Mentre iniziavo il mio viaggio, fui sfidato a giustificare perché insistessi per viaggiare da solo. Lo definivano irresponsabile. Un’evasione da obblighi e doveri.
Coloro che dicevano ciò commettevano un enorme errore
di presupposizione.
Da La via dei re, postfazione
Odio fece un passo indietro. «Dalinar. Che cosa intendi?»
«Tu non puoi avere il mio dolore.»
«Dalinar…»
Dalinar si impose di alzarsi in piedi. «Tu. Non. Puoi. Avere. Il. Mio. Dolore.»
«Sii ragionevole.»
«Io ho ucciso quei bambini» disse Dalinar.
«No, è…»
«Io ho bruciato gli abitanti di Rathalas.»
«Io ero lì a influenzarti…»
«TU NON PUOI AVERE IL MIO DOLORE!» tuonò Dalinar, avanzando verso Odio. Il dio si accigliò. I suoi compagni Coalescenti si ritrassero e Amaram alzò una mano davanti agli occhi e li strizzò.
Quei gloriaspren stavano ruotando attorno a Dalinar?
«Io ho ucciso gli abitanti di Rathalas» urlò Dalinar. «Tu puoi essere stato lì, ma io ho effettuato la scelta. Io ho deciso!» Si fermò. «Io l’ho uccisa. Fa tanto male, ma l’ho fatto. Lo accetto. Tu non puoi averla. Tu non puoi portarmela via di nuovo.»
«Dalinar» riprese Odio. «Cosa speri di ottenere mantenendo questo fardello?»
L’altro lo guardò sogghignando. «Se fingo… di non aver fatto quelle cose, significa che non sono cresciuto per diventare qualcos’altro.»
«Un fallimento.»
Qualcosa si agitò dentro Dalinar. Un calore che aveva conosciuto già una volta. Una luce calma, tranquillizzante.
Uniscili.
«Viaggio prima della destinazione» ribatté. «Non può essere un viaggio se non ha un inizio.»
Un tuono risuonò nella sua mente. All’improvviso una consapevolezza si riversò di nuovo dentro di lui. Il Folgopadre, in lontananza, si sentiva spaventato… ma anche sorpreso.
Dalinar?
«Mi assumerò la responsabilità di ciò che ho fatto» mormorò Dalinar. «Se devo cadere, mi rialzerò ogni volta come un uomo migliore.»
Renarin corse dietro Jasnah attraverso i Deflettori Alti della città. La gente affollava le strade, ma lei non passava per quelle. Balzava sugli edifici, gettandosi su quelli degli ordini inferiori. Correva lungo ognuno di essi, poi saltava giù alla strada successiva.
Renarin si sforzò di seguirla, impaurito per la propria debolezza e confuso dalle cose che aveva visto. Si gettò su un tetto, provando un dolore improvviso per la caduta, anche se la Folgoluce lo guarì. Zoppicò dietro di lei finché il dolore non si fu dissolto.
«Jasnah!» chiamò. «Jasnah, non riesco a starti dietro.»
Lei si fermò al bordo di un tetto. Renarin la raggiunse e lei gli prese il braccio. «Tu puoi starmi dietro, Renarin. Sei un Cavaliere Radioso.»
«Non penso di essere un Radioso, Jasnah. Non so cosa sono.»
Un intero flusso di gloriaspren volò accanto a loro, centinaia disposti in un’ampia formazione che curvava verso la base della città. Laggiù qualcosa stava brillando: un faro nella luce fioca di una città sotto un cielo nuvoloso.
«Io so cosa sei» disse Jasnah. «Sei mio cugino. Famiglia, Renarin. Tieni la mia mano. Corri con me.»
Lui annuì e lei se lo trascinò dietro, saltando dal tetto e ignorando la creatura mostruosa che saliva lì vicino. Jasnah sembrava concentrata su un’unica cosa.
Quella luce.
Uniscili!
I gloriaspren scorrevano attorno a Dalinar. Migliaia di sfere dorate, più spren di quanti ne avesse mai visti in un posto solo. Vorticavano attorno a lui in una colonna di luce dorata.
Al di là, Odio barcollò all’indietro.
“Così piccolo” pensò Dalinar. “È sempre sembrato così piccolo?”
Syl alzò lo sguardo.
Kaladin si voltò per vedere cos’avesse attirato la sua attenzione. Guardava oltre i Coalescenti che erano atterrati per attaccare. Aveva gli occhi fissi verso l’oceano di perle e le luci tremolanti delle anime sopra di esso.
«Syl?»
