24 UOMINI DI SANGUE E DOLORE

Non ho dubbi che voi siate più intelligenti di me. Io posso solo raccontare cos’è successo, cos’ho fatto, e poi lasciare che siate voi a trarre le conclusioni.

Da Giuramento, prefazione

Dalinar ricordò.

Si era chiamata Evi. Era stata alta e slanciata, con capelli giallo pallido: non davvero dorati come quelli degli Iriali, ma a modo loro affascinanti.

Era stata silenziosa. Timida, proprio come il fratello, sebbene fossero stati disposti a fuggire dalla loro patria in un atto di coraggio. Avevano portato la Stratopiastra e…

Tutto qui quello che era emerso nel corso degli ultimi giorni. Il resto era ancora annebbiato. Riusciva a ricordare di aver incontrato Evi, di averla corteggiata – in modo goffo, dato che sapevano entrambi che era un accordo dettato dalla necessità politica –; infine erano entrati in un fidanzamento combinato.

Dalinar non ricordava amore, ma attrazione.

I ricordi portavano con sé delle domande, come cremling che spuntavano dalle loro cavità dopo la pioggia. Lui le ignorò, in piedi a schiena dritta con una fila di guardie sul campo di fronte a Urithiru, sopportando un vento freddo da ovest. Su quell’ampio altopiano c’erano scorte di legna, dal momento che parte di quello spazio probabilmente sarebbe finito per diventare un deposito di legname.

Dietro di lui, l’estremità di una corda schioccava al vento, sbattendo più e più volte contro una pila di legna. Un paio di ventospren gli danzarono accanto con la forma di minuscole persone.

“Perché sto ricordando Evi ora?” si domandò Dalinar. “E perché ho recuperato solo i primi ricordi del nostro tempo assieme?”

Aveva sempre ricordato gli anni difficili dopo la morte di Evi, che erano culminati nel ritrovarsi ubriaco e inutile la notte in cui Szeth, l’Assassino in Bianco, aveva ucciso suo fratello. Aveva presunto di essere andato dalla Guardiana della Notte per sbarazzarsi del dolore per la perdita di Evi e che quello spren avesse preso gli altri suoi ricordi come pagamento. Non lo sapeva per certo, ma gli sembrava verosimile.

Si diceva che i patti con la Guardiana della Notte fossero permanenti. Che fossero maledizioni, perfino. Allora cosa gli stava succedendo?

Dalinar lanciò un’occhiata agli orologi sul bracciale assicurato all’avambraccio. Cinque minuti di ritardo. Tempeste! Indossava quell’affare solo da pochi giorni e stava già contando i minuti come una scrivana.

Il secondo dei due quadranti – che mostrava quanto mancava all’altempesta successiva – ancora non era partito. Era arrivata un’unica altempesta, per fortuna, che aveva portato Folgoluce per ricaricare le sfere. Sembrava passato così tanto tempo da quando ne avevano avuta a sufficienza.

Comunque ci sarebbe voluto fino alla prossima altempesta perché le scrivane potessero formulare ipotesi sullo schema attuale. E perfino allora rischiavano di sbagliarsi, dato che il Pianto era durato molto più a lungo del previsto. Secoli – millenni, perfino – di attente registrazioni ora potevano risultare obsoleti.

Un tempo, anche solo questo sarebbe stato una catastrofe. Minacciava di rovinare le stagioni della semina e provocare carestie, compromettere viaggi e spedizioni interrompendo il commercio. Purtroppo, di fronte alla Tempesta Infinita e ai Nichiliferi, era a malapena terzo sulla lista dei cataclismi.

Il vento freddo gli soffiò contro di nuovo. Davanti a loro, l’imponente altopiano di Urithiru era attorniato da dieci grandi piattaforme, ciascuna rialzata di circa dieci piedi, con scalini accanto a una rampa per i carri. Al centro di ciascuna c’era un piccolo edificio contenente il congegno che…

Con un lampo brillante, un’onda in espansione di Folgoluce si diffuse all’esterno dal centro della seconda piattaforma da sinistra. Quando la Luce svanì, Dalinar guidò gli uomini della scorta su per gli ampi gradini fino in cima. Attraversarono la piattaforma fino all’edificio al centro, da cui era uscito un gruppetto di persone che ora stavano guardando a bocca aperta Urithiru, circondate da stuporespren.

