Capitolo dodici
A un intero mondo di distanza dal quartiere turco, Olivia guardava dalla finestra Edward che lasciava la casa, con la mente ancora rivolta alla notte precedente. Dopo che era fuggita via da lui, il rimpianto si era impadronito del suo cuore: non sapeva quanto tempo fosse passato, ma di sicuro aveva rimpianto di essere rimasta sola, quando si era ritrovata distesa sul pavimento del bagno, con un asciugamano premuto contro il viso. Avrebbe voluto che lui fosse lì ad aiutarla.
Avrebbe dovuto consentirgli di aiutarla.
E avrebbe dovuto parlargli della lettera di Clara che ancora non si trovava. Si era chiesta durante la sua notte insonne se potesse avere qualche cosa a che fare con la cattiveria di cui le aveva parlato la sorella. Premette la fronte contro il vetro caldo, aveva quasi la tentazione di correre giù in camicia da notte per parlarne con Edward. Ma non era il momento: Alistair stava ancora masticando il suo toast senza marmellata nella sala della colazione.
Passò le dita lungo la persiana per scrostare un pezzetto di vernice. Edward si era fermato a parlare con la madre beduina e i figli, che stavano raccogliendo fichi al cancello. Olivia si chiese se stesse facendo loro delle domande su Clara. Sperava di no, non le sembrava proprio che fosse giusto coinvolgerli in quella pietosa faccenda. Erano poco più che bambini; a parte la loro avversione per Alistair – che nascondevano con grande attenzione – si comportavano come due creature innocenti cotte dal sole, se ne andavano in giro con pantaloni logori, pescando e tuffandosi nel mare. La madre intanto nascondeva una pena sul volto velato che la rendeva… fragile. Era un vero peccato che non parlassero la stessa lingua, era molto curiosa di conoscerla. Ma per il momento potevano comunicare solo a gesti.
Aspettò. Alla fine Edward girò il cavallo, incontrò il suo sguardo e le fece un saluto rapido toccandosi la visiera. Olivia rispose con un cenno del capo. Le mattine delle ultime settimane le erano sembrate vuote, senza questo loro piccolo rituale. Era seccata con se stessa perché, il giorno prima, a quell’ora stava ancora dormendo. E invece adesso ricominciavano, ed era un sollievo: nessuno dei due aveva dimenticato. Nonostante tutto.
Scomparve sulla strada, lasciandosi dietro nient’altro che una nube di polvere. Olivia si voltò per iniziare a vestirsi. Edward poteva metterla in guardia su fantomatici rischi quanto voleva: era decisa a uscire di nuovo senza avvertire nessuno. Doveva parlare con Sofia, scoprire cosa sapeva sul contenuto di quella lettera.
Quasi subito, però, sentì Ada bussare con decisione alla porta della camera.
«Non mi serve niente», disse.
La porta si aprì violentemente, comparvero i piccoli occhietti di Ada. Scosse la testa quando vide che Olivia si stava vestendo per montare in sella. «No, no, no», esclamò.
«Sì, sì, sì».
«Non deve uscire a cavallo, oggi, signora Sheldon. Lo ha detto il signor Sheldon».
«Davvero?»
«Sì», disse Ada. «Ho stirato il suo abito viola».
«E hai fatto male». Olivia si abbottonò la gonna, le dita incerte per la fretta, e infilò gli stivali, saltando su un piede mentre infilava l’altro. «Se solo mi avessi detto che avevi intenzione di stirarlo, come fa la maggior parte delle cameriere, avrei potuto fermarti».
«La signora Carter la attende», disse Ada.
Olivia scosse la testa. «Ho altri programmi».
«No, tè alle nove, ha detto il signor Sheldon».
