Il punto più importante che voglio dimostrare è che i Disfatti sono ancora tra noi. Mi rendo conto che questo sarà oggetto di dibattito, dato che molta della tradizione che li circonda è intrecciata con la teologia. Comunque, per me è evidente che alcuni dei loro effetti sono comuni nel mondo, e noi li trattiamo semplicemente come faremmo con le manifestazioni di altri spren.
Dal Mythica di Hessi, pagina 12
La prova dei Rompicielo si sarebbe tenuta in una cittadina di dimensioni modeste al margine nord del Purolago. Alcune persone vivevano nel lago, naturalmente, ma quelle sane di mente evitavano di farlo.
Szeth atterrò – o meglio fu fatto atterrare – al centro della piazza cittadina, assieme agli altri aspiranti. Il grosso dei Rompicielo rimase in aria o si andò a posare sui dirupi attorno alla cittadina.
Tre maestri atterrarono vicino a Szeth, così come una manciata di uomini e donne più giovani in grado di Sferzarsi. Il gruppo messo alla prova oggi avrebbe incluso aspiranti come Szeth – che aveva bisogno di trovare un maestro e giurare il Secondo Ideale – e scudieri che avevano già raggiunto quella fase, ma ora dovevano attirare uno spren e pronunciare il Terzo Ideale.
Era un gruppo variegato: i Rompicielo non sembravano fare differenze di etnia o colore degli occhi. Szeth era l’unico Shin in mezzo a loro, ma fra gli altri c’erano Makabaki, Reshi, Vorin, Iriali e perfino un Thaylenico.
Un uomo alto e forte con una stola marabethiana e una giacca azish si sollevò dal portico dov’era seduto. «Ce ne avete messo di tempo!» esclamò in azish, dirigendosi verso di loro. «Vi ho mandato a chiamare ore fa! I detenuti sono scappati nel lago; chi può sapere quanto sono arrivati lontano oramai! Uccideranno ancora se non verranno fermati. Trovateli e sbarazzatevene: li riconoscerete dai tatuaggi sulla fronte.»
I maestri si voltarono verso gli scudieri e gli aspiranti; alcuni dei più impazienti si misero a correre immediatamente verso l’acqua. Diversi di quelli che potevano Sferzarsi si sollevarono in cielo.
Szeth si attardò assieme ad altri quattro. Si avvicinò a Ki, nel suo mantello alla spalla di un alto giudice di Marabethia.
«Come mai quest’uomo ha pensato di chiamarci?» chiese Szeth.
«Abbiamo espanso la nostra influenza, in seguito all’avvento della nuova tempesta» rispose lei. «I sovrani locali ci hanno accettati come una forza marziale unificante e ci hanno concesso autorità legale. L’alto ministro della città ci ha contattati via distacanna, implorando il nostro aiuto.»
«E questi detenuti?» chiese uno scudiero. «Cosa sappiamo di loro e del nostro compito qui?»
«Questo gruppo di detenuti è fuggito dalla prigione lì lungo i dirupi. Il rapporto dice che sono assassini pericolosi. Il vostro compito è trovarli e giustiziarli. Abbiamo i mandati che ordinano la loro morte.»
«Tutti i fuggitivi sono colpevoli?»
«Proprio così.»
A quelle parole, diversi altri scudieri partirono, precipitandosi a dar prova di sé. Szeth però rimase ancora lì. Qualcosa in quella situazione lo turbava. «Se questi uomini sono assassini, perché non sono stati giustiziati prima?»
«Quest’area è popolata da idealisti reshi, Szeth-figlio-Neturo» rispose Ki. «Hanno uno strano atteggiamento non violento, persino verso i criminali. Questa cittadina ha l’incarico di tenere rinchiusi i prigionieri da tutta la regione e al ministro Kwati viene pagato un tributo per mantenere queste strutture. Ora che gli assassini sono scappati, non hanno più diritto ad alcuna pietà. Devono essere giustiziati.»
Quello fu sufficiente per gli ultimi due scudieri, che si alzarono in cielo per iniziare la loro ricerca. E Szeth supponeva che dovesse bastare anche a lui.
