Vi chiedo solo di leggere o ascoltare queste parole.
Da Giuramento, prefazione
Shallan esalò Folgoluce e vi passò attraverso, sentendo che essa la avviluppava e la trasformava.
Era stata trasferita su sua richiesta alla zona di Urithiru assegnata a Sebarial, in parte perché lui le aveva promesso una stanza con un balcone. Aria fresca e una vista sui picchi montani. Se non poteva essere completamente libera dalle buie profondità di quell’edificio, almeno aveva una dimora ai suoi confini.
Si tirò i capelli, compiaciuta nel vedere che ora erano neri. Era diventata Veil, un travestimento su cui aveva lavorato per qualche tempo.
Shallan sollevò mani callose e affaticate, perfino la manosalva. Non che Veil non fosse femminile. Teneva le unghie limate e le piaceva vestirsi in modo elegante e spazzolarsi i capelli. Semplicemente non aveva tempo per le frivolezze. Una buona giacca resistente e dei pantaloni erano più adatti a Veil di un havah fluente. E non aveva affatto tempo per una manica allungata che le coprisse la manosalva. Meglio indossare un guanto, e tante grazie.
Al momento era vestita con la sua camicia da notte; si sarebbe cambiata più tardi, una volta pronta a sgattaiolare fuori per i corridoi di Urithiru. Prima aveva bisogno di un po’ di esercizio. Anche se si sentiva in colpa nell’usare la Folgoluce mentre tutti gli altri erano costretti a risparmiarla, Dalinar le aveva detto di addestrarsi con i suoi poteri.
Camminò per la sua stanza, adottando l’andatura di Veil: fiduciosa e ben piantata, mai cerimoniosa. Veil non era capace di tenere un libro in equilibrio sulla testa quando camminava, ma sarebbe stata felice di farlo star dritto sulla faccia di qualcuno dopo averlo steso a terra.
Fece il giro della camera diverse volte, attraversando la chiazza di luce serale proiettata dalla finestra. La sua stanza era decorata con brillanti motivi circolari di stratificazioni alle pareti. La pietra era liscia al tocco e un coltello non avrebbe potuto graffiarla.
Non c’erano molti mobili, anche se Shallan sperava che la recente spedizione di recupero dai campi militari avrebbe riportato qualcosa di cui si sarebbe potuta appropriare da Sebarial. Per ora si adattava come meglio poteva con qualche coperta, un unico sgabello e – per fortuna – uno specchietto. L’aveva sistemato alla parete, legandolo a un pomello di pietra che presumeva servisse per appendere dei quadri.
Controllò il proprio volto allo specchio. Voleva arrivare al punto di riuscire a diventare Veil in un attimo, senza la necessità di rivedere i disegni. Tastò le proprie fattezze, ma naturalmente, dato che il naso angoloso e la fronte pronunciata erano un risultato del Tessiluce, non riusciva a toccarli.
Quando si accigliò, il viso di Veil imitò il movimento alla perfezione. «Qualcosa da bere, per favore» disse. No, più roco. «Bere. Ora.» Troppo forte?
«Hmmm» disse Schema. «La voce diventa una buona menzogna.»
«Grazie. Ho lavorato sui suoni.» La voce di Veil era più profonda di quella di Shallan, più aspra. Aveva cominciato a domandarsi fino a che punto poteva arrivare nel modificare i suoni.
Per ora, non era sicura di aver sincronizzato correttamente le labbra dell’illusione. Si diresse a passo rilassato verso la sua attrezzatura da disegno e aprì il quaderno di bozzetti, cercando delle interpretazioni di Veil che aveva disegnato invece di andare a cena con Sebarial e Palona.
La prima pagina del quaderno riproduceva il corridoio con le stratificazioni intrecciate davanti a cui era passata l’altro giorno: linee di follia che si attorcigliavano verso l’oscurità. Passò a quella successiva: un’immagine di uno dei mercati sempre più vasti della torre. Migliaia di mercanti, lavandaie, prostitute, locandieri e artigiani di ogni genere si stavano stabilendo a Urithiru. Shallan sapeva bene quanti: era stata lei a portarli tutti attraverso la Giuriporta.