«Le nove?», disse Olivia. «Chi prende il tè alle nove? Certamente non io». Aggrottò le sopracciglia. «Sarà stata un’idea di Edward, non di Alistair. Edward avrà organizzato la cosa ieri sera a cena con Imogen e Tom. Alistair vuole solo essere certo che io ci vada». Digrignò i denti. Non era la prospettiva di incontrare Imogen a darle fastidio, anzi aveva una gran voglia di parlare con lei; sentiva che sarebbe impazzita se non si fosse liberata presto del peso che la opprimeva. Ma non le piaceva il modo in cui era stata costretta a partecipare a quell’incontro. Edward e Alistair si muovevano in combutta per controllare i suoi movimenti? Francamente, detestava anche solo l’idea che Edward parlasse con suo marito. Alistair era salito quasi in cima alla sua lista di possibili sospetti, proprio accanto ai nazionalisti, e forse anche a Jeremy e a Wilkins, con quel pancione sporgente. A dirla tutta, la sua lista comprendeva tutti meno Edward. Lui era all’ultimo posto. E Olivia voleva che restasse là. Ma, se si mettevano a complottare tra loro, diventava complicato tenerli alle estremità opposte della classifica. «Passerò a far visita a Imogen più tardi», disse.
«No», ribadì Ada, la voce dura come quella di sorella Agnes, la vecchia istitutrice di Olivia. «Se non va dritta dalla signora Carter, sarò costretta a informare il signor Sheldon. E preferirei non farlo».
«Farai la spia?»
«Se sono costretta». Ada raddrizzò le spalle strette, come se si stesse preparando allo scontro. «Lei andrà dalla signora Carter, signora Sheldon».
«Mi permetto di dissentire», disse Olivia mentre Ada attraversava la stanza per andare a sbottonarle la gonna. Olivia si sottrasse azzuffandosi con lei in modo a dir poco sconveniente, un piede ancora infilato a metà nello stivale. «Smettila, Ada, per l’amor del cielo. Ma cosa ti è preso?»
«Sono desolata, signora Sheldon. Non mi piace farlo, non più di quanto piaccia a lei, ma sono tempi difficili e questi sono gli ordini. Possiamo semplificare le cose o renderle ancora più complicate. Cosa preferisce?».
Olivia sedeva in un silenzio di tomba mentre la carrozza correva verso la villa dei Carter. Davanti a lei, Ada la fissava, sballottata di qua e di là.
«È meglio così», disse Ada rompendo il silenzio. «Il signor Sheldon si sarebbe arrabbiato sul serio».
«Sta’ zitta», disse Olivia. Poi, tra sé e sé: Si arrabbierà comunque, qualsiasi cosa io faccia.
I giardini dei Carter non erano curati come quelli di Clara, benché la condizione di abbandono attribuisse loro un certo fascino bizzarro. La villa splendeva bianca nella luce del sole, circondata da aiuole di gelsomino selvatico e fiori del deserto. Imogen la stava aspettando in giardino, sembrava una farfalla esotica con il vestito color limone che metteva in risalto la carnagione scura e i capelli luminosi, tutti neri, con solo qualche spruzzata di grigio. Quel giorno però il suo bel viso era segnato da una nuova pesantezza e da un velo di stanchezza sotto gli occhi da sfinge.
«Oh, mia cara», gridò, appena la carrozza si fermò. «Sono stata così in ansia. Ieri ti sono venuta a cercare ma non eri in casa. Credevo che fossi da Clara ma non mi sembrava opportuno presentarmi là».
Olivia scese dalla carrozza. Imogen le lanciò uno sguardo sofferente, poi disse: «Vieni qui, forza», e la strinse in un abbraccio.
