34

Francesca non era abituata a bere alcolici. Al massimo si concedeva un bicchiere di vino quando cenava al ristorante. La infastidiva l’idea di non essere in grado di ragionare, di perdere la lucidità e di muoversi a fatica. Non le piaceva neanche il mal di testa e la bocca impastata che di solito si accompagnavano ai postumi di una sbronza.

Però la sera prima si era ubriacata. In casa aveva solo una vecchia bottiglia di tequila lasciata da Roland e Francesca si era accontentata dell’unico liquore disponibile per cercare di attutire il dolore provocato dall’aver tagliato i ponti sia con Jonah sia con Adriana.

Strizzò le palpebre per riparare dalla luce del sole gli occhi che le bruciavano. Era mattina, era ora di alzarsi e affrontare una nuova giornata. Ma la prospettiva era tutt’altro che allettante.

Considerato quanto detestava il sapore della tequila, si disse che sarebbe dovuta uscire, la sera prima, per andare a un supermercato aperto ventiquattr’ore e acquistare un altro liquore. Ora stava pagando un prezzo troppo alto per la propria pigrizia.

Stava pensando di restare a letto tutto il giorno quando sentì trillare il cellulare. Tenendosi la testa dolorante con una mano cercò a tentoni il telefonino sul comodino. Temeva che fosse Jonah; non era in condizione di parlare con lui. Invece vide sul display un numero che non riconobbe.

«Pronto?» rispose, incuriosita.

«Francesca? Sono Paris Vaughn.»

Francesca soffocò un gemito di dolore per il movimento brusco che aveva fatto.

«Sì? Cosa posso fare per lei?»

«La prego, diamoci del tu.»

«Certo, certo, dimmi, Paris.»

«Volevo solo avvertirti che Dean non è innocente come tu vorresti credere.»

«Perché?» Francesca era sempre più pentita di aver annegato nell’alcol i suoi dispiaceri. In quel momento avrebbe voluto essere più lucida.

«È stato lui a uccidere tutte quelle donne.»

Francesca si premette una mano su una tempia. «Ti riferisci ai resti trovati a Dead Mule Canyon? Come sai che è stato lui?»

«Ho le prove.»

Francesca balzò a sedere sul letto, ignorando la fitta acuta alla testa che le provocò quel movimento brusco. «Che genere di prove?»

«Te le faccio vedere. Possiamo incontrarci?»

«Sì, certo. Dove?»

«Vediamoci a metà strada.»

«Lungo l’interstatale dieci?»

«No, è troppo vicina al deposito. Dean potrebbe vederci se venisse a cercarmi.»

«Ma lui guida?».

«Sì, anche se non potrebbe. A volte prende l’auto dei miei genitori. Non voglio rischiare che mi veda e dica ai miei genitori che ho parlato con te. Loro l’hanno sempre protetto e si arrabbierebbero.»

«E allora dove?»

«Pensavo dalle parti di Wickenburg.»

«Va bene, anche se non conosco bene la zona. C’è un bar dove possiamo fermarci?»

«Non lo so di preciso, ti chiamo appena arrivo lì. Non portare con te il tizio con cui lavori. Dopotutto Dean è mio fratello, mi sento già abbastanza in colpa a tradirlo. Preferisco parlare solo con te.»

«Va bene.»

«Allora a presto.»

«Arrivo subito. Mi preparo ed esco. Aspetto una tua chiamata.»

Francesca chiuse la comunicazione, si trascinò in cucina dove si preparò un caffè forte e ingoiò un paio di antidolorifici. Dopo aver bevuto il caffè andò a fare la doccia, si vestì e, quando fu pronta, fu tentata di chiamare Jonah o Finch per informarli di quegli ultimi sviluppi. Però era riluttante a parlare con Jonah, dopo il modo in cui si era comportata con lui la sera prima.

Si rendeva conto che toccava a lei chiedere scusa. Inoltre temeva che Finch potesse intervenire rovinando il suo incontro con Paris. Avrebbe potuto dirlo a Hunsacker che di sicuro l’avrebbe riferito a Butch.

E non era escluso che il marito potesse tentare di fermare Paris.

Decise che avrebbe chiamato Finch soltanto dopo essersi accertata della natura di quelle famose prove, così avrebbe anche avuto il tempo di capire come rivolgersi a Jonah.

Infilati gli occhiali da sole, prese le chiavi e uscì, cercando di non pensare al martello che le percuoteva la testa dall’interno.

 

Dopo essersene andato da Chandler, la sera prima, Jonah era tornato al deposito e si era appostato a distanza di sicurezza per sorvegliare i Wheeler e Butch.