Nel suo disegno, i recessi superiori bui della vasta caverna del mercato incombevano su minuscole figure che si agitavano tra una tenda e l’altra, reggendo fragili luci. Il disegno successivo mostrava un altro cunicolo nell’oscurità. E così quello dopo. Ecco poi una stanza dove le stratificazioni si avvolgevano l’una attorno all’altra in un motivo ipnotico. Non si era resa conto di averne fatti così tanti. Sfogliò venti pagine prima di trovare i suoi bozzetti di Veil.
Sì, le labbra erano giuste. La corporatura era sbagliata, però. Veil era dotata di una forza asciutta e quello non traspariva dalla camicia da notte. La figura al di sotto assomigliava troppo a Shallan.
Qualcuno bussò sul piatto di legno appeso fuori dalle sue stanze. Al momento lei aveva solo un telo drappeggiato sulla soglia. Molte delle porte della torre si erano deformate nel corso degli anni; la sua era stata tolta e lei stava ancora aspettando un rimpiazzo.
A bussare doveva essere stata Palona, che aveva notato ancora una volta che Shallan aveva saltato la cena. Shallan prese un respiro profondo, distruggendo l’immagine di Veil e recuperando parte della Folgoluce dal suo Tessiluce. «Avanti» disse. Sinceramente, a Palona non sembrava importare che Shallan fosse una folgorata Radiosa ora; continuava a proteggerla tutte le…
Entrò Adolin, portando un grosso vassoio colmo di cibo in una mano e alcuni libri sotto l’altro braccio. La vide e incespicò, tanto che per poco non fece cadere tutto quanto.
Shallan rimase immobile, poi lanciò un urletto e si infilò la manosalva scoperta dietro la schiena. Adolin non ebbe nemmeno la decenza di arrossire nel trovarla praticamente nuda. Tenne in equilibrio il vassoio sulla mano, riprendendosi dopo il suo inciampo, e poi sorrise.
«Fuori!» esclamò Shallan, agitando la manofranca nella sua direzione. «Fuori, fuori, fuori!»
Lui indietreggiò goffamente, attraverso il tessuto appeso sulla soglia. Folgopadre! Il rossore di Shallan probabilmente era così brillante che avrebbero potuto usarla come segnale da mandare all’esercito in guerra. Si infilò un guanto, poi lo avvolse in una tascasalva, indossò l’abito blu che aveva drappeggiato sullo schienale della sedia e richiuse la manica. Non ebbe la presenza di spirito di mettersi prima il corpetto, non che ne avesse davvero bisogno. Invece lo fece finire con un calcio sotto una coperta.
«A mia discolpa,» disse Adolin da fuori «sei stata tu a invitarmi a entrare.»
«Pensavo fossi Palona!» ribatté Shallan, allacciandosi i bottoni sul lato del vestito, cosa che si rivelò difficile con tre strati a coprirle la manosalva.
«Sai, potresti controllare per vedere chi c’è alla tua porta.»
«Non farlo sembrare colpa mia» disse Shallan. «Sei tu quello che si intrufola nelle stanze da letto delle giovani signore praticamente senza preavviso.»
«Ho bussato!»
«Era una bussata femminile.»
«Era… Shallan!»
«Hai bussato con una mano o due?»
«Sto portando un folgorato vassoio di cibo… per te, a proposito. Certo che ho bussato con una mano. E, sul serio, chi è che bussa con due?»
«Era alquanto femminile, allora. Credevo che imitare una donna per poter sbirciare una giovane dama in indumenti intimi non fosse da te, Adolin Kholin.»
«Oh, per la Dannazione, Shallan. Posso entrare adesso? E tanto per essere chiari, sono un uomo e il tuo fidanzato, il mio nome è Adolin Kholin, sono nato sotto il segno dei nove, ho una voglia sulla parte posteriore della coscia sinistra e ho mangiato granchio speziato per colazione. C’è altro che ti occorre sapere?»
