. «Ti dispiace portarlo in carrozza? È troppo piccolo per andare a cavallo e Sofia ha la mattinata libera. È andata a trovare la sua famiglia. Farò venire qualcuno a riprendere il tuo cavallo».
«Non c’è problema». Olivia smontò. Appena prese Gus in braccio, il bimbo smise di piangere e le fece quello che avrebbe potuto essere un piccolo sorriso.
«Guardalo», disse Jeremy prendendo le redini di Bea, «ti riconosce».
«Credi?». Olivia diede al piccolo un paio di pacche sul sederino. Si ritrovò a esaminare i suoi lineamenti per cercare qualche somiglianza. Ma la pelle vellutata e olivastra era così diversa rispetto all’abbronzatura dorata di Edward, il suo bel volto non ricordava i lineamenti marcati di lui. Aveva gli occhi di un marrone più scuro, quasi nero, e anche i capelli erano più scuri, senza riflessi di luce. Non gli assomigliava per niente.
«Va tutto bene?», le chiese Edward.
«Tutto bene», rispose. Si girò verso la carrozza, quella su cui non era più salita dal giorno della scomparsa di Clara. Strinse più forte a sé Gus a ogni passo.
Jeremy le camminava accanto tirando Bea. «Dopo i Pasha in quale spiaggia sei diretta?», le chiese.
«Montazah», rispose. Le parve di cogliere un lampo di allarme nei suoi occhi. O forse se l’era sognato? Era sparito in un istante.
Lui disse: «Voglio chiederti scusa, Livvy. Mi sono comportato in modo ignobile l’ultima volta che ci siamo visti qui, il giorno della scomparsa di Clara. Come un ubriacone qualunque. Ho senz’altro passato il limite. Non succederà più. Io…», sospirò. «Ho deluso me stesso e Clara, lasciandomi andare in quel modo».
«Prima di scomparire Clara mi ha detto che ti stavi comportando in modo tremendo, sai», disse Olivia.
«Aveva ragione».
Olivia lo guardò con diffidenza. Non si aspettava che lo ammettesse. «Perché l’hai portata via da qui?»
«Non sono sicuro che abbia più importanza, ormai», disse lui. «L’unica cosa che importa è che l’ho riportata indietro». Con la mano libera le prese il gomito, aiutandola a salire sulla carrozza. Le sue gonne pesanti da cavallerizza erano come un cuscino per Gus. «Ora dobbiamo trovarla».
«Se ci riusciamo».
«Dobbiamo».
«Perché non prendi in considerazione l’idea di rivolgerti alla stampa? Giles Morton del “Times” mi ha scritto per chiedermi se poteva parlare con me».
«Meglio di no, per ora».
«Perché? Cos’è tutto questo riserbo?».
Jeremy le lanciò una lunga occhiata. «Se ti dicessi che in realtà non lo vuoi sapere, mi crederesti?»
«Probabilmente. Ma ho comunque intenzione di chiedertelo».
«No». Chiuse la porta della carrozza, ordinò ad Hassan di salire in cassetta. «Questa è l’unica cosa che posso fare per te».
Per tutto il tragitto verso la villa dei Pasha, Olivia fu in apprensione per le strane parole di Jeremy. Il panico nei suoi occhi quando aveva nominato Montazah… Sedeva di spalle rispetto ai cavalli per riparare Gus dalla luce del sole; la sola cosa che la distraeva dalle frasi di Jeremy era il viso pensieroso di El Masri che oscillava sullo scalino sul retro.
Lo squadrò.
Lui la fissava con aria assente.
«Non sei molto cordiale, vero?», disse. «Non penso di piacerti molto».
Lui non rispose.
«Puoi dirmelo ed essere sincero. Per favore. Non ce la faccio a sopportare altre bugie».
«Non è vero che lei non mi piace, madame Sheldon».
«Sì, invece».
«Non mi piace la sua situazione. È una cosa completamente diversa».
«Perché io sono inglese?».
Inclinò la testa.
Lei si accigliò. «È un no o un sì?».
E lui inclinò di nuovo la testa.
«Hai combattuto contro gli inglesi nell’82?»
«Sono al servizio di un inglese, madame Sheldon».
«Questa non è una risposta alla mia domanda».
Lui prese fiato ed espirò. Non disse altro.