“Questi sono Rompicielo” pensò. “Non ci manderebbero di proposito a caccia di innocenti.” Avrebbe potuto prendere per buona la loro approvazione implicita all’inizio. Eppure… qualcosa lo turbava. Quella era una prova, ma di cosa? Semplicemente della velocità con la quale potevano eliminare i colpevoli?
Si avviò verso le acque.
«Szeth-figlio-Neturo» lo chiamò Ki.
«Sì?»
«Tu cammini sulla pietra. Come mai? Ogni Shin che ho conosciuto definisce la pietra sacra e rifiuta di mettervi piede.»
«Non può essere sacra. Se lo fosse davvero, maestra Ki, mi avrebbe bruciato molto tempo fa.» Le rivolse un cenno del capo, poi entrò nel Purolago.
L’acqua era più calda di quanto ricordasse. Non era affatto profonda: a quanto si diceva, perfino al centro stesso del lago, non arrivava più in alto delle cosce di un uomo, tranne per l’occasionale dolina.
Sei molto indietro rispetto agli altri, disse la spada. Di questo passo non prenderai mai nessuno.
«Conoscevo una voce come la tua una volta, spada-nimi.»
I sussurri?
«No. Una singola, nella mia mente, quand’ero giovane.» Szeth si schermò gli occhi, guardando tutt’attorno sul lago scintillante. «Spero che le cose vadano meglio stavolta.»
Gli scudieri volanti avrebbero preso chiunque fosse uscito allo scoperto, perciò Szeth aveva bisogno di cercare criminali meno evidenti. Gliene serviva soltanto uno…
Uno? esclamò la spada. Non sei abbastanza ambizioso.
«Forse. Spada-nimi, sai perché sei stata data a me?»
Perché avevi bisogno d’aiuto. Mi riesce bene aiutare.
«Ma perché a me?» Szeth continuò ad arrancare nell’acqua. «Nin ha detto di assicurarmi che non lasciassi mai la mia presenza.»
Sembrava più un fardello che un aiuto. Sì, la spada era una Stratolama, ma era stato messo in guardia dall’estrarla.
Il Purolago sembrava estendersi all’infinito, ampio come un oceano. I passi di Szeth spaventavano banchi di pesci, che lo seguivano per un po’, ogni tanto mordicchiandogli gli stivali. Alberi nodosi spuntavano dalle secche, immagazzinando acqua mentre le loro radici si aggrappavano ai numerosi buchi e solchi nel letto del lago. Affioramenti di roccia movimentavano la superficie del lago vicino alla costa, ma verso l’interno il Purolago diventava placido, più vuoto.
Szeth svoltò parallelamente alla riva.
Non stai andando nella stessa direzione degli altri.
Quello era vero.
Sul serio, Szeth, devo parlarti sinceramente. Non sei bravo a uccidere il male. Non abbiamo ucciso nessuno da quando mi hai con te.
«Mi domando, spada-nimi. Nin-figlio-Dio ti ha data a me affinché potessi esercitarmi a resistere ai tuoi incoraggiamenti, o perché mi considerava ugualmente assetato di sangue? Ci ha definiti un buon abbinamento.»
Io non ho sete di sangue, ribatté immediatamente la spada. Voglio solo rendermi utile.
«E non annoiarti?»
Be’, anche quello. La spada emise dei mormorii bassi, imitando un umano intento a pensare. Sostieni di aver ucciso molte persone prima che ci incontrassimo. Ma i sussurri… non provavi piacere nell’annientare quelli che andavano distrutti?
«Non sono convinto che andassero distrutti.»
Li hai uccisi.
«Ero costretto a obbedire da un giuramento.»
A una roccia magica.
Aveva spiegato il proprio passato alla spada ormai diverse volte. Per qualche motivo, quella aveva difficoltà a capire – o a ricordare – certe cose. «La Giuripietra non aveva magia. Obbedivo per senso dell’onore, e a volte perfino a uomini malvagi o meschini. Ora cerco un Ideale superiore.»