Lei fece capolino fuori, tenendo la tenda tesa attorno al collo. «La parte posteriore della coscia sinistra, eh? E cosa deve fare una ragazza per sbirciare quella?»
«Bussare come un uomo, a quanto pare.»
Shallan gli rivolse un sorriso. «Solo un attimo. Questo abito è una seccatura.» Si rinfilò nella stanza.
«Sì, sì. Fai pure con comodo. Io non sono qui con in mano un pesante vassoio di cibo, ad annusarlo dopo aver saltato la cena solo per poter mangiare assieme a te.»
«Ti fa bene» disse Shallan. «Ti rafforza, o qualcosa del genere. Non è il tipo di cose che fai? Strangolare rocce, restare in equilibrio sulla testa, lanciare macigni.»
«Sì, ho proprio un bel po’ di rocce uccise ficcate sotto il mio letto.»
Shallan afferrò e tenne stretto il vestito con i denti all’altezza del collo, per aiutarsi con i bottoni. Forse.
«Che problemi avete voi donne con gli indumenti intimi comunque?» insinuò Adolin. Il vassoio tintinnò quando alcuni dei piatti scivolarono l’uno contro l’altro. «Voglio dire, quella camicia da notte copre praticamente le stesse parti di un abito formale.»
«Riguarda il decoro» disse Shallan che aveva ancora in bocca la stoffa. «Inoltre, certe cose hanno la tendenza a spuntare attraverso una camicia da notte.»
«Mi sembra comunque arbitrario.»
«Ah, e gli uomini non sono arbitrari sul vestiario? Una divisa è praticamente uguale a qualunque altra giacca, giusto? Inoltre, non sei tu quello che passa le giornate a sfogliare cataloghi di moda?»
Adolin ridacchiò e fece per replicare, ma Shallan, finalmente vestita, tirò indietro la tenda sulla soglia. Adolin si staccò dal muro del corridoio a cui si era appoggiato e la contemplò: capelli scarmigliati, abito a cui non aveva allacciato due bottoni, guance arrossate. Poi le rivolse un sorriso inebetito.
Occhi di Ash… Adolin pensava davvero che lei fosse bella. A quell’uomo stupendo e principesco piaceva davvero stare con lei. Shallan aveva viaggiato fino all’antica città dei Cavalieri Radiosi, ma a paragone dell’affetto di Adolin tutti i panorami di Urithiru erano come sfere spente.
Lei gli piaceva. E lui le aveva portato del cibo.
“Non trovare un modo per rovinare tutto questo” si disse Shallan prendendo i libri che lui aveva sottobraccio. Si fece da parte, permettendogli di entrare e di posare il vassoio per terra. «Palona ha detto che non avevi mangiato» fece lui «e poi ha scoperto che avevo saltato la cena. Perciò… ehm…»
«Perciò ti ha mandato con un sacco di cibo» disse Shallan, esaminando il vassoio carico di pietanze diverse, panpiatto e crostacei vari.
«Già» confermò Adolin, rialzandosi e grattandosi la testa. «Credo sia un’usanza herdaziana.»
Shallan non si era accorta di quanto fosse affamata. Aveva avuto intenzione di prendere qualcosa a una delle taverne più tardi, mentre se ne fosse andata in giro indossando il volto di Veil. Quelle taverne si erano insediate nel mercato principale, malgrado i tentativi di Navani di mandarle altrove, e i mercanti di Sebarial avevano molta merce da vendere.
Ora che aveva tutto ciò davanti a lei… be’, non si preoccupò molto del decoro, si accomodò per terra e iniziò a servirsi con un curry leggero e acquoso accompagnato da verdure.
