Sono anche reso incerto dal tuo sotterfugio. Perché non ti sei palesato a me prima di questo? Come riesci a nasconderti? Chi sei davvero e come sai così tanto su Adonalsium?
Dalinar apparve nel cortile di una strana fortezza con un unico muro imponente di pietre rosso sangue. Chiudeva un grosso varco in una formazione di roccia montagnosa.
Tutt’attorno, gli uomini trasportavano provviste o si tenevano occupati altrimenti, entrando e uscendo da edifici costruiti contro le pareti di pietra naturali. L’aria invernale faceva condensare il respiro di Dalinar davanti a lui.
Teneva la manofranca di Navani nella sinistra e quella di Jasnah nella destra. Aveva funzionato. Il suo controllo sulle visioni stava aumentando ben oltre quello che il Folgopadre aveva ritenuto possibile. Oggi, stringendo le loro mani, aveva portato dentro Navani e Jasnah senza un’altempesta.
«Straordinario» disse Navani, strizzandogli la mano. «Quel muro è imponente quanto avevi descritto. E le persone. Di nuovo armi di bronzo, pochissimo acciaio.»
«Quell’armatura è Animutata» commentò Jasnah, lasciando andare la sua mano. «Guardate le ditate sul metallo. Quello è ferro brunito, non vero acciaio, Animutato dall’argilla in quella forma. Mi domando… l’accesso agli Animutanti ritardò la loro spinta ad apprendere i principi della fusione? Lavorare l’acciaio è difficile. Non si può semplicemente fonderlo sopra un fuoco come si fa col bronzo.»
«Allora…» chiese Dalinar «quando siamo?»
«Forse duemila anni fa» rispose Jasnah. «Quelle sono spade haravingiane, e vedete quelle arcate? Architettura tardo classica, ma blu finto sbiadito sui mantelli, invece di tinture di vero blu. Unendo queste osservazioni alla lingua in cui parlavate qui dentro – che mia madre ha registrato la volta scorsa – sono piuttosto certa.» Lanciò un’occhiata ai soldati che incrociavano. «Una coalizione multietnica qui, come durante le Desolazioni… ma se ho ragione, siamo a più di duemila anni dopo Aharietiam.»
«Stanno combattendo qualcuno» disse Dalinar. «I Radiosi si ritirano da una battaglia, poi abbandonano le loro armi sul campo qui fuori.»
«Il che colloca la Ritrattazione in epoca più recente rispetto a quanto Masha-figlia-Shaliv sostiene nella sua storia» chiosò Jasnah riflettendo. «In base alla mia lettura dei resoconti delle vostre visioni, questa è l’ultima in ordine cronologico, anche se è difficile collocare quella in cui guardate Kholinar in rovina.»
«Contro chi starebbero combattendo?» chiese Navani mentre gli uomini in cima al muro davano l’allarme. Cavalieri galopparono fuori della fortezza per investigare. «Questo avvenne molto dopo che i Nichiliferi se ne andarono.»
«Potrebbe trattarsi della Falsa Desolazione» disse Jasnah.
Sia Dalinar che Navani la guardarono.
«Una leggenda» aggiunse Jasnah. «Considerata pseudostorica. Dovcanti scrisse un poema epico al riguardo all’incirca millecinquecento anni fa. L’ipotesi è che alcuni Nichiliferi sopravvissero ad Aharietiam e che ci furono molti scontri con loro in seguito. È considerata inaffidabile, ma questo perché molti ferventi di età successive insistono nel sostenere che nessun Nichilifero potrebbe essere sopravvissuto. Sono incline a supporre che si sia trattato di uno scontro con dei parshi prima che questi fossero in qualche modo privati della loro capacità di cambiare forme.»
Guardò verso Dalinar con occhi accesi e lui annuì. Jasnah si allontanò per andare a raccogliere qualunque informazione storica poteva.
Navani prese degli strumenti dalla cartella. «In un modo o nell’altro, ho intenzione di capire dove si trova questo “Forte Roccafebbre”, anche se dovessi costringere queste persone a disegnare una mappa. Forse potremmo mandare degli studiosi in questo posto e trovare indizi sulla Ritrattazione.»
Dalinar si diresse alla base del muro. Era una struttura davvero imponente, tipica dello strano contrasto delle visioni: una popolazione classica, senza fabrial né vera e propria metallurgia, accompagnata da meraviglie.
Un gruppo di uomini sfilò giù per le scale dalla cima delle mura. Erano seguiti da sua eccellenza Yanagawn primo del suo nome, Primo Aqasix di Azir. Mentre Dalinar aveva portato Navani e Jasnah toccandole, aveva chiesto al Folgopadre di portare dentro Yanagawn. In quel momento l’altempesta infuriava ad Azir.
Il giovane vide Dalinar e si fermò. «Devo combattere oggi, Spinanera?»
«Non oggi, vostra eccellenza.»
«Queste visioni mi stanno davvero stancando» confessò Yanagawn, scendendo gli ultimi gradini.
