14

Jonah guardava Francesca mentre toglieva il filo collegato al microfono da sotto la camicetta e lo metteva sul lungo tavolo in sala riunioni.

«Allora, che cosa deduci da quello che hai sentito?» gli chiese.

Finch era seduto accanto a lei, vicino alla lavagna. Hunsacker era di fronte a Francesca e Jonah si era messo di proposito nel posto più lontano. Ora che Francesca non era più in pericolo poteva rilassarsi, ma questo rappresentava un problema perché non poteva fare a meno di ripensare alla sensazione che aveva provato quando aveva sistemato il filo addosso a Francesca. Considerata la gravità della situazione non avrebbe dovuto assecondare l’istinto, e per questo era irritato con se stesso. Per essere efficiente e professionale avrebbe dovuto ignorare l’attrazione che provava per Francesca.

E allora perché il suo corpo non riusciva a smettere di desiderare ciò che la ragione gli diceva che non avrebbe mai potuto avere?

«Il cognato di Vaughn sa qualcosa» sentenziò Finch.

«Sì, ho avuto anch’io la stessa impressione» annuì Francesca. «Però secondo me ha paura.»

«Se Butch Vaughn fosse veramente un assassino, Dean Wheeler avrebbe ragione a essere spaventato.»

«Ehi, aspettate un attimo» intervenne Hunsacker, che fino a quel momento era rimasto in silenzio. «Non possiamo balzare a conclusioni affrettate. Dean potrà anche sembrare ansioso, ma ha già ammesso di non avere tutte le rotelle a posto e di non riuscire a ragionare senza prendere dei farmaci.» Si voltò verso Finch e aggiunse: «L’hai visto quando siamo andati al deposito. Era imbambolato, praticamente uno zombie. Uno così potrebbe immaginare qualsiasi cosa e spacciarla per vera. Finché non avremo in mano delle prove concrete, non credo che dovremo concentrare tutti i nostri sospetti su Butch Vaughn. Non è escluso che abbia veramente lasciato April Bonner in strada».

«Io non ci credo» dichiarò Francesca, categorica.

«Perché lei è convinta sin dall’inizio che sia un assassino, signorina Moretti» replicò Hunsacker. «Io dico solo che non dovremmo escludere la possibilità che sia stato qualcun altro» insistette.

Jonah evitò di guardare Francesca per timore che i suoi occhi tradissero il suo conflitto interiore tra il desiderio che provava per lei e il bisogno di distacco. Fissando Finch, osservò: «Prima di fare qualsiasi passo, dobbiamo parlare con lo psicologo che ha in cura Dean Wheeler, se ne ha uno, o comunque con il medico che lo segue e gli prescrive i farmaci, per scoprire di quale disturbo soffre e cosa prende».

«Vorrei anche interrogare i camerieri del Rio Grande per verificare se Butch e April siano effettivamente andati lì a cena sabato sera» aggiunse Finch. «Forse nella zona c’è qualcuno che ha visto April o sa qualcosa che possa confermare o smentire la versione di Vaughn.»

«I segreti di quell’uomo non si limitano ad April Bonner» asserì Francesca in tono sicuro. «Ha molte più cose da nascondere.»

Hunsacker la guardò accigliato.

«A quale proposito?»

«Avreste dovuto vedere la sua espressione quando ho fatto il nome di Bianca Andersen.»

Jonah posò lo sguardo su di lei, sforzandosi di restare impassibile. «L’ha riconosciuto?»

«Secondo me sì. Appena ho insistito, mi ha chiesto immediatamente di andarmene, con un tono secco che nascondeva l’agitazione.»

«Io credo che stia dando troppa importanza a un generico scambio di battute» obiettò Hunsacker, scettico.

«Risentiamo la registrazione» lo sfidò Francesca.

Finch mandò indietro la traccia del colloquio tra Vaughn e Francesca, che aveva caricato sul computer, e trovò il pezzo in questione.

Lo fece riascoltare.

«Non sentite quanto era teso?» esclamò Francesca appena Finch ebbe cliccato sul pulsante Stop. «E poi si è rifiutato di parlare di lei. Se davvero non l’aveva mai sentita nominare, avrebbe voluto sapere per quale motivo gli avevo chiesto se la conosceva e quale collegamento pensavo che avesse con lei.»

