Lo scopo grandioso di Odio per Venli consisteva nel trasformarla in un pezzo da esposizione.
«Allora gli umani mossero guerra contro di noi per sterminarci» raccontava Venli alla folla radunata. «Mia sorella cercò di negoziare, di spiegare che non avevamo alcuna colpa per l’assassinio del loro re. Non vollero ascoltarci. Ci vedevano solo come schiavi che dovevano essere dominati.»
Il carro su cui si trovava non era un podio particolarmente stimolante, ma era meglio della pila di casse che aveva usato nell’ultima cittadina. Almeno la sua nuova forma – la forma verbosa – era la più alta che avesse mai indossato. Era una forma di potere e portava in dote strane capacità, prima tra tutte quella di parlare e capire tutte le lingue.
Ciò la rendeva perfetta per istruire le folle di parshi alethi. «Hanno lottato per anni per sterminarci» disse in Comando. «Non potevano tollerare schiavi in grado di pensare, di resistere. Ci costringevano a lavorare fino allo stremo, perché non incitassimo una rivoluzione!»
La gente raccolta attorno al carro esibiva spesse linee marmorizzate di rosso e di bianco o nero. Lo stesso bianco e rosso di Venli era molto più delicato, con volute intricate.
Continuò, parlando in tono trionfante al Ritmo del Comando, narrando a quelle persone – come in precedenza a molte altre – la propria storia. Almeno la versione che Odio le aveva ordinato di raccontare.
Disse loro che aveva scoperto personalmente nuovi spren da vincolare, creando una forma che avrebbe evocato la Tempesta Infinita. La storia tralasciava di precisare che Ulim aveva svolto buona parte del lavoro, affidando poi a lei i segreti della forma tempestosa. Odio ovviamente voleva dipingere gli ascoltatori come un gruppo di eroi, e Venli come il loro coraggioso capo. Essi sarebbero stati il mito fondante del suo impero in espansione: gli ultimi della vecchia generazione, che avevano combattuto con audacia contro gli Alethi, poi si erano sacrificati per liberare i loro fratelli e sorelle schiavizzati.
La storia di Venli ripeteva ossessivamente che il suo popolo adesso era estinto, restava solo lei.
Gli ex schiavi ascoltavano, rapiti dal racconto. Lei lo narrava bene: era prevedibile, visto quante volte lo aveva ripetuto nelle ultime settimane. Terminava con un incitamento, come da istruzioni specifiche.
«Il mio popolo è trapassato, unendosi ai canti eterni di Roshar» concluse. «Quest’epoca ora appartiene a voi. Ci eravamo chiamati “ascoltatori” per via dei canti che udivamo. Questi sono il vostro retaggio, ma voi non dovete semplicemente ascoltare, bensì cantare. Adottare i ritmi dei vostri antenati e costruire qui una nazione! Dovete lavorare. E non per gli schiavisti che una volta possedevano le vostre menti, ma per il futuro, per i vostri figli! E per noi. Per coloro che sono morti affinché voi poteste esistere.»
Quelli esultarono al Ritmo dell’Entusiasmo. Era bello da sentire, anche se era un ritmo inferiore. Venli udiva qualcosa di meglio ora: nuovi, potenti ritmi che accompagnavano le forme di potere.
Eppure… sentire quei vecchi ritmi risvegliò qualcosa in lei. Un ricordo. Mise la mano sul borsello alla cintura.
“Come si comportano da Alethi queste persone” pensò. Lei aveva trovato gli umani… austeri. Arrabbiati. Se ne andavano sempre in giro mostrando apertamente le loro emozioni, prigionieri di ciò che provavano. Questi ex schiavi erano simili. Perfino le loro battute erano alethi, spesso caustiche verso quelli che erano loro più vicini.
Alla conclusione del suo discorso, un Nichilispren sconosciuto accompagnò le persone di nuovo al lavoro. Venli aveva appreso che la gerarchia del popolo di Odio prevedeva tre livelli. C’erano i cantori comuni, che indossavano le forme ordinarie usate dal popolo di Venli. Poi c’erano quelli chiamati Regali, come lei, che si distinguevano per le forme di potere, create dal vincolo con uno tra diverse varietà di Nichilispren. E in cima c’erano i Coalescenti, anche se lei aveva problemi a collocare spren come Ulim e gli altri. Era evidente che erano superiori ai cantori comuni, ma rispetto ai Regali?
Non vide umani in quella cittadina: erano stati radunati o cacciati via. Aveva sentito per caso alcuni Coalescenti dire che gli eserciti umani combattevano ancora nell’Alethkar occidentale, ma quella parte a est era completamente controllata dai cantori: notevole, considerando come gli umani fossero in netta superiorità numerica rispetto a questi ultimi. Il crollo degli Alethi era dovuto in parte alla Tempesta Infinita, in parte all’arrivo dei Coalescenti, e in parte ancora al fatto che gli Alethi stessi avevano continuamente reclutato gli uomini qualificati per le loro guerre.
