UNDICI ANNI PRIMA
Non c’erano abbastanza imbarcazioni per un attacco anfibio su Rathalas, così Dalinar fu costretto a ricorrere a un assalto più convenzionale. Marciò da ovest – avendo rimandato Adolin a Kholinar –, mentre Sadeas e le sue truppe si muovevano da est. Conversero verso la Faglia.
Dalinar trascorse buona parte del viaggio passando attraverso pungenti scie di fumo per l’incenso che Evi bruciava in un piccolo turibolo attaccato al lato della carrozza. Una richiesta agli Araldi di benedire il suo matrimonio. La sentiva spesso piangere all’interno del veicolo, anche se ogni volta che usciva era perfettamente composta. Leggeva lettere, vergava le risposte per lui e prendeva appunti durante gli incontri con i generali. Era la perfetta moglie alethi in ogni senso… e la sua infelicità gli stritolava l’anima.
Alla fine raggiunsero le pianure attorno al lago attraversando il letto del fiume, che era secco tranne durante le tempeste. I litobulbi si abbeveravano così tanto dalla fonte d’acqua locale che erano cresciuti fino a dimensioni enormi. Alcuni erano più alti della vita di un uomo, e i rampicanti che ne fuoriuscivano erano spessi quanto il polso di Dalinar.
Lui cavalcava accanto alla carrozza – gli zoccoli del cavallo marcavano un ritmo familiare sulle rocce sottostanti – e odorava incenso. La mano di Evi si sporse dal finestrino laterale della carrozza e mise un altro sigilloglifo nel turibolo. Lui non vide la sua faccia e la mano scomparve rapida.
Donna folgorata. Una donna alethi avrebbe usato tutto questo come uno stratagemma per farlo sentire in colpa e costringerlo a piegarsi. Ma lei non era Alethi, per quanto li imitasse in modo coscienzioso. Evi era fin troppo genuina e le sue lacrime erano reali. Pensava davvero che il loro diverbio nella fortezza veden rappresentasse un presagio funesto per la loro relazione.
Quello lo infastidiva. Più di quanto volesse ammettere.
Una giovane esploratrice accorse per consegnargli l’ultimo rapporto: l’avanguardia aveva messo in sicurezza il terreno per accamparsi che lui aveva indicato, vicino alla città. Non c’era stato ancora nessuno scontro e lui non se l’era aspettato. Tanalan non avrebbe abbandonato le mura attorno alla Faglia per cercare di controllare un terreno oltre la gittata degli archi.
Era una buona notizia, ma Dalinar voleva comunque inveire contro la messaggera… voleva inveire contro qualcuno. Tempeste, quella battaglia non sarebbe arrivata mai troppo presto. Si trattenne e congedò la donna con una parola di ringraziamento.
Perché gli importava così tanto della suscettibilità di Evi? Non aveva mai lasciato che le discussioni con Gavilar lo turbassero. Tempeste, non aveva mai permesso che nemmeno le discussioni con Evi lo turbassero a quel modo, in precedenza. Era strano. Poteva avere le lodi degli uomini, una fama che si estendeva per un intero continente ma, se lei non lo ammirava, provava come la sensazione di aver fallito. Poteva davvero andare in combattimento sentendosi così?
No. Non poteva.
“Allora fa’ qualcosa al riguardo.” Mentre si facevano strada serpeggiando tra la distesa di litobulbi, chiamò il cocchiere della carrozza di Evi e gli ordinò di fermarsi. Poi passò le redini del cavallo a un attendente e salì sulla carrozza.
Evi si morse il labbro quando Dalinar si accomodò sul sedile di fronte a lei. All’interno aleggiava un buon odore: lì l’incenso era più debole mentre la polvere di crem sulla strada era bloccata da legno e stoffa. I cuscini erano soffici e lei aveva della frutta secca in un piatto e perfino dell’acqua gelata.
«Cosa c’è che non va?» gli domandò.
«Sono indolenzito per la cavalcata.»
Lei inclinò il capo. «Forse dovresti richiedere un unguento…»
«Voglio parlare, Evi» confessò Dalinar con un sospiro. «Non sono davvero indolenzito.»
«Oh.» Lei tirò le ginocchia contro il petto. Lì dentro, aveva slacciato e arrotolato all’indietro la manica della manosalva, mostrando le sue lunghe dita eleganti.
«Non è questo che volevi?» domandò Dalinar, distogliendo lo sguardo dalla manosalva. «Non la smettevi di pregare.»
«Affinché gli Araldi intenerissero il tuo cuore.»
«Giusto. Bene, l’hanno fatto. Eccomi qua. Parliamo.»