Adolin rimase in piedi. Appariva proprio elegante in quell’uniforme blu, anche se Shallan doveva ammettere di non averlo mai visto davvero indossare qualcos’altro. “Voglia sulla coscia, eh…”
«Dovrai sederti per terra» lo invitò Shallan. «Non ci sono ancora le sedie.»
«Mi sono appena reso conto» disse lui «che questa è la tua stanza da letto.»
«E la mia stanza da disegno, e la mia stanza da ricevimento, e la mia stanza da pranzo, e la mia stanza dove “Adolin dice cose ovvie”. È piuttosto versatile questa mia stanza… una, singolare. Perché?»
«Mi domando solo se sia decoroso» disse Adolin, poi arrossì davvero… una cosa adorabile. «Decoroso che noi siamo qui da soli.»
«Adesso ti preoccupi per il decoro?»
«Be’, di recente ho ricevuto una ramanzina in proposito.»
«Quella non era una ramanzina» precisò Shallan, prendendo un boccone. Quei sapori succulenti le colmarono la bocca, portando con sé quel delizioso dolore acuto e miscuglio di sapori che si ottiene solo al primo morso di qualcosa di dolce. Chiuse gli occhi e sorrise, gustandolo.
«Dunque… non era una ramanzina?» domandò Adolin. «Non devi aggiungere altro a quella battuta?»
«Spiacente» disse lei aprendo gli occhi. «Non era una ramanzina: era un’applicazione creativa della mia lingua per tenerti distratto.» Guardando le sue labbra, Shallan riusciva a pensare ad altre applicazioni per la sua lingua.
Giusto. Prese un respiro profondo.
«Non sarebbe decoroso» osservò Shallan «se fossimo soli. Per fortuna non lo siamo.»
«La tua autostima non conta come un individuo separato, Shallan.»
«Ehi! Aspetta. Credi che io abbia un’autostima?»
«È solo che suonava bene… non intendevo… non che… Perché stai sorridendo?»
«Scusa» disse Shallan, chiudendo i pugni davanti a sé e rabbrividendo di gioia. Aveva passato così tanto tempo a sentirsi timida che era davvero appagante sentire qualcuno far riferimento alla sua autostima. Stava funzionando.
Be’, tranne per tutta quella parte sul dover ammettere con se stessa di aver ucciso sua madre. Non appena ci pensava, provava d’istinto a scacciare quel ricordo, ma quello non ne voleva sapere. Lo aveva dichiarato a Schema come una verità: quelli erano i bizzarri Ideali dei Tessiluce.
Il ricordo era bloccato nella sua mente e, ogni volta che ci pensava, quella ferita aperta si infiammava nuovamente di dolore. Shallan aveva ucciso sua madre. Suo padre l’aveva coperta, fingendo di essere stato lui ad ammazzare la moglie, e quell’avvenimento gli aveva rovinato la vita, portandolo alla rabbia e alla distruzione.
Finché alla fine Shallan non aveva ucciso anche lui.
«Shallan?» chiese Adolin. «Stai bene?»
“No.”
«Certo. Bene. Comunque, non siamo da soli. Schema, vieni qui, per favore.» Protese la mano, il palmo verso l’alto.
Schema si mosse con riluttanza dalla parete dove era stato a osservare. Come sempre, creò un’increspatura in ogni cosa che attraversava, che fosse stoffa o pietra, come se qualcosa vivesse sotto la superficie. Il suo motivo complesso e fluttuante di linee era in costante mutamento e fusione, vagamente circolare ma con tangenti inaspettate.
Attraversò il vestito e le salì sulla mano, poi si staccò da sotto la pelle e si sollevò in aria, espandendosi completamente in tre dimensioni. Rimase fermo lì, come una griglia nera che distorceva lo sguardo con le sue linee mutevoli, che si increspavano sulla sua superficie come un campo d’erba in movimento.
Lei non voleva odiarlo. Poteva odiare la spada che aveva usato per uccidere sua madre, ma non lui. Riuscì ad accantonare il dolore per il momento… senza dimenticarlo, ma magari senza nemmeno permettere che guastasse il suo tempo con Adolin.
