I-5 TARAVANGIAN

Taravangian passeggiava avanti e indietro nelle sue stanze a Urithiru mentre due servitori del Diagramma apparecchiavano il tavolo e l’irrequieto Dukar – capo dei Probatori del re, ciascuno dei quali indossava una ridicola veste da guardatempeste con glifi lungo le cuciture – disponeva le prove, anche se non si sarebbero dovuti prendere la briga.

Oggi Taravangian era un folgorato genio.

Il modo in cui pensava, respirava, si muoveva perfino… tutto trasmetteva implicitamente che quella era una giornata di intelligenza: forse non geniale quanto quell’unico giorno trascendente in cui aveva creato il Diagramma, ma finalmente si sentiva se stesso dopo così tanti giorni intrappolato nel mausoleo della sua stessa carne, la mente come un maestro pittore a cui era permesso solo imbiancare pareti.

Una volta preparato il tavolo, Taravangian spinse da parte un servo senza nome e si sedette, prendendo una penna e lanciandosi a risolvere i problemi – a partire dalla seconda pagina, dato che la prima era troppo semplice –, e gettando inchiostro contro Dukar quando l’idiota cominciò a lamentarsi.

«La prossima pagina» sbottò. «Presto, presto. Non sprechiamo tutto questo, Dukar.»

«Dovete comunque…»

«Sì, sì. Dimostrare che non sono un idiota. Un giorno in cui non sbavo e non giaccio nei miei stessi escrementi, e tu sprechi il mio tempo con questa sciocchezza.»

«L’avete…»

«L’ho imposto io. Sì, l’ironia è che tu lasci che i divieti istituiti dal mio io idiota controllino il mio vero io quando finalmente ha un’opportunità di emergere.»

«Non eravate un idiota quando…»

«Ecco» disse Taravangian, porgendogli il foglio dei problemi di matematica. «Risolti.»

«Tutti tranne l’ultimo su questo foglio» precisò Dukar, prendendolo con dita caute. «Volete provarlo oppure…»

«Non ce n’è bisogno. So di non poterlo risolvere: è un peccato. Sbrigati con le formalità necessarie. Ho del lavoro da svolgere.»

Adrotagia era entrata con Malatha, la Fiammifera; stavano sviluppando un’amicizia, dato che la prima tentava di istituire un legame emotivo con quel membro inferiore del Diagramma che era stato ammesso all’improvviso tra le alte sfere, un evento predetto dal Diagramma stesso, che spiegava che i Fiammiferi sarebbero stati i Radiosi che con maggiore probabilità avrebbero accolto la loro causa. Per quello Taravangian si sentiva orgoglioso, poiché individuare uno di loro che potesse davvero vincolare uno spren non era stato affatto facile.

«È intelligente» disse Dukar a Mrall. La guardia del corpo era l’arbitro finale della capacità giornaliera di Taravangian: un controllo irritante ma necessario per impedire che il suo lato stupido rovinasse qualcosa; una semplice seccatura quando il re era così.

Pieno di energie.

Sveglio.

Geniale.

«È quasi sulla linea del pericolo» commentò Dukar.

«Questo lo vedo» replicò Adrotagia. «Vargo, stai…»

«Mi sento alla perfezione. La finiamo con questo? Posso interagire e prendere decisioni politiche, e non ho bisogno di alcuna restrizione.»

Dukar annuì, pur con riluttanza. Mrall concordò. Evviva!

«Datemi una copia del Diagramma» ordinò Taravangian, scansando Adrotagia. «E della musica: qualcosa di rilassante ma non troppo lento. Fate uscire dalle stanze le persone non essenziali, svuotate la camera da letto di tutti i mobili e non interrompetemi.»

Fu frustrante. Quanto tempo impiegarono nell’eseguire gli ordini… quasi mezz’ora, che lui trascorse sul balcone, contemplando l’ampio spazio per un orto lì fuori e domandandosi quanto fosse vasta l’area. Gli servivano delle misurazioni…

«La vostra stanza è pronta, maestà» disse Mrall.

«Grazie, uscritico, per il tuo permesso di entrare nella mia stessa camera da letto. Hai bevuto sale?»

«… Cosa?»

Taravangian attraversò la stanzetta che dava sulla balconata ed entrò nella camera da letto, poi inspirò a fondo, lieto di trovarla completamente priva di mobilio: solo quattro pareti di pietra spoglie e senza finestre, anche se aveva una strana sporgenza rettangolare lungo il muro in fondo, come un gradino alto, che Maben stava spolverando.