«No, Dalinar» replicò lei, allungando la mano per toccargli con affetto il ginocchio. «Non stavo pregando per me stessa, ma per i tuoi conterranei che progetti di uccidere.»
«I ribelli?»
«Uomini che non sono diversi da te ma che per caso sono nati in un’altra città. Cosa avresti fatto tu, se un esercito fosse venuto a conquistare la tua casa?»
«Avrei lottato» rispose Dalinar. «Come faranno loro. Gli uomini migliori domineranno.»
«Cosa ti dà il diritto?»
«La mia spada.» Dalinar scrollò le spalle. «Se l’Onnipotente vuole che governiamo noi, vinceremo. Altrimenti perderemo. Preferisco pensare che Egli voglia constatare chi tra noi è più forte.»
«E non c’è spazio per la pietà?»
«La pietà è quella che ci ha fatti finire qui. Se non vogliono combattere, dovrebbero arrendersi al nostro dominio.»
«Ma…» Abbassò lo sguardo, le mani in grembo. «Mi dispiace. Non cerco un’altra discussione.»
«Io sì» disse Dalinar. «Mi piace quando ti fai valere. Quando combatti.»
Lei sbatté le palpebre tra le lacrime e distolse lo sguardo.
«Evi…» continuò Dalinar.
«Odio ciò che ti fa tutto questo» rispose piano. «Vedo la bellezza in te, Dalinar Kholin. Vedo un grand’uomo che lotta contro uno terribile. E a volte appare questo sguardo nei tuoi occhi. Un vuoto orribile, terrificante. Come se fossi diventato una creatura senza cuore, che banchetta sulle anime per riempire quel vuoto, trascinando dolorespren nella propria scia. Questo mi tormenta.»
Dalinar cambiò posizione sul sedile della carrozza. Cosa intendeva? Uno “sguardo” nei suoi occhi? Era come quando lei affermava che le persone accumulavano brutti ricordi sulla loro pelle e avevano bisogno di sfregarli via con una pietra una volta al mese? Gli Occidentali avevano credenze curiosamente superstiziose.
«Cosa vorresti che facessi, Evi?» le chiese piano.
«Ho vinto di nuovo?» replicò lei in tono amaro. «Un’altra battaglia in cui ti ho ferito?»
«Ho solo… bisogno di sapere cosa desideri. Per poter capire.»
«Non uccidere oggi. Tieni a bada il mostro.»
«E i ribelli? Il loro luminobile?»
«Hai già risparmiato una volta la vita di quel ragazzo.»
«Un errore evidente.»
«Un segno di umanità, Dalinar. Hai chiesto cosa voglio. È sciocco, e riesco a capire che qui ci sono problemi, che tu hai un compito. Ma… io non voglio vederti uccidere. Non nutrirlo.»
Dalinar posò la mano sulle sue. Alla fine la carrozza rallentò di nuovo ed egli scese per ispezionare un’area sgombra dai litobulbi. L’avanguardia stava attendendo lì, cinquemila unità, disposte in file perfette. A Teleb piaceva fare una buona impressione.
Dall’altra parte del campo, oltre la gittata di un arco, un muro rompeva il paesaggio senza nulla da proteggere, all’apparenza. La città era nascosta nella Faglia fra pareti di roccia. Da sudovest, una brezza proveniente dal lago portò l’odore fertile di alghe e crem.
Teleb si avvicinò indossando la sua Piastra. Be’, la Piastra di Adolin.
La Piastra di Evi.
«Luminobile,» disse Teleb «poco fa una grossa carovana sorvegliata ha lasciato la Faglia. Non avevamo i soldati per assediare la città e voi ci avevate ordinato di non attaccare. Così ho inviato una squadra di esploratori a seguirla, uomini che conoscono la zona, ma per il resto l’ho lasciata andar via.»
«Hai agito bene» ribatté Dalinar, prendendo il suo cavallo da uno stalliere. «Anche se mi sarebbe piaciuto sapere chi stava portando provviste alla Faglia, quello poteva essere un tentativo di attirarvi in una schermaglia. Comunque, ora raduna l’avanguardia e falli muovere dietro di me. Passa la voce al resto degli uomini. Schierali in formazione, per ogni evenienza.»
«Signore?» chiese Teleb stupefatto. «Non volete far riposare l’esercito prima di attaccare?»
Dalinar volteggiò in sella e lo superò cavalcando al trotto, diretto verso la Faglia. Teleb – di solito così flemmatico – imprecò e urlò gli ordini, poi si precipitò verso l’avanguardia, riunendola e facendola marciare in tutta fretta dietro Dalinar.
