13
L’ufficio di Vaughn era la costruzione cadente dietro cui si era nascosta la prima volta che aveva messo piede nel deposito, quando aveva visto il manichino e l’aveva scambiato per un cadavere.
Era praticamente un capanno con le pareti di assi di legno e aveva due porte ai lati opposti, quattro finestre, una scrivania di metallo, una fotocopiatrice, un computer e un piccolo frigorifero. L’ambiente non era unico, ma era diviso in due da un tramezzo con una porta aperta, da cui Francesca poteva vedere l’angolo di un letto. Un’altra porta doveva essere quella del bagno.
Nell’ufficio aleggiava un forte odore di sigaro e di caffè. Sul mobile accanto al frigo c’era una caffettiera elettrica ma quella sembrava essere l’unica comodità in un ambiente squallido e spartano. Era chiaro che l’ufficio era stato arredato con materiale di recupero saccheggiando il deposito.
«Si sieda» le ordinò sgarbatamente Vaughn togliendo una pila di giornali da una sedia. «Le dispiace sé ci diamo del tu, Francesca?» aggiunse in tono viscido. «Mi sento più a mio agio.»
«Certo» mormorò lei. Il suo nome pronunciato con quel tono sembrava quasi una minaccia. Non era come quando l’aveva chiamata così Dean, che era molto più gentile del cognato.
Lui si versò; una tazza di caffè senza offrirglielo e si sedette dietro la scrivania, di fronte a lei. Francesca si accomodò sulla sedia scricchiolante e attese.
«Allora? Perché mi hai fatto venire qui?» sbottò vedendo che l’uomo continuava a guardarla accigliato senza parlare.
Lui bevve un sorso di caffè. «L’altro giorno siamo partiti con il piede sbagliato, però non ti chiederò scusa. Non avevi il diritto d’introdurti in una proprietà privata.» Fece una pausa e si sfiorò la guancia che lei gli aveva graffiato. «Né di aggredirmi.»
«Contrariamente a quanto hai detto alla polizia, mi stavi inseguendo!» protestò lei.
«Cercavo di capire che cosa volessi. Eri un’intrusa, dopotutto.»
Francesca era esterrefatta. Le sembrava incredibile che quell’uomo continuasse a mentire anche se erano soli.
«E così mi hai aggredito? Dai, smettila. Hai già recitato la commedia a beneficio della polizia. Non puoi cercare di darla a bere anche a me. Non eri solo curioso riguardo alle mie intenzioni.»
Vaughn posò la tazza di caffè e prese in mano un grosso fermacarte di cristallo.
«No, è vero» ammise giocherellando con il pesante oggetto. «Stavo cercando di nascondere qualcosa, ma non è quello che pensi. Non volevo ucciderti, non ho mai ammazzato nessuno.»
Francesca fissava ipnotizzata il fermacarte e pensava che per lui sarebbe stato facile spaccarle la testa prima che Jonah o la polizia potessero intervenire in suo soccorso.
«Allora perché hai avuto quella reazione quando mi hai visto?»
«Perché sapevo che eri un’investigatrice privata.
Non credere di essere la prima persona che trovo a ficcare il naso nella mia proprietà.»
«Non stento a credere che altri investigatori privati abbiano cercato delle persone scomparse collegate a te» insinuò Francesca.
Sul viso di Vaughn passò l’ombra fugace di un’espressione furba, ma scomparve subito. «No, gli altri speravano di beccarmi con una donna che non fosse mia moglie» la corresse.
«Paris ha ingaggiato qualcuno per dimostrare la tua infedeltà? Non mi sorprende, considerato il profilo che hai messo online sul sito d’incontri dove hai conosciuto April» azzardò Francesca, pungente.
Francesca era sicura che avrebbe reagito, invece lui scoppiò a ridere.
«Paris non mi lascerebbe mai. D’altronde non la inganno, io faccio tutto alla luce del sole. Io e Paris abbiamo un accordo tacito. Purché io sia discreto e non m’innamori di un’altra, mi lascia fare tutto ciò che voglio, perciò posso frequentare altre donne. Il vero geloso è il marito della mia amichetta, piuttosto.»
Francesca lo guardò perplessa. Non si aspettava che Butch divulgasse con tanta disinvoltura, la presenza di una donna con cui aveva una relazione fissa. «Come si chiama?» azzardò.
Butch posò il fermacarte sulla scrivania con un tonfo sordo.
«Non sono affari tuoi. Non intendo trascinarla in questa faccenda perché non c’entra niente. Ha già abbastanza problemi a tenere a bada il marito, non voglio che debba anche avere a che fare con una ficcanaso.»
«Mmh... Interessante. Hai appena ammesso di avere una relazione e sembri tenere molto alla tua amante, tanto da proteggere i suoi interessi, eppure mi hai appena detto che Paris ti permette di avere delle avventure purché non entrino in ballo i sentimenti» osservò.
