UNDICI ANNI PRIMA
Dalinar acconsentì a cambiarsi d’abito. Lavò volto e braccia e permise a un chirurgo di esaminare le ferite.
La nebbia rossa era ancora lì, a colorargli la vista. Non avrebbe dormito. La nebbia non glielo avrebbe permesso.
Circa un’ora dopo il suo arrivo all’accampamento, arrancò di nuovo verso la tenda di comando, ripulito ma non particolarmente riposato.
I generali avevano stilato una nuova serie di piani di battaglia per prendere le mura, come ordinato da Sadeas. Dalinar li esaminò e apportò alcune modifiche, ma disse loro di sospendere i preparativi per marciare sulla città e distruggerla. Aveva in mente qualcos’altro.
«Luminobile!» esclamò una messaggera arrivata alla tenda. Entrò. «Un emissario sta lasciando la città. Sventola la bandiera della tregua.»
«Ammazzatelo» ordinò Dalinar con calma.
«Signore?»
«Frecce, donna» insisté Dalinar. «Uccidete chiunque esca dalla città e lasciate i loro corpi a marcire.»
«Ehm… sì, luminobile.» La messaggera si allontanò.
Dalinar alzò lo sguardo su Sadeas, che aveva indossato la sua Stratopiastra, scintillante alla luce delle sfere. Sadeas annuì di approvazione, poi lo invitò con un cenno a spostarsi. Voleva parlargli in privato.
Dalinar lasciò il tavolo. Avrebbe dovuto avvertire più dolori. Giusto? Tempeste… era così intorpidito che riusciva a malapena a sentire qualcosa, a parte quel bruciore dentro di sé, che ribolliva in profondità. Uscì dalla tenda con Sadeas.
«Sono riuscito a fermare le scrivane,» sussurrò Sadeas «come hai ordinato. Gavilar non sa che sei vivo. I suoi ordini di prima erano di aspettare e mettere la città sotto assedio.»
«Il mio ritorno sostituisce i suoi ordini da lontano» disse Dalinar. «Gli uomini lo sapranno. Perfino Gavilar non disapproverebbe.»
«Sì, ma perché tenerlo all’oscuro del tuo arrivo?»
L’ultima luna era prossima a tramontare. Non mancava molto al mattino. «Cosa pensi di mio fratello, Sadeas?»
«È esattamente quello che ci serve» rispose l’altro. «Abbastanza duro da guidare una guerra, abbastanza morbido da essere amato in periodo di pace. Ha lungimiranza e saggezza.»
«Pensi che potrebbe fare quello che dev’essere fatto qui?»
Sadeas tacque. «No» replicò infine. «No, non ora. Mi domando se anche tu possa. Questa non sarà soltanto morte. Sarà distruzione completa.»
«Una lezione» mormorò Dalinar.
«Una dimostrazione. Il piano di Tanalan era astuto, ma rischioso. Sapeva che le sue possibilità di vittoria dipendevano dall’eliminare te e i tuoi Strati dalla battaglia.» Strinse gli occhi. «Tu pensavi che quei soldati fossero miei. Credevi davvero che avrei tradito Gavilar.»
«Ero preoccupato.»
«Allora sappi questo, Dalinar» disse Sadeas a voce bassa, il tono come pietra che raschiava contro pietra. «Mi strapperei via il mio stesso cuore prima di tradire Gavilar. Non ho alcun interesse a essere re: è un lavoro con poche lodi e ancor meno divertimento. Voglio che questo regno duri per secoli.»
«Bene» ribatté Dalinar.
«Sinceramente, ero preoccupato che tu lo tradissi.»
«L’ho quasi fatto, una volta. Mi sono trattenuto.»
«Perché?»
«Perché» rispose Dalinar «dev’esserci qualcuno in questo regno capace di fare quello che va fatto, e non può essere l’uomo che siede sul trono. Continua a trattenere le scrivane: sarà meglio se mio fratello potrà sconfessare quello che stiamo per fare.»
«Presto qualcosa trapelerà» osservò Sadeas. «Tra i nostri due eserciti, ci sono troppe distacanne. Stanno diventando così economiche che molti ufficiali possono permettersi di comprarne un paio e gestire i loro possedimenti da lontano.»