«Non necessariamente» intervenne Hunsacker. «Forse ha preferito troncare il discorso perché aveva paura che lo trascinasse ancora di più in una questione che vuole evitare. Di sicuro ha capito che lei non è sua amica. È chiaro a tutti, mi creda.»

«Mi piacerebbe sapere quanto sarebbe suo amico lei, se lo vedesse davanti alla sua auto con in mano una mazza da baseball, pronto a spaccarle il finestrino» obiettò Francesca, aggressiva.

Il cipiglio di Hunsacker divenne ancora più profondo. «Ha già spiegato perché l’ha fatto.»

«E io ho spiegato perché secondo me ha reagito in quel modo quando ho accennato alla Andersen. Aveva paura perché sa che per lui sarebbe un problema essere collegato a un’altra donna uccisa.»

«Anche un innocente non vorrebbe essere collegato con una donna uccisa» obiettò Hunsacker. «Nessuno vuole essere accusato ingiustamente. E poi non contano gli sguardi e il tono di voce, ma le prove concrete. Non possiamo arrestare una persona solo basandoci sul suo istinto.»

Jonah intervenne, sperando di deviare il discorso verso altri argomenti prima che sfociasse nell’ennesima discussione. «Non infierisca su di lei. Francesca non dice che quello che ha visto è una prova, ci sta solo riferendo la sua impressione perché lei era lì e noi no. E poi spesso nelle indagini bisogna basarci sull’istinto, lo sa bene anche lei.»

«Perché non smette di difenderla? Io ragiono con la mia testa e lei non è il mio capo, ma solo un consulente» sbottò Hunsacker, contrariato. «Perciò faccia il suo lavoro e mi lasci fare il mio.»

«Il mio ruolo è di mettere a disposizione la mia esperienza per risolvere il caso degli omicidi nel modo più rapido possibile. Se non le sta bene, ne parli con il suo capo, però faccia attenzione perché gli parlerò anch’io. Farò in modo che qualcuno venga rimosso da questo caso, e non sarò certo io» replicò Jonah, con durezza. Si chinò verso Hunsacker e aggiunse: «In altre parole, per il suo bene le consiglio di dimenticare la sua ostilità nei confronti della signorina Moretti».

Finch decise d’intervenire per calmare la situazione. «Dai, Hugh, so che sei sotto pressione come tutti noi, ma litigare non serve a niente.»

Hunsacker guardò in cagnesco Jonah, poi si rivolse al collega. «Voglio solo che sia chiaro che qui siamo tutti importanti quanto lui» asserì in tono aspro. «Non siamo pagati con dei bei soldoni perché non siamo consulenti che vengono dalla California. Siamo gente del posto e conosciamo le persone di qui e il loro modo di pensare.»

«E con ciò?» sbottò Jonah, esasperato dal tentativo di Hunsacker di mettere i bastoni fra le ruote a lui e a Francesca.

«Conosco Butch Vaughn, va bene?» ammise infine l’ispettore.

Ci fu un lungo silenzio, che fu Finch a spezzare. «Come hai detto?»

Hunsacker fece un lungo sospiro. «Frequenta la mia stessa chiesa.»

«E come mai ha pensato di dircelo solo ora?» esclamò Jonah.

«Non volevo che pensaste che ero influenzato dal fatto che io e Butch siamo conoscenti e che questo avrebbe potuto ripercuotersi sulle indagini, perché non è così. Sto solo cercando di farvi capire che Butch è innocente fino a prova contraria e che finora di prove della sua colpevolezza non ne abbiamo.»

«Stiamo solo indagando su di lui, Hugh» gli ricordò Finch con delicatezza.

«Voglio dire che, conoscendolo, so che ha anche dei lati positivi. Quando Peggy ha perso il lavoro al supermercato l’anno scorso, abbiamo avuto problemi economici e delle difficoltà a pagare le rate del mutuo. Stavamo per perdere la casa, ma alcuni dei fedeli della chiesa che frequento hanno organizzato una colletta e Butch ci ha dato mille dollari, più di chiunque altro... Questo la dice lunga sulla sua generosità» rivelò Hunsacker.