Era troppo bloccato, troppo controllato. E questa cosa non le piaceva. Non si fidava nemmeno del modo in cui lui aveva cominciato a guardarla da quando Clara era stata rapita. Possibile che fosse coinvolto in qualche modo? Lui c’era, quel giorno in piazza – si era persino fermato ad aspettare Clara dopo che Olivia era tornata a Ramleh con Hassan. Era fortemente tentata di fargli delle domande, chiedergli chiaro e tondo se avesse svolto un ruolo in quella faccenda. Si morse la lingua. A che sarebbe servito? Un’ammissione sarebbe stata a dir poco improbabile, santo cielo.
Ah, se solo fosse stata una lucertola! Con che piacere si sarebbe piazzata sul muro della stazione, quando la polizia lo aveva interrogato.
Arrivarono dai Pasha, Amélie e Benjamin li salutarono. La bellezza di lui era degna del fascino di Imogen: la stessa pelle color caffè e gli occhi obliqui. Ma nella sua espressione c’era un’indifferenza che Olivia non aveva mai visto sul viso di Imogen. Quando scese dalla carrozza, lui la salutò con freddezza. Certo, le chiese con impeccabile cortesia come stava e come se la passavano i bambini, eppure il suo sguardo era distante e freddo. Non parlò di Clara. Olivia supponeva che non sapesse cosa dire.
Amélie aveva preparato il tè sulla terrazza e parlò quasi solo lei (sembrava che sapesse esattamente cosa dire), fermandosi a malapena per prendere fiato mentre deplorava quant’era successo a Clara e si declamava stupefatta dalla mancanza di progressi nelle indagini. Passava senza sosta dal francese all’inglese, man mano che la sua angoscia cresceva. «Anche Benjy è molto preoccupato».
«Sul serio?». Olivia guardava dubbiosa il prato dove Benjamin se ne stava tutto impettito accanto a Edward, proprio vicino alle sue rose che innaffiava con lo zucchero, mentre guardava i figli che giocavano a tennis con Ralph. Non sembrava che lui e Edward stessero parlando. «Non mi dà questa impressione».
«Ah, invece è così», disse Amélie. «Povera Clara».
Mentre lei parlava, Olivia cullava Gus addormentato nella vecchia culla dei Pasha e cercava un pretesto per tirare fuori il nome di Nailah. E nel frattempo, guardava Edward. Teneva la mano di Ralph sulla racchetta, con l’altra stringeva la palla. I figli dei Pasha si prendevano gioco di Ralph, sostenendo che non sarebbe riuscito a colpirla. Benjamin gli urlò di smetterla. Edward disse qualcosa all’orecchio di Ralph, che alzò e abbassò le spalle. Tirò la palla in alto, sollevò la racchetta. Olivia trattenne il respiro. La corda della racchetta colpì la gomma, la palla fendette l’aria. Un sorriso di trionfo scaldò il volto tondetto di Ralph e Olivia si chiese come si sarebbe sentita Clara se solo avesse potuto vedere il suo ometto in quel momento.
Si passò le mani sugli occhi, cercando di sconfiggere un brivido di angoscia, e con rinnovata impazienza interruppe il chiacchiericcio di Amélie per chiederle di Nailah.
«Ah, oui». Distrattamente Amélie mescolò il limone nel tè e attenuò la voce. A dirla tutta, si era come attenuata nel suo complesso: ora che Olivia la guardava per bene, vedeva il grigiore che appiattiva la sua carnagione normalmente rosea, i capelli castani ricoperti da una patina di unto. Imogen aveva ragione, era proprio sconvolta. D’altronde lei e Clara erano state grandi amiche; Clara andava sempre a trovarla dopo essere passata da Olivia, alle feste chiacchieravano sempre e così via. Il loro legame era ancora più sorprendente se si pensava che Clara aveva ben poche amiche. Imogen aveva raccontato che aveva respinto persino lei. E quanto a Jeremy… be’, naturalmente una volta c’era stato qualcosa tra loro.
«Ero così giovane quando ci siamo conosciuti», le aveva raccontato Clara una sera, dopo aver bevuto più di qualche bicchiere di chablis a cena. «Era uno dei primi balli della stagione. Una donna più matura mi presentò ad Alistair e Jeremy, mi aveva parlato dei loro affari nel commercio del cotone e di quanto fossero ricchi entrambi. Due buoni partiti, come si dice. Ma io vedevo solo quant’era bello Jeremy. Non mi importava dei soldi, te lo giuro. Il modo in cui mi parlava, mi ascoltava». Aveva sorriso con nostalgia. «Ero così felice quando veniva da nonna per vedermi. E così delusa se invece arrivava Alistair. Lui provò a convincere Jeremy a rinunciare a me, un vero amico lo avrebbe fatto, gli diceva…». Si era accigliata, aveva preso fiato. «Mi dispiace, Livvy, è meglio che smetta di parlarne».