Dalinar rientrò nella tenda, seguito da Sadeas. Giuramento si trovava ancora dove l’aveva conficcata nelle rocce, anche se un armaiolo aveva sostituito la gemma per lui.
Estrasse la Lama dalla roccia. «È il momento di attaccare.»
Amaram, che era assieme agli altri generali, si voltò. «Ora, Dalinar? Di notte?»
«I falò sulle mura dovrebbero essere sufficienti.»
«Per prendere le fortificazioni, sì» commentò Amaram. «Ma, luminobile, non mi piace combattere giù per quelle strade verticali di notte.»
Dalinar scambiò un’occhiata con Sadeas. «Per fortuna, non dovrai farlo. Comanda agli uomini di preparare l’olio e marchi roventi. Marciamo.»
L’altomaresciallo Perethom ricevette gli ordini e iniziò a organizzare le specifiche. Dalinar si sollevò Giuramento sulla spalla. “È il momento di portarti a casa.”
In meno di mezz’ora, gli uomini caricarono le mura. Nessuno Stratoguerriero li guidò stavolta: Dalinar era troppo debole e la Piastra era inutilizzabile. A Sadeas non era mai piaciuto esporsi troppo presto e Teleb non poteva correre dentro da solo.
Lo fecero alla maniera normale, mandando uomini che venivano schiacciati da massi o impalati da frecce mentre trasportavano le scale. Alla fine riuscirono a sfondare, mettendo in sicurezza una sezione delle mura in uno scontro furibondo e sanguinoso.
L’Eccitazione era un grumo insoddisfatto dentro Dalinar, ma lui era privo di forze, esausto. Così continuò ad attendere finché, finalmente, Teleb e Sadeas non si unirono allo scontro e misero in rotta gli ultimi difensori, scagliandoli giù dalle mura verso il crepaccio della città stessa.
«Mi occorre una squadra di soldati scelti» disse Dalinar piano a un messaggero lì vicino. «E un barile d’olio per me. Fa’ che si incontrino con me all’interno delle mura.»
«Sì, luminobile» replicò il ragazzo, poi corse via.
Dalinar avanzò per il campo, superando uomini sanguinanti o ormai morti. Erano morti quasi su file dove le salve di frecce li avevano colpiti. Superò anche un gruppetto di cadaveri in bianco, dove l’inviato era stato trucidato prima. Riscaldato dal sole nascente, passò attraverso i cancelli ora aperti delle mura ed entrò nell’anello di pietra che circondava la Faglia.
Sadeas gli venne incontro lì, la visiera alzata, le guance ancora più rosse del solito per lo sforzo. «Hanno combattuto come Nichiliferi. Più feroci dell’ultima volta, direi.»
«Sapevano cosa li aspettava» disse Dalinar, dirigendosi verso il bordo del dirupo. Si fermò a metà strada.
«Abbiamo controllato che non ci fossero trappole stavolta» fece notare Sadeas.
Dalinar continuò ad avanzare. I Fagliani lo avevano beffato già due volte. Avrebbe dovuto impararlo subito alla prima. Si fermò sul ciglio del dirupo e guardò in basso verso una città costruita su piattaforme, che sorgeva lungo i lati che si allargavano dalla fenditura di roccia. Era un piccolo miracolo che avessero un’opinione tanto elevata di loro stessi da resistere. La loro città era maestosa, un monumento all’ingegno e alla determinazione dell’uomo.
«Bruciatela» ordinò Dalinar.
Gli arcieri si radunarono con frecce pronte da accendere, mentre altri uomini facevano rotolare barili di olio e pece come combustibile supplementare.
«Ci sono migliaia di persone lì dentro, signore» replicò Teleb piano al suo fianco. «Decine di migliaia.»
«Questo regno deve conoscere il prezzo della ribellione. Oggi faremo una dichiarazione.»
«Obbedire o morire?» chiese Teleb.
«Lo stesso accordo che ho offerto a te, Teleb. Sei stato abbastanza sveglio da accettarlo.»