Taravangian prese la cameriera per il braccio e la buttò fuori, proprio mentre Adrotagia gli stava portando un grosso libro rilegato in pelle di cinghiale. Una copia del Diagramma. Eccellente. «Misurate l’area di orto disponibile nel campo di pietra fuori dal nostro balcone e riferitemi.»

Portò il Diagramma nella stanza e si chiuse in beata compagnia di se stesso; dispose un diamante in ciascun angolo – una luce per accompagnare quella della sua scintilla, che brillava su una verità nella quale gli altri non potevano avventurarsi – e, quando ebbe finito, un coretto di bambini iniziò a cantare inni vorin fuori della stanza come da sua richiesta.

Inspirò ed espirò, immerso nella luce e incoraggiato dal canto, le mani lungo i fianchi; capace di qualunque cosa, era consumato dalla soddisfazione della propria mente che lavorava bene, non più bloccata e in grado di scorrere libera per la prima volta da quelli che sembravano secoli.

Aprì il Diagramma. In esso, finalmente Taravangian si confrontò con qualcosa più grande di lui: una versione diversa di sé.

Il Diagramma – che era il nome di quel libro e dell’organizzazione che lo studiava – in origine non era stato scritto semplicemente su carta, poiché in quel giorno di capacità maestosa Taravangian aveva arruolato ogni superficie a contenere il suo genio – dal legno dei mobili alle pareti –, e nel farlo aveva inventato nuovi linguaggi per esprimere meglio idee che dovevano essere registrate per necessità da un mezzo meno perfetto dei suoi pensieri. Perfino con l’intelletto che aveva oggi, la vista di quella scrittura costringeva all’umiltà: sfogliò pagine piene zeppe di minuscoli scarabocchi, copiati – macchie, graffi e tutto quanto – dalla stanza originale del Diagramma, creata durante quella che sembrava una vita diversa, ora così estranea a lui quanto lo era l’idiota sbavante che diventava a volte.

Più estranea. Tutti capivano la stupidità.

Si inginocchiò sulle pietre, ignorando i dolori del corpo e sfogliando le pagine con venerazione. Poi tirò fuori il coltello che aveva alla cintura e iniziò a tagliuzzarle.

Il Diagramma non era stato scritto su carta, e interagire con la sua trascrizione rilegata in forma di codice doveva necessariamente aver influenzato il loro pensiero, perciò per ottenere una vera prospettiva – decise in quel momento – gli occorreva la flessibilità di vedere i pezzi e poi disporli in nuovi modi, poiché i suoi pensieri non erano stati limitati quel giorno e lui non avrebbe dovuto percepirli come tali oggi.

Non era geniale quanto lo era stato quel giorno, ma non era necessario che lo fosse. Allora era stato Dio. Oggi poteva essere il profeta di Dio.

Dispose le pagine tagliate e trovò numerosi collegamenti nuovi semplicemente per come i fogli erano piazzati l’uno accanto all’altro… in effetti quella pagina si collegava realmente a quell’altra… sì. Taravangian le tagliò entrambe lungo la metà, dividendo le frasi. Quando accostò la metà di una pagina alla metà dell’altra, esse crearono un intero più completo. Idee che prima gli erano sfuggite sembrarono levarsi dai fogli come spren.

Taravangian non credeva in nessuna religione, poiché erano comodità, create per riempire vuoti nella comprensione umana con spiegazioni prive di fondamento, che consentivano alle persone di dormire bene la notte dando loro un falso senso di sollievo e controllo, e impedendo che provassero ad arrivare alla vera conoscenza; tuttavia c’era qualcosa di stranamente sacro nel Diagramma, il potere di un’intelligenza grezza, l’unica cosa che l’uomo avrebbe dovuto adorare. E quanto poco lo capivano – oh, quanto poco lo meritavano – nel maneggiare la purezza mentre la corrompevano con interpretazioni fallate e sciocche superstizioni. Esisteva un modo per impedire che tutti tranne i più intelligenti imparassero a leggere? Quello avrebbe fatto così tanto bene; sembrava folle che nessuno avesse implementato un tale divieto, poiché il Vorinismo, mentre proibiva agli uomini di leggere, vietava solo a una metà arbitraria della popolazione di maneggiare le informazioni, quando erano gli stupidi che avrebbero dovuto essere esclusi.