Questi si assicurò di non andare troppo avanti. Presto si avvicinò alle mura di Rathalas, dove si erano radunati i ribelli, soprattutto arcieri. Non si sarebbero aspettati un attacco così presto, ma naturalmente Dalinar dal canto suo non sarebbe rimasto accampato fuori a lungo, non così esposto alle tempeste.
“Non nutrirlo.”
Evi sapeva che lui considerava quella fame dentro di lui, quella sete di sangue, come qualcosa di stranamente esterno? Un compagno. Molti suoi ufficiali provavano la stessa sensazione. Era naturale. Andavi in guerra e l’Eccitazione era la tua ricompensa.
Arrivarono gli armaioli di Dalinar e lui scese di sella e mise i piedi negli stivali che gli fornirono, poi tenne le braccia all’infuori, lasciando che gli fissassero rapidamente la corazza e altre parti dell’armatura.
«Aspettate qui» disse ai suoi uomini, poi rimontò a cavallo e posò l’elmo sul pomello. Fece avanzare l’animale fino alla spianata, evocando la Stratolama e posandola sulla spalla, le redini nell’altra mano.
Erano passati anni dal suo ultimo assalto alla Faglia. Immaginò Gavilar che correva davanti a lui, con Sadeas che imprecava da dietro e pretendeva “prudenza”. Dalinar continuò ad avanzare finché non fu a metà strada per i cancelli. Se si fosse avvicinato di più, gli arcieri probabilmente avrebbero cominciato a tirare; era già ben all’interno della loro gittata. Arrestò il cavallo e attese.
Ci fu un po’ di discussione sulle mura: poteva vedere l’agitazione tra i soldati. Dopo circa trenta minuti seduto lì, con il cavallo che leccava con calma il terreno e brucava l’erba che spuntava, finalmente i cancelli si aprirono con un cigolio. Una compagnia di fanteria uscì, accompagnando due uomini a cavallo. Dalinar ignorò quello calvo con la voglia viola su mezza faccia: era troppo vecchio per essere il ragazzo che lui aveva risparmiato.
Doveva essere l’uomo più giovane in sella al destriero bianco, con il mantello che gli sventolava alle spalle. Sì, in lui si avvertiva un certo entusiasmo e il suo cavallo minacciava di distanziare la scorta. E il modo in cui fissava Dalinar con sguardo omicida… quello era il luminobile Tanalan, figlio del vecchio Tanalan, che Dalinar aveva sconfitto dopo essere caduto nella Faglia stessa. Quello scontro furioso su ponti di pietra e poi in un giardino pensile sul lato del crepaccio.
Il gruppo si fermò a una cinquantina di piedi da Dalinar.
«Siete venuto a parlamentare?» urlò l’uomo con la voglia sulla faccia.
Dalinar avvicinò il cavallo per non essere costretto a gridare. Le guardie di Tanalan sollevarono lance e scudi.
Dalinar esaminò loro, poi le fortificazioni. «Avete operato bene qui. Picchieri sulle mura per respingermi, nel caso fossi venuto da solo. Reti appese in cima, che potete tagliare per intrappolarmi.»
«Cosa vuoi, tiranno?» sbottò Tanalan. La sua voce aveva l’inflessione nasale tipica dei Fagliani.
Dalinar congedò la Lama e volteggiò giù da cavallo, con la Piastra che sfregava sulla roccia quando colpì il terreno. «Cammina con me, luminobile. Ti prometto di non farti del male a meno che io non venga attaccato per primo.»
«E io dovrei accettare la tua parola?»
«Cos’ho fatto, l’ultima volta che ci siamo trovati assieme?» chiese Dalinar. «Quando ti avevo nelle mie mani, come ho agito?»
«Mi hai derubato.»
«E?» chiese Dalinar, incontrando gli occhi color violetto del giovane.
Tanalan lo soppesò, tamburellando con un dito contro la sella. Infine smontò. L’uomo con la voglia gli mise una mano sulla spalla, ma il giovane luminobile la scrollò via.
«Non vedo cosa speri di ottenere qui, Spinanera» disse Tanalan, unendosi a Dalinar. «Non abbiamo nulla di cui parlare.»
«Cosa voglio ottenere?» domandò Dalinar riflettendo. «Non ne sono sicuro. Di solito è mio fratello quello bravo a parlare.» Iniziò a camminare lungo il corridoio tra i due eserciti ostili. Tanalan si fermò, poi si affrettò a raggiungerlo.
«I tuoi soldati sembrano buoni» continuò Dalinar. «Coraggiosi. Schierati contro un nemico più numeroso, eppure determinati.»