«E la gente comune là dentro, quelli che non hanno avuto l’opportunità di scegliere da che parte stare?»
Lì vicino, Sadeas sbuffò. «Impediremo altre morti in futuro facendo sapere a ogni luminobile in questo regno qual è la punizione per la disobbedienza.» Prese un rapporto da un aiutante, poi si accostò a Dalinar. «Avevi ragione sugli esploratori che hanno tradito. Ne abbiamo corrotto uno perché si mettesse contro gli altri, che giustizieremo. A quanto pare, il piano era di separarti dal resto dell’esercito nella speranza di ucciderti. Anche se fossi stato semplicemente trattenuto, la Faglia confidava nel fatto che le loro menzogne avrebbero indotto il tuo esercito a sferrare un attacco avventato senza di te.»
«Non avevano messo in conto il tuo arrivo così celere» osservò Dalinar.
«O la tua tenacia.»
I soldati stapparono i barili d’olio, poi cominciarono a rovesciarli, inzuppando i livelli superiori della città. Seguirono marchi a fuoco, che infiammarono supporti e passerelle. Le fondamenta stesse della città potevano bruciare facilmente.
I soldati di Tanalan cercarono di organizzarsi per controbattere e fuggire dalla Faglia, ma avevano ceduto il terreno elevato aspettandosi che Dalinar si muovesse come l’altra volta, conquistando e controllando.
Lui osservò i fuochi diffondersi, fiammaspren che si levavano lì in mezzo, all’apparenza più grandi e più… arrabbiati del normale. Poi tornò indietro – lasciando lì un solenne Teleb per radunare i soldati scelti rimasti. Il lord capitano Kadash ne aveva cinquanta per lui, assieme a due barili d’olio.
«Seguitemi» disse Dalinar, aggirando la Faglia sul lato est, dove la fenditura era abbastanza stretta da poter essere attraversata su un ponticello.
Urla dal basso. Poi grida di dolore. Richieste di pietà. La gente si riversò fuori degli edifici, urlando terrorizzata e fuggendo sulle passerelle e le scale verso il bacino sottostante. Molti edifici bruciarono, intrappolando altre persone all’interno.
Dalinar condusse la squadra lungo il margine settentrionale della Faglia finché non raggiunsero un certo posto. Le sue truppe attendevano lì per uccidere qualunque soldato cercasse di fuggire, ma il nemico aveva concentrato il proprio assalto sull’altro lato e poi era stato quasi completamente ricacciato indietro. I fuochi non erano ancora arrivati lassù, ma gli arcieri di Sadeas avevano ucciso diverse dozzine di civili che avevano tentato di scappare in quella direzione.
Per il momento, la rampa di legno che portava giù nella città era sgombra. Dalinar condusse il suo gruppo giù per un piano fino a un posto che ricordava molto bene: la porta nascosta incassata nella parete. Adesso era di metallo, sorvegliata da un paio di nervosi soldati fagliani.
Gli uomini di Kadash li abbatterono con gli archi corti. Dalinar si irritò: tutto quel combattimento e nulla con cui nutrire la sua Eccitazione. Passò sopra uno dei cadaveri, poi provò la porta, che non era più nascosta. Ma era ancora ben chiusa a chiave. Tanalan aveva deciso di optare per la sicurezza invece che per la segretezza, stavolta.
Purtroppo per loro, Giuramento era tornata a casa. Dalinar tagliò con facilità i cardini d’acciaio. Indietreggiò quando la porta si schiantò in avanti sulla passerella, facendo tremare il legno.
«Accendeteli» disse indicando i barili. «Fateli rotolare giù e bruciate chiunque si nasconda dentro.»
Gli uomini si precipitarono a obbedire e presto dal cunicolo di roccia si levò del fumo nero a intermittenza. Nessuno cercò di fuggire, anche se gli parve di udire urla di dolore dall’interno. Dalinar guardò più a lungo che poté, fin quando, poco dopo, fumo e calore non lo costrinsero a indietreggiare.
