Desidero inoltrare la mia formale protesta all’idea di abbandonare la torre. Questo è un passo estremo, intrapreso in maniera avventata.
Dal cassetto 2-22, fumopietra
Segreti.
Quella città era piena di segreti. Ne era così stracolma che non potevano evitare di traboccare.
L’unica cosa che Shallan poteva fare, allora, era darsi un pugno in faccia.
Era più difficile di quanto sembrasse. Trasaliva sempre. “Andiamo” pensò, serrando la mano a pugno. Con gli occhi stretti forte, si preparò, poi fece sbattere la manofranca contro il lato della testa.
Quasi non sentì dolore: semplicemente non era capace di colpirsi abbastanza forte. Forse poteva convincere Adolin a farlo per lei. Lui si trovava nel laboratorio sul retro della bottega della sarta. Shallan si era scusata e se n’era andata nella sala da esposizione sul davanti, immaginando che gli altri non avrebbero reagito bene al suo tentativo di attirare attivamente un dolorespren.
Poteva udire le loro voci mentre interrogavano quella sarta così educata. «È cominciato con le rivolte, vostra maestà» rispose la donna a una domanda di Elhokar. «O forse prima, con la… Be’, è complicato. Oh, non riesco a credere che siate qui. Ho avuto Passione perché succedesse qualcosa, vero, ma finalmente… voglio dire…»
«Prendi un respiro profondo, Yokska» disse Adolin. Perfino la sua voce era adorabile. «Non appena avrai assorbito la sorpresa, continueremo.»
“Segreti” pensò Shallan. “I segreti hanno causato tutto questo.”
Sbirciò nell’altra stanza. Il re, Adolin, Yokska la sarta e Kaladin erano seduti lì dentro, tutti di nuovo con le loro facce. Avevano mandato gli uomini di Kaladin – assieme a Rosso, Ishnah e Vathah – con la domestica della sarta per preparare le camere ai piani superiori e il solaio per gli ospiti.
Yokska e il marito avrebbero dormito su giacigli improvvisati nella stanza sul retro: naturalmente, avevano lasciato a Elhokar la loro. In quel preciso momento, il gruppetto aveva disposto un cerchio di sedie di legno sotto lo sguardo noncurante dei manichini della sarta, che indossavano una varietà di giacche ancora incomplete.
Giacche simili ma terminate erano in mostra in giro per la stanza. Erano realizzate in colori brillanti – perfino più di quelli che gli Alethi indossavano alle Pianure Infrante – con filo d’oro e d’argento, bottoni luccicanti e ricami elaborati sulle grandi tasche. Non si chiudevano sul davanti tranne per alcuni bottoni appena sotto il colletto, mentre i lati scendevano svasati verso l’esterno, poi si dividevano in code sulla schiena.
«È stata l’esecuzione della fervente, luminobile» disse Yokska. «La regina l’ha fatta impiccare e… Oh! È stato così raccapricciante. Benedette Passioni, vostra maestà. Non intendo parlare male di vostra moglie! Non dev’essersi resa conto…»
«Raccontacelo e basta» ordinò Elhokar. «Non temere ritorsioni. Devo sapere cosa pensa la gente della città.»
Yokska tremolò. Era una donna piccola e grassoccia che portava le lunghe sopracciglia thayleniche arricciate in boccoli gemelli, e probabilmente era molto alla moda con quella gonna e la blusa. Shallan si soffermò sulla soglia, curiosa di quello che la sarta aveva da riferire.
«Ebbene,» continuò Yokska «durante le rivolte, la regina… è praticamente scomparsa. Ricevevamo dei proclami da lei, ogni tanto, ma spesso non avevano molto senso. Tutto è andato storto dopo la morte della fervente. La città era già in tumulto… E quella ha scritto parole così orribili, vostra maestà. Sullo stato della monarchia e sulla fede della regina, e…»
«E Aesudan l’ha condannata a morte» completò Elhokar. Illuminato solo da poche sfere al centro del loro circolo, il suo volto era per metà in ombra. Si creava un effetto molto curioso, e Shallan prese una Memoria per disegnarlo più tardi.
«Sì, vostra maestà.»