Dalinar sorrise. Lo spettacolo di una torre ampia quanto una città e alta quanto una piccola montagna… be’, non esisteva nulla di simile al mondo.

A capo dei nuovi arrivati c’era un uomo che indossava vesti color arancione bruciato. Attempato, con una faccia gentile e rasata, se ne stava con la testa inclinata all’indietro e la mascella abbassata mentre contemplava la città. Vicino a lui veniva una donna con i capelli argentei racchiusi in una crocchia. Adrotagia, la caposcrivana di Kharbranth.

Alcuni pensavano che fosse lei il vero potere dietro il trono; alcuni invece ipotizzavano che fosse l’altra che avevano lasciato a gestire Kharbranth durante l’assenza del suo re. Chiunque fosse, mantenevano Taravangian come un fantoccio, e Dalinar era lieto di lavorare per arrivare tramite lui a Jah Keved e Kharbranth. Quell’uomo era stato un amico di Gavilar: ciò per Dalinar era più che sufficiente. Ed era più che felice di avere almeno un altro monarca a Urithiru.

Taravangian sorrise a Dalinar, poi si umettò le labbra. Sembrava aver dimenticato quello che voleva dire e dovette lanciare un’occhiata alla donna accanto a lui in cerca di sostegno. Lei sussurrò e lui parlò a voce alta dopo quel promemoria.

«Spinanera» disse Taravangian. «È un onore incontrarvi di nuovo. È passato troppo tempo.»

«Vostra maestà» rispose Dalinar. «Grazie mille per aver risposto al mio invito.» Dalinar aveva incontrato Taravangian diverse volte nel corso degli anni precedenti. Ricordava un uomo dalla mente acuta e riflessiva.

Ora non c’era più. Taravangian era sempre stato umile e si era tenuto sulle sue, perciò molti non sapevano quanto era stato intelligente una volta, prima della sua strana malattia di cinque anni fa, che Navani era quasi certa nascondesse un colpo apoplettico che aveva danneggiato in maniera permanente le sue capacità mentali.

Adrotagia toccò il braccio di Taravangian e annuì in direzione di qualcuno che si trovava assieme alle guardie di Kharbranth: una donna occhichiari di mezz’età che indossava una gonna e una blusa, secondo uno stile meridionale, con i primi bottoni della blusa slacciati. Portava i capelli corti con un taglio da ragazzo e aveva guanti su entrambe le mani.

La strana donna allungò la mano destra sopra la testa e in essa comparve una Stratolama. Se la posò contro la spalla dal lato piatto.

«Ah, sì» disse Taravangian. «Presentazioni! Spinanera, questa è la più recente dei Cavalieri Radiosi. Malatha di Jah Keved.»

Ornamento di separazione

Re Taravangian aveva lo sguardo stralunato di un bambino mentre si trovavano sull’ascensore diretti alla cima della torre. Si sporse oltre il bordo tanto da indurre la sua grossa guardia del corpo thaylenica a posargli una mano attenta sulla spalla, per ogni evenienza.

«Così tanti piani» osservò Taravangian. «E questo balcone. Ditemi, luminobile. Cosa lo fa muovere?»

La sua sincerità giunse inaspettata. Dalinar aveva bazzicato così tanto i politici alethi che reputava la sincerità qualcosa di oscuro, come una lingua che non parlava più.

«Le mie ingegnere stanno ancora studiando gli ascensori» rispose Dalinar. «Credono che il movimento abbia qualcosa a che fare con fabrial congiunti, con ingranaggi per modulare la velocità.»

Taravangian sbatté le palpebre. «Oh. Intendevo… è Folgoluce? Oppure è qualcuno che tira da qualche parte? A Kharbranth avevamo i parshi ad azionare i nostri.»

«Folgoluce» disse Dalinar. «Abbiamo dovuto sostituire le gemme con altre infuse per farli funzionare.»

«Ah.» Scosse il capo sorridendo.