«Va bene», aveva commentato Olivia. «Non mi importa, credimi».
Clara aveva sospirato. «Comunque stare con Jeremy per me era come un sogno. E venire qui ad Alessandria… pensavo di poter tornare di nuovo a casa». Aveva spalancato gli occhi pieni di tristezza. «Ma tu non eri qui, Livvy, i nostri genitori non c’erano più. Tutto era cambiato. Non so cosa ci è successo dopo, a me e a Jeremy, come mai è svanito tutto. Un errore imperdonabile, davvero».
«Mi hanno detto che Nailah potrebbe essere andata in città», disse Amélie richiamando di nuovo l’attenzione di Olivia. «Nessuno sa dove si trovi esattamente, benché immagino che sia da qualche parte nel quartiere turco… la zia è stata uccisa e lei ha dovuto prendersi cura degli enfants. Una storia orribile, il cavallo di un… com’è che si dice in inglese… un contadino… ne hai sentito parlare?».
«No». Olivia si guardò intorno. L’incerto sproloquiare di Amélie non l’avrebbe portata da nessuna parte, questo era chiaro. Si concentrò sulla cameriera che stava spolverando in salotto. Poteva essere quella Elia con cui aveva parlato Imogen?
«Neppure io ne sapevo niente fino a che non ho indagato al piano di sotto». Amélie fece una pausa, sospirò. «Non mi sono comportata bene, quando Nailah se n’è andata avrei dovuto convincerla a dirmi che cosa non andava, offrirle aiuto. Era una ragazza così dolce, una del posto naturalmente», Amélie sollevò i palmi delle mani come per esprimere cautela, «ma buona. Spero che stia tirando avanti senza difficoltà».
«Sì», disse Olivia distrattamente. Trovava piuttosto difficile preoccuparsi della sorte di una ragazza che non aveva mai conosciuto. «Ti dispiace badare a Gus mentre io vado un attimo dentro?»
«Non». Amélie tolse un filo dal suo vestito. «Sentiti a casa. Tua sorella amava stare qui, lo sai. Clara, ah, Clara…».
Olivia sorrise tesa. «Non ci metterò molto».
La cameriera nel salotto non era Elia ma, senza dubbio già vessata dalle indagini di Imogen, si offrì di portare Olivia dritta da lei. Era al piano di sopra, a rifare i letti dei ragazzi. Olivia, poco incline a tergiversare, le chiese senza mezzi termini se fosse sicura che l’uomo che aveva visto con Clara non fosse Edward.
«Sono sicura», disse Elia con una sincerità che le piacque e a cui credette istintivamente. «Il capitano è più alto, e ha un suo modo di fare inconfondibile».
«Cosa?».
Elia arrossì. «L’uomo con sua sorella era diverso, madame. I suoi vestiti non erano eleganti, e la sua pelle era scura». Si strofinò l’avambraccio nudo. «Scura come la mia».
Olivia si appoggiò contro lo stipite. Non è lui, è sicuro. Grazie a Dio.
«Nailah fece una faccia quando li vide». Elia scosse la testa. «Era così colpita. E ora è scomparsa, come un refolo di vento. Però qualcuno dovrà pur sapere dov’è, non può essere così difficile scoprirlo».
«Non saprei», disse Olivia, rivolta più a sé stessa che a Elia. «Trovare una donna sola in questa città sembra un’impresa impossibile». Detto questo, ringraziò Elia e se ne andò.
Tornò in giardino, disse a Edward che voleva andare in spiaggia. Alistair non si era ancora fatto vedere, con un po’ di fortuna sarebbero stati già lontani prima del suo arrivo. Sapeva che si sarebbe arrabbiato con lei per non averlo aspettato, ma non poteva averlo tra i piedi; doveva recarsi nel luogo in cui Clara aveva passeggiato senza che suo marito le stesse addosso.
Diede distrattamente un colpetto a Gus mentre la carrozza si allontanava. Nella sua testa vorticavano mille domande, e la più pressante era: chi era l’uomo che stava con Clara? E poi, era davvero così importante o si trattava solo della famosa “falsa posta” di cui aveva parlato Imogen?