«Non è detto che un assassino non possa essere generoso» obiettò Francesca. «Oppure è stato solamente calcolatore, e ha pensato che gli avrebbe fatto comodo aiutare un poliziotto in difficoltà. Insomma è stato come fare un piccolo investimento...» insinuò.

«Se così fosse, avrebbe tentato di farmi pesare il favore che mi ha fatto o chiedermi qualcosa in cambio, invece ha continuato a trattarmi come prima» obiettò Hunsacker.

«Però ha ammesso lui stesso di non essere un santo» insistette Francesca.

Hunsacker scosse la testa. «Sì, magari non è un marito fedele e non si comporta con molta sensibilità nei confronti del cognato che ha problemi mentali, ma potrebbe avere delle giustificazioni che noi ignoriamo. Magari sua moglie è frigida e si nega a lui. Magari il cognato è insopportabile e Butch non può mandarlo a vivere altrove. Chi può dirlo? Quello che so è che prima di credere che sia un assassino voglio delle prove. D’altronde non è una mia pretesa, qualsiasi giuria vuole delle prove inconfutabili prima di condannare un uomo per omicidio.»

«Non stiamo tentando d’incriminarlo senza prove» obiettò Jonah.

«Me ne rendo conto. Vi chiedo solo di restare imparziali e di non dimenticare che in fondo anche lui è capace di essere una brava persona. Forse per accanirci su Butch stiamo trascurando qualcun altro.»

«Come Dean?» gli chiese Francesca.

«Esattamente. Se avesse seguito Butch, avrebbe potuto caricare in macchina April dopo che lui era andato via» osservò Hunsacker.

«Non può guidare se è sotto psicofarmaci» gli fece notare Finch.

«Non potrebbe guidare, ma non è detto che non lo faccia. L’ho visto in giro da solo diverse volte» precisò Hunsacker.

«Il problema è se abbia la presenza di spirito di organizzare degli omicidi così complessi e nascondere le proprie tracce» osservò Jonah. «Penso che sia chiaro che il colpevole è dannatamente bravo a non farsi beccare. Guardate da quanto tempo la fa franca. Alcuni resti umani che abbiamo trovato a Dead Mule Canyon sono lì da cinque anni. Non essere scoperto per così tanto tempo non mi sembra fattibile se l’omicida fosse affetto da un disturbo mentale. Di solito i pazzi che uccidono agiscono d’impulso e non riescono a coprire le proprie tracce, sempre che siano in grado di farlo.»

«Magari la sua fortuna non è tanto dovuta alla sua abilità quanto al fatto che nessuno lo sospetta perché tutti pensano che sia mentalmente incapace» replicò Hunsacker.

Jonah annuì. «È possibile.»

Lanciò un’occhiata a Francesca che scrollò le spalle e puntualizzò: «Che sia stato Butch o Dean per me non fa alcuna differenza. Entrambi hanno il mio indirizzo, e anche il recapito di tutti i miei parenti e amici».

 

Adriana sbirciò fuori tenendo appena socchiusa la porta. Davanti a lei, sulla soglia, c’era un uomo di corporatura esile, con il viso ovale e il mento a punta, reso ancora più evidente dal pizzetto. Era biondo e aveva grandi occhi azzurri dall’aria innocente. Non poteva avere più di venticinque anni e sembrava assolutamente innocuo.

«Scusi, come ha detto che si chiama?»

«Dean Wheeler.»

Adriana lo riconobbe come l’uomo che le aveva telefonato perché cercava di rintracciare Francesca. La sua amica le aveva detto che era collegato al caso su cui stava indagando, e questo la rese più circospetta. Strinse forte la maniglia per essere pronta a sbattergli la porta in faccia, se necessario, e fu contenta di essere stata tanto prudente da lasciare la catenella agganciata.

I bambini stavano facendo il riposino pomeridiano, per fortuna. Altrimenti, se fossero stati in giro per casa o addirittura a giocare in giardino, sarebbe stato più difficile proteggerli.