«Ovviamente sarà stato lo spren oscuro a dare l’ordine vero e proprio» immaginò Elhokar. «Lo spren oscuro che sta controllando il palazzo. Mia moglie non sarebbe mai così avventata da giustiziare davanti al popolo una fervente in tempi tanto difficili.»
«Oh! Sì, ma certo. Uno spren oscuro. Nel palazzo.» Yokska sembrò sollevata dal fatto di avere una spiegazione che non incolpasse la regina.
Shallan rifletté, poi notò un paio di forbici da tessuto su una mensola lì vicino. Le afferrò, e tornò a infilarsi nella stanza da esposizione. Si tirò la gonna da una parte, poi si conficcò le forbici nella gamba.
«Hmmm…» commentò Schema. «Distruzione. Questo… non è normale per te, Shallan. Esagerato.»
Lei tremò per il dolore. Sgorgò sangue dalla ferita, ma vi premette la mano contro per limitarne la fuoriuscita.
Ecco! C’era riuscita. Dolorespren apparvero attorno a lei, come strisciando fuori dal pavimento… piccole mani prive di corpo. Sembravano senza pelle, fatte di tendini. Di solito erano di un arancione brillante, ma queste viravano su un verde malaticcio. Inoltre erano sbagliate… invece di mani umane, sembravano appartenere a una sorta di mostro: troppo distorte, con artigli che si allungavano dai tendini.
Shallan prese con impazienza una Memoria, ancora tenendo sollevata la gonna dell’havah per non sporcarla di sangue.
«Non fa male?» chiese Schema dalla posizione sul muro dove si era spostato.
«Certo che sì» rispose Shallan con le lacrime agli occhi. «Era quello lo scopo.»
«Hmmm…» Schema ronzò preoccupato, ma non avrebbe dovuto esserlo, dato che Shallan aveva ottenuto ciò che voleva. Soddisfatta, assorbì un po’ di Folgoluce e si guarì, poi usò un panno preso dalla cartella per asciugarsi il sangue dalla gamba. Si pulì le mani e lavò il panno nel catino del bagno. Fu sorpresa nel trovare acqua corrente: non pensava che a Kholinar ci fossero cose del genere.
Tirò fuori il blocco e tornò alla porta della stanza sul retro, dove si appoggiò contro lo stipite, disegnando un rapido schizzo degli strani dolorespren distorti. Jasnah le avrebbe detto di posare il blocco e di sedersi con gli altri, ma Shallan spesso prestava maggiore attenzione quando aveva qualcosa su cui disegnare tra le mani. Le persone che non disegnavano non sembravano capirlo.
«Parlaci del palazzo» disse Kaladin. «Dello… spren oscuro, per usare le parole di sua maestà.»
Yokska annuì. «Oh, sì, luminobile.»
Shallan alzò lo sguardo per cogliere la reazione di Kaladin nell’essere chiamato luminobile, ma lui non ne mostrò alcuna. Il suo travestimento illusorio era svanito, anche se Shallan aveva riposto quel disegno per un eventuale uso futuro. Kaladin aveva evocato la sua Lama quella mattina e ora aveva gli occhi più azzurri che lei avesse mai visto. Non erano ancora sbiaditi.
«C’è stata quell’altempesta imprevista» proseguì Yokska. «E dopo il clima è impazzito. Le piogge sono cominciate ad arrivare a singhiozzo. Ma quando si è scatenata la nuova tempesta, quella con i fulmini rossi, ha lasciato un’oscurità sopra il palazzo. Davvero brutta! Tempi bui. Suppongo… che non siano terminati.»
«Dov’erano le guardie reali?» chiese Elhokar. «Avrebbero dovuto rinforzare la Guardia cittadina e ripristinare l’ordine durante le rivolte!»
«La Guardia di palazzo si è ritirata appunto nel palazzo, vostra maestà» rispose Yokska. «E la regina ha ordinato alla Guardia cittadina di barricarsi nelle caserme. Alla fine si sono spostati anche loro nel palazzo su suo ordine. Da allora non si sono più visti.»
“Tempeste” pensò Shallan, continuando a disegnare.