Olivia si irrigidì di fronte a quell’inattesa confidenza ma subito si rilassò mentre subentrava un’altra sensazione, che la spinse a lasciarsi sprofondare nell’abbraccio profumato di Imogen, a posare le guance sulla sua spalla morbida e a chiudere gli occhi. Sentì un’ondata di calore. E benché Imogen la stringesse fino a farle male al torace, nonostante l’imbottitura protettiva del vestito e dei corsetti, non la respinse. E neanche Imogen si staccò. Erano mesi che nessuno la stringeva così forte e tanto a lungo. Da quell’ultimo saluto alla sua amica Beatrice, nell’umido e tempestoso mattino in cui aveva sposato Alistair. L’abito era di pesante seta color avorio, il velo le sbatteva intorno al cappellino. Mentre si abbracciavano forte e Alistair batteva il piede impaziente vicino alla carrozza, il suo vestito si era schiacciato contro l’abito nero di Beatrice. «Non permettergli di cambiarti», le aveva sussurrato Beatrice all’orecchio.
Adesso le sembrava che fosse successo a un’altra persona.
Tra le braccia di Imogen, però, mentre riviveva quell’addio, improvvisamente un altro ricordo venne a pungolarla: indefinito, poco più che un’ombra… Olivia trattenne il respiro. Non riusciva ad afferrarlo del tutto. Un petto caldo, quel profumo, un bacio… Chiuse forte gli occhi. Poteva quasi sentirlo.
Ma poi Imogen la lasciò andare, e l’ombra di quel ricordo svanì. Senza scomparire del tutto, però: si annidò in profondità nel suo petto, in attesa. Come un nuovo amico.
«Stai bene?», chiese Imogen aggrottando le sopracciglia. «Sei molto pallida».
«Sto bene», rispose Olivia tornando in sé. «Bene».
«Ovviamente non è vero. E come potresti? Non sprecherò parole su quanto sia triste ciò che ti è capitato. Compiangerci ci fa solo sentire peggio. Per ora dobbiamo concentrarci sull’obiettivo di ritrovare Clara».
«Credi che ce la faremo?»
«Dobbiamo farcela. Ora cambiamo argomento. La colazione è pronta sulla veranda. Mi dispiace di averti costretto a venire qui a quest’ora detestabile».
«Te lo ha chiesto Edward?».
Imogen annuì. «Suppongo che tu avessi altri programmi».
«È così». Olivia però era contenta, visto che era stato Edward a organizzare l’incontro. Solo allora si rese conto di quanto si fosse sentita sola.
«Vieni», la invitò Imogen. «La tua cameriera può benissimo aspettare in cucina».
In una situazione normale Olivia avrebbe congedato di persona Ada, e non prima di essersi accertata che sapesse dove andare, e invece quel giorno seguì Imogen in casa senza fiatare. Al diavolo. Se Ada non era in grado di badare a se stessa, peggio per lei.
«Sono stata allo Sporting Club ieri», disse Imogen mentre salivano i gradini dell’ingresso, «solo per sentire cosa si dice in giro. Tom sostiene che le alte sfere stanno provando a tenere sotto silenzio quello che è successo a Clara, ma tutti discutono sussurrando delle ragioni per cui è stata rapita e di chi può essere stato. Si godono fin troppo la tragedia in corso». Fece un respiro profondo. «Orribile. Qualcuno di loro ha deciso che la colpa è di Edward, perché è partito proprio quando lei è andata via ed è riapparso quando lei è sparita». La voce di Imogen riecheggiò nel salone di marmo mentre uscivano sulla veranda sul retro. Davanti a loro si estendeva il prato circondato da grandi palme. Un tavolo era apparecchiato con una caraffa di succo alla menta, bicchieri e un piatto di pasticcini spolverati di cannella. Imogen la invitò ad accomodarsi. «C’era un giornalista del “Times”, Morgan, Morton…?», si accigliò. «Comunque era molto interessato a quant’era successo. La maggior parte delle dame non prende neanche in considerazione l’idea che Edward possa essere un uomo malvagio, naturalmente».
«Spero che questo giornalista non stia per pubblicare nulla su tutto questo», affermò Olivia, «sarebbe diffamatorio».
