23
Le mutandine erano sparite.
Butch frugò nel suo ufficio, seguì la direzione dei movimenti di Paris da lì alla casa, tornò persino a guardare nel vano portaoggetti del cruscotto dove sua moglie aveva detto di averle trovate... ma niente. Gli slip si erano volatilizzati.
Dove li aveva messi Paris? Butch non ne aveva idea, non conosceva i nascondigli di sua moglie, ma sperava che fossero in un posto sicuro.
«Papi, dove vai?»
Mentre si dirigeva verso casa, Butch vide suo figlio e si sforzò di sorridergli anche se non aveva alcun motivo per essere allegro. Era stata una mattinata terribile. Prima c’era stata, di buon’ora, l’invasione della troupe televisiva per registrare l’intervista per il primo notiziario del mattino, poi aveva dovuto seppellire Demon, con la morte nel cuore. Aveva voluto bene al cane più che a tutte le persone con cui aveva a che fare, tranne suo figlio.
«Sto cercando una cosa che ho perso, tesoro» gli disse con dolcezza.
«Ah.» Il bambino riabbassò lo sguardo sulle macchinine che faceva correre lungo una pista improvvisata, tracciata nel terriccio del piazzale.
Butch passò oltre, poi si fermò e tornò indietro. Il bambino giocava sempre all’aperto e girava per il deposito. Era solito prendere questo o quell’oggetto per costruire delle ambientazioni per le sue corse di automobiline giocattolo. Forse aveva visto qualcosa.
«Ascolta, Champ, la mamma ha perso un paio di mutandine. Le hai viste?»
Il bimbo arricciò il naso. «Mutande?»
«Sì, un paio di slip da donna. Li ha fatti cadere mentre faceva il bucato e io li sto cercando. Li hai visti, per caso?»
«No.» Il bambino imitò il rombo di un motore mentre faceva salire un’auto su una collinetta creata da lui a terra.
«Sei sicuro?»
«Eh? Come, papà?» Champ sollevò di nuovo lo sguardo su di lui.
«No, non fa niente.»
Butch scosse la testa. Champ non avrebbe mai notato della biancheria intima femminile perché era un bimbo normale, pensò. Invece, quando le sue perversioni avevano fatto la loro comparsa, lui non era molto più grande dell’età che Champ aveva ora. Già da bambino aveva un’ossessione anormale per le donne e i loro indumenti. Ricordava che era solito rubare slip e reggiseno della madre per stringerli tra le mani e palparli dopo essersi nascosto sotto il letto. Per fortuna Champ non era come suo padre; era un bambino sereno e solare. Butch era grato al cielo per quel miracolo e sperava di aver fatto almeno qualcosa di buono nella sua esistenza dandogli la vita.
Gli arruffò i capelli con fare affettuoso, poi entrò in casa lasciando sbattere la porta alle spalle.
«Paris?»
«Sì?» Sua moglie si affacciò subito sulla porta della cucina. «Hai visto Champ?» gli domandò senza dargli il tempo di chiederle quello che voleva da lei.
«Sì, è qui davanti che gioca.»
«Non mi piace che vada in giro per il deposito senza controllo» brontolò Paris.
«E allora sorveglialo.»
«Ci provo, ma se vuoi vedere la casa pulita, il bucato fatto e la cena pronta, qualcuno deve pur fare tutte queste cose, e quel qualcuno sono sempre io» si lamentò sua moglie.
«Quando sei in casa fai stare il bambino con te, e smettila di comportarti come se avessi il mondo intero sulle spalle.»
Paris mugugnò un commento incomprensibile. Pur non avendo capito le sue parole, Butch notò che si sforzava di non lasciarsi prendere la mano dall’irritazione. Paris lo amava ancora e non voleva litigare con lui; questa consapevolezza lo riempì di sollievo perché doveva porle una domanda difficile.
Abbassando la voce per non farsi sentire da nessun altro in casa, le chiese: «Dove hai messo gli slip che hai trovato nel cruscotto della mia macchina?».
Paris si voltò verso il locale lavanderia dietro la cucina, come se temesse che suo fratello fosse nascosto lì a origliare. Dean sembrava sapere sempre tutto, spuntava dal nulla e li spiava da mattina a sera. Se non fosse stato per i suoi genitori e per il fatto che erano loro i proprietari del deposito, Butch l’avrebbe sbattuto fuori casa già da tempo.