Nonostante quello che gli aveva detto Francesca, lui l’amava e voleva proteggerla, per cui intendeva tenere d’occhio Butch e Dean, che era uscito di prigione, per assicurarsi che non potessero minacciarla.

Aveva dormito in macchina e aveva visto solo Paris che era uscita e si era allontanata con la sua Impala. Sorvegliando il cortile con il binocolo, Jonah ora vide Butch che entrava e usciva di casa come un pazzo.

Sembrava agitatissimo. Che cosa era accaduto perché fosse così fuori di sé?

Jonah mise a fuoco il binocolo e, a distanza più ravvicinata, si rese conto che Butch appariva davvero sconvolto. Notò che stava tentando di telefonare a qualcuno ed era sempre più nervoso, ogni volta che incollava il cellulare all’orecchio e non otteneva risposta dal suo interlocutore.

Alla fine Butch salì sul pickup e andò via. Jonah era indeciso sé seguirlo oppure approfittare della sua assenza per parlare con Dean o Elaine.

Alla fine decise di tentare di ottenere qualche informazione dai Wheeler.

Appena Butch fu lontano, si avvicinò al deposito e andò a bussare alla porta di casa.

Venne ad aprire Dean che lo accolse con un sorriso cordiale, come se fossero vecchi amici.

«Ehi, che succede? Come mai da queste parti?» gli chiese.

«Veramente sono io a voler sapere che cosa succede» replicò Jonah. «Cos’ha Butch stamattina? L’ho visto letteralmente fuori di sé.»

«Forse è arrabbiato con Paris perché non sa dov’è andata» sbuffò Dean scrollando le spalle. «L’ho sentito chiamare Kelly, la sua amante, per avvertirla che Paris potrebbe essere diretta da lei. Le ha detto di non aprire la porta per niente al mondo e di chiamarlo immediatamente se Paris provasse a farle del male.»

«Addirittura! Tu credi veramente che tua sorella sia così aggressiva?»

«Chi può biasimarla? È stufa marcia dei tradimenti di Butch.»

«È al corrente di tutte le donne con cui Butch ha avuto delle scappatelle?»

«Sì, una volta cercavo nella borsetta di mia sorella le chiavi della sua macchina per... prenderla in prestito e ho visto un elenco di nomi. Credo che fossero tutte le donne con cui Butch era stato perché tra i nomi c’erano quelli di Kelly e di Wanda, la massaggiatrice che frequentavo anch’io, oltre a Butch. Mio cognato andava da lei in continuazione. Paris deve averlo scoperto perché il pickup era parcheggiato sempre davanti a casa sua.»

«Ti riferisci a Wanda Erikson?»

«Sì, ma adesso non esercita più. Dev’essere tornata in Nevada.»

Jonah sapeva che non era così; Leslie Price l’aveva chiamato la sera prima per informarlo che aveva identificato altri resti e una delle vittime era proprio Wanda Erikson.

Insospettito, si fece dare da Dean il numero di cellulare di Butch assicurandogli che voleva solo evitare che ci fossero problemi tra Butch e Paris.

Dean lo accontentò e gli diede il numero che Jonah memorizzò in rubrica, poi lo salutò.

Mentre risaliva in macchina e si allontanava, Jonah era sempre più perplesso. Le parole di Dean gli risuonavano in testa insieme alle osservazioni della profiler riguardo alle possibili caratteristiche dell’omicida e alle sue motivazioni.

E se non fosse stato un uomo ma una donna?

Paris aveva il movente. Chi più di una donna tradita odia le amanti di suo marito?

Forse Julia non era stata uccisa accidentalmente...

Avevano sempre avuto ragione a collegare gli omicidi al deposito, ma avevano trascurato gli indizi che puntavano contro Paris. Forse l’aveva capito anche Butch, considerato che aveva telefonato a Kelly per metterla in guardia.

Jonah compose subito il numero di Finch. Doveva trovare Paris prima che facesse un’altra vittima.

 

Paris rallentò e fece inversione di marcia. Aveva scelto bene; Wickenburg era un posto perfetto. C’era un punto isolato lungo la strada, che per fortuna era poco trafficata. Da lì era facile arrivare al deserto. Bastava addentrarsi sul terreno brullo dopo aver abbandonato la carreggiata.

Paris parcheggiò sul bordo della strada, aprì il bagagliaio e tirò fuori un martello e un lungo chiodo di ferro. Sperò che bastasse per forare la gomma. Non aveva avuto il tempo di cercarne altri per prepararsi al suo incontro con Francesca.

Fece scoppiare lo pneumatico per poter avere una scusa per aspettare Francesca in quel luogo isolato invece che in un posto pubblico e poter salire sull’auto con lei. Intanto il cellulare non smetteva mai di suonare. Paris sapeva che era Butch.