«Oh, suppongo di saltare di palo in frasca, ma mi ero dimenticata» continuò Yokska. «Nel mezzo delle rivolte, è arrivato un proclama della regina. Oh, vostra maestà. Voleva giustiziare i parshi della città! Be’, tutti abbiamo pensato che lei dovesse essere… sono spiacente… ma abbiamo pensato che dovesse essere matta. Poveretti. Cos’avranno mai fatto? Ecco la nostra conclusione. Non sapevamo.
«Be’, la regina aveva posizionato banditori per tutta la città, proclamando che i parshi erano Nichiliferi. E devo ammettere che su questo aveva ragione. Eppure era comunque così strano. Sembrava che non notasse nemmeno che mezza città era in rivolta!»
«Lo spren oscuro» ribadì Elhokar, chiudendo la mano a pugno. «È quello il colpevole, non Aesudan.»
«Ci sono stati rapporti su strani omicidi?» chiese Adolin. «Uccisioni o violenze accadute a coppie: un uomo morto e qualche giorno dopo qualcun altro ucciso esattamente allo stesso modo?»
«No, luminobile. Nulla… nulla del genere, anche se in molti sono stati uccisi.»
Shallan scosse il capo. Lì era all’opera un Disfatto diverso, un altro antico spren di Odio. La religione e la tradizione ne parlavano vagamente nella migliore delle ipotesi, tendendo in modo semplicistico a fonderli in un’unica entità malvagia. Navani e Jasnah avevano cominciato a fare ricerche su di loro nel corso delle ultime settimane, e ancora non ne sapevano molto.
Terminò il disegno dei dolorespren, poi passò a quello dei faticaspren che aveva visto prima. Inoltre era riuscita a intravedere alcuni famespren attorno a un profugo mentre erano per strada. Stranamente, quelli non apparivano diversi. Perché?
“Mi servono più informazioni” pensò Shallan. “Più dati.” Qual era la cosa più imbarazzante a cui riusciva a pensare?
«Bene,» disse Elhokar «anche se non abbiamo decretato che i parshi fossero giustiziati ma solo esiliati, almeno l’ordine sembra aver raggiunto Aesudan. Dev’essere stata abbastanza libera dal controllo delle forze oscure da dare ascolto alle nostre parole via distacanna.»
Naturalmente non menzionò le contraddizioni logiche. Se la sarta aveva ragione sull’arrivo dello spren oscuro durante la Tempesta Infinita, allora Aesudan aveva giustiziato la fervente per iniziativa personale, dato che era accaduto prima. Allo stesso modo, l’ordine di esiliare i parshi doveva essere giunto prima della Tempesta Infinita. E chi sapeva se un Disfatto poteva influenzare qualcuno come la regina? La spren a Urithiru aveva imitato le persone, non le aveva controllate.
Yokska sembrava effettivamente un po’ confusionaria nel riferire gli eventi, perciò si poteva scusare Elhokar se aveva mischiato la successione. A ogni modo, Shallan aveva bisogno di qualcosa di imbarazzante. “Quando ho versato il vino la prima volta che mio padre me ne aveva dato un po’ a un ricevimento. No… no… qualcosa di più…”
«Oh!» disse Yokska «Vostra maestà, dovreste saperlo. Il proclama che ordinava di giustiziare i parshi… be’, una coalizione di occhichiari importanti non l’ha seguito. Poi, dopo quella tempesta terribile, la regina ha cominciato a dare altri ordini, così gli occhichiari sono andati a incontrarsi con lei.»
«Lasciami indovinare» intervenne Kaladin. «Non sono mai tornati dal palazzo.»
«No, luminobile, non sono tornati.»
“E quella volta in cui mi sono svegliata e mi sono trovata davanti Jasnah dopo che ero quasi morta, e lei aveva scoperto che l’avevo tradita?”
Sicuramente ricordare quell’evento doveva essere sufficiente…
No?
Mannaggia!
«Allora, i parshi» chiese Adolin «sono stati giustiziati?»
«No» continuò Yokska. «Come ho detto, tutti erano preoccupati per le rivolte… a parte i servitori che affiggevano le ordinanze della regina, suppongo. Alla fine la Guardia delle mura ha preso l’iniziativa. Hanno ripristinato un certo ordine nella città, quindi hanno radunato i parshi e li hanno esiliati nella pianura là fuori. E poi…»
«Poi è arrivata la Tempesta Infinita» interruppe Shallan, slacciando segretamente il bottone sulla manica della manosalva.