Dean non lavorava per cui non contribuiva economicamente al ménage familiare. Veramente non faceva neanche molto al deposito. Ogni tanto si offriva di badare a Champ ma Butch non si fidava di lui come babysitter. Nessuno come lui sapeva quanti danni potesse fare un adulto mentalmente deviato sulla psiche di un bambino. Per dargli una mano, Dean rispondeva al telefono, registrava le fatture, accoglieva le persone che portavano oggetti al deposito e catalogava i macchinari, ma queste incombenze occupavano una minima parte della sua giornata. Per il resto passava il tempo a curiosare in giro per il deposito e a vagare per la città senza meta.
«Non so dove sono, perché?»
«Non le trovo» ammise Butch.
«Perché le stai cercando? Per dedicarti a piaceri solitari mentre ricordi le tue passate conquiste?»
«Perché non possiamo permetterci di lasciarle in giro!» sbottò Butch, spazientito.
Paris sbiancò di colpo. «Allora sono davvero della Bonner!» esclamò inorridita.
«No» protestò Butch.
April indossava la biancheria intima più orrenda che avesse mai visto, degna di una zitella di settantanni, probabilmente perché non aveva in programma di spogliarsi davanti a lui quando si erano incontrati. Indossava slip semplici e poco eccitanti, proprio come lei. Come molte altre persone, aveva pubblicato sul sito una foto che la faceva sembrare molto più carina. Butch aveva mentito sul suo nome e su qualche particolare, ma non sul proprio aspetto. Purtroppo diverse donne che aveva conosciuto non avevano fatto altrettanto, e si erano rivelate deludenti di persona.
«Allora cosa ti preoccupa?» gli chiese Paris.
Non poteva dirle che gli slip di pizzo che Paris aveva trovato lo collegavano a un’altra persona di cui non voleva parlare. Aveva promesso a Paris che non avrebbe più fatto il suo nome.
«Ho paura che la Moretti abbia preso quegli slip. È convinta della mia colpevolezza e potrebbe usarli per tentare di dire che erano di April.»
«Ma se li analizzassero, come si vede nei film, scoprirebbero che non sono di quella April, giusto?»
«Non devono essere analizzati. È per questo che devo riaverli» insistette Butch. «Se li ha veramente presi Francesca Moretti, vuol dire che era nel deposito mentre litigavamo, e allora...»
Butch s’interruppe. Non voleva dire quello che pensava, cioè che l’investigatrice privata avrebbe potuto sentire il nome di Julia.
«Secondo te li ha rubati?»
«Se li ha presi è perché tu li hai lasciati da qualche parte» precisò Butch. «Li hai fatti cadere?»
Paris cercò di ricordare. «Non so, ero furibonda e...»
«Quand’è l’ultima volta che li hai visti?»
«Quando ero nel tuo ufficio.»
«Ho controllato e non ci sono.»
Smarrita, Paris scosse la testa. «Allora devono essere da qualche parte nel deposito.»
«Deve averli trovati la Moretti, quella maledetta!»
Butch prese le chiavi della macchina dal gancio a cui erano appese.
«Dove vai?» gli domandò sua moglie.
«Devo sistemare una questione.»
Paris lo afferrò per un braccio. «Che questione?»
«Lasciami» gli intimò lui.
«Non andare da quella donna» lo pregò lei.
«Devo farlo. Non capisci? Devo riprendere quegli slip prima che li dia a qualcun altro. Potrebbe essere già troppo tardi.» Butch le diede un bacio sulla fronte. «Non preoccuparti. Tornerò a casa al più presto. Se i tuoi genitori domandassero dove sono, di’ che dovevo fare una commissione e chiedi a Dean di sorvegliare il deposito. Dovrebbe cavarsela da solo per un paio d’ore.»
Butch fece per andare ma la moglie lo chiamò e lui si girò.
«Cosa c’è?»
«Perché non hai smesso come mi avevi promesso?»
Butch chinò il capo. Avrebbe voluto farlo, davvero, ma qualcosa lo obbligava a comportarsi in quel modo. Cosa lo spingeva? Se l’era chiesto spesso, sin da quando era ragazzo, ma con il tempo era arrivato ad accettare di essere diverso e di non poter fare nulla per diventare normale.
«Mi dispiace» mormorò.
«Stai attento» replicò lei. Poi chiuse gli occhi, intrecciò le dita e mosse le labbra in una preghiera muta. Ma Butch sapeva che le preghiere non avrebbero potuto salvarli. Nessuna divinità, per quanto benevola e magnanima, avrebbe protetto la sua famiglia, la famiglia di uno che aveva fatto quello che lui aveva fatto e vissuto nel modo in cui lui aveva vissuto. No, avrebbe dovuto sistemare le cose da solo, contando unicamente sulle proprie forze.