Ad Alethkar, quell’uomo non sarebbe mai stato in grado di mantenere il trono dopo un colpo apoplettico. Una famiglia senza scrupoli lo avrebbe rimosso assassinandolo. In altre famiglie, qualcuno lo avrebbe sfidato per il trono. Sarebbe stato costretto a lottare oppure ad abdicare.

Oppure… be’, qualcuno avrebbe potuto sottrargli il potere con la forza e agire come re in tutto tranne che nel nome. Dalinar sospirò piano, ma mantenne strettamente sotto controllo la propria colpa.

Taravangian non era Alethi. A Kharbranth – che non muoveva guerra – una figura di facciata mite e congeniale aveva più senso. Quella città era ritenuta senza pretese, inoffensiva. Era stato per un colpo di fortuna che Taravangian era stato incoronato anche sovrano di Jah Keved, uno dei regni più potenti di Roshar, dopo la guerra civile.

Di norma avrebbe avuto problemi a conservare quel trono, ma forse Dalinar poteva fornirgli un po’ di sostegno – o almeno di autorità – tramite un’alleanza. Di sicuro intendeva fare tutto il possibile.

«Vostra maestà» disse Dalinar avvicinandosi a Taravangian. «Quanto è ben sorvegliata Vedenar? Ho un gran numero di truppe con fin troppo tempo a disposizione. Potrei facilmente privarmi di un battaglione o due per aiutarvi a mantenere al sicuro la città. Non possiamo permetterci di lasciare che il nemico si impadronisca della Giuriporta.»

Taravangian lanciò un’occhiata a Adrotagia.

Rispose lei per il re. «La città è sicura, luminobile. Non dovete temere. I parshi hanno scagliato un’offensiva per conquistarla, ma ci sono ancora molte truppe veden disponibili. Abbiamo ricacciato indietro il nemico e quelli si sono ritirati verso est.»

“Verso Alethkar” pensò Dalinar.

Taravangian spostò di nuovo lo sguardo verso l’ampia colonna centrale, illuminata dalla grande finestra di vetro a est. «Ah, come vorrei che questo giorno non fosse arrivato.»

«Da come lo dite, sembra che l’avevate previsto, vostra maestà» osservò Dalinar.

Taravangian rise piano. «Voi non lo fate? Prevedere il dolore, intendo? Tristezza… perdita…»

«Io cerco di non avere aspettative affrettate in nessuna delle due direzioni» disse Dalinar. «È così che si comporta un soldato. Affrontare i problemi di oggi, poi dormire, e affrontare l’indomani i problemi del giorno.»

Taravangian annuì. «Ricordo quando, da bambino, ascoltai un fervente pregare l’Onnipotente per mio conto mentre lì vicino venivano bruciati dei sigilloglifi. Ricordo di aver pensato… senz’altro non possiamo esserci lasciati alle spalle i dolori. Senz’altro i mali non sono davvero terminati. Se lo fossero, non saremmo tornati nelle Sale della Tranquillità proprio ora?» Guardò verso Dalinar e, cosa sorprendente, nei suoi occhi grigio pallido erano spuntate delle lacrime. «Non penso che voi e io siamo destinati a un posto tanto grandioso. Gli uomini di sangue e dolore non ottengono una fine del genere, Dalinar Kholin.»

Dalinar si ritrovò senza una risposta. Adrotagia afferrò Taravangian all’avambraccio in un gesto rassicurante e il vecchio re si voltò, nascondendo quello sfogo emotivo. Ciò che era successo a Vedenar doveva averlo turbato in profondità: la morte del re precedente, il campo del massacro.

Continuarono in silenzio per il resto del tragitto e Dalinar colse l’opportunità per studiare la Vincolaflussi di Taravangian. Era stata lei a sbloccare e poi ad attivare la Giuriporta di Vedenar dall’altro lato, cosa che era riuscita a fare seguendo le attente istruzioni di Navani. Ora la donna, Malatha, era appoggiata pigramente contro il lato del balcone. Non aveva parlato molto durante il loro giro dei primi tre piani e, quando guardava Dalinar, sembrava sempre avere l’accenno di un sorriso sulle labbra.