«Principe Adolin,» disse Shallan «credo che tu abbia udito la voce del mio spren prima d’ora. Lascia che vi presenti formalmente. Questo è Schema.»
Adolin si inginocchiò con rispetto e fissò quelle geometrie ipnotiche. Shallan non lo biasimava: più di una volta lei stessa si era persa in quella rete di linee e forme che sembravano quasi ripetersi ma non lo facevano mai del tutto.
«Il tuo spren» disse Adolin. «Uno Shallanspren.»
Schema emise un rumore sprezzante a quell’affermazione.
«È definito un Criptico» disse lei. «Ogni ordine di Radiosi si vincola a una diversa varietà di spren, e questo legame mi permette di fare quello che faccio.»
«Creare illusioni» disse Adolin piano. «Come quella della mappa l’altro giorno.»
Shallan sorrise e, accorgendosi di avere ancora un briciolo di Folgoluce rimasta dalla sua illusione precedente, non riuscì a evitare di mettersi in mostra. Sollevò la manosalva nella manica ed espirò, mandando una chiazza scintillante di Folgoluce sopra il tessuto blu. Quella si trasformò in una piccola immagine di Adolin come nei disegni che aveva fatto di lui con indosso la Stratopiastra. L’immagine rimase immobile, la Stratolama sulla spalla e la celata alzata, come una bambolina.
«Questo è un talento incredibile, Shallan» disse Adolin, pungolando la piccola versione di sé che si distorse senza offrire alcuna resistenza. Si fermò, poi provò a punzecchiare Schema, che si ritrasse. «Perché ti ostini a nasconderti, fingendo di appartenere a un ordine diverso dal tuo?»
«Be’» disse lei, pensando rapidamente mentre chiudeva la mano e cancellava così l’immagine di Adolin. «Ritengo solo che possa darci un vantaggio. A volte i segreti sono importanti.»
Adolin annuì lentamente. «Sì. Sì, lo sono.»
«Comunque» disse Shallan «Schema, tu sarai il nostro chaperon per stasera.»
«Cos’è» chiese Schema canticchiando «uno chaperon?»
«È qualcuno che sorveglia due giovani quando sono assieme, per assicurarsi che non facciano nulla di inappropriato.»
«Inappropriato?» disse Schema. «Come ad esempio… dividere per zero?»
«Cosa?» domandò Shallan, guardando verso Adolin che scrollò le spalle. «Ascolta, tienici d’occhio e basta. Andrà tutto bene.»
Schema canticchiò, fondendosi di nuovo nella sua forma bidimensionale e trasferendosi sul lato di una ciotola. Lì sembrava contento, come un cremling raggomitolato nella sua crepa.
Incapace di aspettare ancora, Shallan si tuffò nel suo pasto. Adolin si sistemò di fronte a lei e aggredì il proprio cibo. Per un po’, Shallan ignorò il proprio dolore e assaporò il momento: buone cose da mangiare, buona compagnia, il sole al tramonto che proiettava una luce color rubino e topazio sulle montagne e all’interno della stanza. Era tentata di disegnare quella scena, ma sapeva che era il tipo di momento che non poteva catturare su una pagina. Non si trattava di contenuto o composizione, ma del piacere di vivere.
Il trucco per la felicità non era nel congelare ogni piacere momentaneo e aggrapparsi a ciascuno di essi, ma nell’assicurarsi che la propria vita generasse molti momenti futuri da pregustare.
Adolin – dopo aver terminato un intero piatto di biscorze stranna cucinate al vapore nel guscio – prese alcuni pezzi di maiale da un curry rosso e cremoso, poi li mise su un piatto e li allungò nella sua direzione. «Vuoi provare un boccone?»
Shallan fece un rumore strozzato.
«Andiamo» la invitò lui agitando il piatto. «È delizioso.»
