25

Dopo l’aspro confronto con Dean, Butch aveva cambiato programma. Invece di recarsi a Chandler aveva passato buona parte del pomeriggio e della sera al Pour House. Aveva bevuto solo due birre, però, perché voleva restare lucido. Per quanto fosse sgradevole, aveva un’incombenza da portare a termine.

Indeciso, rimase seduto per qualche minuto in macchina nel parcheggio del locale, tenendo il motore acceso mentre pensava a una possibile alternativa. Purtroppo non gliene veniva in mente neanche una. Se era stata Francesca Moretti a prendere gli slip non li aveva dati agli ispettori, altrimenti Hunsacker l’avrebbe avvertito quando Butch gli aveva telefonato, qualche ora prima, per informarsi sugli sviluppi delle indagini. Invece l’amico gli aveva dato una buona notizia: Francesca Moretti era stata estromessa e anche il consulente californiano era stato licenziato. Butch era decisamente sollevato; era stufo di sentirsi il fiato sul collo e di essere continuamente spiato.

Tuttavia questo non significava che potesse rilassarsi. C’era sempre la possibilità che Francesca Moretti, testarda e tenace come un mastino, decidesse d’ignorare gli ordini e continuasse a indagare per conto suo. Dopotutto era un’investigatrice privata, per cui era legata fino a un certo punto alla polizia, ma per il resto era indipendente e doveva rispondere solo ai suoi clienti.

Non le sarebbe stato difficile scoprire chi fosse Julia. Aveva vissuto con loro per qualche mese ed era stata vista in giro in loro compagnia prima della sua scomparsa. Butch non voleva neanche pensare a cosa sarebbe successo se avesse fatto analizzare gli slip, se davvero li aveva sottratti lei.

Sarebbe bastato trovare delle tracce di DNA e collegarle a Julia attraverso i campioni prelevati a qualche parente per avere gli estremi per spiccare un mandato di perquisizione. E a quel punto se la polizia fosse veduta a frugare nel suo deposito e avesse scoperto il cadavere nel congelatore per lui sarebbe stata la fine...

Per quanto si sforzasse di esaminare il problema da ogni possibile angolazione, la soluzione a cui giungeva era sempre la stessa.

Doveva smettere di perdere tempo in inutili elucubrazioni e darsi da fare. Mise la retromarcia, uscì dal parcheggio e si diresse verso l’autostrada.

 

Francesca era seduta in soggiorno davanti al televisore. Aveva appena guardato il telegiornale che aveva mandato in onda un servizio sugli omicidi di Dead Mule Canyon. Sullo schermo erano apparse delle riprese della zona con una voce fuori campo che annunciava che erano stati trovati i resti dei corpi di sette donne, poi un corrispondente aveva intervistato la dottoressa Price, l’antropologa forense che si occupava delle analisi dei reperti, e l’ispettore Finch, che aveva assicurato i telespettatori che l’ufficio dello sceriffo aveva messo insieme una task force per indagare sugli omicidi e proteggere la comunità.

Con una smorfia di disgusto, Francesca spense il televisore e sospirò passandosi una mano sugli occhi stanchi. Aveva bisogno di riposo ma sapeva già che non sarebbe riuscita ad addormentarsi. Non faceva che pensare a Jonah e a chiedersi se non avesse fatto male a non perdonarlo, dieci anni prima. Se fosse riuscita ad accettare le sue scuse, forse avrebbero potuto rimettere in piedi il loro rapporto ed essere felici malgrado lui l’avesse tradita.

Si rendeva conto di non aver mai analizzato l’accaduto dalla prospettiva di Jonah. Qual era stato il vero motivo per quello che aveva fatto? Non aveva dato la colpa ad Adriana per averlo provocato; si era assunto tutta la responsabilità. Ma forse la mancanza di fiducia; che lei nutriva nei confronti degli uomini e dell’amore le aveva impedito di comprendere Jonah e di superare, quell’episodio, per quanto grave. Non si era fidata della felicità che provava quando era con lui, e la sua diffidenza aveva minato la sua capacità di guardare oltre.

Jonah e Adriana avevano avuto la responsabilità del tradimento in uguale misura, eppure Francesca era stata influenzata dal comportamento dell’amica che l’aveva indotta a guardare i fatti da una certa prospettiva. Adriana era così buona, gentile e premurosa che Francesca era stata incline a darle il beneficio del dubbio.