«Hanno una forte motivazione, Spinanera. Tu hai ucciso molti dei loro padri.»
«Sarà un peccato distruggerli un po’ alla volta.»
«Sempre che tu ci riesca.»
Dalinar si fermò e si voltò per fissare l’uomo più basso. Si trovavano su un campo troppo silenzioso, dove perfino i litobulbi e l’erba avevano il buonsenso di ritrarsi. «Ho mai perso una battaglia, Tanalan?» chiese Dalinar piano. «Conosci la mia reputazione. La ritieni esagerata?»
L’uomo più giovane si agitò e si guardò alle spalle, verso il punto dove aveva lasciato le sue guardie e i suoi consiglieri. «Meglio morire provando ad abbatterti che arrendersi.»
«Mi auguro che tu ne sia certo» disse Dalinar. «Perché se vincerò qui, dovrò fare di te un esempio. Io ti spezzerò, Tanalan. La tua misera, piangente città sarà portata a esempio davanti a tutti coloro che oseranno sfidare mio fratello. Sii assolutamente sicuro di voler combattere contro di me, perché una volta che tutto questo sarà cominciato, sarò costretto a lasciare solo vedove e cadaveri ad abitare la Faglia.»
La mascella del giovane nobiluomo si abbassò lentamente. «Io…»
«Mio fratello ha tentato di usare le parole e la politica per rimetterti in riga» proseguì Dalinar. «Bene, io sono bravo in una cosa sola. Lui costruisce. Io distruggo. Ma grazie alle lacrime di una brava donna, sono venuto – contro ogni mio miglior giudizio – a offrirti un’alternativa. Troviamo un’intesa per risparmiare la tua città.»
«Un’intesa? Tu hai ucciso mio padre.»
«E un giorno un uomo ucciderà me» replicò Dalinar. «I miei figli malediranno il suo nome come tu il mio. Spero che loro non gettino via migliaia di vite in una battaglia senza speranza a causa di quel rancore. Tu vuoi vendetta. Benissimo. Duelliamo. Io e te. Ti presterò una Lama e una Piastra e ci affronteremo su un terreno equo. Se vinco io, il tuo popolo si arrenderà.»
«E se io ti sconfiggo, i tuoi eserciti se ne andranno?»
«Improbabile» rispose Dalinar. «Sospetto che combatteranno con più foga. Ma non avranno me e tu avrai riottenuto la Lama di tuo padre. Chi lo sa? Forse sconfiggerai l’esercito. Avrai una possibilità folgoratamente migliore, almeno.»
Tanalan guardò Dalinar accigliato. «Non sei l’uomo che pensavo fossi.»
«Sono lo stesso di sempre. Ma oggi… oggi quell’uomo non vuole uccidere nessuno.»
Un fuoco improvviso infuriò dentro di lui a quelle parole. Aveva davvero intenzione di arrivare fino a quel punto per evitare il conflitto che aveva pregustato tanto?
«Uno dei tuoi sta lavorando contro di voi» disse all’improvviso Tanalan. «I leali altiprincipi? C’è un traditore tra loro.»
«Sarei sorpreso se non ce ne fossero diversi» replicò Dalinar. «Ma sì, sappiamo che uno ha collaborato con te.»
«Un peccato» ribatté Tanalan. «I suoi uomini erano qui meno di un’ora fa. Se fossi arrivato un po’ prima li avresti intercettati. Forse sarebbero stati costretti a unirsi a me e il loro padrone sarebbe stato trascinato in questa guerra.» Scosse il capo, poi si voltò e tornò verso i suoi consiglieri.
Dalinar sospirò dalla frustrazione. Un rifiuto. Be’, non c’erano mai state molte possibilità che funzionasse. Tornò al cavallo e si issò sulla sella.
Anche Tanalan montò a cavallo. Prima di tornare nella sua città, l’uomo rivolse a Dalinar un saluto. «Tutto questo è spiacevole» disse. «Ma non vedo altro modo. Non posso sconfiggerti in un duello, Spinanera. Tentare sarebbe stupido. Ma la tua offerta è… apprezzata.»
Dalinar grugnì e si mise l’elmo, poi fece voltare il cavallo.
«A meno che…» riprese Tanalan.
«A meno che?»
«A meno che, naturalmente, questo non fosse uno stratagemma fin dall’inizio, un piano architettato da tuo fratello, da te e da me» disse Tanalan. «Una… falsa ribellione. Simulata per indurre gli altiprincipi sleali a rivelarsi.»
Dalinar sollevò la sua visiera e si girò.