Ma se scegliessi la cosa sbagliata da seguire? Non rischieresti di finire come prima? Non puoi semplicemente trovare il male e poi distruggerlo?
«E cos’è il male, spada-nimi?»
Sono certo che sei in grado di individuarlo. Sembri sveglio. Anche se sei sempre più noioso.
Magari avesse potuto continuare con quella monotonia.
Lì vicino, un grosso albero contorto si innalzava dalla riva. Diverse foglie lungo un ramo si erano ritratte, cercando rifugio all’interno della corteccia: qualcuno le aveva disturbate. Szeth non lasciò capire apertamente di averlo notato, ma deviò la camminata in modo da arrivare sotto l’albero. Parte di lui sperava che l’uomo sull’albero avesse il buonsenso di rimanere nascosto.
Ma non lo fece. Balzò su Szeth, forse tentato dalla prospettiva di ottenere un’ottima arma.
Szeth scartò di lato, ma senza Sferzate si muoveva lento, impacciato. Sfuggì ai fendenti del pugnale improvvisato del detenuto, ma fu costretto a indietreggiare verso l’acqua.
Finalmente! esclamò la spada. D’accordo, ecco cosa devi fare. Combattilo e vinci, Szeth.
Il criminale si avventò su di lui. Szeth bloccò la mano con il pugnale, torcendola e usando lo slancio stesso dell’uomo per farlo ruzzolare nel lago.
Riprendendosi, quello si voltò verso Szeth, che stava cercando di interpretare quello che poteva dall’aspetto misero e lacero dell’altro. Capelli ispidi e arruffati. Pelle da Reshi con molte lesioni. Quel poveraccio era così sudicio che perfino i mendicanti e i monelli di strada avrebbero trovato sgradevole la sua compagnia.
Il detenuto passò il pugnale da una mano all’altra, cauto. Poi si avventò di nuovo su Szeth.
Questi gli afferrò ancora il polso e lo fece roteare tra schizzi d’acqua. Come previsto, l’uomo lasciò cadere il coltello, che Szeth raccolse dall’acqua. Schivò la presa dell’avversario e in un attimo il suo braccio fu attorno al collo del criminale. Sollevò il coltello e – prima di riuscire a formulare un pensiero cosciente – premette la lama contro il petto dell’uomo, stillando sangue.
Riuscì a trattenersi, evitando di uccidere il detenuto. Sciocco! Aveva bisogno di interrogarlo. Il periodo che aveva passato come Senzavero l’aveva reso un assassino tanto impaziente? Szeth abbassò il coltello, ma ciò diede all’avversario un’opportunità per tentare una torsione e trascinare entrambi giù nel Purolago.
Szeth piombò in un’acqua calda come sangue. Il criminale gli finì sopra e lo costrinse a stare sotto la superficie, sbattendogli la mano contro il fondale roccioso e forzandolo a mollare la presa sul coltello. Il mondo divenne una nebbia distorta.
Questo non è vincere, disse la spada.
Che ironia sarebbe stata sopravvivere all’assassinio di re e Stratoguerrieri, e poi morire per mano di un uomo armato di un coltello primitivo. Szeth quasi lasciò che accadesse, ma sapeva che il destino non aveva ancora finito con lui.
Scrollò via il criminale, che era debole e macilento. L’uomo cercò di afferrare il coltello – che era chiaramente visibile sotto la superficie – mentre Szeth rotolava nell’altra direzione per ottenere un po’ di spazio. Purtroppo, la spada che aveva sulla schiena si impigliò tra le pietre del fondale del lago e ciò lo gettò di nuovo nell’acqua. Szeth ringhiò e – con uno sbuffo – si strappò via la spada rompendo la cinghia dell’imbracatura.
L’arma affondò in acqua. Szeth si tirò in piedi schizzando acqua e si girò per fronteggiare il detenuto sporco e affaticato.
L’uomo lanciò un’occhiata alla spada argentea sommersa. I suoi occhi sembrarono velarsi e poi sorrise con aria maligna, lasciò cadere il coltello e si tuffò per andare a prendere la spada.