Oppure, era stata più tollerante con lei perché si sentiva in colpa per il modo in cui la sua migliore amica era spesso messa in disparte dagli uomini quando c’era lei nei paraggi. Adriana non si era mai lamentata per il fatto che lei primeggiava sempre. D’altronde Francesca non cercava di proposito di metterla in ombra, non era una civetta. Fino ad allora non aveva mai pensato che Adriana fosse segretamente invidiosa e avesse sempre desiderato portarle via Jonah.

D’altronde le aveva appena confessato di essere sempre stata innamorata di lui...

E Jonah? Lui era un mistero quanto Adriana. Francesca aveva appena scoperto che era stato addirittura sposato. Non era un uomo superficiale, quindi per lui doveva essere stato traumatico sposarsi tanto giovane e divorziare. Cos’era andato storto tra lui e la moglie? Jonah non era tipo da prendere gli impegni sentimentali alla leggera, per cui Francesca presumeva che non avrebbe deciso di sposarsi se non avesse amato sua moglie. Inoltre solo ora si rendeva conto che Jonah aveva cominciato a comportarsi in modo strano soltanto quando la loro relazione era diventata più seria. Beveva parecchio, era meno affidabile e coglieva al volo il minimo pretesto per litigare, come se avesse avuto paura d’impegnarsi.

Quando l’aveva tradita, lei aveva dedotto automaticamente che era un bugiardo e un dongiovanni come molti uomini, ma forse in quel tradimento si nascondeva un motivo più profondo che non aveva capito perché era delusa, ferita e anche giovane e inesperta.

Jonah non usava egoisticamente le donne per divertirsi, come lei aveva creduto. Non andava a letto con tutte, indiscriminatamente. La prova era il fatto che si era offerta a lui l’altra sera e Jonah aveva declinato l’invito, nonostante fosse chiaro che la desiderava.

Perché? Perché era un gentiluomo e non voleva approfittarsi di lei? Ma come conciliare tanta sensibilità con l’immagine di donnaiolo senza scrupoli che lei gli aveva attribuito e lui non si era curato di smentire? Qualcosa non quadrava.

Titubante, Francesca prese il cellulare e fece due rapidi calcoli mentali. Ci volevano due ore di volo per arrivare a Los Angeles, per cui Jonah doveva essere già arrivato a casa. Forse avrebbe potuto chiamarlo con il pretesto d’informarlo di quello che aveva appena visto al telegiornale. Ma aveva davvero bisogno di una scusa per parlare con lui? Se non poteva telefonargli solo perché aveva voglia di sentirlo, era solo colpa del suo maledetto orgoglio... e della paura di soffrire di nuovo.

A quel punto, però, non aveva niente da perdere. Era stata ben attenta a non innamorarsi più in quei dieci anni, ma era bastato un bacio per far riaffiorare in lei, potentissimo, lo stesso desiderio di allora.

Jonah le faceva paura per l’intensità dei sentimenti che suscitava in lei. Tuttavia prese ugualmente il telefono e lo chiamò.

 

Jonah era sul punto di addormentarsi quando sentì squillare il telefono. Per qualche secondo fu tentato di lasciare che rispondesse la segreteria telefonica. Se, come sospettava, era Finch che voleva metterlo al corrente di qualche sviluppo del caso, non era nello stato d’animo giusto per sopportarlo. Aveva voglia di dirgliene quattro per non aver difeso né lui né Francesca.

Tuttavia alla fine decise di rispondere, perché poteva essere importante. Quando controllò il display ebbe un tuffo al cuore... era Francesca.

Lo chiamava perché Butch si era fatto vivo di nuovo? Le era successo qualcosa?

«Tutto bene?» rispose senza neanche dire pronto?.

«Sì, più o meno.»

«Perché più o meno? Ti ha contattato Butch?»

«No.»

«Dove sei?»

«In soggiorno.»

«Hai a portata di mano lo spray al peperoncino?»

«È sul mio comodino.»

«Vai subito a prenderlo e tienilo vicino, poi potrai, dirmi per quale motivo mi hai chiamato» le ordinò lui in tono imperioso.

Vedere il suo nome sul display l’aveva spaventato e gli aveva fatto capire che non era poi così sicuro che Francesca non fosse più in pericolo.

«Fatto» disse lei qualche secondo dopo, parlando mentre camminava.

«Bene, cosa volevi dirmi?»

«Quando è venuta Adriana, mi ha detto delle cose su di te che erano un po’ diverse da tutti i discorsi che mi aveva fatto fino a oggi.»

Jonah sospirò e si passò una mano sugli occhi. Avrebbe preferito non sentire più pronunciare il nome di Adriana. «Cos’ha detto?» mormorò stancamente.

«Non mi sembri tanto ansioso di sentirlo» osservò Francesca.