Fece un cenno di saluto a sua moglie e si avviò verso la porta.
Lei lo seguì e bisbigliò: «Quando potremo finalmente metterci tutta questa storia dietro le spalle?».
Lui si fermò e si voltò a guardarla, poi le offrì la stessa vana promessa che le aveva dato invariabilmente ogni volta, dal primo giorno in cui Paris aveva scoperto un suo tradimento. «Presto, prestissimo.»
«Non finirà mai, Butch, lo so» replicò lei in tono stanco.
«Invece sì.»
Butch avvertì una stretta al cuore nel vederla con le lacrime agli occhi perché sapeva di essere la causa del suo dolore, poi uscì e salutò il figlio quando gli passò davanti.
Una voce maschile alle sue spalle lo bloccò prima che potesse allontanarsi. Butch si voltò e vide Dean.
«Che fai lì? Dovresti essere al deposito.»
«Non preoccuparti, ho tutto sottocchio.»
«Tutto tranne quello che dovresti controllare.»
Dean gli rivolse un sorriso beffardo. «Sto controllando te, veramente.»
«Stai attento a come ti muovi o rischi di fare un passo falso» lo avvertì fissandolo minaccioso.
Dean raddrizzò le spalle gracili e tirò fuori dalla tasca un perizoma da donna, poi lo fece roteare intorno all’indice. «Stai tranquillo, so mantenere un segreto.»
Francesca era davanti alla porta e guardava Jonah che stava per salire in macchina.
«Allora ci salutiamo» gli disse.
Jonah pensò che, con un po’ di fortuna, avrebbe trovato un posto sul primo volo in partenza per Los Angeles. Se non si fosse sbrigato a partire avrebbe cambiato idea di sicuro.
«Pare proprio di sì.»
«Non avrei mai pensato di rivederti, e ancor meno di baciarti» gli confessò lei.
«Be', avremmo potuto fare molto di più. Se non è stato così, è stata solo colpa mia» scherzò Jonah.
«Veramente hai fatto bene, perché mi hai permesso di capire che non sei poi così male.»
«Sarebbe un complimento?» rise lui.
«Sì. E grazie anche per avermi soccorso» aggiunse Francesca.
«È stato un piacere.»
Le fece un cenno di saluto e stava per andarsene quando lei lo sorprese avvicinandosi e buttandogli le braccia al collo.
«È stato bello rivederti» mormorò.
Jonah avrebbe voluto chiederle scusa, farle capire quanto si sentisse ancora in colpa per averla tradita quando stavano insieme. Ora Francesca sembrava più ben disposta nei suoi confronti e forse avrebbe potuto ascoltarlo, o addirittura credergli. Ma il suo tentativo di giustificarsi fu interrotto sul nascere dall’arrivo di un’auto da cui scese Adriana.
«Ciao» li salutò Adriana spostando lo sguardo da Francesca a lui.
Sembrava molto diversa dall’ultima volta in cui l’aveva vista. Aveva una messa in piega impeccabile ed era truccatissima, come se si fosse preparata con cura. Jonah ebbe la spiacevole impressione che si fosse messa in ghingheri per fare colpo su di lui e, come dieci anni prima, si sentì soffocare.
Francesca si staccò da lui con un sorriso stentato e guardò l’amica. «Ehi, cosa c’è?»
«Sono passata solo per accertarmi che stessi bene. sono molto preoccupata per il caso a cui state lavorando. Il tizio che è venuto a trovarmi mi ha spaventato un sacco.»
«Devo andare» dichiarò Jonah, ansioso di prendere le distanze. «Mi ha fatto piacere vedervi tutte e due.»
Francesca esitava, come se avesse voluto aggiungere qualcosa ma fosse riluttante a causa della presenza di Adriana. Alla fine annuì. «Grazie ancora.»
«Di niente.» Jonah fece un cenno ad Adriana che gli rivolse un sorriso un po’ troppo luminoso, poi salì in macchina.
Era turbato per quell’attimo, poco prima, in cui Francesca l’aveva guardato in maniera diversa, e nei suoi occhi gli era parso di vedere l’antica fiducia che nutriva nei suoi confronti. Si era sentito pervadere da una speranza assurda, ma sapeva che sarebbe stato sciocco a tentare di riesumare il loro amore.
Qualunque cosa li avesse uniti, era morto e sepolto da un pezzo.
Doveva andarsene e, per una volta nella vita, comportarsi saggiamente.
E così fece. Malgrado tutto, un’ora dopo era all’aeroporto in attesa d’imbarcarsi sul volo per Los Angeles.