Incuriosito, Szeth indietreggiò mentre il detenuto riaffiorava con espressione allegra, impugnando l’arma.
Szeth gli assestò un pugno in faccia e il suo braccio lasciò una debole immagine residua. Afferrò la spada inguainata, strappandola dalle mani più deboli dell’uomo. Anche se l’arma sembrava spesso troppo pesante per le sue dimensioni, ora gli parve leggera tra le dita. Fece un passo di lato e la vibrò – fodero e tutto quanto – contro il nemico.
L’arma colpì la schiena del detenuto con uno scrocchio nauseante. Il poveretto crollò nel lago tra gli spruzzi e rimase immobile.
Suppongo che andrà bene, disse la spada. Sul serio, avresti dovuto semplicemente usarmi fin dall’inizio.
Szeth si scosse. Aveva ucciso quel tipo, dopotutto? Si inginocchiò e lo tirò su per i capelli arruffati. Il detenuto respirava a fatica, ma il suo corpo non si mosse. Non era morto, ma paralizzato.
«Qualcuno ti ha aiutato a fuggire?» chiese Szeth. «Uno della nobiltà locale, forse?»
«Cosa?» sputacchiò l’uomo. «Oh, Vun Makak. Cosa mi hai fatto? Non mi sento le braccia, le gambe…»
«Qualcuno dall’esterno ti ha aiutato?»
«No. Perché… perché lo chiedi?» L’uomo sputacchiò di nuovo. «Aspetta. Sì. Chi vuoi che ti nomini? Farò tutto quello che desideri. Per favore…»
Szeth rifletté. “Non è in combutta con le guardie, allora, o con il ministro della cittadina.” «Come sei fuggito?»
«Oh, Nu Ralik» rispose l’uomo piangendo. «Non avremmo dovuto uccidere la guardia. Volevo solo… solo vedere di nuovo il sole…»
Szeth lasciò ricadere l’uomo nell’acqua. Raggiunse la riva e si sedette su una roccia, respirando a fondo. Non molto tempo prima, aveva danzato con un Corrivento sul fronte di una tempesta. Oggi aveva combattuto in acqua poco profonda con un uomo mezzo morto di fame.
Oh, quanto gli mancava il cielo.
Quello è stato crudele, commentò la spada. Lasciarlo ad affogare.
«Meglio che darlo in pasto a un granguscio» replicò Szeth. «È quello che accade ai criminali in questo regno.»
Entrambe le alternative sono crudeli, ribatté la spada.
«Cosa sai della crudeltà, spada-nimi?»
Vivenna era solita dirmi che la crudeltà è solo per gli uomini, così come la pietà. Solo noi possiamo scegliere l’una o l’altra, mentre le bestie non possono.
«Tu ti consideri un uomo?»
No. Ma lei parlava come se mi considerasse tale. E dopo che Shashara mi creò, lei litigò con Vasher, dicendo che potevo scrivere poesie o studiare. Come un uomo, giusto?
Shashara? Suonava come Shalash, il nome orientale per l’Araldo Shush-figlia-Dio. Perciò forse l’origine di questa spada era legata agli Araldi.
Szeth si alzò e si diresse lungo la costa verso la cittadina.
Non hai intenzione di cercare altri criminali?
«Me ne serviva solo uno, spada-nimi, per comprovare quello che mi è stato detto e per apprendere alcuni fatti importanti.»
Come il fatto che i detenuti puzzano?
«In effetti questo è parte del segreto.»
Superò la piccola cittadina dove i maestri Rompicielo attendevano, poi salì su per il pendio fino alla prigione. La struttura simile a un blocco scuro si affacciava sul Purolago, ma quella posizione stupenda era sprecata: quel posto era quasi privo di finestre.
All’interno, l’odore era così nauseante che dovette respirare dalla bocca. Il corpo di un’unica guardia era stato lasciato in una pozza di sangue tra le celle. Per poco Szeth non ci inciampò sopra: non c’era luce in quel luogo, tranne alcune lampade a sfere nel posto di guardia.