Passeggiò avanti e indietro nella stanza, poi notò un frammento di carta sotto la porta: conteneva la risposta alla sua domanda sulle dimensioni della piattaforma da coltivare. Esaminò i calcoli, ascoltando solo con mezzo orecchio le voci di fuori, quasi coperte dal canto dei bambini.

«Uscritico» diceva Adrotagia «sembra riferito a Uscri, una figura di un poema tragico scritto millesettecento anni fa. Si affogò dopo aver sentito che il suo amante era morto, ma la verità era che lui non era affatto morto e lei aveva frainteso il rapporto che lo riguardava.»

«D’accordo…» concordò Mrall.

«Fu usata nei secoli successivi come esempio di una persona che agisce senza informazioni, anche se alla fine il termine arrivò a significare semplicemente “stupido”. Il sale si riferisce al fatto che si annegò in mare.»

«Dunque era un insulto?» chiese Mrall.

«Usando un oscuro riferimento letterario, sì.» Taravangian poteva quasi sentire il sospiro di Adrotagia. Meglio interromperla prima che vi riflettesse ulteriormente.

Spalancò la porta. «Pasta di gomma per attaccare la carta a questa parete. Procuramela, Adrotagia.»

Avevano messo la carta in una pila accanto alla porta senza che venisse loro chiesto, cosa che lo lasciò sorpreso, dal momento che di solito doveva ordinargli tutto quanto. Chiuse la porta, poi si inginocchiò e fece alcuni calcoli relativi alle dimensioni della città-torre. “Hmmm…”

Gli fornì un’ottima distrazione, ma presto fu attirato di nuovo al vero lavoro, con un’unica interruzione per l’arrivo della pasta di gomma, che usò per cominciare ad attaccare frammenti del Diagramma alle pareti.

“Questo…” pensò, disponendo pagine con numeri sparpagliati in mezzo al testo, pagine che non erano mai riusciti a decifrare. “È una lista di cosa? Non un codice, come gli altri numeri. A meno che… non potrebbe essere una stenografia per delle parole?”

Sì… sì, era stato troppo impaziente per scrivere le parole vere e proprie. Le aveva numerate nella sua testa – forse in ordine alfabetico – per poter scrivere rapidamente. Ma dov’era la chiave?

“Questo è un rafforzamento” pensò mentre lavorava “del paradigma di Dalinar!” Gli tremavano le mani dall’eccitazione mentre metteva per iscritto possibili interpretazioni. Sì… Uccidere Dalinar, altrimenti avrebbe opposto resistenza ai suoi tentativi di conquistare Alethkar. Così Taravangian aveva mandato l’Assassino in Bianco che, per quanto incredibile, aveva fallito.

Per fortuna c’erano piani alternativi. “Ecco” pensò il re prendendo un altro frammento del Diagramma e incollandolo alla parete accanto agli altri. “La spiegazione iniziale del paradigma di Dalinar, dal catechismo della testiera, lato posteriore, terzo quadrante.” Era stato scritto in metrica, come una poesia, e presagiva che Dalinar avrebbe tentato di unificare il mondo.

Perciò se guardava alla seconda alternativa…

Taravangian scrisse freneticamente, vedendo parole invece di numeri e – pieno di energia – per un po’ si dimenticò età, dolori, il modo in cui le sue dita tremavano – a volte – perfino quando non era così eccitato.

Il Diagramma non aveva considerato l’effetto che il secondo figlio, Renarin, avrebbe avuto: era un elemento completamente imprevedibile. Taravangian terminò le sue annotazioni, orgoglioso, e si diresse verso la porta, che aprì senza alzare lo sguardo.

«Procuratemi una copia delle parole del chirurgo alla mia nascita» disse a quelli lì fuori. «Oh, e uccidete quei bambini.»

La musica cessò quando i bambini udirono quello che aveva detto. I musicaspren svolazzarono via.

«Intendete che smettano di cantare» ribatté Mrall.

«Quello che ti pare. Sono turbato dagli inni vorin che mi ricordano la storica oppressione religiosa di idee e pensieri.»

Taravangian tornò al lavoro, ma poco tempo dopo qualcuno bussò alla porta. La spalancò. «Non voglio essere…»

«Interrotto» completò Adrotagia, porgendogli un foglio di carta. «Le parole del chirurgo che hai richiesto. Le teniamo a portata di mano ora, considerata la frequenza con cui ti occorrono.»

«Bene.»

«Dobbiamo parlare, Vargo.»

«No, non…»

Lei entrò comunque, poi si fermò, esaminando i pezzi ritagliati del Diagramma. Sgranò gli occhi mentre si girava attorno. «Sei…»

«No» la interruppe Taravangian. «Non sono diventato di nuovo lui. Ma sono io, per la prima volta da settimane.»

