113 CIÒ CHE GLI UOMINI FANNO MEGLIO

Se ho ragione e la mia ricerca è vera, allora resta la domanda. Chi è il nono Disfatto? È veramente Dai-Gonarthis? Se così fosse, le sue azioni avrebbero davvero potuto causare la completa distruzione di Aimia?

Dal Mythica di Hessi, pagina 307

Dalinar se ne stava solo nelle stanze che la regina Fen gli aveva assegnato, a guardar fuori dalla finestra, verso ovest. Verso Shinovar, ben oltre l’orizzonte. Una terra con strane bestie come cavalli, polli. E umani.

Aveva lasciato gli altri monarchi a discutere nel tempio sottostante; qualunque cosa dicesse sembrava solo allargare le fratture tra loro. Non si fidavano di lui. Non si erano mai davvero fidati. E il suo inganno dava loro ragione.

Tempeste! Si sentiva furioso con se stesso. Avrebbe dovuto diffondere quelle visioni, e dire subito agli altri di Elhokar. Su di lui si erano semplicemente accumulate troppe cose. I ricordi… la scomunica… la preoccupazione per Adolin ed Elhokar…

Parte di lui non poteva fare a meno di essere colpita dall’abilità con cui era stato superato in astuzia. La regina Fen temeva che Dalinar non fosse onesto: il nemico aveva consegnato la prova perfetta che aveva motivazioni politiche nascoste. Noura e gli Azish erano preoccupati che i poteri fossero pericolosi e sussurravano dei Radiosi Perduti. A loro, il nemico aveva indicato che Dalinar era manipolato da visioni malvagie. E a Taravangian – che dissertava così spesso di filosofia – il nemico aveva suggerito che il fondamento morale della loro guerra era tutto falso.

O forse quel dardo era per Dalinar stesso. Taravangian sosteneva che un re era giustificato nel compiere azioni terribili in nome dello Stato. Ma Dalinar…

Per una volta, aveva presunto che ciò che stava facendo fosse giusto.

Pensavi davvero che questo fosse il vostro posto? chiese il Folgopadre. Che foste nativi di Roshar?

«Sì, forse» rispose Dalinar. «Pensavo che… originariamente provenissimo da Shinovar.»

Quella è la terra che vi era stata data, replicò il Folgopadre. Un posto dove piante e animali che avevate portato qui potessero crescere.

«Non siamo stati capaci di limitarci a ciò che ci era stato dato.»

Quando mai un uomo è contento di ciò che ha?

«Quando mai un tiranno ha detto a se stesso: “Questo è sufficiente”?» sussurrò Dalinar, ricordando parole che un tempo aveva pronunciato Gavilar.

Il Folgopadre rombò.

«L’Onnipotente tenne segreto tutto ciò ai suoi Radiosi» continuò Dalinar. «Quando lo scoprirono, abbandonarono i loro voti.»

È più di questo. Il mio ricordo di tutto ciò è… strano. Per prima cosa, non ero completamente sveglio: ero solo lo spren di una tempesta. E allora ero come un bambino. Cambiato e plasmato durante gli ultimi giorni frenetici di un dio morente.

Ma ricordo. Non fu solo la verità sull’origine dell’umanità a causare la Ritrattazione. Fu la netta, potente paura che avrebbero distrutto questo mondo, proprio come uomini simili a loro avevano distrutto il precedente. I Radiosi abbandonarono i loro voti per quel motivo, come farete voi.

«Io non lo farò» obiettò Dalinar. «Non permetterò ai miei Radiosi di ripercorrere il destino dei loro predecessori.»

Ah no?

L’attenzione di Dalinar fu attirata da un gruppo solenne di uomini che lasciavano il tempio sottostante. Il Ponte Quattro, le lance posate su spalle ingobbite e il capo chino mentre scendevano silenziosi le scale.

Dalinar si precipitò fuori dalla villa e corse giù per le scale a intercettare i pontieri. «Dove state andando?» domandò.

Quelli si fermarono, mettendosi in fila sull’attenti.

«Signore» rispose Teft. «Pensavamo di tornare a Urithiru. Abbiamo lasciato alcuni uomini indietro e meritano di sapere di questa faccenda con gli antichi Radiosi.»

«Quello che abbiamo scoperto non cambia il fatto che stiamo subendo un’invasione» ribatté Dalinar.

«Da parte di persone che cercano di rivendicare la loro patria» replicò Sigzil. «Tempeste, anche io sarei infuriato.»

«Noi dovremmo essere i buoni, sapete?» commentò Leyten. «Dovremmo combattere per una giusta causa, una volta tanto nelle nostre folgorate vite.»

Echi dei suoi stessi pensieri. Dalinar si rese conto che non riusciva a formulare un’argomentazione contro quelle parole.

«Vedremo cosa dice Kal» replicò Teft. «Signore. Con tutto il rispetto. Ma vedremo che dice lui. Kaladin sa cos’è giusto, anche se noi altri non lo sappiamo.»

“E se non dovesse tornare mai più?” pensò Dalinar. “E se nessuno di loro tornasse?” Erano passate quattro settimane. Per quanto ancora poteva continuare a fingere che Adolin ed Elhokar fossero là fuori da qualche parte, vivi? Quel dolore lo scherniva, mentre rimaneva ben nascosto dietro a tutto il resto.

I pontieri rivolsero a Dalinar il loro particolare saluto con le braccia incrociate, poi se ne andarono senza attendere di essere congedati.

In passato, Onore era in grado di proteggere da questo, gli disse il Folgopadre. Convinse i Radiosi che erano giusti, perfino se questa terra in origine non era stata loro. A chi importa cos’hanno fatto i vostri antenati, quando il nemico sta cercando di uccidervi ora?