“Capisco” pensò, inginocchiandosi accanto all’uomo ucciso. “Sì.” Quella era una prova davvero curiosa.
Fuori, notò alcuni scudieri tornare in città trascinandosi dietro dei cadaveri, anche se nessuno degli altri aspiranti sembrava aver trovato alcunché. Szeth si fece strada con cautela giù per il pendio roccioso fino alla cittadina, attento a non trascinare la spada. Quali che fossero le ragioni di Nin per avergli affidato quell’arma, era un oggetto sacro.
In città, si avvicinò al nobiluomo muscoloso, che stava cercando di scambiare chiacchiere spicciole con la maestra Ki, fallendo in modo spettacolare. Lì vicino, altri abitanti della cittadina dibattevano sull’etica di giustiziare semplicemente gli assassini oppure di tenerli prigionieri e rischiare che succedessero cose del genere. Szeth esaminò i detenuti morti e li trovò sporchi come quello che aveva combattuto, anche se due non erano altrettanto emaciati.
“C’è stata economia da prigione” pensò. “Il cibo andava a quelli al potere, mentre gli altri morivano di fame.”
«Voi» disse Szeth al nobile. «Ho trovato solo un corpo lassù. Avevate davvero un’unica guardia incaricata di sorvegliare tutti questi prigionieri?»
Il nobiluomo lo guardò con aria di scherno. «Un camminapietra shin? Chi sei tu per mettermi in discussione? Torna alla tua stupida erba e ai tuoi alberi morti, ometto.»
«I prigionieri erano liberi di creare la propria gerarchia» continuò Szeth. «E nessuno controllava per assicurarsi che non costruissero armi, dato che ne ho affrontato uno con un coltello. Questi uomini sono stati maltrattati, rinchiusi al buio, senza che venisse dato loro abbastanza cibo.»
«Erano criminali. Assassini.»
«E dov’è finito il denaro che vi veniva mandato per amministrare questa struttura? Di sicuro non è stato investito per garantire un’adeguata sicurezza.»
«Non devo stare ad ascoltare questo!»
Szeth spostò lo sguardo da lui a Ki. «Abbiamo un mandato di esecuzione per quest’uomo?»
«È il primo che abbiamo ottenuto.»
«Cosa?» esclamò l’uomo. Pauraspren ribollirono attorno a lui.
Szeth aprì il fermaglio sulla spada e la estrasse.
Un suono impetuoso come mille grida.
Un’ondata di potere pari al battito di un vento terribile che stordiva.
I colori cambiarono attorno a lui. Diventarono più intensi, più scuri e vividi. Il mantello del nobiluomo cittadino divenne una stupefacente gamma di arancione intenso e rosso sangue.
A Szeth si rizzarono i peli sulle braccia e la sua pelle fu colta dall’impennata di un dolore improvviso e incredibile.
DISTRUGGI!
Oscurità liquida defluì dalla Lama, poi evaporò in fumo mentre cadeva. Szeth urlò per il dolore al braccio perfino mentre conficcava l’arma nel petto del nobile farfugliante.
Carne e sangue si trasformarono all’istante in fumo nero con uno sbuffo. Le normali Stratolame bruciavano solo gli occhi, ma quella spada in qualche modo consumava l’intero corpo. Sembrava incenerire perfino l’anima di un uomo.
IL MALE!
Vene di liquido nero strisciarono su per la mano e il braccio di Szeth. Lui le guardò inebetito, poi boccheggiò e spinse con forza la spada all’interno del suo fodero argenteo.
Cadde in ginocchio, lasciando andare la spada e sollevando la mano, le dita piegate e i tendini tesi. Lentamente, quel nero evaporò dalla carne e il dolore tremendo si attenuò. La pelle della mano, che era già pallida, era stata sbiancata fino a un color bianco-grigio.
La voce della spada calò fino a un borbottio profondo nella sua mente, le parole biascicate. Gli diede l’impressione della voce di una bestia che si abbandonava al torpore dopo essersi abbuffata. Szeth respirò a fondo. Armeggiando nel borsello, vide che diverse sfere all’interno erano completamente esaurite. “Mi servirà molta più Folgoluce se voglio provarci di nuovo.”