«Vorrei vedere cosa gli farebbe Edward se solo ci provasse. Ma no. Credo che per ora si limiti a curiosare». Imogen scacciava con una mano una mosca che girava sui pasticcini. «Tutti sono agitati, si chiedono chi sarà il prossimo e in più», si accigliò di nuovo, «sembra che tu sia l’unica a destare una preoccupazione specifica. La villa dei Gray è la sola a essere sorvegliata. Tom mi ha detto che l’obiettivo vero sono i soldi di tuo marito, ma non so. Ci sono altri uomini ricchi in Egitto. Molti, per la verità. Mio fratello e, per esempio… Tom». Imogen si premette sulle tempie le dita ricoperte di pizzo. «Sono sicura che si tratti di qualcosa di più di una semplice caccia ai soldi di Jeremy».
Olivia annuì lentamente, poi proseguì parlando a Imogen di tutte le stranezze che la stavano facendo impazzire, senza tralasciare nulla – gli stati d’animo di Clara prima della partenza per Costantinopoli, il fatto che una volta lontana fosse diventata sfuggente, la riunione carica di tensione in cui era incappata alla caserma la sera prima, e anche la bizzarria di Edward e Clara che discutevano di nascosto allo Sporting Club.
Quando ebbe finito, Imogen sospirò profondamente. Ovviamente aveva qualche difficoltà a mandare giù tutto. Alla fine disse: «Odio anche solo insinuarlo ma non credi che ci sia la possibilità che Clara si sia messa da sola in qualche casino?»
«Cosa intendi?»
«Come hai detto tu, non era più in sé. Me ne sono accorta anch’io. Ha smesso di venire a farmi visita, non è mai in casa quando vado io e quando usciamo insieme diventa reticente. Non», e Imogen sollevò la mano, «che questo sia un problema per me. Ma penso davvero che possa essere nei guai, è finita in qualche storia poco chiara di cui ha paura di parlare. Forse Edward lo sa e allo Sporting Club stava mettendo le cose in chiaro. Magari Jeremy l’ha portata via proprio per questo».
«Clara mi ha detto che non sapeva per quale ragione Jeremy l’avesse portata via».
«Tuttavia», disse Imogen, «penso sia possibile che si sia ritrovata invischiata in qualcosa di losco contro la sua volontà». Si allungò verso il succo, stava per versarlo, poi si fermò. Si piegò sotto il tavolo e tirò fuori una bottiglia. «Lo vuoi un goccetto di gin?». Si morse le labbra. «Un goccio, sì, per tirarti su». Ne versò una quantità più che generosa nella caraffa, le foglie di menta salivano a galla mentre i liquidi si mescolavano. Riempì due bicchieri e ne passò uno a Olivia. «Ecco, ti farà sentire meglio».
Olivia prese il bicchiere senza nemmeno guardarlo. «Escludo che Clara possa avere una qualche responsabilità personale», disse, «però mi trovi d’accordo quando dici che le cose non sono semplici come ci vogliono far credere. Ci sono troppi segreti». Prese un sorso per spegnere la sete, e solo quando il palato le andò in fiamme si ricordò di quanto alcol ci fosse dentro. «Faraiqualcosaperaiutarmi?», la domanda le venne fuori di botto, come il rantolo di un drago. Si allungò sul vassoio dei pasticcini e affondò i denti in un bignè di pasta sfoglia; scaglie di zucchero glassato le restarono appiccicate alle labbra, la crema le fece passare il bruciore alla lingua. Deglutì, respirò e quando fu certa di poter parlare di nuovo normalmente disse: «Devo andare a casa di Clara e scoprire cosa c’è scritto nella lettera di cui mi ha parlato Sofia. È fondamentale capire chi può averla presa. E non posso farlo se tu non mi aiuti a tenere Ada a bada».
Imogen si piegò all’indietro sulla sedia. Inarcò il collo cinto dalla collana di zaffiri mentre fissava il cielo assolato. «Non so», disse. «Ho paura di esporti a dei rischi».