«Dove hai preso quel tanga?» sibilò Butch a Dean, dopo aver detto al figlioletto di rientrare in casa e aver atteso che il bambino ubbidisse, lasciandoli soli.
Sentendosi più audace e spavaldo che mai, Dean rimirò il perizoma che aveva preso dal contenitore di metallo nascosto nel deposito. «Dove tieni tutti gli altri» gli rispose con aria di sfida. «Ho trovato il tuo boti tino segreto. Lo riconosci, vero? Oppure hai collezionato così tanti capi di biancheria intima da non saperli distinguere più?»
Butch dominò a stento la voglia di urlare, d’intimare al cognato di togliersi dai piedi o di coprirlo d’insulti. Si rese conto che la situazione era delicata e richiedeva un approccio diverso, più cauto.
«Come hai fatto a trovare la mia cassetta?» gli chiese abbassando la voce per non farsi sentire dalla casa.
«Non l’ho esattamente trovata, diciamo che mi ci sono imbattuto per caso» rispose Dean, anche se non era del tutto vero. Sin da quando Paris aveva sposato Butch, Dean non aveva fatto altro che cercare qualcosa da usare contro il cognato. La sua pazienza era stata premiata, ma non era stato facile perché, anche se aveva parecchio tempo a disposizione e conosceva bene tutti gli anfratti del deposito, aveva impiegato anni per trovare i preziosi trofei di Butch.
«Immagina il mio stupore quando ho aperto la cassetta e ho trovato tutte quelle mutandine. Quante ce ne saranno? Una cinquantina?» Fece un fischio sommesso. «Sono veramente colpito, Butch. Con quante donnei sei andato a letto?»
«Non sono affari tuoi.»
Ora che si era riavuto dall’iniziale smarrimento, aveva ripreso il controllo della situazione. Strinse le mani a pugno e Dean vide una vena gonfia che gli pulsava sul collo.
Butch avrebbe voluto uccidere il cognato ma capiva anche che non poteva arrivare fino a quel punto. Voleva troppo bene a Paris e al figlio, inoltre sapeva che senza Paris non avrebbe avuto né casa né lavoro, per cui non avrebbe potuto ucciderle il fratello.
«Però sono affari di mia sorella» lo minacciò velatamente Dean.
«Credi davvero che lei non sappia niente?»
«Anche se sapesse che la tradisci, non immaginerebbe mai quante volte l’hai tradita... né cosa fai alle donne una volta che sei riuscito a infilarti sotto le loro gonne» insinuò Dean.
«Stai zitto!» ringhiò Butch sottovoce. «Non sai cosa dici. Hai preso le medicine oggi?»
«Lascia stare le mie medicine, non sono cose che ti riguardano. Sono stufo di vedervi sempre ronzare intorno a me per chiedermi se ho preso le medicine.» «Sono importanti per la tua salute. Quando non le prendi ti comporti come un pazzo ed è solo per questo che sono disposto a chiudere un occhio su questo piccolo... incidente.»
Dean schiumava di rabbia. Detestava quando il cognato lo trattava con sufficienza e superiorità, perciò decise di farsi valere e fece un passo avanti. «Raccogliere le prove delle tue conquiste non è segno di pazzia quanto commettere un omicidio, no?»
Butch fece un passo avanti con fare minaccioso e Dean, impaurito, indietreggiò.
Di solito era intimorito dalla stazza e dalla personalità violenta del cognato, d’altra parte aver trovato i trofei di Butch gli dava la forza per tenergli testa.
«Non ho ucciso nessuno, Dean» dichiarò Butch con fermezza, torreggiando su di lui come una grossa quercia. «Francesca Moretti sbaglia se crede il contrario, e anche tu.»
Dean arricciò le labbra e studiò il suo trofeo con espressione pensosa.
«Mi fa piacere saperlo. Allora ti dispiacerebbe spiegarmi cosa ci fa il cadavere di Julia nel vecchio congelatore? Dev’esserci arrivato in qualche modo, no?» Butch impallidì improvvisamente e Dean si sentì potente per aver messo il cognato in quella posizione rischiosa. Era contento di aver trovato quella collezione di biancheria intima. Era proprio valsa la pena tentare i di trovare i trofei di Butch, perché ora non avrebbe più potuto fargli niente. Fece ondeggiare il perizoma sotto il naso di Butch e aggiunse: «Di chi è? Di Julia? Oppure di April Bonner?».
Nervoso, Butch inghiottì a vuoto e Dean vide il suo pomo d’Adamo muoversi in su e in giù.
«Sei stato tu a mettere gli slip nel vano portaoggetti in macchina, vero?» lo apostrofò Butch.