Portava una gran quantità di sfere nella tasca della gonna: la luce brillava attraverso la stoffa. Forse era quello il motivo per cui sorrideva. Lui stesso si sentiva sollevato di avere della Luce sulle punte delle dita, e non solo perché significava che gli Animutanti degli Alethi potevano tornare al lavoro, usando i loro smeraldi per trasformare la roccia in grano e nutrire le persone affamate della torre.

Navani si incontrò con loro in cima, immacolata in un elaborato havah nero e argento, i capelli raccolti in una crocchia e infilzati da spilloni fatti per assomigliare a Stratolame. Salutò Taravangian con affetto, poi strinse le mani con Adrotagia. Dopo il saluto, Navani si fece indietro e lasciò che fosse Teshav a guidare Taravangian e il suo piccolo seguito in quella che avevano definito la Stanza dell’Iniziazione.

Navani stessa tirò Dalinar da una parte. «Ebbene?» sussurrò.

«È sincero come sempre» disse Dalinar piano. «Ma…»

«Ottuso?» chiese lei.

«Cara, io sono ottuso. Quest’uomo è diventato un idiota.»

«Tu non sei ottuso, Dalinar» disse lei. «Sei ruvido. Pratico.»

«Non mi faccio illusioni su quanto sia spesso il mio cranio, cuorgemma. Mi è tornato utile in più di un’occasione: meglio una testa dura che una rotta. Ma non so quanto possa essere utile Taravangian nel suo stato attuale.»

«Bah» disse Navani. «Siamo circondati da persone intelligenti più che a sufficienza, Dalinar. Taravangian è sempre stato un amico di Alethkar durante il regno di tuo fratello e una piccola malattia non dovrebbe cambiare il modo in cui lo trattiamo.»

«Hai ragione, naturalmente…» Si interruppe. «In lui ci sono una sincerità, Navani, e una melancolia che non ricordavo. È sempre stato così?»

«Sì, a dire il vero.» Navani controllò il proprio orologio da braccio, simile a quello di Dalinar, anche se con qualche altra gemma attaccata. Qualche tipo di nuovo fabrial con cui stava armeggiando.

«Nessuna notizia dal capitano Kaladin?»

Lei scosse il capo. Erano passati giorni dall’ultima volta che si era fatto vivo, ma probabilmente aveva esaurito i rubini infusi. Ora che le altempeste erano tornate, si aspettavano di ricevere aggiornamenti.

Nella stanza, Teshav indicò i vari pilastri, ciascuno che rappresentava un ordine di Cavalieri Radiosi. Dalinar e Navani attesero sulla soglia, separati dagli altri.

«E la Vincolaflussi?» sussurrò Navani.

«Un Liberatore. Fiammifero, anche se loro non amano quel termine. Afferma che gliel’abbia detto il suo spren.» Si sfregò il mento. «Non mi piace come sorride.»

«Se è davvero una Radiosa,» disse Navani «come potrebbe non essere affidabile? Gli spren sceglierebbero qualcuno che agirebbe contro i migliori interessi degli ordini?»

Un’altra domanda per cui lui non conosceva la risposta. Gli occorreva capire se poteva determinare se la sua Stratolama fosse davvero tale o se potesse essere un’altra Onorlama camuffata.

Il gruppo scese lungo una serie di gradini verso la sala delle riunioni, che occupava buona parte del penultimo piano e digradava verso quello sottostante. Dalinar e Navani li seguirono.

“Navani” pensò lui. “Sottobraccio a me.” Gli dava ancora una sensazione surreale, inebriante. Da sogno, come se si trattasse di una delle sue visioni. Riusciva a ricordare distintamente di averla desiderata. Di aver pensato a lei, affascinato dal modo in cui parlava, dalle cose che sapeva, dall’aspetto delle sue mani mentre disegnava oppure – tempeste – mentre faceva qualcosa di tanto semplice come portarsi un cucchiaio alle labbra. Ricordò di averla fissata.

Gli venne in mente un giorno preciso su un campo di battaglia, quando aveva quasi lasciato che la gelosia nei confronti del fratello lo spingesse troppo oltre… e fu sorpreso nel percepire Evi insinuarsi in quel quadro. La sua presenza diede colore al vecchio ricordo incrostato di quei giorni di guerra con Gavilar.