«Mi brucerà le labbra, Adolin Kholin» disse Shallan. «Non pensare che non ti abbia notato scegliere l’intruglio più piccante in assoluto inviato da Palona. Il cibo degli uomini è spaventoso. Come fate a sentire un qualche sapore sotto tutte quelle spezie?»
«Così non è insipido» osservò Adolin, infilzando uno dei pezzi e mettendoselo in bocca. «Qui ci siamo solo noi. Puoi provarlo.»
Lei lo fissò, ricordando le occasioni in cui, da bambina, aveva preso di nascosto degli assaggi di cibo da uomini, anche se non quel piatto in particolare.
Schema ronzò. «È questa la cosa inappropriata che dovrei impedirvi di fare?»
«No» disse Shallan, e Schema tornò a sistemarsi dov’era. “Forse” pensò lei “uno chaperon che crede praticamente a qualunque cosa io gli dica non sarà il più efficace.”
Tuttavia, con un sospiro, prese un pezzo di maiale in un po’ di panpiatto.
Dopotutto, aveva lasciato Jah Keved a caccia di nuove esperienze.
Provò un boccone ed ebbe immediatamente motivo per pentirsi della decisione presa.
Con gli occhi colmi di lacrime, si precipitò ad afferrare la coppa d’acqua che Adolin, con fare insopportabile, aveva già sollevato per porgergliela. La tracannò, anche se non sembrò ottenere alcun effetto. A seguire si pulì la lingua con un tovagliolo… nella maniera più femminile possibile, naturalmente.
«Ti odio» disse, bevendo poi l’acqua dal bicchiere di lui.
Adolin ridacchiò.
«Oh!» esclamò all’improvviso Schema, sbucando fuori dalla ciotola per librarsi a mezz’aria. «Stavate parlando di accoppiamento! Devo assicurarmi che non vi accoppiate accidentalmente, poiché l’accoppiamento è proibito dalla società umana finché non abbiate eseguito i rituali appropriati! Sì, sì. Hmmm. I precetti delle tradizioni richiedono di seguire certi schemi prima di copulare. Questo l’ho studiato!»
«Oh, Folgopadre» disse Shallan, coprendosi gli occhi con la manosalva. Alcuni vergognaspren fecero capolino per dare un’occhiata prima di scomparire. Due volte in una settimana.
«Molto bene, voi due» disse Schema. «Niente accoppiamenti. NIENTE ACCOPPIAMENTI.» Canticchiò tra sé, come compiaciuto, poi affondò in un piatto.
«Bene, questo sì che è stato umiliante» disse Shallan. «Forse possiamo parlare dei libri che hai portato? O di antica teologia vorin, o di strategie per contare i granelli di sabbia? Qualunque cosa tranne quello che è appena accaduto, per favore?»
Adolin sogghignò, poi allungò la mano verso un sottile quaderno in cima alla pila. «May Aladar ha inviato delle squadre a interrogare la famiglia e gli amici di Vedekar Perel. Hanno scoperto dov’era prima di morire, chi è stato l’ultimo a vederlo, e hanno annotato qualunque cosa sospetta. Ho pensato che potevamo leggere il rapporto.»
«E il resto dei libri?»
«Sembravi smarrita quando mio padre ti ha chiesto della politica makabaki» disse Adolin, versando il vino, appena un giallo tenue. «Così ho chiesto in giro e pare che alcuni ferventi abbiano trascinato qui le loro intere biblioteche. Sono riuscito a far rintracciare a un servitore alcuni libri sui Makabaki che mi erano piaciuti.»
«Libri?» disse Shallan. «Tu?»
«Non passo tutto il mio tempo a colpire la gente con la spada, Shallan» si difese Adolin. «Jasnah e zia Navani si sono assicurate che la mia giovinezza fosse colma di periodi interminabili passati ad ascoltare ferventi che mi istruivano su politica e commercio. Qualcosa mi si è fissato nel cervello, contro le mie naturali inclinazioni. Quei tre libri sono i migliori che ricordi mi siano stati letti, anche se l’ultimo è una versione aggiornata. Pensavo che potesse essere d’aiuto.»