Yokska parve rimpicciolirsi sulla sedia. Gli altri tacquero, reazione che fornì a Shallan l’opportunità perfetta. Prese un respiro profondo, poi venne avanti, tenendo in mano il blocco da disegno come se fosse distratta. Inciampò su un rotolo di stoffa per terra, strillò e ruzzolò al centro dell’anello di sedie.
Finì lunga distesa sul pavimento, le gonne sollevate sopra la vita… e quel giorno non indossava nemmeno i gambali. La manosalva spuntò tra i bottoni della manica, restando scoperta proprio di fronte non solo al re, ma anche a Kaladin e Adolin.
Perfettamente, orribilmente, incredibilmente mortificante. Avvertì un intenso rossore sbocciare e i vergognaspren piovvero attorno a lei come un’onda. Di solito, assumevano la forma di petali di fiori rossi e bianchi che cadevano.
Quelli invece somigliavano a pezzi di vetro rotto.
Gli uomini, certo, erano più distratti dalla posizione in cui si era ritrovata. Shallan strillò, poi cercò di prendere una Memoria dei vergognaspren e si rimise dritta, arrossendo con violenza e ficcandosi la mano nella manica.
“Questa” pensò “potrebbe essere la cosa più pazza che tu abbia mai fatto. Il che è tutto dire.”
Afferrò il blocco da disegno e si precipitò fuori, incrociando il marito barbuto di Yokska – Shallan non gli aveva ancora sentito pronunciare una parola – in piedi sulla porta con un vassoio di vino e tè. Shallan prese la coppa di vino più scuro e la svuotò in un solo sorso, sentendo gli sguardi degli uomini sulla schiena.
«Shallan?» esordì Adolin. «Ehm…»
«Stobeneèstatounesperimento» disse lei, precipitandosi nella sala da esposizione e gettandosi su una sedia messa lì per i clienti. “Tempeste, quanto è stato umiliante.”
Poteva vedere parte dell’altra stanza. Il marito di Yokska andò dal gruppo con il vassoio d’argento. Si fermò accanto alla moglie – anche se servire per primo il re sarebbe stato il protocollo corretto – e le posò una mano sulla spalla. Lei gli mise la propria sulla sua.
Shallan aprì il blocco e fu compiaciuta di vedere altri vergognaspren che precipitavano attorno a lei. Ancora vetro. Iniziò un disegno, dedicandocisi con tutta se stessa per non pensare alla recente figuraccia.
«Dunque…» riprese Elhokar nella stanza accanto. «Stavamo parlando della Guardia delle mura. Hanno obbedito agli ordini della regina?»
«Be’, quello è stato più o meno il momento in cui è apparso l’altomaresciallo. Nemmeno io l’ho mai visto. Non scende molto dalle mura. Ha ripristinato l’ordine, ed è un bene, ma la Guardia delle mura non ha i numeri per pattugliare la città e sorvegliare le mura… perciò si sono occupati di queste e ci hanno lasciati semplicemente a… sopravvivere qui dentro.»
«Chi governa ora?» chiese Kaladin.
«Nessuno» rispose Yokska. «Vari altinobili… be’, in pratica si sono appropriati di sezioni della città. Alcuni obiettavano che la monarchia era caduta, che il re – chiedo perdono, vostra maestà – li aveva abbandonati. Ma il vero potere in città è in mano al Culto dei Momenti.»
Shallan alzò gli occhi dal disegno.
«Le persone che abbiamo visto in strada?» domandò Adolin. «Vestite come spren?»
«Sì, vostra altezza» replicò Yokska. «Non… non so cosa dirvi. A volte gli spren hanno un aspetto strano in città e la gente pensa che ciò abbia a che fare con la regina, quella tempesta bizzarra, i parshi… Sono spaventati. Alcuni hanno cominciato ad affermare che intravedono l’avvento di un nuovo mondo, un mondo davvero strano. Governato dagli spren.
«La Chiesa vorin ha dichiarato il Culto dei Momenti un’eresia, ma parecchi ferventi erano nel palazzo quando è scesa l’oscurità. Molti di quelli rimasti hanno trovato asilo presso uno degli altinobili che hanno rivendicato piccole sezioni di Kholinar. Quelli sono sempre più isolati e governano i loro distretti da soli. E poi… poi ci sono i fabrial…»
Fabrial. Shallan si alzò di scatto e fece capolino nella stanza attigua. «Cos’è successo ai fabrial?»