«I miei ricordi continuano a tornare» disse piano mentre si soffermavano sulla porta della sala delle riunioni. «Posso solo presumere che prima o poi recupererò tutto quanto.»

«Questo non dovrebbe poter succedere.»

«Pensavo la stessa cosa. Ma davvero, chi può dirlo? Corre voce che la Vecchia Magia sia imperscrutabile.»

«No» disse Navani incrociando le braccia e assumendo un’espressione severa in volto, come se fosse arrabbiata con un bimbo testardo. «In ciascun caso che ho esaminato, sia il dono che la maledizione sono durati fino alla morte.»

«Ciascun caso?» obiettò Dalinar. «Quanti ne hai trovati?»

«Circa trecento a questo punto» rispose Navani. «È stato difficile ottenere che i ricercatori al Palanaeum mi dedicassero del tempo; tutti quanti al mondo richiedono ricerche sui Nichiliferi. Per fortuna, l’imminente visita di sua maestà mi ha fatto ottenere una considerazione speciale e avevo un certo credito. Dicono che sia meglio frequentare quel posto di persona… almeno Jasnah lo ribadiva sempre…»

Prese un respiro, facendosi forza prima di continuare. «In ogni caso, Dalinar, la ricerca è inequivocabile. Non siamo riusciti a trovare un solo caso in cui gli effetti della Vecchia Magia si siano esauriti… e non perché la gente nel corso dei secoli non ci abbia provato. La tradizione su persone che si trovano a fare i conti con le loro maledizioni e cercano una cura per esse è praticamente un genere a sé. Come ha detto il mio ricercatore: “Le maledizioni della Vecchia Magia non sono come una sbornia, luminosità”.»

Alzò lo sguardo su Dalinar e dovette aver notato l’emozione sul suo volto, poiché inclinò la testa. «Cosa c’è?» chiese.

«Non ho mai avuto nessuno con cui condividere questo fardello» disse piano. «Grazie.»

«Non ho scoperto nulla.»

«Non ha importanza.»

«Almeno potresti confermare di nuovo con il Folgopadre che è assolutamente certo che non sia il suo legame con te quello che sta facendo tornare i ricordi?»

«Provvederò.»

Il Folgopadre tuonò. Perché vuole che io dica altro? Ho parlato, e gli spren non cambiano come gli uomini. Ciò non è opera mia. Non è il legame.

«Dice che non è lui» riferì Dalinar. «È… irritato con te per averlo chiesto di nuovo.»

Lei tenne le braccia incrociate. Era qualcosa che condivideva con sua figlia, una frustrazione caratteristica verso i problemi che non riusciva a risolvere. Come se fosse delusa con i fatti per non essersi disposti in modo migliore.

«Forse» disse lei «c’è stato qualcosa di diverso nel patto che hai stipulato. Se una volta riuscirai a raccontarmi la tua visita – con quanti più dettagli saprai ricordare – la paragonerò ad altri resoconti.»

Lui scosse il capo. «Non c’è stato granché. La Valle aveva parecchie piante. E… io ricordo… che chiesi che il dolore mi fosse portato via, e lei prese anche i ricordi. Credo…» Scrollò le spalle, poi notò Navani increspare le labbra e il suo sguardo farsi più penetrante. «Mi dispiace. Io…»

«Non sei tu» disse Navani. «È la Guardiana della Notte. Concederti un patto quando probabilmente eri troppo turbato per pensare a dovere, poi cancellare il tuo ricordo dei dettagli?»

«È uno spren. Non penso che possiamo aspettarci che giochi secondo – o addirittura che capisca – le nostre regole.» Voleva poterle dare di più, ma anche se fosse riuscito a far riaffiorare qualcosa, non era quello il momento. Dovevano prestare attenzione ai loro ospiti.

Teshav aveva finito di indicare gli strani pannelli di vetro sulle pareti interne che assomigliavano a finestre, solo oscurate. Si spostò verso la coppia di dischi sul pavimento e sul soffitto che assomigliavano a qualcosa come la cima e il fondo di un pilastro che fosse stato rimosso, una caratteristica di parecchie stanze che avevano esplorato.