«Questo non sei tu. Questo è il mostro che diventi a volte.»

«Non sono abbastanza intelligente da essere nella zona di pericolo.» Ovvero la zona in cui, cosa irritante, affermavano che lui fosse troppo intelligente per consentirgli di prendere decisioni. Come se l’intelligenza rappresentasse in qualche modo un ostacolo!

Lei spiegò un pezzo di carta preso dalla tasca della gonna. «Sì, la tua prova quotidiana. Ti sei fermato su questa pagina, sostenendo di non riuscire a rispondere alla domanda successiva.»

Dannazione. L’aveva capito.

«Se avessi risposto,» continuò «avresti dimostrato che eri abbastanza intelligente da risultare pericoloso. Invece hai deciso che non potevi farcela. Una scappatoia che avremmo dovuto considerare. Sapevi che, se avessi terminato la domanda, avremmo limitato la tua capacità di prendere decisioni per la giornata.»

«Sai della crescita di Folgoluce?» chiese, passandole accanto e prendendo una delle pagine che aveva scritto prima.

«Vargo…»

«Calcolando la superficie totale destinata alla coltivazione a Urithiru» la interruppe lui «e paragonandola al numero stimato di stanze che potrebbero essere occupate, ho stabilito che perfino se il cibo crescesse qui spontaneamente – come farebbe alle temperature di una pianura mediamente fertile – non sarebbe sufficiente a sostentare l’intera torre.»

«Commercio» suggerì lei.

«Ho problemi a credere che i Cavalieri Radiosi, sempre minacciati dalla guerra, avrebbero costruito una fortezza come questa dove sapevano di non poter essere autosufficienti. Hai letto Golombi?»

«Certo che l’ho letto, e lo sai» rispose lei. «Pensi che abbiano potenziato la crescita usando gemme infuse di Folgoluce e fornendo luce a luoghi bui?»

«Nient’altro ha senso, giusto?»

«Le prove sono inconcludenti» replicò lei. «Sì, la luce delle sfere stimola la crescita in una stanza buia, mentre quella delle candele non ci riesce, ma Golombi dice che i risultati potrebbero essere stati compromessi e l’efficienza è… Oh, bah! Questo è un diversivo, Vargo. Stavamo discutendo su cosa avevi fatto per aggirare le regole che tu stesso hai stabilito!»

«Quando ero stupido.»

«Quando eri normale.»

«Normale è stupido, Adro.» La prese per le spalle e la spinse fuori della stanza con risolutezza. «Non prenderò decisioni politiche ed eviterò di ordinare l’omicidio di altri gruppi di bambini melodiosi. Va bene? D’accordo? Ora lasciami solo. Stai appestando questo posto con un’aria di idiozia compiaciuta.»

Chiuse la porta e, nel profondo, provò un barlume di vergogna. Aveva definito idiota proprio Adrotagia?

Be’, ora non ci si poteva fare nulla. Lei avrebbe capito.

Si rimise al lavoro, tagliando altre parti del Diagramma e disponendole, in cerca di punti dove fosse menzionato lo Spinanera; c’era troppo da studiare in quel libro e lui doveva essere concentrato sul loro problema attuale.

Dalinar era vivo. Stava mettendo assieme una coalizione. Allora cosa doveva fare ora Taravangian? Mandare un altro assassino?

“Qual è il segreto?” pensò, tenendo sollevati i fogli del Diagramma e trovandone uno dove riusciva a vedere le parole dall’altro lato attraverso la carta. Poteva essere stato intenzionale? “Cosa dovrei fare? Per favore. Mostrami la via.”

Scribacchiò le parole su una pagina. Luce. Intelligenza. Significato. Le appese alla parete perché lo ispirassero, ma non riuscì a fare a meno di leggere le parole del chirurgo: quelle di un maestro guaritore che aveva fatto nascere Taravangian con un taglio nella pancia della madre.

“Aveva il cordone avvolto attorno al collo” aveva detto il chirurgo. “La regina saprà cos’è meglio fare, ma mi rammarico nell’informarla che, finché vivrà, vostro figlio potrebbe avere capacità ridotte. Forse andrebbe tenuto nei possedimenti esterni, in favore di altri eredi.”