«Che cosa potrebbe mai succedermi a casa di Clara? La polizia la tiene sotto sorveglianza».
«Viviamo in tempi strani. Non avrei mai immaginato che Clara potesse scomparire da una delle più affollate strade di Alessandria in pieno giorno, ma è successo». Si rabbuiò. «Ho paura per lei, tanta paura».
«E allora aiutami. Ti prego».
«Mia cara…».
«Ti prego».
Imogen sospirò. Alla fine disse: «A una condizione».
«Va bene, chiedimi qualsiasi cosa». Olivia si mise ben dritta sulla sedia, con il cuore che batteva più forte – finalmente Imogen si offriva di aiutarla, di diventare sua alleata!
«Da questo momento in poi non andare da nessuna parte da sola. Se hai bisogno di qualcosa, vieni prima da me. Mi sento terribilmente responsabile per te. Sei ancora così giovane».
«Non così tanto».
«Per me sì. Ho vissuto qui tutta la mia vita, ed è tanto tempo, cara. Io c’ero durante i tumulti del 1892, l’invasione. Le cose più orribili possono sembrare del tutto innocue, e tu non sei in grado di riconoscerle con la stessa facilità con cui le distinguo io. Così, ti prego, non mi nascondere nulla. Sei d’accordo?»
«D’accordo».
Imogen fece schioccare la lingua, e lei trattenne il respiro.
Imogen annuì. «Va bene», disse. Sollevò il bicchiere e fece un brindisi. «Alla nostra missione: troveremo Clara e la riporteremo a casa, di nuovo al sicuro. Grazie a Dio».
Mentre le cameriere di Imogen tenevano occupata Ada, Olivia e Imogen non ebbero difficoltà a uscire di soppiatto e raggiungere il calesse tirato da pony che uno dei servitori teneva pronto sulla strada.
«Mi sembra di essere una ladra», disse Imogen, prendendola sottobraccio mentre correvano via. «È orribile essere felice in questo momento, ma sono contenta di farlo. Non posso sopportare di starmene seduta ad aspettare senza fare nulla».
La villa di Clara distava un paio di chilometri da quella dei Carter; ci misero meno di dieci minuti ad arrivare. Gli vennero incontro il cocchiere di Clara, Hassan, e lo staffiere El Masri. Hassan prese il pony. Sorrise a Olivia, e i suoi occhi marroni erano così scuri che lei si sentì costretta a distogliere lo sguardo. Mentre scendeva a terra, alla ricerca di un sostegno, prese la mano di El Masri. Il suo viso, di una bellezza cupa, era pensieroso come sempre. C’era qualcosa di inquietante nel modo in cui la osservava.
«Riesco a sentire Gus», disse Imogen per distrarla. Fece un cenno verso la casa da dove arrivava il pianto del piccolo. «Gli manca Clara, penso». E sì che Imogen non aveva figli e diceva che era stato meglio così (Veramente, io non sono brava con i bambini. Proprio no, se devo essere sincera. E le cose vanno peggio man mano che invecchio. È stato meglio non averne. Credimi). Arricciò il naso. «Il povero piccolo piange con rabbia. Andiamo, togliamoci il pensiero».
Entrarono in casa. Trovarono una cameriera all’ingresso insieme a un domestico, stavano mettendo in ordine un vassoio pieno di oggetti di cristallo. Un’altra cameriera in corridoio lucidava il pavimento. Domestici, domestici ovunque e sempre.
Olivia avanzò verso le scale. Imogen indicò con uno scatto della testa la porta aperta dello studio. «Perché non entriamo? Controlliamo di nuovo se c’è la lettera di Clara».
«Sei tu quella brava in queste cose, no?», disse Olivia.
«Va’ tu. Io resto qui a occhi aperti».