Tutti gli astanti – abitanti del villaggio, scudieri e perfino i maestri Rompicielo – lo osservarono egualmente inorriditi. Szeth raccolse la spada e si sforzò di alzarsi in piedi prima di chiudere il fermaglio sul fodero. Tenendo la spada inguainata in entrambe le mani, si inchinò a Ki. «Ho eliminato» disse «il peggiore dei criminali.»
«Hai agito bene» replicò lei lentamente, guardando il punto dove si era trovato il nobile. Non rimaneva nemmeno una macchia sulle pietre. «Aspetteremo e ci accerteremo che gli altri criminali siano stati uccisi o catturati.»
«Saggio» commentò Szeth. «Potrei… chiedere qualcosa da bere? Tutt’a un tratto mi sento molto assetato.»
Quando tutti i fuggitivi furono eliminati, la spada si stava riscuotendo di nuovo. Non si era mai addormentata, sempre che una spada potesse fare una cosa del genere. Piuttosto, aveva borbottato nella sua mente finché a poco a poco non aveva riacquistato la lucidità.
Ehi! disse la spada mentre Szeth sedeva su un muretto lungo la città. Ehi, mi hai estratta?
«L’ho fatto, spada-nimi.»
Ottimo lavoro! Abbiamo… abbiamo distrutto parecchio male?
«Un male enorme e corrotto.»
Wow! Impressionante. Sai, Vivenna non mi ha mai estratta, nemmeno una volta. E mi ha portata pure per parecchio tempo. Forse addirittura un paio di giorni?
«E da quanto tempo ti sto portando io?»
Almeno un’ora, disse la spada, soddisfatta. Una o due o diecimila. Qualcosa del genere.
Ki si avvicinò e lui le restituì la borraccia dell’acqua. «Grazie, maestra Ki.»
«Ho deciso di prenderti come mio scudiero, Szeth-figlio-Neturo» disse. «In tutta sincerità, c’è stata una discussione tra noi su chi avrebbe avuto il privilegio.»
Lui chinò il capo. «Posso giurare il Secondo Ideale?»
«Puoi. La giustizia ti servirà finché non attirerai uno spren e giurerai su un codice più specifico. Durante le mie preghiere la scorsa notte, Winnow ha proclamato che gli altispren ti stanno osservando. Non sarei sorpresa se ci volessero solo pochi mesi prima che tu raggiunga il Terzo Ideale.»
Mesi. No, non ci avrebbe messo mesi. Ma non giurò subito. Invece indicò la prigione con un cenno del capo. «Perdono, maestra, una domanda. Sapevate che si sarebbe verificata questa evasione, vero?»
«Lo sospettavamo. Una nostra squadra ha indagato su quest’uomo e ha scoperto come stava usando i fondi. Quando è arrivata la chiamata, non siamo rimasti sorpresi. Ci ha fornito un’opportunità perfetta per la prova.»
«Perché non occuparsi di lui prima?»
«Devi comprendere il nostro scopo e la nostra posizione, un punto sottile e difficile da afferrare per molti scudieri. Quell’uomo non aveva ancora infranto una legge. Il suo compito era imprigionare i detenuti, cosa che aveva fatto. Gli era concesso di giudicare se i suoi metodi fossero soddisfacenti o no. Solo una volta che ha fallito e quelli affidati alla sua custodia sono scappati, abbiamo potuto amministrare la giustizia.»
Szeth annuì. «Giuro di cercare la giustizia, di lasciare che mi guidi finché non troverò un Ideale più perfetto.»
«Queste Parole sono accettate» replicò Ki. Afferrò una sfera di smeraldo lucente dal borsello. «Prendi il tuo posto lassù, scudiero.»
Szeth osservò la sfera, poi – tremando – inspirò la Folgoluce. Gli tornò tutto quanto in un attimo.
I cieli erano di nuovo suoi.