Era così, ma era anche rassegnato. «Di qualsiasi cosa si tratti, credo che non possa cambiare niente» replicò. «Comunque dimmi pure» la invitò.

«Adriana mi ha detto che lei, dieci anni fa, era innamorata dite.»

Jonah non fece alcun commento. Udire quelle parole lo faceva sentire ancora più un bastardo perché, a quei tempi, per lui Adriana era praticamente una donna senza volto e senza nome. Avrebbe potuto esserci chiunque al suo posto, e invece lei lo amava... Jonah l’aveva fusata per reagire alla paura che aveva provato nell’accorgersi di essere profondamente innamorato di Francesca. I suoi sentimenti l’avevano fatto sentire vulnerabile, privo di controllo, proprio com’era quando era sposato, e non aveva saputo accettare l’inevitabile fragilità che si accompagna all’amore.

«Non sei sorpreso, mi pare» commentò Francesca.

«Mi ero accorto, ovviamente, che Adriana aveva un debole per me, ma credevo che si trattasse solo di una cotta.»

Fino a quella sera non aveva mai avuto alcun atteggiamento galante nei suoi confronti, non aveva tentato di sedurla, non le aveva mai fatto neppure un complimento meno che corretto. Avrebbe voluto ribadirlo a Francesca ma temeva che lei lo considerasse un tentativo di giustificarsi o far sembrare meno grave l’errore commesso. Francesca aveva fatto bene a lasciarlo; meritava di meglio.

«Non so cosa pensare al riguardo» ammise Francesca. «Non capita tutti i giorni di sentirsi dire dalla propria migliore amica che amava il tuo ragazzo e che, forse, è ancora innamorata di lui.» Jonah fece un respiro profondo. Adriana era riuscita a ferire nuovamente Francesca. Ora toccava a lui smettere di essere egoista e cercare di lenire il suo dolore.

«È stata tutta colpa mia. Sapevo di piacerle e me ne sono approfittato, tutto qui» dichiarò. «Se devi odiare qualcuno, prenditela con me, non con lei.»

Ci fu una breve pausa di esitazione. «E se non riuscissi a odiarti?» ribatté alla fine Francesca con una vocina flebile che gli provocò una stretta al cuore.

«Invece dovresti. Ti renderebbe più facili le cose replicò lui con dolcezza.

Poi chiuse la comunicazione senza neanche salutarla e spense il cellulare per non avere la tentazione di richiamarla. Addossandosi tutta la colpa del tradimento, Francesca e Adriana avrebbero potuto ricucire il rapporto e tornare amiche, come avevano già fatto prima.

Francesca avrebbe voltato pagina e, probabilmente, di lì a qualche mese ci sarebbero state altre foto nel suo soggiorno, che l’avrebbero ritratta sorridente con un qualcuno come Roland Perenski, magari anche in abito da sposa...

 

Quando sentì squillare il cellulare, Francesca non poté fare a meno di sperare che fosse Jonah. Non sapeva cos’altro avrebbe potuto dirle, eppure aveva la sensazione di aver lasciato il discorso in sospeso.

Invece appena lanciò un’occhiata al display, vide che era suo padre e rispose sforzandosi di eliminare la delusione dalla voce.

«Ciao, papà.»

«Scusa, ti ho svegliato?»

«No, non sono neanche le undici. Che succede? C’è gualche problema?»

«No, no, io e tua madre stiamo bene. Volevo solo Informarti dei risultati dei controlli che mi hai chiesto su Butch Vaughn e Dean Wheeler.»

Con tutto quello che era successo, Francesca aveva quasi dimenticato di aver domandato al padre di svolgere delle ricerche. Ora non aveva il coraggio di dirgli che era stata estromessa dalle indagini. Be', se le avesse dato delle informazioni interessanti, le avrebbe riferite alla polizia insieme ai risultati delle analisi del DNA sugli slip trovati al deposito.

«Dimmi tutto» lo esortò. «Che hai scoperto?» Francesca sentì un fruscio di fogli mentre il padre leggeva i suoi appunti.

«Allora, vediamo... Butch Vaughn è nato a Queen Creek, prima è stato cresciuto dalla madre e poi è andato a vivere a casa di un amico.»

«Che è successo ai genitori?»

«Suo padre è andato via di casa prima che lui nascesse e non ha mai dato un centesimo alla moglie per il mantenimento del figlio. Butch non andava d’accordo con il patrigno né con i fratellastri. Quando il patrigno rimase senza lavoro, la madre di Butch dovette cercarsi un impiego e la situazione a casa divenne difficile. Secondo la psicologa della scuola frequentata da Butch, che sono riuscito a contattare, da ragazzo aveva dei gravi problemi relazionali, non socializzava, non riusciva a controllare la rabbia e aveva spesso degli scatti d’ira. Aveva dei voti pessimi e un comportamento altrettanto pessimo, ma la situazione migliorò quando andò a vivere dagli Statham.»