Olivia si dette da fare rapidamente, tenendo sempre un occhio fisso sulla porta, e si mise a sfogliare le pagine degli stessi libri che aveva già sfogliato il giorno prima. Una leggera brezza le accarezzava il collo dalle persiane aperte. Là non c’era proprio nulla. Rimise a posto i volumi e fece un salto quando sentì il rumore di un bastone che veniva spezzato all’esterno. Si mise la mano sul petto e si calmò. Era solo El Masri, ombroso come sempre, che andava di fretta verso le stalle. Lo staffiere alzò gli occhi ma non dette l’impressione di averla vista.
«Olivia», sibilò Imogen, affacciandosi alla porta. «Trovato niente?»
«No, andiamo prima che arrivi qualcuno».
Mentre si avvicinavano alla cameretta dei bimbi Olivia sentì stringersi il cuore, perché nell’aria non riecheggiavano le chiacchiere di Clara, né il fruscio delle sue gonne ondeggianti. Le urla di Gus avevano raggiunto dei livelli insopportabili. Olivia fece un gran respiro e poi aprì la porta contrassegnata da una papera di legno.
Non appena entrò, Sofia le scaraventò Gus in braccio e si lasciò cadere pesantemente sulla sedia a dondolo. Si passò sulla fronte il dorso della mano paffuta e scosse la testa. Uno dei suoi pettini di tartaruga le cadde dai capelli, ma non se ne accorse nemmeno. «Sono contenta di vederti, agapi mou», disse. «Come stai?»
«Come stai tu, piuttosto», ribatté Olivia sistemandosi contro il fianco il corpicino irrigidito di Gus per poterlo cullare. C’era anche Ralph, seduto a gambe incrociate sul pavimento, proprio vicino alle gonne di Imogen. La donna si accovacciò goffamente accanto a lui, scusandosi per non aver portato dei dolci. Ralph rispose con la sua piccola voce seriosa che quello era davvero l’ultimo dei suoi pensieri.
«Dov’è tuo padre?», gli chiese Olivia.
«È andato in ufficio», rispose Ralph.
«In ufficio?»
«Ha detto che si vuole comportare da inglese».
Olivia si accigliò. «Che significa?».
Ralph alzò le spalle.
Imogen scosse la testa. Si girò verso Sofia e tornò ad affrontare il mistero della lettera di Clara.
«Giuro che era ancora là quando la signora Clara è uscita», disse Sofia non appena Imogen ebbe finito. «L’aveva nascosta prima di uscire. Non so proprio chi possa averla presa».
«Sei sicura?», chiese Imogen. «Perché chiunque l’ha fatta sparire naturalmente ha qualcosa da nascondere».
«Qualsiasi cosa tu possa dirci ci sarebbe di grande aiuto», disse Olivia continuando a cullare il piccolo Gus, ancora teso.
«Non penserete mica che l’abbia presa io, vero?». Gonfiò il petto sotto il grembiule. «Perché avrei dovuto dire dov’era la lettera se già avevo programmato di sottrarla?»
«Non penso proprio che l’abbia presa tu», la rassicurò Olivia, «ma penso che tu sappia cosa c’era scritto».
«Diccelo», ordinò Imogen. «Altrimenti saremo costrette a rivolgerci alla polizia».
Le guance di Sofia si imporporarono, il suo volto si colorò di un rosso acceso che le arrivava fino all’attaccatura dei capelli quasi del tutto grigi. Olivia si vergognò per averla messa alle strette in quel modo. Sofia aveva già fin troppi problemi al momento, di certo non aveva bisogno di quell’interrogatorio. Al suo fianco Ralph stava ascoltando tutto a bocca aperta, preoccupato per l’agitazione della sua tata. Se l’argomento non fosse stato così importante, e se trovare un’altra occasione di parlare con Sofia non fosse stato tanto complicato, Olivia avrebbe taciuto immediatamente, rimandando la discussione a un’altra volta.
Ma stando così le cose, disse: «Devi parlarne con noi, Sofia».
La tata lanciò un’occhiata a Ralph. «Non so trovare delle parole che lui possa ascoltare». Allargò le braccia in un gesto di resa.