Venli si accomodò sul retro del carro e un cantore femminiale le portò una tazza d’acqua, che lei accettò con gratitudine. Proclamarsi la salvatrice di un intero popolo metteva sete.
La femminiale si soffermò. Indossava un abito alethi, con la mano sinistra coperta. «La tua storia è proprio vera?»
«Ma certo» rispose Venli in Arroganza. «Ne dubiti?»
«No, assolutamente no! È solo che… è difficile da immaginare. Parshi che combattono.»
«Chiamatevi cantori, non parshi.»
«Sì. Ehm, sicuro.» La femminiale si portò la mano alla faccia, come imbarazzata.
«Parla con i ritmi per esprimere scuse» disse Venli. «Usa Apprezzamento per ringraziare qualcuno per una correzione, oppure Ansia per evidenziare la tua frustrazione. Consolazione se sei davvero contrita.»
«Sì, luminosità.»
“Oh, Eshonai. Ne hanno di strada da fare.”
La donna si allontanò rapidamente. Quel vestito sbilenco appariva ridicolo. Non c’era motivo di distinguersi tra i generi tranne nella forma libidinosa. Canticchiando in Dileggio, Venli balzò giù, poi attraversò la cittadina a testa alta. I cantori indossavano perlopiù forma operosa o forma flessuosa, anche se alcuni – come la femminiale che le aveva portato l’acqua – portavano la forma studiosa, con lunghe ciocche di capelli e fattezze spigolose.
Canticchiò in Furia. Il suo popolo aveva passato generazioni sforzandosi di scoprire nuove forme, e a quelle persone venivano date una dozzina di possibilità diverse? Come potevano apprezzare quel dono senza conoscere la fatica? Mostrarono deferenza a Venli, inchinandosi come umani, quando si avvicinò alla villa della cittadina. Doveva ammettere che in quello c’era qualcosa di molto appagante.
«Per cosa sei così tronfia?» domandò Rine in Distruzione quando Venli entrò. L’alto Coalescente attendeva presso la finestra, fluttuando come sempre a pochi piedi da terra, il mantello che pendeva e toccava il pavimento.
Il senso di autorità di Venli scomparve. «Non posso fare a meno di sentirmi come se fossi in mezzo a dei neonati qui.»
«Se loro sono bambini, tu sei una marmocchia.»
Una seconda Coalescente sedeva sul pavimento in mezzo alle sedie. Non parlava mai. Venli non conosceva il nome della femminiale e trovava il suo ghigno perenne e gli occhi spalancati… inquietanti.
Venli si unì a Rine presso la finestra, e guardò i cantori che popolavano il villaggio là fuori. Lavoravano la terra. Coltivavano. Le loro vite potevano non essere cambiate molto, ma riavevano le loro canzoni. Quello significava tutto.
«Dovremmo portar loro degli schiavi umani, Antico» propose Venli in Servilismo. «Temo che ci sia troppa terra qui. Se volete davvero che questi villaggi riforniscano le nostre armate, occorreranno più lavoratori.»
Rine le lanciò un’occhiata. Venli aveva scoperto che, se gli parlava in modo rispettoso – e usava l’antica lingua –, era meno probabile che le sue parole venissero ignorate.
«C’è chi tra noi è d’accordo con te, bambina» replicò Rine.
«Tu no?»
«No. Saremo costretti a sorvegliare gli umani costantemente. In ogni momento, chiunque di loro potrebbe manifestare i poteri del nemico. L’abbiamo ucciso, eppure lui continua a combattere attraverso i suoi Vincolaflussi.»
Vincolaflussi. Scioccamente, le vecchie canzoni ne parlavano in termini lusinghieri. «Come possono vincolare gli spren, Antico?» chiese lei in Servilismo. «Gli umani non… sapete…»
«Così timida» commentò lui in Dileggio. «Perché menzionare le cuorgemme è così difficile?»
«Sono sacre e personali.» Le cuorgemme degli ascoltatori non erano vistose o appariscenti, come quelle dei grangusci. Ricoperte di bianco, quasi il colore delle ossa, erano cose bellissime e intime.
«Sono una parte di te» ribatté Rine. «Il tabù dei corpi morti, il rifiuto di parlare delle cuorgemme: sei inadeguata quanto quelle là fuori, che se ne vanno in giro con una mano coperta.»
Cosa? Quello era ingiusto. Intonò Furia.
«Ci ha lasciato… sconcertati la prima volta che è successo» disse infine Rine. «Gli umani non hanno cuorgemme. Come potevano vincolare gli spren? Era innaturale. Eppure, in qualche modo, il loro legame era più potente del nostro. Ho sempre sostenuto questo e ci credo ancora più fermamente ora: dobbiamo sterminarli. Il nostro popolo non sarà mai al sicuro su questo mondo fintantoché esisteranno gli umani.»