Ma nei giorni che portarono alla Ritrattazione, Onore stava morendo. Quando quella generazione di cavalieri apprese la verità, Onore non li sostenne. Farneticò, parlando degli Albastrati, antiche armi usate per distruggere le Sale della Tranquillità. Onore… assicurò che i Vincolaflussi avrebbero fatto lo stesso a Roshar.

«La medesima affermazione di Odio.»

Lui può vedere il futuro, anche se in modo appannato. In ogni caso, io… adesso comprendo come mai prima d’ora. Gli antichi Radiosi non abbandonarono i loro giuramenti per meschinità. Cercarono di proteggere il mondo. Li biasimo per la loro debolezza, per aver infranto i giuramenti. Ma li capisco, anche. Tu mi hai maledetto con questa capacità, umano.

Sembrava che la riunione nel tempio stesse terminando. Il contingente azish iniziò a scendere le scale.

«Il nostro nemico non è cambiato» disse loro Dalinar. «La necessità di una coalizione è più forte che mai.»

Il giovane imperatore, trasportato su un palanchino, non lo degnò di uno sguardo. Stranamente, gli Azish non si diressero verso la Giuriporta, ma seguirono un percorso giù nella città.

Solo la visir Noura si attardò a parlare con lui. «Jasnah Kholin potrebbe avere ragione» commentò in azish. «La distruzione del nostro mondo, le vostre visioni segrete, questa faccenda di voi come altoré… sembra una coincidenza troppo grossa perché tutto sia successo allo stesso momento.»

«Allora riuscite a capire che ci stanno manipolando?»

«Ma ci stanno manipolando con la verità, Kholin» replicò lei, incontrando i suoi occhi. «Quella Giuriporta è pericolosa. Questi vostri poteri sono pericolosi. Negatelo.»

«Non posso. Non fonderò questa coalizione sulle menzogne.»

«L’avete già fatto.»

Lui inspirò bruscamente.

Noura scosse il capo. «Prenderemo le navi da ricognizione e ci uniremo alla flotta portando i nostri soldati. Poi attenderemo che passi questa tempesta. Dopodiché… vedremo. Taravangian ha detto che possiamo servirci dei suoi vascelli per tornare al nostro impero, senza usare per forza le Giuriporte.»

Si allontanò al seguito dell’imperatore, ignorando il palanchino che voleva trasportarla.

Altri scesero per le scale attorno a lui. Altiprincipi veden che accamparono scuse. Occhichiari Thaylenici dai consigli delle loro gilde, che lo evitarono. Gli altiprincipi e le scrivane alethi espressero solidarietà, ma Alethkar non poteva cavarsela da sola.

La regina Fen fu tra gli ultimi a lasciare il tempio.

«Mi lascerai anche tu?» chiese Dalinar.

Lei rise. «Per andare dove, vecchio farabutto? C’è un esercito diretto da questa parte. Ho ancora bisogno della tua famosa fanteria alethi: non posso permettermi di cacciarti via.»

«Che acredine.»

«Ah, si è notata? Andrò a controllare le difese della città; se decidi di unirti a noi, saremo sulle mura.»

«Mi spiace, Fen,» confessò Dalinar «per aver tradito la tua fiducia.»

Lei scrollò le spalle. «Non penso davvero che tu intenda conquistarmi, Kholin. Ma stranamente… non posso fare a meno di sentire di dovermi preoccupare. Nella migliore delle ipotesi, sei diventato un brav’uomo giusto in tempo per affondare coraggiosamente con questa nave. È lodevole, finché non mi ricordo che lo Spinanera avrebbe ucciso da parecchio chiunque avesse tentato di affondarlo.»

Fen e il consorte salirono su un palanchino. La gente continuava a sfilare lì accanto, ma alla fine Dalinar rimase da solo davanti al tempio silenzioso.

«Sono spiacente, Dalinar» fece Taravangian piano da dietro. Dalinar si girò, sorpreso di trovare il vecchio seduto sui gradini. «Supponevo che tutti avessero le stesse informazioni e ho creduto fosse meglio esporle. Non mi aspettavo tutto questo…»

«Non è colpa tua» replicò Dalinar.

«Eppure…» Si alzò, poi si avviò – lentamente – giù per le scale. «Mi spiace. Temo di non poter più combattere al tuo fianco.»

«Perché?» ribatté Dalinar. «Taravangian, sei il governante più pragmatico che abbia incontrato! Non sei stato tu a parlarmi dell’importanza di fare ciò che la politica richiede?»

«E questo è ciò che devo fare adesso, Dalinar. Vorrei poter spiegare. Perdonami.»

Ignorò le suppliche dell’altro, zoppicando giù per le scale. Muovendosi in modo rigido, il vecchio salì su un palanchino e fu portato via.

Dalinar si abbandonò sui gradini.

Ho provato a fare del mio meglio per nasconderlo, disse il Folgopadre.

«Così da continuare a vivere una menzogna?»

Stando alla mia esperienza, è ciò che gli uomini fanno meglio.

«Non insultarci.»

Cosa? Non è quello che hai fatto in questi ultimi sei anni? Fingere di non essere un mostro? Fingere che non l’hai uccisa?

Dalinar trasalì. Chiuse la mano a pugno, ma lì non c’era nulla contro cui combattere. Lasciò cadere la mano lungo il fianco e incurvò le spalle. Infine si alzò in piedi e arrancò in silenzio su per gli scalini di pietra fino alla villa.

FINE DELLA
QUARTA PARTE

Giuramento
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