«Forse la mia indignazione era simulata» continuò Tanalan. «Forse siamo rimasti in contatto fin dal tuo attacco qui, tanti anni fa. Tu mi risparmiasti la vita, dopotutto.»
«Sì» replicò Dalinar, sentendo un impeto improvviso di entusiasmo. «Questo spiegherebbe perché Gavilar non ha mandato immediatamente le nostre armate contro di te. Eravamo in combutta fin dall’inizio.»
«Quale prova migliore del fatto che abbiamo appena avuto questa strana conversazione sul campo di battaglia?» Tanalan guardò dietro di sé verso i suoi uomini radunati sulle mura. «Loro devono ritenerlo molto strano. Avrà senso quando sentiranno la verità: che ti stavo riferendo dell’inviato che è stato qui, per consegnarci armi e provviste da parte di uno dei tuoi nemici segreti.»
«La tua ricompensa, naturalmente,» ribatté Dalinar «sarebbe la legittimità come altonobile del regno. Forse perfino prendere il posto di quell’altoprincipe.»
«E nessuna battaglia oggi» disse Tanalan. «Niente morte.»
«Niente morte. Tranne forse per i veri traditori.»
Tanalan guardò verso i suoi consiglieri. L’uomo con la voglia annuì lentamente.
«Si sono diretti a est, verso le Colline Indipendenti» spiegò Tanalan indicando. «Cento soldati e carovanieri. Penso che stessero progettando di fermarsi per la notte al sostariparo di una cittadina chiamata Vedelliar.»
«Chi è stato?» chiese Dalinar. «Quale altoprincipe?»
«Sarebbe meglio se lo scoprissi da solo, dato…»
«Chi?» insistette Dalinar.
«Il luminobile Torol Sadeas.»
Sadeas? «Impossibile!»
«Come ho detto,» osservò Tanalan «meglio se lo constati da te. Ma testimonierò davanti al re, sempre che tu mantenga la tua parte del nostro… accordo.»
«Apri i tuoi cancelli ai miei uomini» disse Dalinar indicando. «Ritira i tuoi soldati. Hai la mia parola d’onore per la tua sicurezza.»
Detto ciò, si girò e tornò al trotto verso le sue forze, passando in un corridoio di uomini. Mentre lo faceva, Teleb accorse da lui. «Luminobile!» esclamò. «I miei esploratori sono tornati dalla perlustrazione di quella carovana. Signore, era…»
«Era di un altoprincipe?»
«Senza dubbio» rispose Teleb. «Non sono riusciti a determinare quale, ma affermano di aver visto qualcuno in Stratopiastra in mezzo a loro.»
Stratopiastra? Non aveva senso.
“A meno che non fosse così che sta progettando di farci perdere” pensò Dalinar. “Quella poteva non essere una semplice carovana di rifornimenti… ma una forza per colpirci ai fianchi sotto mentite spoglie.”
Un unico Stratoguerriero che avesse attaccato la retroguardia del suo esercito mentre era distratto avrebbe potuto produrre danni incalcolabili. Dalinar non credeva a Tanalan, non del tutto. Ma… tempeste, se Sadeas aveva davvero inviato in segreto uno dei suoi Stratoguerrieri sul campo di battaglia, Dalinar non poteva inviare semplicemente un manipolo di soldati a occuparsene.
«Hai il comando» disse a Teleb. «Tanalan ordinerà ai suoi di abbassare le armi; fai in modo che l’avanguardia si unisca a loro sulle fortificazioni, ma non sostituirli. Fai accampare il resto dell’esercito nel campo e tieni i nostri ufficiali fuori da Rathalas. Questa non è una resa. Fingeremo che sia stato dalla nostra parte fin dall’inizio, cosicché possa salvare la faccia e conservare il suo titolo. Horinar, voglio una compagnia di cento soldati scelti, i nostri uomini più veloci, pronti a marciare con me immediatamente.»
Quelli obbedirono senza porre domande. I messaggeri schizzarono in giro a riferire gli ordini e l’intera zona divenne un alveare in movimento, uomini e donne che correvano in tutte le direzioni.
Una persona rimase immobile in mezzo a tutto quanto, le mani serrate speranzose al seno. «Cos’è successo?» chiese Evi quando lui le si avvicinò conducendo il cavallo al trotto.
«Torna al nostro accampamento e prepara un messaggio per mio fratello informandolo che potremmo aver portato la Faglia dalla nostra parte senza alcuno spargimento di sangue.» Fece una pausa, poi aggiunse: «Avvisalo di non fidarsi di nessuno. Uno dei nostri alleati più fedeli potrebbe averci tradito. Ho intenzione di andare a scoprirlo».