«Se usi un fabrial» rispose Yokska «di qualunque tipo – da una distacanna, a un calorial, a un dolorial – li attiri. Spren gialli urlanti che cavalcano il vento come strisce di luce terribile. Urlano e ti vorticano attorno. E questo di solito attira le creature dal cielo, quelle con abiti larghi e lunghe lance. Afferrano il fabrial e a volte uccidono la persona che stava cercando di usarlo.»
“Tempeste…” pensò Shallan.
«Tu li hai visti?» chiese Kaladin. «Che aspetto avevano gli spren? Li hai uditi parlare?»
Shallan lanciò un’occhiata a Yokska, che era affondata ancora di più nella sedia. «Credo… che forse dovremmo concedere una pausa alla brava sarta» fece notare. «Ci siamo presentati alla sua porta dal nulla, le abbiamo rubato la camera da letto, e adesso continuiamo a interrogarla. Sono certa che il mondo non andrà in pezzi se le concediamo qualche minuto per bere il suo tè e riprendersi.»
La donna guardò Shallan con un’espressione di pura gratitudine.
«Tempeste!» esclamò Adolin balzando in piedi. «Hai ragione. Yokska, perdonaci, e grazie davvero per…»
«Non occorrono ringraziamenti, vostra altezza» disse lei. «Oh, avevo Passione che sarebbe giunto aiuto. Ed eccolo qua! Ma se compiace il re, un po’ di riposo… Sì, sarebbe molto apprezzato.»
Kaladin grugnì e annuì, ed Elhokar agitò una mano in un modo che non era proprio un congedo. Più… egocentrico. I tre uomini lasciarono Yokska a riposare e si unirono a Shallan nella stanza da esposizione, dove la luce del tramonto filtrava attraverso le tende sulle finestre anteriori. Di solito quelle sarebbero state aperte per mostrare le creazioni della sarta, ma senza dubbio di recente erano rimaste serrate per la maggior parte del tempo.
I quattro si radunarono per assimilare quello che avevano scoperto. «Ebbene?» chiese Elhokar, parlando una volta tanto in un tono sommesso e pensieroso.
«Voglio sapere cosa sta succedendo con la Guardia delle mura» disse Kaladin. «Il loro comandante… nessuno di voi ha mai sentito parlare di lui?»
«L’altomaresciallo Azure?» chiese Adolin. «No. Ma sono anni che manco. Devono esserci molti ufficiali in città che sono stati promossi mentre noialtri eravamo in guerra.»
«Azure potrebbe essere quello che sta nutrendo la città» ribatté Kaladin. «Qualcuno sta fornendo grano. La popolazione si sarebbe consumata fino a morire di fame senza qualche fonte di cibo.»
«Almeno abbiamo appreso qualcosa» intervenne Shallan. «Sappiamo perché i rapporti via distacanna si sono interrotti.»
«I Nichiliferi stanno cercando di isolare la città» aggiunse Elhokar. «Hanno sigillato il palazzo per impedire a chiunque di usare la Giuriporta, poi hanno interrotto le comunicazioni via distacanna. Ora stanno temporeggiando finché non riusciranno a costituire un esercito abbastanza numeroso.»
Shallan rabbrividì. Tenne sollevato il blocco, mostrando loro il disegno che aveva fatto. «C’è qualcosa di sbagliato negli spren qui in città.»
Gli uomini annuirono quando videro i suoi disegni, anche se solo Kaladin sembrò afferrare ciò che lei aveva fatto. Spostò lo sguardo dal disegno dei vergognaspren alla sua mano, poi la guardò sollevando un sopracciglio.
Lei scrollò le spalle. “Be’, ha funzionato, giusto?”
«Prudenza» disse il re piano. «Non dobbiamo semplicemente precipitarci lì e gettarci nell’oscurità che ha occupato il palazzo, ma nemmeno rimanere inattivi.»