Quelle “capacità ridotte” non erano apparse, ma quella reputazione aveva inseguito Taravangian fin dalla fanciullezza, così diffusa nella mente delle persone che nessuno aveva smascherato il suo recente atto di stupidità, che avevano attribuito a un ictus o a semplice senilità. O forse, ipotizzavano alcuni, al fatto che lui era sempre stato così.

Aveva superato quella reputazione in modi straordinari. Adesso avrebbe salvato il mondo. Be’, la parte del mondo che aveva importanza.

Lavorò per ore, fissando altre porzioni del Diagramma; ci scribacchiava sopra quando gli venivano in mente delle connessioni, usando bellezza e luce per scacciare le ombre di ottusità e ignoranza, e trovando risposte: erano lì e lui doveva soltanto interpretarle.

Alla fine fu interrotto dalla cameriera: quella donna irritante era sempre affaccendata in giro, cercava di fargli fare questo o quello, come se lui non avesse preoccupazioni più importanti che bagnarsi i piedi.

«Donna idiota!» urlò.

Lei non trasalì, ma venne avanti e posò un vassoio di cibo accanto a lui.

«Non riesci a capire che il mio lavoro qui è importante?» domandò lui. «Non ho tempo per mangiare.»

La donna gli avvicinò anche da bere, poi gli picchiettò sulla spalla, cosa che lo fece infuriare. Mentre usciva, Taravangian notò Adrotagia e Mrall proprio lì fuori.

«Suppongo» disse a Mrall «che non giustizieresti quella cameriera se lo esigessi?»

«Abbiamo stabilito» ribatté la guardia del corpo «che non vi è permesso prendere tali decisioni oggi.»

«Andate alla Dannazione, allora. Ho quasi le risposte comunque. Non dobbiamo assassinare Dalinar Kholin. È passato il momento per quello. Invece dobbiamo sostenere la sua coalizione. E poi costringerlo a farsi da parte, affinché io possa prendere il suo posto a capo dei monarchi.»

Adrotagia entrò ed esaminò il suo lavoro. «Dubito che Dalinar ti darà semplicemente il comando della coalizione.»

Taravangian picchiettò una serie di pagine attaccate al muro. «Guardate qui. Dovrebbe essere chiaro, perfino a voi. Io l’ho previsto.»

«Avete fatto delle modifiche» osservò Mrall sconcertato. «Al Diagramma.»

«Solo minime» replicò Taravangian. «Vedi la scrittura originale qui? Quella non l’ho cambiata, ed è chiara. Il nostro compito ora è fare in modo che Dalinar si tiri indietro dal comando e prendere il suo posto.»

«Non lo uccidiamo?» chiese Mrall.

Taravangian lo fissò, poi si voltò e agitò una mano verso l’altra parete, dove erano attaccati ancora più fogli. «Ucciderlo ora solleverebbe solo sospetti.»

«Sì» rispose Adrotagia. «Capisco questa interpretazione della testiera: dobbiamo spingere lo Spinanera così forte da farlo crollare. Ma ci serviranno segreti da usare contro di lui.»

«Facile» ribatté Taravangian, trascinandola verso un’altra serie di annotazioni alla parete. «Manderemo lo spren di quella Fiammifera a spiare. Dalinar Kholin puzza di segreti. Possiamo spezzarlo e io prenderò il suo posto – dato che la coalizione non mi vedrà come una minaccia –; a quel punto sarò in una posizione di potere per negoziare con Odio che, per le leggi di spren e dèi, sarà vincolato dall’accordo fatto.»

«Non possiamo… sconfiggere Odio invece?» chiese Mrall.

Nerboruto idiota. Taravangian alzò gli occhi al cielo, ma Adrotagia – che era più sentimentale di lui – si voltò e gli spiegò. «Il Diagramma è chiaro, Mrall. Questo è lo scopo della sua creazione. Non siamo in grado di sconfiggere il nemico; perciò, invece, salveremo quello che possiamo.»

«È l’unico modo» convenne il re. Dalinar non avrebbe mai accettato quel fatto. Solo un uomo sarebbe stato abbastanza forte da compiere quel sacrificio.

Taravangian percepì un barlume di… qualcosa. Memoria.

“Dammi la capacità di salvarci.”

«Prendi questo» disse a Adrotagia, staccando un foglio che aveva annotato. «Funzionerà

Lei annuì, trascinando Mrall via dalla stanza mentre Taravangian si inginocchiava davanti ai resti spezzati, strappati e tagliati del Diagramma.

Luce e verità. Salvare quello che poteva.

Abbandonare il resto.

Per fortuna, gli era stata data quella capacità.

Giuramento
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