«Che pensiero gentile» disse lei. «Davvero, Adolin. Grazie.»
«Sai, immaginavo che se abbiamo intenzione di andare avanti con il fidan-zamento…»
«Perché non dovremmo?» chiese Shallan, improvvisamente in preda al panico.
«Non lo so. Tu sei una Radiosa, Shallan. Una specie di essere semidivino uscito dalla mitologia. E finora pensavo che fossimo noi a fornire a te un buon partito.» Adolin si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro. «Dannazione! Non intendevo dirlo così. Mi dispiace. È solo che… continuo a temere che rovinerò tutto questo in qualche modo.»
«Tu sei preoccupato di rovinare tutto questo?» disse Shallan, sentendo dentro di sé un calore che non era solo dovuto al vino.
«Io non sono bravo con le relazioni, Shallan.»
«C’è qualcuno che lo sia davvero? Voglio dire, esiste veramente qualcuno là fuori che guarda le relazioni e pensa: “Sai che c’è? Ho capito come funziona”. Personalmente, ritengo che nelle relazioni siamo tutti quanti una manica di idioti.»
«Per me è peggio.»
«Adolin, caro, l’ultimo verso cui io ho avuto un interesse romantico non solo era un fervente – a cui era perfino proibito corteggiarmi –, ma si è rivelato un assassino che stava semplicemente cercando di ottenere il mio favore per potersi avvicinare a Jasnah. Credo che tu stia sopravvalutando le capacità di chiunque altro in questo campo.»
Adolin smise di camminare. «Un assassino.»
«Dico sul serio» affermò Shallan. «Mi ha quasi uccisa con una pagnotta avvelenata.»
«Wow. Devo sentire questa storia.»
«Per fortuna te l’ho appena raccontata. Si chiamava Kabsal ed era così incredibilmente dolce con me che posso quasi perdonarlo per aver cercato di uccidermi.»
Adolin sorrise. «Be’, è bello sentire che non ho un’asticella così alta da superare: tutto ciò che devo fare è non avvelenarti. Anche se non dovresti raccontarmi dei tuoi precedenti amanti. Mi renderai geloso.»
«Ma per favore» disse Shallan, intingendo il pane negli avanzi di un po’ di curry dolce. La sua lingua non si era ancora ristabilita. «Avrai corteggiato tipo metà dei campi militari.»
«Non è proprio così.»
«Ah no? Da quello che ho sentito, dovrei andare fino a Herdaz per trovare una donna disponibile a cui non sei andato dietro.» Protese la mano verso di lui, perché la aiutasse ad alzarsi.
«Stai deridendo i miei fallimenti?»
«No, li sto elogiando» disse lei, alzandosi accanto a lui. «Vedi, Adolin caro, se non avessi mandato a monte tutte quelle altre relazioni, non saresti qui. Con me.» Gli si avvicinò. «E così, in realtà, tu sei il migliore che ci sia mai stato nelle relazioni. Hai rovinato solo quelle sbagliate, capisci.»
Adolin si sporse verso il basso. Il suo alito sapeva di spezie, la sua uniforme dell’amido deciso e pulito voluto da Dalinar. Le labbra di Adolin toccarono quelle di Shallan e il cuore di lei sussultò. Così calde.
«Niente accoppiamenti!»
Shallan sobbalzò e si ritrasse dal bacio per trovare Schema che fluttuava accanto a loro, pulsando rapidamente da una forma all’altra.
Adolin sbottò in una risata e Shallan non riuscì a trattenersi dall’unirsi a lui per l’assurdità di quella situazione. Indietreggiò, ma gli tenne la mano. «Nessuno di noi manderà all’aria tutto questo» gli disse, stringendogli più forte la mano. «Anche se a volte sembra che la nostra intenzione sia proprio quella.»
«Lo prometti?» chiese lui.
«Lo prometto. Guardiamo questo tuo quaderno e vediamo cosa dice sul nostro assassino.»