Lei lo strinse forte. «Forse tu non devi salvare qualcuno, Kaladin. Forse è il momento che qualcuno salvi te.»
UNISCILI!
Dalinar allungò la mano sinistra da un lato, immergendola tra i reami, afferrando il tessuto stesso dell’esistenza. Il mondo delle menti, il reame del pensiero.
Gettò la mano destra dall’altro lato, toccando qualcosa di vasto, che non era un luogo… era tutti i luoghi in uno. L’aveva visto in precedenza, nel momento in cui Odio gli aveva permesso di dare un’occhiata nel Reame Spirituale.
Oggi lo teneva nella sua mano.
I Coalescenti si allontanarono in fretta. Amaram abbassò la sua visiera, ma non fece altro. Barcollò all’indietro, con il braccio alzato. Solo una persona rimase al suo posto. Una giovane parshi, che Dalinar aveva visitato nelle visioni.
«Cosa sei tu?» sussurrò lei mentre Dalinar se ne stava con le braccia distese, aggrappandosi alle terre di mente e spirito.
Lui chiuse gli occhi espirando, ascoltando un’improvvisa immobilità. E all’interno di essa una voce semplice e sommessa. Una voce di donna che gli era così familiare.
Io ti perdono.
Dalinar aprì gli occhi e seppe cosa vedeva in lui la parshi. Nubi turbinanti, luce brillante, tuono e fulmine.
«Io sono Unità.»
Sbatté le mani l’una contro l’altra.
E combinò tre reami in uno.
Shadesmar esplose di luce.
I Coalescenti urlarono quando un vento li soffiò via, anche se Kaladin non avvertì nulla. Le perle sbatacchiarono e ruggirono.
Kaladin si schermò gli occhi con la mano. La luce svanì, lasciando un pilastro luminoso e scintillante in mezzo al mare. Sotto, le perle si saldarono assieme, trasformandosi in una strada di vetro.
Kaladin sbatté le palpebre, prendendo la mano di Shallan mentre lei lo aiutava ad alzarsi. Adolin si era costretto a mettersi seduto, tenendosi la pancia insanguinata. «Co… cos’è?»
«La Perpendicolarità di Onore» mormorò Syl. «Un pozzo di potere che penetra tutti e tre i reami.» Guardò verso Kaladin. «Una strada verso casa.»
Taln strinse la mano di Ash.
Ash guardò le sue dita, robuste e callose. Migliaia di anni potevano andare e venire e lei poteva perdere vite sognando, ma quelle mani… non le avrebbe mai dimenticate.
«Ash» disse lui.
Lei alzò lo sguardo su Taln, poi trasalì e si sollevò le dita alle labbra.
«Quanto tempo?» chiese lui.
«Taln.» Ash gli strinse la mano tra le sue. «Mi dispiace. Mi dispiace così tanto.»
«Quanto tempo?»
«Dicono che sono trascorsi quattro millenni. Io non noto sempre… il passaggio del tempo.»
«Quattromila anni?»
Ash gli strinse la mano più forte. «Mi dispiace. Mi dispiace.»
Lui staccò la mano dalle sue e si alzò in piedi, attraversando la tenda. Lei lo seguì, scusandosi di nuovo… ma a cosa servivano le parole? Loro l’avevano tradito.
Taln scostò i lembi anteriori e uscì. Alzò lo sguardo verso la città che si espandeva sopra di loro, verso il cielo, verso le mura. Soldati con corazza e maglia corsero lì accanto per unirsi a un combattimento più avanti.
«Quattromila anni?» chiese Taln di nuovo. «Ash…»
«Non potevamo continuare… Io… pensavamo…»
«Ash.» Lui le prese di nuovo la mano. «Che cosa meravigliosa.»
Meravigliosa? «Noi ti abbiamo abbandonato, Taln.»
«Che dono avete fatto loro! Tempo per recuperare tra le Desolazioni, una volta tanto. Tempo per progredire. Prima non avevano mai avuto una possibilità. Ma stavolta… sì, forse ce l’hanno.»
«No, Taln. Non puoi essere così.»
«Davvero una cosa meravigliosa, Ash.»
«Tu non puoi essere così, Taln. Tu devi odiarmi! Odiami, per favore.»
Lui le voltò le spalle ma continuò a tenerne la mano tirandosela dietro. «Vieni. Sta aspettando.»
«Chi?» chiese lei.
«Non lo so.»
Teft provò a prendere fiato nell’oscurità.
«Riesci a capirlo, Teft?» sussurrò la spren. «Riesci a percepire le Parole?»
«Sono spezzato.»