«Chi ha parlato d’amore? Io e la mia amica ce la spassiamo insieme, tutto qui.»
«Ed è per questo che non ti senti in colpa per aver messo in crisi il suo matrimonio?»
«È un problema suo e del marito, non mio. Non l’ho mai costretta a venire a letto con me. Tuttavia non ho intenzione di fornire delle prove agli investigatori privati ingaggiati dal marito in modo che possa divorziare da lei e portarle via i figli.»
Francesca fece una smorfia sarcastica. «Vuoi davvero farmi credere che quando mi hai visto girare per il deposito la tua unica preoccupazione è stata che il marito della tua amica avrebbe potuto danneggiarla raccogliendo delle prove della sua infedeltà? Ma andiamo!»
Vaughn allargò le braccia. «Sei liberissima di non crederci.»
«E che mi dici di April?»
«Cosa vuoi che ti dica?»
«Ieri hanno trovato il suo cadavere.»
Ci fu una brevissima esitazione. «È morta?»
«Non lo sapevi?»
«Era al telegiornale?» replicò lui.
«Non saprei, ieri non ho guardato la televisione, però quando sono arrivata sul luogo del ritrovamento del cadavere non c’erano giornalisti né fotografi. Tu sei l’ultimo con cui ha parlato di persona...»
Vaughn bevve un altro sorso di caffè. «Quando l’ho lasciata era viva e vegeta. Non l’ho uccisa io.»
Francesca lo scrutò intensamente. Sembrava agitato ma non particolarmente sconvolto dalla notizia della morte di April. «Come puoi dimostrarlo?»
«Non ho prove, d’altronde neanche tu hai prove che io sia il colpevole» obiettò.
«Ti dispiace dirmi cos’avete fatto sabato sera?»
«No, certo che no. Ci siamo visti al Pour House alle sette, poi siamo andati a cenare in un ristorantino messicano a circa venticinque chilometri da qui, il Rio Grande. Dopo cena ci siamo appartati in macchina.»
«Avete fatto sesso?»
«Sì, ma è stato assolutamente consensuale.»
Per Francesca nel suo racconto c’era qualcosa che non quadrava. April era una maestra che conduceva una vita tranquilla. Secondo la sorella di April quello era il suo primo incontro con Harry Statham, alias Butch Vaughn. Le e-mail che aveva letto sul computer di April lo confermavano.
Francesca sospettava che Vaughn avesse detto di aver avuto un rapporto sessuale con lei per giustificare l’eventuale ritrovamento del suo DNA sul cadavere. Era furbo, pensò.
«E poi?»
«Poi siamo ripartiti. Per strada mi ha chiesto di portarla a casa mia e dormire insieme. Le ho detto che ero stanco e non potevo, che la mattina dopo avrei dovuto alzarmi presto, ma April insisteva e alla fine ho dovuto confessarle che ero sposato. A quel punto ha cominciato a dare di matto, a gridare e a insultarmi. Mentre litigavamo io guidavo e April mi ha ordinato di fermarmi e farla scendere.»
«Dov’eravate?»
«In autostrada, per questo non volevo fermarmi. Eravamo lontani dal centro abitato, ma April non voleva darmi ascolto. Piangeva e mi dava dei pugni mentre guidavo... la macchina ha cominciato a sbandare. A un certo punto ha aperto di colpo lo sportello e ha minacciato di buttarsi fuori dall’auto in corsa, per cui ho rallentato, ho accostato e l’ho fatta scendere.» S’interruppe e tacque per qualche istante, poi riprese con voce grave: «Non sono fiero di me per com’è finita la serata, ma non avevo scelta. April era isterica, non potevo fare altro che accontentarla e lasciarla lì, come mi aveva chiesto».
«Mi sembri sorpreso della sua reazione» osservò Francesca.
«Infatti» annuì. «È stata stupida. Le ho offerto la cena e poi abbiamo fatto una sveltina in macchina. Per quel che mi riguarda, è stato uno scambio equo. Ci siamo divertiti, tutto qui. A lei, però, era piaciuta un po’ troppo la fase del corteggiamento, con tutte le e-mail che ci siamo scambiati. Si era illusa di essersi innamorata di me e io... be’, io ho alimentato la sua fantasia per farle piacere, ma poi ha rovinato tutto. Che cosa pretendeva?»
«Forse voleva che fosse vero, che non fosse solo una messinscena per sedurla.»
«E dai! Come poteva credere al colpo di fulmine?»
«Era troppo chiederti un po’ di onestà?»
«Tutti sanno che quello che si dice online è solo finzione. April voleva qualcosa e io gliel’ho data, lei ha fatto altrettanto con me. Se era così ingenua e incapace di gestire un’avventura non avrebbe dovuto iscriversi a un sito d’incontri.»