Quando i cavalli raggiunsero la vegetazione cotta dal sole che bordava il pendio verso la baia, la testa di Olivia faceva ormai i salti mortali tra le ipotesi più diverse. A malapena vide dove metteva i piedi mentre seguiva Edward e Ralph, barcollando sulla sabbia ondulata. Pensò: È lo stesso sentiero che ha percorso Clara?
«Attenta», la avvertì Hassan un attimo prima che cadesse a testa in avanti in un fosso. Accanto a lei c’era una piccola palma, cercò di raggiungerla per ritrovare l’equilibrio, ma Hassan la anticipò afferrandole il braccio. Lo ringraziò. Lui le fece un triste, mezzo sorriso.
Poi l’accompagnò giù in spiaggia. I piccioni selvatici li fissavano dal fogliame attorno a loro. Olivia girò la testa per guardare El Masri che aspettava con la carrozza. Notò che non sembrava troppo contento di essere lasciato indietro.
«Ha ben poco di cui essere felice, madame Sheldon».
«Ha una famiglia?», chiese Olivia, improvvisamente curiosa di sapere di più su di lui. «Una moglie?»
«No, solo sorelle. In verità una sorella», si accigliò, «e il figlio di lei. Nessuno di noi ha una moglie, madame Sheldon. Costa…». La voce di Hassan si perse nel silenzio.
Olivia arrossì, dolorosamente consapevole dei suoi guanti di pelle e del suo completo da cavallerizza fatto su misura.
Hassan si fissò i sandali. Sembrava che non avesse notato il suo disagio. Disse: «Avevo programmato di sposarmi, di mettere i soldi da parte». Fece una pausa. Poi, a bassa voce, come se parlasse più a se stesso che a lei, aggiunse: «Questi erano i progetti che avevo».
Olivia aspettò che le dicesse qualcosa di più. Ma lui rimase in silenzio. Non insistette, non volendo impicciarsi.
Tuttavia lo invitò a sedersi con lei sulla spiaggia, scegliendo un punto vicino alla battigia. C’era l’alta marea, le onde lambivano la costa sfiorandoli. Hassan si accovacciò, e fece scorrere tra le dita il komboloi, la tradizionale collana di perline. Gus, al sicuro tra le gonne di Olivia, mangiava sabbia, tutto contento per una volta. Ralph e Edward salirono sugli scogli e si misero a lanciare ciottoli in acqua. Di tanto in tanto, Edward incontrava lo sguardo di Olivia.
Lei guardò di sbieco Hassan. Il suo viso scuro era assorto in una profonda contemplazione. Le perle della collana catturavano il sole. Su qualcuna erano inscritti caratteri arabi. Olivia aveva imparato l’alfabeto, e le studiò, provando a leggerle. Sembrava un vezzeggiativo…
Hassan si accorse del suo interesse. Strinse la collana nella mano.
«Un regalo?», chiese.
«Sì», rispose lui, ma con una tale tristezza che Olivia pensò che forse erano da parte della donna per sposare la quale aveva messo via i suoi risparmi.
Il sole sparì dietro una nuvola. Olivia tirò fuori la mano di Gus dalla bocca. Lui affondò le dita nella sabbia. «Hassan», disse, «posso chiederti qualcosa su El Masri? Non mi fido di lui, sai».
«No?». Gli si contrasse un muscolo sulla guancia.
«Ti è rimasto davvero accanto per tutto il tempo in cui avete aspettato me e Clara quel giorno?»
«Quasi sempre. È andato a prendere l’acqua per i cavalli, poi a comprare il tè».
«Il tè?»
«Una commissione per il cuoco. Non ci ha messo molto».
«La polizia lo sa?»
«Sì».
Ci fu un breve silenzio.
«Mia sorella… era legata… a El Masri?», chiese Olivia.
Hassan si voltò, e aggrottò la fronte come se stesse provando a capire che cosa intendesse veramente. Lei sollevò il sopracciglio. Gli occhi opachi dell’egiziano si spalancarono, accesi da un nuovo fuoco. «È uno staffiere, madame Sheldon. Perché mi fa questa domanda?».
Un movimento improvviso attirò lo sguardo di Olivia, impedendole di rispondere. Edward guardava i banchi di sabbia in lontananza, strizzando gli occhi.
Olivia si girò, rassegnata a veder comparire Alistair. Rimase a bocca aperta quando scorse Fadil insieme a lui. «Che cosa…?».
Girò Gus sul pancino e si alzò mentre Edward scendeva dagli scogli e correva in direzione di Fadil e Alistair. Si sentì il rumore di un forte tonfo nel mare.