«Provaci», disse Imogen.
Sofia sospirò e gettò a Olivia uno sguardo teso. Cos’era che la preoccupava tanto? Non si trattava solo di Ralph, come Olivia aveva ormai compreso, sempre più agitata. Sentì un brivido lungo la schiena: aveva l’atroce sospetto che qualcosa di terribile stesse per accadere.
«Non ho mai visto quella lettera», disse Sofia, con un tono di voce forzato che esprimeva bene tutta la sua riluttanza, «se non quando la signora Clara l’ha nascosta. Ma sì, penso di sapere cosa c’era scritto». Lanciò a Ralph un altro sguardo severo, si alzò dalla sedia e invitò Olivia e Imogen a spostarsi nella camera da letto adiacente. Accostò la porta alle loro spalle. «La signora Clara», disse a bassa voce, «aveva l’abitudine di uscire a ore strane. Molto strane. Spesso quando andavo a chiamarla nel cuore della notte, se Gus non riusciva a calmarsi o se Ralph aveva avuto un incubo, trovavo il suo letto vuoto, e al suo posto un mucchio di cuscini. Lei e il signor Jeremy dormivano in camere separate da tanto tempo». Sofia fissò con uno sguardo carico di sottintesi Gus, in braccio a Olivia. «Da anni». Olivia guardò i capelli neri del piccolo, la sua carnagione scura così diversa dal candore di Clara e Jeremy.
«Pensi che la signora Gray si vedesse con qualcuno di nascosto?». La voce di Imogen sembrava provenire da molto lontano. «E che stesse scrivendo una lettera a quest’uomo misterioso, chiunque sia?»
«È un’ipotesi credibile, certo».
«Permettimi di chiarire bene la questione», disse Imogen. «Sostieni che la nostra Clara avesse una relazione? E che Angus qui…».
«Oddio». Olivia guardò di nuovo i boccoli ondulati di Gus, così scuri. Sentì un peso opprimerle il petto; una pulsazione che si diffondeva per tutto il suo corpo battendo al ritmo della parola “cat-ti-ve-ria”. «Oh no». Non tentò nemmeno di nascondere quant’era allarmata. Non poteva, quella notizia era troppo sconvolgente. Chiuse gli occhi. «Sofia, con chi si vedeva Clara?»
«Non lo so con certezza. Sul mio onore, agapi mou, non lo so».
«Ma tu hai qualche sospetto? Era…?». Olivia si interruppe: non l’avrebbe detto, non poteva neanche pensarlo. Si rifiutava di fare quel nome.
«Di che state parlando?», chiese Imogen. «Perché…?», e la sua voce si affievolì. Spalancò gli occhi. «Edward?».
Sofia annuì lentamente. «La signora Clara era molto turbata negli ultimi tempi. “Teddy è così arrabbiato con me”, continuava a dire mentre eravamo via. “Vorrei che non fosse arrabbiato con me”».
«Teddy». Olivia pronunciò quel nome con freddezza. Si voltò verso Imogen. Non era più tempo di reticenze ormai. «Clara chiamava sempre Edward Teddy».
«Questo non significa nulla», disse Imogen senza convinzione. Non poteva almeno tentare di far finta di credere alle sue stesse parole?
«Potrei sbagliarmi», disse Sofia.
La mente di Olivia si affrettò a cercare nel recente passato una conferma all’ipotesi che Sofia avesse frainteso ogni cosa. Edward apparteneva a lei, a lei, proprio come lei apparteneva a lui. Era la sola certezza che aveva. Non poteva perderla.
Scaraventò Gus tra le braccia di Sofia prima che le cadesse di mano. Non riusciva più a guardarlo, era troppo spaventata da ciò che avrebbe potuto scorgere nei suoi lineamenti.
Senza sapere dove stesse andando, ma assolutamente certa di dover fuggire, uscì dalla camera.