Si erse più dritto. Shallan si era abituata a considerare Elhokar solo quale attore secondario, a causa di come Dalinar l’aveva trattato sempre più spesso. Ma in lui notava una sincera determinazione e… sì, perfino un portamento regale.
“Sì” pensò lei, prendendo un’altra Memoria di Elhokar. “Voi siete un re. E potete essere all’altezza dell’eredità di vostro padre.”
«Dobbiamo formulare un piano» affermò Elhokar. «Sarei lieto di sentire i tuoi saggi consigli su tutto questo, Corrivento. Come dovremmo affrontare la situazione?»
«In sincerità, non sono sicuro che dovremmo. Vostra maestà, sarebbe meglio prendere la prossima altempesta, tornare alla torre e fare rapporto a Dalinar. Non riesce a raggiungerci con le sue visioni qui e uno dei Disfatti potrebbe essere ben oltre i parametri della nostra missione.»
«Non abbiamo bisogno del permesso di Dalinar per agire» sottolineò Elhokar.
«Non intendevo…»
«E cosa farà mio zio, capitano? Dalinar non ne saprà più di noi. O facciamo qualcosa noi stessi per Kholinar adesso, oppure abbandoneremo la città, la Giuriporta e la mia famiglia al nemico.»
Shallan assentì e perfino Kaladin annuì lentamente.
«Dovremmo almeno ispezionare la città e capire meglio come stanno le cose» osservò Adolin.
«Sì» confermò Elhokar. «Un re ha bisogno di informazioni accurate per agire correttamente. Tessiluce, puoi assumere l’aspetto di una messaggera?»
«Certo» rispose Shallan. «Perché?»
«Mettiamo che io dettassi una lettera per Aesudan,» replicò il re «poi la chiudessi con il sigillo reale. Tu potresti recitare la parte della messaggera giunta personalmente dalle Pianure Infrante, che ha affrontato un viaggio pieno di avversità per raggiungere la regina e consegnare le mie parole. Potresti presentarti a palazzo e vedere la reazione delle guardie.»
«Questa… non è una cattiva idea» osservò Kaladin. Sembrava sorpreso.
«Potrebbe essere pericoloso» commentò Adolin. «Le guardie potrebbero portarla nel palazzo stesso.»
«Io sono l’unica qui che ha affrontato di persona uno dei Disfatti» aggiunse Shallan. «È probabile che riesca a individuare la loro influenza e ho le risorse per scappare. Sono d’accordo con sua maestà: prima o poi qualcuno deve entrare nel palazzo e vedere cosa sta succedendo lì. Prometto di ritirarmi rapidamente se le budella mi dicono che sta accadendo qualcosa.»
«Hmmm…» intervenne Schema in modo inaspettato dalle sue gonne. In genere preferiva rimanere in silenzio quando altri erano nelle vicinanze. «Io osserverò e avvertirò. Saremo cauti.»
«Vedete se riuscite a valutare lo stato della Giuriporta» disse il re. «La sua piattaforma fa parte del complesso del palazzo, ma ci sono anche altri modi per arrivarci che non passano per il palazzo stesso. La cosa migliore per la città potrebbe essere entrarci silenziosamente, attivarla e portare i rinforzi, poi decidere come salvare la mia famiglia. Ma effettuate solo una ricognizione, per ora.»
«E noi altri ce ne staremo qui senza fare nulla stanotte?» si lamentò Kaladin.
«Attendere e fidarsi di chi hai delegato è la base della regalità, Corrivento» rispose Elhokar. «Ma sospetto che luminosità Shallan non solleverebbe obiezioni alla tua compagnia, e preferirei avere qualcuno di guardia per aiutarla a uscire, in caso di emergenza.»
Non aveva del tutto ragione: lei avrebbe obiettato alla presenza di Kaladin. Veil non l’avrebbe voluto a guardarle le spalle, e Shallan non l’avrebbe voluto a fare domande su quella identità.
Comunque non riusciva a opporre nessuna obiezione ragionevole. «Voglio sentire che aria tira in città» disse guardando verso Kaladin. «Fate scrivere a Yokska la lettera del re, poi incontrati con me. Adolin, esiste un buon posto dove possiamo trovarci?»
«La grande scalinata per il complesso del palazzo, forse?» propose lui. «È impossibile non notarla e di fronte si apre una piccola piazza.»