«Questa fatica non ci abbandona mai, vostra eccellenza. In effetti, è aumentata quando ho cominciato ad afferrare l’importanza di ciò che ho visto e il fardello che mi mette sulle spalle.»
«Non è quello che intendevo dicendo che sono stanco.»
Dalinar non replicò e tenne le mani serrate dietro la schiena mentre camminavano verso la postierla, dove Yanagawn guardò gli eventi che si dipanavano all’esterno. I Radiosi stavano attraversando la pianura aperta o atterrandovi. Evocarono le loro Lame, suscitando preoccupazione nei soldati presenti.
I cavalieri conficcarono le loro armi nel terreno, poi le abbandonarono. Lasciarono anche le loro armature. Strati di valore incalcolabile, ripudiati.
Il giovane imperatore non sembrava avere alcuna fretta di fronteggiarli come aveva fatto Dalinar. Perciò questi lo prese per il braccio e lo guidò fuori mentre i primi soldati aprivano le porte. Non voleva che l’imperatore rimanesse coinvolto nella fiumana che sarebbe arrivata di lì a poco, quando gli uomini sarebbero scattati a prendere quelle Lame e avrebbero cominciato a uccidersi a vicenda.
Come prima in quella stessa visione, Dalinar ebbe la sensazione di poter udire le urla di morte degli spren, la tristezza terribile di quel campo. Quasi lo sopraffece.
«Perché?» chiese Yanagawn. «Perché le hanno semplicemente… abbandonate?»
«Non lo sappiamo, vostra eccellenza. Questa scena mi tormenta. C’è così tanto che non capisco. L’ignoranza è diventata il filo conduttore del mio regno.»
Yanagawn si guardò attorno, poi si precipitò verso un alto macigno da scalare, da cui poter guardare meglio i Radiosi. Sembrava molto più coinvolto da questa che dalle altre visioni. Dalinar poteva rispettarlo. La guerra era guerra, ma quello… quello era qualcosa che non si vedeva mai. Uomini che abbandonavano volontariamente i loro Strati?
E quel dolore. Pervadeva l’aria come una puzza tremenda.
Yanagawn si sedette sul macigno. «Allora perché mostrarmi questo? Non sapete nemmeno che significa.»
«Se non avete intenzione di unirvi alla mia coalizione, suppongo che dovrei darvi comunque tutta la conoscenza che posso. Forse noi falliremo e voi sopravvivrete. Forse i vostri studiosi riusciranno a risolvere questi enigmi e i nostri no. E forse voi siete il condottiero di cui Roshar ha bisogno, mentre io sono soltanto un emissario.»
«Non ci credete davvero.»
«No. Ma voglio comunque che abbiate queste visioni, per ogni evenienza.»
Yanagawn era agitato e giocava con le nappe del suo pettorale di cuoio. «Io… non conto quanto pensate voi.»
«Perdonate, vostra eccellenza, ma sottovalutate la vostra importanza. La Giuriporta di Azir sarà vitale, e il vostro è il regno più forte dell’Ovest. Con Azir al nostro fianco, molti altri Paesi si uniranno a noi.»
«Intendo» disse Yanagawn «che io non sono importante. Certo, Azir lo è. Ma io sono solo un ragazzino che hanno messo sul trono perché avevano paura che l’assassino sarebbe tornato.»
«E il miracolo che stanno sbandierando? La prova da parte degli Araldi che siete stato scelto?»
«È stata Lift, non io.» Yanagawn abbassò lo sguardo sui suoi piedi, che dondolavano sotto di lui. «Mi stanno addestrando a comportarmi come se fossi importante, Kholin, ma non lo sono. Non ancora. Forse non lo sarò mai.»
Quello era un risvolto nuovo per Yanagawn. La visione l’aveva scosso, ma non nel modo in cui Dalinar aveva sperato. “È un giovane” ricordò Dalinar a se stesso. La vita alla sua età era già abbastanza impegnativa senza aggiungerci la tensione di un’inaspettata ascesa al potere.
«Qualunque sia il motivo,» disse al giovane imperatore «voi siete Primo. I visir hanno sbandierato al popolo la vostra miracolosa elevazione. Godete di una certa dose di autorità.»
Lui scrollò le spalle. «I visir non sono persone cattive. Si sentono in colpa per avermi messo in questa posizione. Mi hanno dato un’istruzione – in tutta sincerità, me l’hanno praticamente fatta trangugiare a forza – e si aspettano che collabori. Ma io non sto governando l’impero.
«Hanno paura di voi. Molta paura. Più di quanta ne abbiano dell’assassino. Lui ha bruciato gli occhi degli imperatori, ma gli imperatori possono essere rimpiazzati. Voi rappresentate qualcosa di assai più terribile. Pensano che possiate distruggere la nostra intera cultura.»
«Nessun Alethi deve mettere piede sulla pietra azish» ribatté Dalinar. «Ma venite voi da me, vostra eccellenza. Raccontate loro delle visioni a cui avete assistito, dite loro che gli Araldi vogliono almeno che visitiate Urithiru. Che le opportunità superano di gran lunga il pericolo di aprire quella Giuriporta.»