Una volta terminato, Taravangian e Adrotagia tornarono nella parte superiore della stanza, vicino alle finestre. La nuova Radiosa, Malatha, oziava su un seggio vicino al sigillo dei Fiammiferi montato alla parete e lo fissava.

Dalinar e Navani salirono gli scalini per andarsi a mettere accanto a Taravangian.

«Mozzafiato, non è vero?» chiese Dalinar. «Un panorama ancora più stupefacente che dall’ascensore.»

«Travolgente» confermò Taravangian. «Così tanto spazio. Pensiamo… pensiamo di essere le cose più importanti su Roshar. Eppure così tanta parte di Roshar è priva di noi.»

Dalinar inclinò il capo. Sì… forse qualcosa del vecchio Taravangian era ancora lì da qualche parte.

«È qui dove volete che ci incontriamo?» chiese Adrotagia, indicando la stanza con un cenno del capo. «Quando avrete riunito tutti i monarchi, questa sarà la nostra camera di consiglio?»

«No» disse Dalinar. «Questa assomiglia troppo a un’aula. Non voglio che i monarchi abbiano l’impressione che qualcuno stia facendo loro la predica.»

«E… quando verranno?» chiese Taravangian speranzoso. «Non vedo l’ora di incontrare gli altri. Il re di Azir… non mi avevi detto che ce n’è uno nuovo, Adrotagia? Conosco la regina Fen: è molto gentile. Inviteremo gli Shin? Così misteriosi. Ce l’hanno un re? Non vivono in tribù o cose del genere? Come i barbari Marati?»

Adrotagia gli picchiettò il braccio con affetto, ma guardò verso Dalinar, evidentemente curiosa sugli altri monarchi.

Dalinar si schiarì la gola, ma fu Navani a parlare.

«Finora, vostra maestà,» disse «voi siete l’unico che ha dato ascolto al nostro avvertimento.»

Seguì il silenzio.

«Thaylenah?» chiese Adrotagia fiduciosa.

«Abbiamo scambiato comunicazioni in cinque occasioni distinte» disse Navani. «In ciascuna, la regina ha glissato sulle nostre richieste. Azir è stata ancora più ostinata.»

«Iri ci ha respinto quasi subito» aggiunse Dalinar con un sospiro. «Né Marabethia né Rira hanno voluto rispondere alla richiesta iniziale. Non c’è nessun vero governo nelle Isole Reshi o in alcuni degli Stati di mezzo. L’Antichissimo di Babatharnam è stato schivo e molti degli Stati makabaki lasciano intendere che stanno aspettando che Azir prenda una decisione. Gli Shin hanno inviato solo una rapida risposta per congratularsi con noi, qualunque cosa ciò significhi.»

«Persone odiose» esclamò Taravangian. «Che uccidono così tanti monarchi meritevoli!»

«Uhm, sì» disse Dalinar, a disagio con l’improvviso cambio di atteggiamento del re. «Ci siamo focalizzati principalmente sui luoghi con le Giuriporte per motivi strategici. Azir, Thaylen e Iri sembrano i più fondamentali. Comunque abbiamo fatto aperture a tutti coloro che vorranno ascoltarci, Giuriporta o no. Finora Nuova Natanan è stata elusiva e gli Herdaziani pensano che io stia cercando di ingannarli. Gli scrivani dei Tukari continuano ad affermare che porteranno le mie parole al loro re-dio.»

Navani si schiarì la gola. «In effetti abbiamo ricevuto una risposta da lui proprio poco fa. La pupilla di Teshav stava controllando le distacanne. Non è esattamente incoraggiante.»

«Gradirei sentirla comunque.»

Lei annuì e andò a prenderla da Teshav. Adrotagia gli rivolse un’occhiata interrogativa, ma Dalinar non li fece scortare fuori. Voleva che si sentissero parte di un’alleanza e forse avrebbero avuto delle idee che si sarebbero rivelate utili.

Navani tornò con un unico foglio di carta. Dalinar non riusciva a leggere quello che c’era scritto, ma le linee sembravano ampie e sproporzionate… imperiose.

«“Un avvertimento”» lesse Navani «“da Tezim il Grande, ultimo e primo uomo, Araldo degli Araldi e portatore del Giuripatto. Sia lode alla sua grandezza, alla sua immortalità e al suo potere. Sollevate le teste e ascoltate, uomini dell’Est, il proclama del vostro Dio.