La Faglia dietro di lui stava diventando una fossa di oscurità e fiamme. Dalinar si ritirò fino alle rocce di sopra. Gli arcieri diedero fuoco alle ultime rampe e passerelle dietro di lui. Sarebbe passato molto tempo prima che altre persone decidessero di trasferirsi lì. Le altempeste erano una cosa, ma c’era una forza più terribile sulla terra. E portava una Stratolama.
Quelle urla… Dalinar superò file di soldati che attendevano lungo il margine nord in preda a un orrore silenzioso; molti non dovevano essere stati con lui e Gavilar durante i primi anni della loro conquista, quando avevano permesso di saccheggiare e depredare le città. E per quelli che se lo ricordavano… be’, lui aveva trovato spesso una scusa per fermare azioni simili in passato.
Assottigliò le labbra in una linea e ricacciò indietro l’Eccitazione. Non avrebbe permesso a se stesso di godere di tutto ciò. Poteva mantenere quell’unico pezzetto di decenza.
«Luminobile!» esclamò un soldato, facendogli cenno. «Dovete vedere questo!»
Appena lì sotto il dirupo – un livello più in basso nella città – si ergeva un bellissimo edificio bianco. Un palazzo. Più avanti lungo le passerelle, un gruppo di persone lottava per raggiungerlo. Le passerelle di legno stavano bruciando e impedivano loro l’accesso. Stupito, Dalinar riconobbe il giovane Tanalan dal loro incontro precedente.
“Sta cercando di entrare in casa sua?” pensò. Delle figure oscuravano le finestre superiori dell’edificio: una donna e un bambino. “No. Vuole andare a prendere la sua famiglia.”
Tanalan non si era nascosto nella stanza blindata dopotutto.
«Gettate una fune» disse Dalinar. «Portate Tanalan quassù, ma abbattete le guardie del corpo.»
Il fumo che si sollevava dalla Faglia si stava addensando, illuminato di rosso dai fuochi. Dalinar tossì, poi indietreggiò quando i suoi uomini calarono una fune sulla piattaforma sottostante, una sezione che non stava bruciando. Tanalan esitò, poi la prese, lasciando che gli uomini di Dalinar lo tirassero su. Contro le guardie del corpo furono scagliate frecce quando cercarono di salire usando una vicina rampa in fiamme.
«Per favore» pregò Tanalan, i vestiti ricoperti di cenere per il fumo, mentre veniva issato oltre il bordo di roccia. «La mia famiglia. Per favore.»
Dalinar poteva sentirli urlare da basso. Sussurrò un ordine e i suoi soldati scelti ritirarono le truppe regolari dei Kholin dalla zona, aprendo un ampio semicerchio contro la fenditura in fiamme, dove solo Dalinar e i suoi uomini più fidati erano in grado di osservare il prigioniero.
Tanalan si accasciò a terra. «Per favore…»
«Io» disse Dalinar piano «sono un animale.»
«Cosa…»
«Un animale» continuò Dalinar «reagisce quando viene pungolato. Lo frusti e lui diventa selvaggio. Con un animale, puoi scatenare una tempesta. Il problema è che, una volta diventato selvatico, non basta che fischi perché torni da te.»
«Spinanera!» urlò Tanalan. «Per favore! I miei bambini.»
«Ho commesso un errore anni fa» continuò Dalinar. «Non sarò di nuovo così sciocco.»
Eppure… quelle urla.
I soldati di Dalinar afferrarono stretto Tanalan mentre lo Spinanera voltava le spalle all’uomo e tornava alla fossa infuocata. Sadeas era appena arrivato con una compagnia di suoi uomini, ma Dalinar li ignorò, Giuramento ancora posata contro la spalla. Il fumo gli faceva pizzicare il naso e lacrimare gli occhi. Non riusciva a vedere il resto delle sue truppe dall’altra parte della Faglia; l’aria era deformata dal calore e colorata di rosso.
Era come guardare nella Dannazione stessa.
Dalinar esalò un lungo respiro, avvertendo tutt’a un tratto la propria spossatezza ancor più profondamente. «È abbastanza» disse, voltandosi verso Sadeas. «Lasciate che il resto degli abitanti della città fugga dall’imboccatura del canalone in basso. Abbiamo mandato il nostro segnale.»