«Eccellente» confermò Shallan. «Indosserò un cappello nero, Kaladin. Tu puoi indossare la tua faccia, suppongo, ora che abbiamo superato la Guardia delle mura. Ma quel marchio da schiavo…» Allungò una mano per creare un’illusione che glielo facesse svanire dalla fronte.
Lui le prese la mano. «Non ce n’è bisogno. Lo coprirò con i capelli.»
«Ma spunta» ribatté lei.
«Allora lasciatelo. In una città piena di profughi, a nessuno importerà.»
Lei alzò gli occhi al cielo ma non insistette. Probabilmente Kaladin aveva ragione. In quell’uniforme, sarebbe stato scambiato per uno schiavo comprato da qualcuno per essere messo nella guardia della casata. Anche se il marchio shash era strano.
Il re andò a preparare la lettera e Adolin e Kaladin rimasero nella stanza da esposizione a parlare della Guardia delle mura. Shallan si diresse su per le scale. La sua stanza era una piccola al secondo piano.
Dentro c’erano Rosso, Vathah e Ishnah, l’assistente spia, che chiacchieravano sommessamente.
«Quanto avete origliato?» chiese loro Shallan.
«Non molto» rispose Vathah, indicando col pollice dietro la spalla. «Eravamo troppo occupati a guardare Ishnah rovistare nella camera da letto della sarta per verificare se stava nascondendo qualcosa.»
«Ditemi che non avete messo tutto a soqquadro.»
«Niente soqquadro» assicurò Ishnah. «E nemmeno nulla da riferire. La donna potrebbe davvero essere tanto noiosa quanto sembra. I ragazzi però hanno imparato alcune ottime procedure di ricerca.»
Shallan superò il piccolo letto degli ospiti e guardò fuori dalla finestra, che offriva una visuale formidabile lungo una strada cittadina. Così tante case, così tante persone. La intimidiva.
Per fortuna, Veil non l’avrebbe vista a quel modo. C’era un unico problema.
“Non posso lavorare con questa squadra” pensò “senza che prima o poi facciano delle domande.” Quella missione di Kholinar avrebbe segnato un punto di svolta, dal momento che Veil non aveva volato con loro.
Era una situazione che aveva temuto. E… pregustato… in un certo senso? «Ho bisogno di dirglielo» sussurrò.
«Hmmm» commentò Schema. «È buono. Progresso.»
Shallan era stata messa all’angolo, piuttosto. Tuttavia, prima o poi andava fatto. Prese il suo zaino e tolse un cappotto bianco e un cappello, che piegò sul lato. «Un po’ di intimità, ragazzi» disse a Vathah e Rosso. «Veil deve vestirsi.»
Quelli spostarono lo sguardo dal cappotto a Shallan, poi di nuovo al cappotto. Rosso si diede una pacca sul lato della testa e rise. «State scherzando. Be’, mi sento un idiota.»
Shallan si era aspettata che Vathah si sentisse tradito. Invece lui annuì, come se tutto ciò avesse perfettamente senso. La salutò con un dito, poi i due uomini si ritirarono.
Ishnah si attardò. Shallan aveva deciso di portare Veil dopo qualche incertezza. Mraize l’aveva caldeggiata e, alla fine, la donna aveva bisogno di addestramento.
«Non sembri sorpresa di questo» osservò Shallan mentre cominciava a cambiarsi.
«Ho avuto dei sospetti quando Veil… quando tu mi hai detto di partecipare a questa missione» replicò lei. «Poi ho visto le illusioni e l’ho ipotizzato.» Fece una pausa. «Avevo creduto il contrario. Pensavo che luminosità Shallan fosse l’identità finta. Ma la spia… è quella l’identità falsa.»
«Sbagliato» ribatté Shallan. «Sono entrambe ugualmente false.» Una volta vestita, sfogliò il blocco da disegno e trovò uno schizzo di Lyn in uniforme da esploratrice. «Vai ad avvisare il luminobile Kaladin che sono già fuori a esplorare e che dovrebbe incontrarsi con me tra circa un’ora.»
Si arrampicò fuori della finestra e fece un salto di un piano fino a terra, confidando sulla Folgoluce per impedire alle gambe di spezzarsi. Poi si avviò lungo la strada.