«E chi non lo è? La vita ci spezza, Teft. Allora riempiamo le crepe con qualcosa di più forte.»
«Io faccio del male a me stesso.»
«Teft» disse lei, un’apparizione lucente nell’oscurità. «È quello che riguardano le Parole.»
Oh, Kelek. Le urla. Gli scontri. I suoi amici.
«Io…»
“Che tu sia folgorato! Sii uomo una volta nella vita!”
Teft si umettò le labbra e parlò.
«Proteggerò quelli che odio. Perfino… se quello che odio di più… è… me stesso.»
Renarin cadde sull’ultimo livello della città, il Deflettore Basso. Lì si fermò, la mano che scivolava via da quella di Jasnah. Dei soldati marciavano per le strade, con occhi come braci.
«Jasnah!» la chiamò. «I soldati di Amaram hanno cambiato fazione. Ora servono Odio! Me ne sono reso conto nella visione.»
Lei corse verso di loro.
«Jasnah!»
Il primo soldato vibrò un colpo di spada verso di lei. Jasnah evitò l’arma, poi spinse la mano contro di lui, gettandolo all’indietro. Quello si cristallizzò in aria e andò a sbattere contro l’uomo successivo, che si trasformò a sua volta, come fosse un’epidemia. Quello andò a sbattere contro un altro uomo, gettandolo all’indietro, come se l’intera forza della spinta di Jasnah si fosse trasferita a lui. Un attimo dopo si cristallizzò. Jasnah ruotò, con una Stratolama che si andava formando nella manosalva guantata, e la gonna si increspò mentre fendeva sei uomini con una sola spazzata. La spada scomparve quando schiaffò la mano contro la parete di un edificio dietro di lei e quella parete si dissolse in fumo, facendo crollare il tetto e bloccando il vicolo tra gli edifici, da dove si stavano avvicinando altri soldati.
Jasnah mosse la mano verso l’alto e l’aria si condensò in pietra, formando scale che iniziò a salire – senza fermarsi un attimo – per raggiungere il tetto dell’edificio successivo.
Renarin rimase a bocca aperta. Quello… Come…
Sarà… grandioso… vasto… stupendo! disse Glys da dentro il cuore di Renarin. Sarà bellissimo, Renarin! Guarda!
Un pozzo sbocciò dentro di lui. Un’energia come non l’aveva mai provata prima, una meravigliosa, travolgente forza. Folgoluce infinita. Una fonte così vasta che lo lasciò stupefatto.
«Jasnah?» urlò, poi si mise tardivamente a salire le scale che lei aveva creato, sentendosi così vivo da aver voglia di ballare. Quello sì che sarebbe stato uno spettacolo: Renarin Kholin che danzava su un tetto mentre…
Rallentò, rimanendo di nuovo a bocca aperta quando guardò attraverso una breccia nelle mura e vide una colonna di luce. Si sollevava sempre più in alto, allungandosi verso le nuvole.
Fen e il suo consorte si ritrassero dalla tempesta di luce.
Navani esultò in essa. Si sporse ben oltre il lato delle mura, ridendo come una pazza. I gloriaspren scorrevano attorno a lei, sfiorandole i capelli, fluendo verso il numero già impossibile che girava attorno a Dalinar in un pilastro che si estendeva in aria per centinaia di piedi.
Poi delle luci si accesero come un’ondata per il campo, la cima delle mura, la strada sottostante. Gemme che giacevano lì ignorate, sparpagliate dalla banca distrutta, si abbeverarono della Folgoluce di Dalinar. Illuminarono il terreno con mille punture di spillo colorate.
«No!» urlò Odio. Venne avanti. «No, ti abbiamo ucciso. TI ABBIAMO UCCISO!»
Dalinar si trovava all’interno di un pilastro di luce e di gloriaspren turbinanti, una mano da ciascun lato, tenendo stretti i reami che componevano la realtà.
Perdonato.
Il dolore che così di recente aveva insistito per mantenere iniziò a scomparire da solo.
Queste Parole… sono accettate, disse il Folgopadre, in tono stupito. Come? Cos’hai fatto?
Odio barcollò all’indietro. «Uccidetelo! Attaccatelo!»
La parshi non si mosse, ma Amaram abbassò pigramente la mano dalla faccia, poi avanzò evocando la sua Stratolama.
Dalinar tolse la mano dal pilastro luminoso e la protese. «Tu puoi cambiare» lo esortò. «E diventare una persona migliore. Io l’ho fatto. Viaggio prima della destinazione.»
«No» replicò Amaram. «No, lui non mi perdonerà mai.»