«“Nessuno è Radioso tranne lui. La sua furia è infiammata dalle vostre patetiche affermazioni e la vostra illegale cattura della sua città sacra è un atto di ribellione, depravazione e malvagità. Aprite le vostre porte, uomini dell’Est, ai suoi giusti soldati e consegnategli le vostre spoglie.

«“Rinunciate alle vostre folli rivendicazioni e votatevi a lui. Il giudizio della tempesta finale è giunto per distruggere tutti gli uomini e solo il suo sentiero guiderà alla liberazione. Egli si degna di inviarvi quest’unico ordine e non lo ripeterà di nuovo. Perfino questo è molto più di quanto le vostre nature carnali si meritino.”»

Navani abbassò il foglio.

«Wow» disse Adrotagia. «Be’, almeno è chiaro.»

Taravangian si grattò la testa e corrugò la fronte, come se non fosse affatto d’accordo con quella dichiarazione.

«Suppongo» disse Dalinar «che possiamo depennare i Tukari dalla nostra lista di possibili alleati.»

«Preferirei avere gli Emuli comunque» disse Navani. «I loro soldati saranno pure meno esperti, ma sono anche… be’, non pazzi

«Perciò… siamo soli?» chiese Taravangian, spostando lo sguardo da Dalinar a Adrotagia, incerto.

«Siamo soli, vostra maestà» confermò Dalinar. «La fine del mondo è giunta e nessuno vuole comunque ascoltare.»

Taravangian annuì tra sé. «Dove attacchiamo per primo? Herdaz? I miei assistenti dicono che è il primo passo tradizionale per un’aggressione alethi, ma fanno anche notare che, se riusciste in qualche modo a occupare Thaylenah, controllereste completamente gli stretti e perfino gli abissi.»

Dalinar ascoltò quelle parole con disappunto. Era la supposizione più ovvia. Tanto evidente che perfino il sempliciotto Taravangian la vedeva. Cos’altro pensare di Alethkar che proponeva un’unione? Alethkar, i grandi conquistatori? Guidati dallo Spinanera, l’uomo che aveva unito il suo stesso regno con la spada?

Era il sospetto che aveva contaminato ogni conversazione con gli altri monarchi. “Tempeste” pensò Dalinar. “Taravangian non è venuto perché credeva nella mia grande alleanza. Ha supposto che, se non l’avesse fatto, io non avrei mandato i miei eserciti a Herdaz o a Thaylenah… li avrei mandati a Jah Keved. Da lui.”

«Noi non attaccheremo nessuno» disse Dalinar. «Il nostro obiettivo sono i Nichiliferi, il vero nemico. Convinceremo gli altri regni con la diplomazia.»

Taravangian si accigliò. «Ma…»

Adrotagia, però, lo toccò sul braccio e lo calmò. «Ma certo, luminobile» disse a Dalinar. «Noi comprendiamo.»

Credeva che lui stesse mentendo.

“Lo sto facendo?”

Cosa avrebbe fatto se nessuno avesse ascoltato? Come avrebbe salvato Roshar senza le Giuriporte? Senza risorse?

“Se il nostro piano per riconquistare Kholinar dovesse funzionare,” pensò “non avrebbe senso prendere gli altri portali allo stesso modo? Nessuno sarebbe in grado di combattere sia noi che i Nichiliferi. Potremmo occupare le loro capitali e costringerli – per il loro stesso bene – a collaborare al nostro sforzo militare unificato.”

Era stato disposto a conquistare Alethkar per il suo stesso bene. Era stato disposto a occupare il trono nei fatti, anche se non nel nome, nuovamente per il bene del suo popolo.

Fin dove si sarebbe spinto per il bene di tutta Roshar? Fin dove sarebbe arrivato per prepararli all’arrivo di quel nemico? Un campione con nove ombre.

“Unirò invece di dividere.”

Si ritrovò in piedi davanti a quella finestra accanto a Taravangian, a fissare le montagne, con i suoi ricordi di Evi che portavano con sé una prospettiva nuova e pericolosa.

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