«Il cognato di Butch Vaughn?»

«Sì» sorrise lui. «Conosce Butch?»

«Me ne ha parlato Francesca.»

Il sorriso di Dean si spense. «Cosa le ha detto?»

«Ben poco, veramente.»

«Non vanno molto d’accordo.»

Adriana sospirò e annuì. «Sì, me l’ha riferito.»

«E le ha anche riferito che è convinta che lui sia un assassino?»

Adriana esitò. Non sapeva come rispondere. «E lo è?» tentò di scherzare.

«Oh, no! Mio cognato ha un aspetto minaccioso, ma non è quello che crede Francesca.»

«Spero che lei abbia ragione, signor Wheeler.»

«Francesca le ha parlato anche di me, immagino.»

«Mi ha detto che lei aveva la sua borsa, ma questo me l’aveva accennato anche lei al telefono» gli ricordò Adriana.

«Gliel’ho ridata» confermò lui compiaciuto.

«È stato gentile.»

«Io sono sempre gentile. Dove sono i bambini?»

Il cuore di Adriana cominciò a battere più forte. «Non ci sono.»

«Sono con suo marito?»

«Sì, ma stanno per tornare.»

«Sono proprio due bei maschietti, sa?»

«Mi scusi, ma... Non capisco cosa sia venuto a fare. E come fa a sapere che ho due maschi?»

«Perché ho visto la vostra foto» disse Dean, tirando fuori dalla tasca un piccolo album tascabile di plastica. Lo sfogliò e le fece vedere la foto di lei con la sua famiglia, una foto che aveva dato a Francesca. «Proprio una bella famigliola.»

«Grazie.»

«Sono venuto a riportarle queste foto. Sono di Francesca. Devono essere cadute dalla borsa.»

Adriana era sempre più sospettosa. Quali altre cose erano cadute dalla borsa?, pensò. Dean Wheeler le avrebbe riportate a una a una per avere il pretesto di curiosare nella vita altrui?

«Grazie» disse, sostenuta. «Me le lasci, penserò io a restituirle a Francesca.»

Dean gliele passò attraverso la fessura della porta socchiusa. «Le dica che sono passato anche a casa sua ma non mi ha risposto nessuno quando ho suonato. Per fortuna non abita lontano da lei.»

Quella spiegazione non la convinceva. Se era andato da Francesca, perché non le aveva lasciato le foto nella cassetta della posta? «Glielo dirò. E ora mi scusi ma devo andare o si brucerà la cena. Stavo cucinando» mormorò Adriana, sempre più sulle spine.

«Certo, non si preoccupi. Però le dispiacerebbe darmi un bicchier d’acqua prima che vada? Oggi pomeriggio è proprio caldo e ho parecchia strada da fare.»

Ad Adriana batteva forte il cuore per l’agitazione. Per dargli l’acqua avrebbe dovuto farlo entrare o togliere la catenella perché il bicchiere non passava nell’apertura, e non aveva alcuna voglia di farlo. Non voleva dare a quello strano tipo un pretesto per entrare in casa.

«Mi scusi, ma proprio non posso.»

Lui la guardò stupito. «Perché?»

Prima che Adriana potesse rispondere, si udì la voce di Tyler alle sue spalle. «Chi è, mammina?»

L’espressione di Dean Wheeler si fece dura e le fece capire che non gli era piaciuto scoprire che lei gli aveva mentito. Celato da un’espressione serena le parve di vedere uno sguardo astuto e malvagio, mentre la scrutava intensamente, come se volesse capire cosa stesse pensando.

«Devo andare» borbottò prima di chiudere la porta.

Afferrò Tyler per farlo stare buono e sperò che Dean se ne andasse, che non cercasse un modo per entrare in casa. Era agitata e l’espressione di Dean l’aveva turbata moltissimo.

«Che succede, mamma?» le chiese Tyler, impaurito.

«Niente, tesoro. Però fai il bravo e vieni con me.»

Lo prese per mano e si diresse verso la cucina perché voleva guardare dalla finestra che Dean Wheeler se ne fosse andato. Non vi arrivò mai, perché il grido di Levi la fece correre verso la camera dei bambini.