«Non devi usare ciottoli così grandi, signorino», gridò Hassan. «Vieni più vicino».
«Era un ciottolo buono», disse Ralph. «Ne troverò un altro e vediamo fin dove sono capace di lanciarlo».
Olivia fissava Edward e Fadil che parlavano. Edward spostò lo sguardo, con un’espressione di crescente allarme, e gridò qualcosa. Le sue parole furono coperte dal vento. Gus borbottò provando a rimettersi dritto. Una folata di vento sollevò la gonna di Olivia. Edward si mise a correre verso di lei. Un’onda più rumorosa delle altre si infranse sul bagnasciuga.
Quando Olivia si girò, non c’era più traccia di Ralph. Anche lei si mise a correre allora e, sollevando con le mani le sottogonne camminò nell’acqua, verso gli scogli dove prima aveva visto Ralph. Sussultò al contatto con l’acqua gelata che le mulinava intorno pungendole le gambe. Prese un respiro profondo e si tuffò, l’acqua salata le pizzicava gli occhi mentre cercava di vedere qualcosa nel mare torbido. Pantaloncini, sandali con i calzini a distanza di circa cento metri. Olivia tornò su per prendere aria, ma non riuscì a vedere in superficie la testa di Ralph. Si lanciò in avanti; le lesioni sulle costole le bruciavano, il vestito e i corsetti intralciavano i suoi movimenti. Si tuffò di nuovo, sempre sforzandosi di vedere qualcosa. All’improvviso sentì un dolore, come se le avessero messo un tizzone ardente sotto le calze di seta. Una medusa: Ada l’aveva messa in guardia da quel pericolo fino allo svenimento. Ansimò, inghiottendo acqua salata, perse l’orientamento e venne trascinata giù, in avanti e poi di nuovo verso l’alto.
Tornò di nuovo in superficie solo grazie a un gravoso sforzo. Non aveva nulla a cui aggrapparsi e i vestiti la trascinavano giù con il loro peso. «Ralph!», gridò. Andò sotto di nuovo e si mosse in avanti, e non tanto perché l’aveva visto, più che altro per istinto. Qualcosa di solido le arrivò tra le braccia. Ancora vivo. Grazie a Dio.
Ralph annaspò mentre lei risaliva, trascinandolo verso la superficie, trattenendo il fiato e muovendosi alla cieca in preda al panico. «Ti tengo», disse mentre Ralph la colpiva allo stomaco con un calcio. Andarono sotto di nuovo e l’acqua le entrò nel naso e negli occhi. Afferrò a fatica il corpo di Ralph che si dimenava. Alla gamba sentiva un dolore spaventoso, non voleva muoverla più. Però strinse i denti e tornò a respirare. «Ti tengo», disse, «basta scalciare, basta lottare».
Alla fine gli occhi di Ralph si fissarono sui suoi, che bruciavano per il sale. Il visetto pallido era incerto e terrorizzato. Ci volle un bel po’, ma pian piano la paura nel suo sguardo scemò. Si abbandonò tra le sue braccia. Fiducioso. Senza problemi.
Arrivò un’onda alta. Andarono di nuovo sotto. Ma ormai Fadil era lì, la faccia olivastra trasfigurata in una maschera di determinazione. Afferrò il corpo di Ralph e lo trascinò in alto, lontano, cullandolo come un neonato. «Vieni, signorino». Lo disse con una tale tenerezza che a Olivia tornò in mente che un tempo era un padre, prima che quei ribelli consegnassero i suoi bambini alla loro tomba di fuoco.
Edward la prese tra le braccia e la strinse al petto. Sentì il battito del suo cuore attraverso la camicia bagnata. «Ti tengo», disse senza sapere che erano le stesse parole che lei aveva detto a Ralph. «Ti tengo».
La sollevò proprio come Fadil aveva fatto con Ralph.
«Perché è venuto Fadil?», riuscì a balbettare.
«Doveva dirmi qualcosa. Ma non so ancora cosa».
«Perché è venuto insieme ad Alistair?»
«Non è venuto con lui». La voce di Edward sembrava afflitta, faceva respiri rapidi e profondi mentre raggiungeva la battigia. «Sono solo arrivati nello stesso momento».
Olivia stava per fargli altre domande, ma poi vide Alistair secco come un osso, con le braccia conserte mentre la guardava avvolta dall’abbraccio di Edward. Non era accorso ad aiutarla. Non ci aveva nemmeno provato.
E questa volta il sospetto nel suo sguardo era evidente.
Olivia raggelò.