«E se questo dovesse accadere di nuovo?» chiese Yanagawn indicando col capo il campo di Stratolame. Centinaia di esse spuntavano dal terreno, argentee, e riflettevano la luce del sole. Gli uomini ora si stavano riversando fuori dalla fortezza, sciamavano verso quelle armi.
«Ci assicureremo che non accada. In qualche modo.» Dalinar strinse gli occhi. «Non so cos’abbia causato la Ritrattazione, ma posso immaginarlo. Persero la loro visione, vostra eccellenza. Rimasero invischiati nella politica e lasciarono che le divisioni si insinuassero tra loro. Dimenticarono il loro scopo: proteggere Roshar per il suo popolo.»
Yanagawn guardò verso di lui, accigliato. «È un giudizio severo. Prima siete sempre stato così rispettoso dei Radiosi.»
«Io rispetto coloro che combatterono nelle Desolazioni. Questi? Posso simpatizzare con loro. Anch’io certe volte mi sono lasciato distrarre da piccole meschinità. Ma rispettarli? Quello no.» Rabbrividì. «Uccisero i loro spren! Tradirono i loro giuramenti! Possono non essere malvagi come li dipinge la storia, ma in questo momento non hanno agito come era giusto e corretto. Hanno tradito Roshar.»
Il Folgopadre tuonò in lontananza, in accordo con quell’opinione.
Yanagawn inclinò il capo.
«Cosa c’è?» chiese Dalinar.
«Lift non si fida di voi.»
Dalinar si guardò attorno, aspettandosi che apparisse come aveva fatto nelle due visioni precedenti che aveva mostrato a Yanagawn. Ma non c’era alcun segno della giovane ragazza reshi che il Folgopadre detestava così tanto.
«È perché» continuò Yanagawn «vi comportate in modo così virtuoso. Lei dice che una persona che agisce come voi sta cercando di nascondere qualcosa.»
Un soldato si avvicinò e parlò a Yanagawn con la voce dell’Onnipotente. «Loro sono i primi.»
Dalinar indietreggiò, lasciando che il giovane imperatore ascoltasse mentre l’Onnipotente faceva il suo breve discorso per quella visione. Questi eventi rimarranno nella storia. Saranno tristemente famosi. Voi avrete molti nomi per quello che è accaduto qui…
L’Onnipotente usò le stesse parole che aveva detto a Dalinar.
La Notte delle Sofferenze verrà, e la Vera Desolazione. La Tempesta Infinita.
Gli uomini sul campo pieno di Strati iniziarono a contendersi le armi. Per la prima volta nella storia, gli uomini presero a trucidarsi con spren morti. Alla fine Yanagawn scomparve dalla visione. Dalinar chiuse gli occhi, sentendo il Folgopadre ritrarsi. Tutto in quel momento pareva dissolversi…
Ma non lo fece.
Dalinar aprì gli occhi. Era ancora sul campo davanti all’incombente muro rosso sangue di Forte Roccafebbre. Gli uomini combattevano per le Stratolame mentre alcune voci urlavano a tutti di essere pazienti.
Quelli che avessero conquistato uno Strato quel giorno sarebbero diventati regnanti. Dalinar era turbato dal fatto che gli uomini migliori, quelli che si appellavano alla moderazione o sollevavano obiezioni, sarebbero stati in numero scarso tra quei regnanti. Non erano abbastanza aggressivi da cogliere il vantaggio.
Perché era ancora lì? L’ultima volta la visione era terminata prima di quel punto.
«Folgopadre?» domandò.
Nessuna risposta. Dalinar si voltò.
Lì c’era un uomo vestito di bianco e oro.
Dalinar sobbalzò e scattò all’indietro. L’uomo era vecchio, con un volto ampio e rugoso e capelli bianchissimi che si allargavano dietro la testa come al soffio del vento. Spessi baffi con un accenno di nero si fondevano con una corta barba bianca. Sembrava uno Shin, a giudicare dalla carnagione e dagli occhi, e portava una corona dorata nei capelli sottili.
Quegli occhi… erano antichi, la pelle che li circondava profondamente rugosa, e danzarono di gioia quando sorrise a Dalinar e gli posò uno scettro dorato sulla spalla.
Improvvisamente sopraffatto, Dalinar cadde in ginocchio. «Io ti conosco» mormorò. «Tu sei… sei Lui. Dio.»
«Sì» disse l’uomo.
«Dove sei stato?» chiese Dalinar.
«Sono sempre stato qui» disse Dio. «Sempre con te, Dalinar. Oh, ti ho osservato per lunghissimo tempo.»
«Qui? Tu… non sei l’Onnipotente, vero?»
«Onore? No, lui è davvero morto, come ti è stato rivelato.» Il sorriso del vecchio si ampliò, genuino e gentile. «Io sono l’altro, Dalinar. Mi chiamano Odio.»