Francesca riconobbe immediatamente il nome. «Il capofamiglia si chiamava Harry, per caso?»

«No, Harry era il compagno di classe di Butch, il suo migliore amico. Perché?»

«Ha usato il nome Harry Statham come pseudonimo quando si è iscritto a un sito d’incontri. Ora so dove l’ha preso.»

«Ho parlato con la sua sorellastra, Marcie Reed, che mi ha detto che Butch non ha mai perdonato sua madre per averlo costretto ad andare via di casa quando la situazione è diventata insostenibile, perché così facendo ha dimostrato di aver preferito il secondo marito a lui. Da allora ha interrotto tutti i rapporti con la famiglia» continuò il padre. «Il fratellastro di Butch si è rifiutato di parlare con me e mi ha detto che, per quel che lo riguarda, Butch ha cessato di esistere il giorno in cui è morta sua madre.»

«Com’è successo?»

«È annegata nella vasca.»

«È una morte sospetta?»

«È stata aperta un’indagine ma il caso è stato chiuso subito. Il tasso alcolico nel sangue della donna era alle stelle, per cui pare che fosse priva di sensi e per questo è affogata. La morte è stata considerata accidentale.»

«Quanti anni aveva?»

«Trentasei.»

Francesca non poté fare a meno di chiedersi se la polizia avesse sbagliato e quello fosse stato il primo omicidio commesso da Butch...

«Butch andò al funerale?»

«No. Dopo essere andato a vivere con gli Statham non contattò più la famiglia d’origine. A onor del vero, neanche i fratellastri o il patrigno lo cercarono. Alle superiori era un bravo giocatore di football per cui entrò all’università dell’Arizona con una borsa di studio, ma dopo un anno si ruppe un ginocchio e la sua carriera sportiva finì.»

«È all’università che conobbe Paris?»

«No. Senza la borsa di studio dovette interrompere gli studi... da tempo aveva rotto i ponti anche con gli Statham. Ho parlato con John Statham pochi minuti fa e mi ha detto che fecero di tutto per aiutare Butch ma la situazione precipitò quando Butch litigò con Harry e gli fracassò la mandibola. A quel punto il signor Statham perse la pazienza. Butch si era appena diplomato e così pensarono che, essendo ormai maggiorenne, non potevano fare più niente per lui. Era troppo bizzoso e irascibile, pronto a scattare al minimo pretesto. Aveva l’accumulato una quantità incredibile di energia distruttiva, perciò gli Statham pensarono che sarebbe stato meglio se si fosse trasferito altrove.»

«E lui come reagì?»

«Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare da un tipo così violento, se ne andò senza fare storie. Da allora gli Statham non hanno avuto più sue notizie.»

«Come ha conosciuto Paris?»

«Ho fatto delle ricerche al catasto e ho scoperto che il deposito confina con un terreno agricolo. Ho contattato il proprietario che non vi abita, perché sono solo campi senza una casa colonica, ma vi si reca quasi tutti i giorni per occuparsi del raccolto. Gli ho chiesto cosa sapesse di Butch e mi ha detto che i Wheeler cercavano un custode che gestisse il deposito perché volevano andare in pensione. Misero un annuncio sul giornale e Butch rispose, così conobbe Paris.»

«Come arrivò a Prescott?»

«Non saprei dirtelo. Secondo me vagava in cerca di un posto dove poter trovare un lavoro e una sistemazione. Sono riuscito persino a rintracciare una sua vecchia fiamma di Phoenix.»

Francesca sorrise. «Sorprendente! Sei un asso delle indagini. Come l’hai scovata?»

«L’allenatore della squadra di Butch è ancora in servizio all’università e mi ha dato il nome della ragazza di Butch all’epoca che, per coincidenza, adesso è la su dirimpettaia. Le ha dato il mio numero e lei è stata tanto gentile da chiamarmi» le spiegò il padre. «Che fortuna! Ti è stata utile?» «Decisamente sì. Mi ha detto che Butch aveva un caratteraccio, che era egocentrico e insensibile oltre ad avere un insaziabile appetito sessuale.»

Francesca ricordò che questo particolare era venuto fuori durante la lite che aveva sentito tra Butch e Paris. «Ti ha detto per caso se era violento con lei?»

«No, ma mi ha fatto capire che le era infedele e cercava di giustificare le scappatelle adducendo come pretesto il suo desiderio irrefrenabile di sesso. È per questo che lei lo lasciò.»