Dean strabuzzò gli occhi e si finse innocente. «Non so di che cosa parli.»
«Mi riferisco alla biancheria trovata da tua sorella. E scommetto che sei stato ancora tu a telefonare a Paris e poi riagganciare quando ha risposto, per farle credere che fosse Kelly» lo accusò.
«Non sono stato io» si difese, ma la risatina ironica e compiaciuta che Dean tratteneva a stento affiorò sulle sue labbra.
«Cosa speravi di ottenere, Dean? Pensavi che tua sorella mi avrebbe lasciato? Che avresti potuto sbarazzarti di me una volta per tutte?»
In effetti quello era il sogno di Dean. Detestava il cognato con tutte le sue forze sin da quando si erano visti per la prima volta. Butch era un esemplare della categoria che Dean più odiava: i bulli. Però per il momento avrebbe dovuto comportarsi in maniera circospetta, perché Butch era l’unico in grado di mantenerli tutti e Dean non avrebbe mai messo a repentaglio la sussistenza della famiglia. «Non saltare a conclusioni affrettate» lo blandì. «Dove sono gli slip? Li hai raccolti dopo che Paris li ha fatti cadere? Li tieni nascosti chissà dove nella speranza di usarli per spaventarmi, vero?»
«No.»
Stavolta Dean non mentiva. Non aveva idea di che fine avessero fatto quegli slip e fino a quel momento non aveva saputo neanche che fossero scomparsi.»
«Dimmi la verità» insistette Butch scagliandosi contro il cognato.
«Aiuto, mamma! Butch vuole picchiarmi» gridò Dean.
Butch lo afferrò come per dargli un pugno ma la porta si aprì e la madre di Dean si affacciò.
«Ehi, che succede qui? Che avete, voi due?» li apostrofò severa.
Butch mollò la presa sul cognato. «Dean non ha preso le medicine oggi, e ora sragiona. Ha inventato delle accuse ridicole...»
«Quali accuse?»
«Sostiene che ho ucciso Julia e l’ho messa nel congelatore.»
Dean era esterrefatto. Gli sembrava impossibile che Butch l’avesse detto ad alta voce. Credeva di essere l’unico al corrente di quel terribile segreto. Ma la reazione della madre lo stupì ancora di più.
Prese il figlio per un braccio e lo scosse con forza come se fosse stato un burattino snodabile.
«Che fai, Dean? Vuoi rovinare la famiglia?»
No!, pensò Dean protestando mentalmente. Stava cercando di fare l’esatto contrario, di proteggere i suoi dal potere che Butch aveva su di loro.
«Posso dimostrarti che dico la verità» insistette «Credevamo che fosse fuggita ma non è vero. Vieni mamma, ti faccio vedere dov’è. È nel vecchio congelatore sul retro. Ho tagliato il lucchetto che chiude la maniglia, ma ne ho messo uno nuovo identico e ho la chiave» annunciò prendendo dalla tasca un portachiavi che fece tintinnare con fare beffardo.
«Dammi la chiave e non aprirlo più. Dimentica ciò che hai visto» sibilò la madre.
«Ti ripeto, è stato lui a uccidere Julia. È pericoloso.»
Sua madre scosse la testa. «Non è stato Butch a uccidere Julia.»
Dean rimase a bocca aperta. «Allora chi è stato?» «Per quel che ti riguarda, nessuno. Dimentica quello che hai visto, te lo ripeto, e stai lontano dal congelatore. Hai capito? Non voglio più sentir parlare di questa storia.»
Dean guardò sua madre perplesso. «Tu sai cos’è successo a Julia?»
«Certo» rispose sua madre, serafica. «Ho dato una mano a nascondere il suo corpo. Non vorrai che vada in prigione!»
«No, no, certo che no» si affrettò a rassicurarla il figlio. Gli sembrava impossibile che sua madre avesse potuto fare del male a Julia. Le era così affezionata e dimostrava in ogni occasione di volerla aiutare.
«Allora dobbiamo tenere nascosta la faccenda. Se in giro si dovesse sapere cosa è successo saremmo tutti nei guai.»
Per Dean era inconcepibile pensare a sua madre in carcere o morta. Era l’unica persona al mondo che lo comprendesse e gli volesse veramente bene. Per Paris, Dean era come una croce da sopportare e suo padre lo tollerava per amore della moglie. «Ma...» La scena gli sembrava surreale. «E le mutandine?»
«Dimentica anche quelle» ordinò la donna, categorica. Gli tolse di mano il perizoma con un gesto fulmineo e lo tirò a Butch. «Avanti, liberatene una volta per tutte, e non se ne parli più.»