«Cosa?» domandò Sadeas avvicinandosi. «Dalinar…»
Una fragorosa serie di schianti lo interruppe. Un’intera sezione della città lì vicino crollò tra le fiamme. Il palazzo – assieme ai suoi occupanti – precipitò con essa, una tempesta di scintille e di schegge di legno.
«No!» gridò Tanalan. «NO!»
«Dalinar…» spiegò Sadeas. «Ho approntato un battaglione là sotto, con degli arcieri, come da tuoi ordini.»
«Miei ordini?»
«Hai detto: “Uccidete chiunque esca dalla città e lasciate i loro corpi a marcire”. Ho posizionato gli uomini laggiù: hanno lanciato frecce ai sostegni della città e bruciato le passerelle che conducevano in basso. La città arde da entrambe le direzioni: dal basso e dall’alto. Non possiamo fermare l’incendio ora.»
Il legno si spezzò e altre sezioni della città crollarono. L’Eccitazione ebbe un’impennata e Dalinar la cacciò. «Abbiamo esagerato.»
«Sciocchezze! La nostra lezione non significherà molto se la gente se ne può andare e basta.» Sadeas lanciò un’occhiata verso Tanalan. «L’ultima questione in sospeso è questa. Non vogliamo che si dilegui di nuovo.» Allungò una mano verso la sua spada.
«Lascialo a me» disse Dalinar. Anche se l’idea di altra morte cominciava a nausearlo, si fece forza. Quello era l’uomo che l’aveva tradito.
Dalinar si avvicinò. A suo merito, Tanalan cercò di balzare in piedi e di lottare. Diversi soldati scelti gettarono il traditore di nuovo a terra, anche se il lord capitano Kadash in persona rimase a lato della città, a contemplare la distruzione. Dalinar poteva avvertire quel calore, così terribile. Rispecchiava una sensazione dentro di lui. L’Eccitazione… incredibilmente… non era soddisfatta. Aveva ancora sete. Sembrava… che non potesse essere saziata.
Tanalan crollò a terra farfugliando.
«Non avresti dovuto tradirmi» sussurrò Dalinar, sollevando Giuramento. «Almeno stavolta non ti sei rintanato nel tuo buco. Non so chi hai lasciato a ripararsi lì, ma sappi che sono morti. Me ne sono occupato con quei barili di fuoco.»
Tanalan sbatté le palpebre, poi cominciò a ridere con un’aria agitata e impazzita. «Non lo sapevi? Com’è possibile? Certo, hai ucciso i nostri messaggeri. Povero pazzo. Povero, stupido pazzo.»
Dalinar lo afferrò per il mento, anche se l’uomo era ancora trattenuto dai suoi soldati. «Cosa?»
«Lei è venuta da noi» rispose Tanalan. «A implorare. Come può esserti sfuggita? Non sei informato su dove sono i tuoi familiari? Il covo che hai bruciato… noi non ci nascondiamo più lì. Lo sanno tutti. Ora è una prigione.»
Dalinar si sentì gelare; afferrò Tanalan per la gola e lo tenne stretto, Giuramento che gli scivolava dalle dita. Strangolò quell’uomo, pretendendo per tutto il tempo che ritirasse quello che aveva detto.
Tanalan morì con un sorriso sulle labbra. Dalinar indietreggiò, sentendosi improvvisamente troppo debole per stare in piedi. Dov’era l’Eccitazione a sostenerlo? «Tornate indietro» urlò ai suoi soldati scelti. «Perlustrate quel buco. Andate…» Si interruppe.
Kadash era in ginocchio con aria frastornata, una pozza di vomito sulla roccia davanti a lui. Alcuni soldati scelti corsero per provare a eseguire l’ordine di Dalinar, ma dovettero ritrarsi dalla Faglia: il calore che si levava dalla città in fiamme era insopportabile.
Dalinar ruggì, alzandosi e spingendosi verso le fiamme. Ma il fuoco era troppo intenso. Mentre una volta si era considerato una forza inarrestabile, ora doveva ammettere quanto era piccolo. Insignificante. Inutile.