«Sei riuscito a trovare qualche collegamento tra lui e Bianca Andersen?»

«No, ci sto ancora lavorando, ma ho delle notizie ancora più interessanti su Dean. È qui che viene il bello» gongolò suo padre.

«Accidenti, sei una vera miniera d’informazioni!» rise Francesca. «Che mi dici del cognato?»

«Tanto per cominciare, che è morbosamente attratto dalla morte e dalla violenza. Me l’hanno detto diversi suoi ex compagni di scuola. Hanno confermato tutti che gli piaceva disegnare figure grottesche di cadaveri e demoni armati di pugnali o altre armi. Era così sin da piccolo, a quanto pare.» «Aveva amici?»

«No, era un solitario. I compagni di scuola lo consideravano un tipo strano, anche pericoloso. Una volta pare che abbia chiesto a una ragazzina di andare alla sua festa, di compleanno perché così avrebbe potuto mostrarla alla madre che ne sarebbe stata contenta. Promise di pagarla se avesse acconsentito ma lei rifiutò perché Dean la metteva a disagio. Il giorno dopo la ragazza, tornando a scuola, trovò la serratura del suo armadietto forzata e tutti i libri imbrattati di sangue, poi seppe che Dean era stato ricoverato in ospedale perché si era tagliato le vene.»

Francesca era sicura che il colpevole avesse un legame con quel deposito, chiunque fosse, e questo la rese ancora più combattuta se continuare o no a seguire le indagini.

«Quindi Dean ha un disturbo schizoide affettivo?» chiese.

«Sono risalito a tutta la sua storia medica; ho con me la sua cartella. Vuoi che te la mandi?»

Malgrado tutto, Francesca provava compassione per Dean. Non doveva essere facile sopportare quei problemi mentali né vivere con il cognato.

Forse Butch aveva esasperato di proposito Dean per trasformarlo in un serial killer? Oppure erano una coppia indissolubile, il braccio e la mente?

«Certo. Inviami tutta la documentazione per fax al mio ufficio.»

«Ti mando subito tutto, insieme ai miei appunti.»

«Grazie, papà. Mi sei stato di grande aiuto.»

Francesca non era ancora sicura di cosa fare delle informazioni che suo padre aveva scovato, se usarle lei stessa per riprendere le indagini o passarle alla task force.

«Un’ultima cosa riguardo a Dean» disse lui.

Dal suo tono, Francesca capì che era importante.

«Sì?»

«Cinque anni fa lavorò per un breve periodo all’ufficio postale. Che io sappia, è l’unico vero impiego che abbia mai avuto. Forse i genitori conoscevano qualcuno che ha fatto loro il favore di assumerlo in prova chissà. Comunque non durò. Mentre era all’ufficio postale intrecciò una relazione con una collega che aveva quindici anni più di lui. Si chiamava Sherrilyn Gators.»

«Relazione in senso sentimentale?»

«Erano amanti, sì. La loro storia non durò più di qualche mese ma Dean faceva sul serio, tanto che voleva sposarla. Però Sherrilyn aveva già tre figli e il maggiore, un certo Neal, aveva pochi anni meno di Dean e si oppose strenuamente alle nozze. Cominciò a informarsi su Dean perché non lo vedeva di buon occhio come patrigno. Quando scoprì che Dean aveva dei gravi problemi mentali convinse la madre a porre fine alla relazione.»

«E come reagì Dean?»

«Come immagini. Ne fu distrutto, non riusciva a rassegnarsi e per mesi continuò a perseguitarla. Si appostava per ore davanti alla casa di Sherrilyn, le lasciava dei piccoli doni o dei fiori nell’auto o davanti alla porta, la chiamava in continuazione, la seguiva e si presentava all’ufficio postale.»

«In pratica diventò uno stalker.»

«Praticamente sì, e questo suo atteggiamento morboso gli costò il posto di lavoro. Lei ottenne un ordine restrittivo contro di lui, tuttavia Dean si presentò a casa sua con dei fiori e una bottiglia di vino. Sherrilyn ebbe paura e, quando si rifiutò di farlo entrare, lui minacciò di ucciderla. Le disse che sarebbe tornato da lei di notte e avrebbe ammazzato tutta la famiglia, perché poteva entrare e uscire da casa sua a suo piacimento in qualsiasi momento.»

Francesca s’irrigidì.

«La minacciò di morte?» ripetè esterrefatta.

«Sì.»

«Oddio! Dimmi che è ancora viva!»

«Nessuno lo sa. È scomparsa quattro anni fa.»