L’aveva chiamata almeno cento volte; doveva essersi accorto che era andata via di nascosto.

Gli avrebbe telefonato quando quella faccenda fosse finita e Francesca avesse avuto quello che meritava. Paris sperava solo che non fosse troppo difficile sbarazzarsi di lei. Dopotutto non aveva mai avuto problemi... l’unica che l’aveva fatta faticare era stata Sherrilyn, ma ormai anche lei era finita a marcire a Dead Mule Canyon.

Anche se Francesca non era andata a letto con Butch, meritava lo stesso trattamento. Paris la odiava quanto aveva odiato le amanti di suo marito.

Dopo averla chiamata, si sedette in macchina e aspettò che la raggiungesse.

 

Quando arrivò a Wickenburg, Francesca si accorse con piacere che il mal di testa era un po’ diminuito. Non vedeva l’ora di capire quali prove potesse avere Paris. Malgrado i disegni macabri di Dean e i suoi disturbi mentali, Francesca era ancora riluttante a credere che fosse lui il colpevole.

Paris l’aveva chiamata per dirle che aveva forato sulla statale poco fuori Wickenburg, a circa un quarto d’ora di auto dalla città, e non sapeva come cambiare la gomma. Francesca le aveva detto che sarebbe passata a prenderla.

Non le fu difficile seguire le sue indicazioni. Pochi minuti dopo vide Paris sul bordo della carreggiata, in un punto isolato, veramente in mezzo al nulla. Agitava le braccia per attirare la sua attenzione.

Francesca mise la freccia anche se non passava anima viva e accostò.

 

Paris esultò quando vide la BMW di Francesca. Aveva a portata di mano il Taser, il dissuasore elettrico che Butch le aveva dato per la sua sicurezza personale. Aveva anche le manette in borsa e la mazza da baseball sul sedile posteriore. Il grosso sacco di plastica nera era nel bagagliaio. L’avrebbe recuperato dopo aver ucciso Francesca per infilarci il cadavere.

Con quel caldo, sarebbe bastato liberarsene nel deserto perché il corpo si decomponesse in un paio di giorni al massimo. Ci sarebbero volute settimane, forse dei mesi, prima che qualcuno trovasse i resti di quell’odiosa ficcanaso.

Francesca parcheggiò dietro l’Impala e Paris atteggiò il volto a un’espressione cordiale.

«Grazie per essere venuta fin qui» le disse appena Francesca fu scesa dall’auto e si fu avvicinata. «Che fortuna aver bucato, eh?»

Francesca la guardò con diffidenza. «Non preoccuparti, ti aiuto io a cambiare la ruota. Ma prima dimmi quale prova hai portato.»

«Vieni a vedere. È sul sedile posteriore della mia auto» rispose Paris, con aria tranquilla, per indurla a fidarsi di lei.

«Che cos’è?» insistette Francesca.

«È una mazza da baseball» le spiegò Paris. «Mi sembra che ci siano delle tracce di sangue negli interstizi del legno e c’è anche un capello appiccicato.»

Questo era vero, pensò Paris. Solo che non era stato Dean a usare la mazza...

«Davvero?» esclamò Francesca.

Paris notò che non era più sospettosa, ma curiosa, perché sperava di essere lei a risolvere il caso del serial killer di Dead Mule Canyon.

«Vieni» insistette Paris, guidandola verso l’Impala.

«Dove l’hai trovata? Perché è sfuggita alla perquisizione?» le chiese Francesca.

Paris aveva pensato anche a questo per giustificare il ritrovamento della mazza, che in realtà era sempre stata al sicuro chiusa a chiave nel suo bagagliaio. Nessuno ci aveva guardato perché lei non era in casa durante la perquisizione, per fortuna.

«Ieri l’allenatore di baseball di Champ mi ha chiamato per dirmi che mio figlio aveva lasciato il borsone con la mazza nel suo armadietto. Mi è parso strano, perché la mazza di Champ era a casa. Sono andata a prenderlo e ho visto che era quella di Dean. L’ho riconosciuta perché c’è il suo nome inciso sul manico. Ora ti faccio vedere. Deve averla nascosta nel borsone di Champ un giorno che l’ha accompagnato all’allenamento insieme a me» spiegò.

Paris aprì lo sportello posteriore e Francesca si piegò all’interno della vettura per guardare più da vicino la mazza incriminata.

«È vero, è un capello! E di sicuro quelle striature sono di sangue» esclamò eccitata.

«Te l’avevo detto» sogghignò Paris, soddisfatta.

Poi mise la mano nella borsa.