“Una volta diventato selvatico, non basta che fischi perché torni da te.”
Cadde in ginocchio e rimase lì finché i suoi soldati non lo trascinarono via
– afflosciato – dal calore e lo riportarono al suo accampamento.
Sei ore dopo, Dalinar era in piedi con le mani serrate dietro la schiena – in parte per nascondere quanto stavano tremando – e fissava un corpo su un tavolo, coperto da un lenzuolo bianco.
Dietro di lui nella tenda, alcune delle sue scrivane mormoravano. Un suono affine al sibilo delle spade sul campo di addestramento. La moglie di Teleb, Kalami, guidava la discussione: lei pensava che Evi avesse disertato. Cos’altro poteva spiegare come mai il corpo bruciato della moglie di un altoprincipe era stato ritrovato in un rifugio nemico?
Calzava con la storia. Mostrando una determinazione che non le era propria, Evi aveva drogato la sua guardia di sorveglianza. Era sgattaiolata via nella notte. Le scrivane si domandavano da quanto tempo fosse una traditrice e se avesse contribuito a reclutare il gruppo di esploratori che avevano ingannato Dalinar.
Lui venne avanti, posando le dita sul lenzuolo liscio e troppo bianco. “Sciocca donna.” Le scrivane non conoscevano Evi abbastanza bene. Lei non era stata una traditrice: era andata alla Faglia per implorarli di arrendersi. Aveva visto negli occhi di Dalinar che lui non li avrebbe risparmiati. Perciò, che l’Onnipotente la aiutasse, aveva cercato di fare quello che poteva.
Dalinar aveva a stento la forza di stare in piedi. L’Eccitazione l’aveva abbandonato e ciò lo aveva lasciato spezzato e afflitto.
Tirò indietro l’angolo del lenzuolo. Il lato sinistro del volto di Evi era bruciato, nauseante, ma quello destro era stato posato contro la pietra. Era stranamente illeso.
“È colpa tua” pensò rivolto a lei. “Come hai osato? Stupida donna frustrante.”
Quella morte non era attribuibile a Dalinar, non era una sua responsabilità.
«Dalinar» disse Kalami avvicinandosi. «Dovreste riposare.»
«Lei non ci ha traditi» replicò Dalinar in tono deciso.
«Sono certa che prima o poi sapremo cosa…»
«Lei non ci ha traditi» sbottò di nuovo. «Tieni sotto silenzio la scoperta del suo corpo, Kalami. Di’ alla gente… che mia moglie è stata uccisa da un assassino la notte scorsa. Farò giurare ai pochi soldati scelti che lo sanno di mantenere il segreto. Che tutti pensino che è morta come un’eroina e che la distruzione della città è stata perpetrata come rappresaglia.»
Dalinar assunse un’espressione determinata. Quel giorno, i soldati dell’esercito, così addestrati nel corso degli anni a trattenersi dal depredare e massacrare civili, avevano dato alle fiamme una città devastandola. Avrebbe alleviato le loro coscienze pensare che prima la moglie del loro altoprincipe era stata assassinata.
Kalami gli sorrise, un sorriso d’intesa, seppur vanitoso. La sua menzogna avrebbe avuto un secondo scopo. Fintantoché Kalami e le caposcrivane avessero pensato di conoscere un segreto, sarebbe stato meno probabile che andassero a scavare in cerca della vera risposta.
“Non è colpa mia.”
«Riposate, Dalinar» suggerì Kalami. «Ora state soffrendo, ma come l’altempesta deve passare, così tutti i dolori mortali svaniranno.»
Dalinar lasciò il cadavere alle cure altrui. Mentre si allontanava, udì stranamente le urla delle persone nella Faglia. Si fermò, domandandosi cosa fosse. Nessun altro pareva averlo notato.
Sì, quelle erano urla distanti. Nella sua testa, forse? Sembravano tutti bambini alle sue orecchie. Quelli che aveva abbandonato alle fiamme. Un coro di innocenti che implorava aiuto, pietà.
La voce di Evi si unì alle loro.