«Il pontiere?»
«Non lui.» Amaram si batté il petto. «Lui. Mi spiace, Dalinar.»
Sollevò una Stratolama familiare.
La Stratolama di Dalinar, Giuramento.
Tramandata da un tiranno all’altro.
Una porzione di luce si staccò dalla colonna di Dalinar.
Amaram vibrò Giuramento con un urlo, ma la luce incontrò la Stratolama in un’esplosione di scintille, gettando Amaram all’indietro, come se la forza della Stratopiastra non fosse più di quella di un bambino. La luce si trasformò in un uomo con capelli ondulati fino alle spalle, un’uniforme blu e una lancia argentea in mano.
Una seconda forma lucente si staccò e divenne Shallan Davar, i capelli rosso brillante che sventolavano dietro di lei e una lunga Stratolama sottile con una lieve curva che andava formandosi nelle sue mani.
E poi, per fortuna, apparve Adolin.
«Padrona!» esclamò Wyndle. «Oh, padrona!»
Per una volta, Lift non aveva voglia di dirgli di tacere. Era interamente concentrata su quei viticci che le strisciavano su per le braccia, come rampicanti scuri.
L’assassino giaceva a terra con lo sguardo fisso verso l’alto, praticamente ricoperto da quei viticci. Lift li teneva a bada, i denti stretti. La sua volontà contro l’oscurità finché…
Luce.
Come una detonazione improvvisa, una luce fortissima lampeggiò per il campo. Le gemme sul terreno avvamparono, catturando Folgoluce, e l’assassino urlò, assorbendo Luce in forma di nebbia scintillante.
I viticci avvizzirono e la sete della spada fu placata dalla Folgoluce. Lift cadde all’indietro sulla pietra e staccò le mani dalla testa di Szeth.
Sapevo che mi piacevi, disse una voce nella mente di Lift.
La spada. Allora era uno spren? «L’hai quasi mangiato» replicò Lift. «Hai quasi divorato me!»
Oh, non lo farei, ribatté la voce. Sembrava completamente frastornata, sempre più lenta come se fosse assonnata. Ma… forse avevo solo tanta, tanta fame…
Be’, Lift immaginò di non poter biasimare nessuno per quello.
L’assassino si mise in piedi un po’ vacillante. La sua faccia era intersecata di linee dove prima c’erano i viticci. Ciò gli rendeva in qualche modo la pelle grigia a strisce, del colore della pietra. Lo stesso valeva per le braccia di Lift. Uh.
Szeth si diresse verso la colonna di luce scintillante, lasciandosi alle spalle un’immagine residua. «Vieni» disse.
“Elhokar?” pensò Dalinar. Ma nessun altro giunse attraverso la colonna di luce. E lui seppe. In qualche modo seppe che il re non sarebbe arrivato.
Chiuse gli occhi e accettò quel dolore. Aveva deluso il re in così tanti modi.
“Alzati” pensò. “E sii migliore.”
Aprì gli occhi e lentamente la sua colonna di gloriaspren scomparve. Il potere dentro di lui si ritrasse, lasciandolo esausto. Per fortuna il campo era ricoperto di gemme scintillanti. Folgoluce in abbondanza.
Un passaggio diretto al Reame Spirituale, disse il Folgopadre. Tu rinnovi sfere, Dalinar?
«Siamo Connessi.»
Sono stato vincolato ad altri uomini in passato. Questo non è mai successo.
«Onore era vivo allora. Noi siamo qualcosa di diverso. I suoi resti, la tua anima, la mia volontà.»
Kaladin Folgoeletto si accostò a Dalinar davanti alle macerie delle mura, e Shallan Davar si mise dall’altro lato. Jasnah emerse dalla città ed esaminò la scena con aria critica, mentre Renarin spuntava dietro di lei per poi urlare e correre da Adolin. Afferrò il fratello maggiore in un abbraccio, poi trasalì. Adolin era ferito!
“Bravo ragazzo” pensò Dalinar mentre Renarin si metteva immediatamente a guarire il fratello.
Altre due persone attraversarono il campo di battaglia. Lift l’aveva prevista. Ma l’assassino? Szeth raccolse da terra il fodero argenteo e vi ficcò dentro la sua Stratolama nera prima di avvicinarsi per unirsi a Dalinar.
“Rompicielo” pensò questi, enumerandoli. “Danzafilo.” Erano a sette.
Se ne sarebbe aspettati altri tre.
Ecco, disse il Folgopadre. Dietro tua nipote.