Venli sentì la propria bocca seccarsi. In lontananza udì un ritmo. Il Ritmo dei Perduti? Un ritmo inferiore. Scomparve in un attimo.
Rine canticchiò in Arroganza, poi si voltò e sbraitò un comando alla Coalescente pazza. Lei si affrettò ad alzarsi e lo seguì quando fluttuò fuori dalla porta. Probabilmente andava a consultarsi con gli spren della cittadina. Avrebbe dato ordini e avvertimenti, cosa che era solito fare appena prima che lasciassero una cittadina per un’altra. Nonostante avesse disfatto i bagagli, basandosi sul presupposto che sarebbe rimasta lì per la notte, ora Venli sospettava che presto si sarebbero spostati.
Si diresse nella sua stanza al secondo piano della villa. Come al solito, il lusso di quegli edifici la meravigliava. Letti morbidi in cui si aveva l’impressione di affondare. Intagli raffinati. Vasi di vetro soffiato e candelieri di cristallo alle pareti per reggere le sfere. Venli aveva sempre odiato gli Alethi: si erano comportati come se fossero genitori benevoli che si erano ritrovati con bambini pestiferi da dover educare. Avevano apertamente ignorato la cultura e i progressi del suo popolo, avendo occhi solo per i territori di caccia dei grangusci che loro – a causa di errori di traduzione – avevano deciso dovessero essere gli dèi degli ascoltatori.
Venli tastò le bellissime volute del vetro di un candeliere alla parete. Come avevano fatto a colorarlo di bianco solo in parte, ma non completamente? Ovunque incontrava creazioni del genere, doveva imporsi di ricordare a se stessa che la superiorità tecnologica degli Alethi non li rendeva culturalmente superiori. Avevano semplicemente accesso a più risorse. Ora che i cantori conoscevano la forma fantasiosa, anche loro sarebbero stati in grado di realizzare opere come quella.
Tuttavia… era così appagante. Potevano davvero sterminare le persone che avevano creato volute tanto stupende e delicate nel vetro? Le decorazioni le ricordavano il suo stesso motivo marmorizzato.
Il borsello alla sua cintura cominciò a vibrare. Indossava una gonna di cuoio da ascoltatore sotto una camicia attillata, su cui vestiva una casacca più ampia. Parte del ruolo di Venli consisteva nel mostrare ai cantori che qualcuno come loro – non una qualche creatura lontana e temibile venuta dal passato – aveva portato le tempeste e li aveva liberati.
I suoi occhi si attardarono sul candelabro e lasciò cadere il borsello sulla scrivania di ceppogrosso nella stanza. Delle sfere rotolarono fuori, assieme a un numero maggiore di gemme grezze, la valuta usata dal suo popolo.
Il piccolo spren si sollevò dal suo nascondiglio tra la luce. Sembrava una cometa quando si muoveva; immobile invece – come in quel momento – brillava solo come una scintilla.
«Sei uno di loro?» chiese lei piano. «Gli spren che si muovono nel cielo certe notti?»
Quello pulsò, emanando un anello di luce che si dissipò come fumo lucente. Poi iniziò a sfrecciare per la stanza, osservando le cose.
«La stanza non è molto diversa dall’ultima che hai guardato» lo avvertì lei in Divertimento.
Lo spren volò verso il candelabro alla parete, dove emise una pulsazione di meraviglia, poi si spostò verso quello identico al lato opposto della porta.
Venli andò a raccogliere i vestiti e gli appunti dai cassetti nel comò. «Non so perché stai con me. Quella borsa non può essere molto comoda.»
Lo spren le sfrecciò accanto, guardando dentro il cassetto che lei aveva aperto.
«È un cassetto» spiegò lei.
Lo spren spuntò fuori, poi pulsò in una rapida successione intermittente.
“Quella è Curiosità” pensò lei, riconoscendo il ritmo. Lo canticchiò tra sé mentre riponeva le proprie cose, poi esitò. Curiosità era un vecchio ritmo. Come… Divertimento, che aveva intonato pochi istanti prima. Poteva udire di nuovo i ritmi normali.
Guardò il piccolo spren. «Questo è opera tua?» domandò in Irritazione.
Quello si rimpicciolì, ma pulsò in Determinazione.
«Cosa stai sperando di ottenere? La vostra specie ci ha traditi. Vai a trovare un umano da infastidire.»
Quello rimpicciolì ancora di più. Poi pulsò di nuovo in Determinazione.
Che seccatura. Da basso, la porta si aprì con uno schianto. Rine era già tornato.
«Nel borsello» sibilò in Comando. «Presto.»