Altre due persone apparvero all’ombra delle mura. Un uomo grosso e possente, con un fisico impressionante, e una donna con lunghi capelli neri. La loro pelle scura indicava che erano Makabaki, forse Azish, ma i loro occhi erano sbagliati.
Io li conosco, si sorprese il Folgopadre. Da molto, moltissimo tempo. Ricordi di giorni quando non ero completamente vivo.
Dalinar, sei al cospetto di divinità.
«Mi ci sono abituato» replicò quello, voltandosi di nuovo verso il campo. Odio si era ritirato nel nulla, anche se i suoi Coalescenti erano rimasti, così come buona parte delle truppe e uno strano spren, quello simile a fumo nero. Al di là di esso, naturalmente, l’Eccitazione avviluppava ancora il lato nord dell’approdo, vicino all’acqua.
Amaram aveva diecimila uomini e forse la metà di quelli finora erano entrati in città. Avevano perso vigore davanti alla manifestazione di Dalinar, ma adesso…
Un attimo.
“Con quei due fanno solo nove” pensò rivolto al Folgopadre. Qualcosa gli diceva che doveva essercene un altro.
Non lo so. Forse non sono stati ancora trovati. A ogni modo, perfino con il legame, tu sei solo un uomo. I Radiosi non sono immortali. Come puoi affrontare questo esercito?
«Dalinar?» chiese Kaladin. «Ordini, signore?»
Le file nemiche si stavano riprendendo. Sollevarono le armi, gli occhi che brillavano di un rosso intenso. Anche Amaram, a una ventina di piedi di distanza, si agitò. Ma l’Eccitazione era ciò che preoccupava di più Dalinar. Conosceva i suoi effetti.
Lanciò un’occhiata al suo braccio e notò qualcosa. Il fulmine che l’aveva colpito prima, facendo a brandelli La via dei re, aveva rotto il fabrial che portava al braccio. Il fermaglio era slacciato e Dalinar poteva vedere le minuscole gemme che Navani aveva messo per alimentarlo.
«Signore?» chiese Kaladin di nuovo.
«Il nemico sta cercando di schiacciare questa città, capitano» rispose Dalinar abbassando il braccio. «La difenderemo contro le sue forze.»
«Sette Radiosi?» fece Jasnah in tono scettico. «Zio, sembra un compito arduo, anche se uno di noi è – a quanto pare – il folgorato Assassino in Bianco.»
«Io servo Dalinar Kholin» mormorò Szeth-figlio-figlio-Vallano. Per qualche motivo, il suo volto era striato di grigio. «Non posso conoscere la verità, perciò seguo qualcuno che è in grado di scoprirla.»
«Qualunque mossa decidiamo,» intervenne Shallan «dovremmo sbrigarci. Prima che quei soldati…»
«Renarin!» sbraitò Dalinar.
«Signore!» disse Renarin, precipitandosi avanti.
«Dobbiamo resistere finché non arriveranno le truppe da Urithiru. Fen non ha i numeri per combattere da sola. Dirigiti alla Giuriporta, impedisci a quel tuonoclasta lassù di distruggerla e apri il portale.»
«Signore!» Renarin gli rivolse il saluto.
«Shallan, non abbiamo ancora un esercito» continuò Dalinar. «Creacene uno con il Tessiluce e tieni occupati quei soldati. Sono consumati da una sete di sangue che sospetto li renderà più facili da distrarre. Jasnah, pare che la città che stiamo difendendo abbia un folgorato buco enorme nelle mura. Puoi tenere quel buco e impedire a chiunque ci provi di passare?»
Lei annuì pensierosa.
«E io?» chiese Kaladin.
Dalinar indicò Amaram, che si stava rialzando nella sua Stratopiastra. «Tenterà di uccidermi per quello che sto per fare e potrebbe servirmi una guardia del corpo. A quanto ricordo, hai un conto in sospeso con l’altonobile.»
«Potete dirlo forte.»
«Lift, credo di averti già dato un ordine. Prendi l’assassino e portatemi quel rubino. Assieme, terremo questa città finché Renarin non sarà tornato con le truppe. Domande?»
«Uhm…» rispose Lift. «Forse potresti… dirmi dove procurarmi qualcosa da mangiare…?»
Dalinar le lanciò un’occhiata. Qualcosa da mangiare? «Dovrebbe… esserci un deposito di provviste all’interno delle mura.»
«Grazie!»
Dalinar sospirò, poi iniziò ad avviarsi verso l’acqua.
«Signore!» chiamò Kaladin. «Dove state andando?»
«Il nemico brandiva un bastone bello grosso in questa battaglia, capitano. Ho intenzione di portarglielo via.»