«Magari sperava che con te fosse diverso.»
«Se una è furba, non s’illude che da una sveltina tra estranei possa nascere l’amore» sentenziò Butch, in tono crudo. «Però appena mi sono reso conto di che tipo era, ho chiuso subito.»
«E il modo più semplice per togliertela di torno era dirle che sei sposato, ovviamente.»
«Già.»
Francesca era ancora più disgustata nei suoi confronti: aveva spezzato il cuore di April prima di ucciderla. Fremeva dalla voglia d’insultarlo, tuttavia si trattenne pensando che sarebbe riuscita a strappargli qualche informazione in più se avesse tenuto per sé le proprie opinioni.
«Quindi l’ultima volta in cui l’hai vista è stata quando l’hai fatta scendere dall’auto?»
«Sì.»
Se Vaughn diceva la verità, April avrebbe potuto essere caricata in macchina da chiunque. Ovviamente lui sapeva che, raccontando quella versione dei fatti, dava ampio spazio all’incertezza, lasciando intendere che un misterioso assassino l’avesse intercettata appena dopo che lui l’aveva scaricata. Non c’erano molte possibilità che fosse andata veramente così, ma Francesca non aveva neanche prove certe del contrario, e quel bastardo sapeva bene che con la sua affermazione avrebbe potuto creare dei dubbi legittimi.
«Ti aspetti che ti creda?»
Lui scrollò le spalle. «Suppongo che dovrò comunque parlare con la polizia riguardo ad April, ma non voglio che tu tragga le conclusioni sbagliate dal mio incontro con lei. Sono innocente e non ho intenzione di permetterti di crearmi problemi con la giustizia. Ho una famiglia da mantenere.»
Francesca lo guardò scettica. «Un innocente non cerca d’intimorire una donna.»
«Ho avuto uno scambio di e-mail e di messaggi in chat con April, l’ho portata a cena e ho fatto sesso con lei con il suo consenso. Non ho fatto niente per spaventarla» protestò.
«Veramente io parlavo di me» precisò Francesca.
Lui si accigliò, esasperato. «Ti ho già spiegato la situazione. Credevo che ti avesse assunto il marito della mia amica.»
«E cosa facevi a casa mia?» sbottò. «Sei venuto di proposito per spaventarmi.»
Vaughn la guardò confuso.
«Non capisco. Non sono mai stato a casa tua!»
«Ma se sei venuto a tagliarmi i fili del telefono per terrorizzarmi.»
Butch si sporse verso di lei. «Non ci senti?» sbuffò, irritato. «Leggi il labiale. NON... SONO... STATO... IO...» dichiarò lentamente, scandendo bene le parole.
Invece era stato lui, Francesca ne era sicura. Anche se non l’aveva visto in faccia, la sagoma di Vaughn era inconfondibile. Alto e imponente, non poteva che essere lui. Non era una coincidenza che un misterioso persecutore si fosse presentato a casa sua proprio dopo l’episodio al deposito, quando lui aveva la sua borsetta e tutti gli elementi per ritrovarla. Non poteva essersi trattato di un semplice ladro, altrimenti avrebbe cercato di entrarle in casa. E poi perché tagliare i fili del telefono, se non per vendetta?
Francesca lo scrutò con attenzione. Stava giocando con lei come il gatto con il topo; le sue risposte erano formulate come se sapesse che lei aveva un microfono nascosto. Doveva trovare il modo di fargli dire qualcosa di compromettente, altrimenti tutte le spiegazioni che le aveva dato fino a quel momento erano perfettamente plausibili. Se Vaughn fosse riuscito a convincere la polizia che non costituiva una minaccia per lei né per altri, Finch non avrebbe più sprecato degli agenti per sorvegliarlo.
«Smettila di mentire. So che eri tu» insistette.
«Non è possibile. Io sono stato a casa tutta la notte, chiedi a mia moglie se non mi credi.»
Francesca lo fulminò con lo sguardo. «Ho l’impressione che tua moglie direbbe qualsiasi cosa per proteggerti» insinuò.
«Siamo molto uniti ma io non mento, e lei neanche» precisò.
«Mi dispiace, ma io sono sicura che fossi tu. Non poteva essere nessun altro» insistette Francesca.
«Come fai a esserne certa? Potrebbe essere stato un vicino ficcanaso, uno spasimante respinto, un guardone... Perché dovrei perdere tempo a spiarti?»
«Perché ce l’avevi con me quando sono andata via dal deposito, volevi darmi una lezione e farmi sentire vulnerabile.»
Vaughn si alzò. «Non avrei dovuto tentare di farti ragionare, perché non mi ascolti. Sei paranoica. Ti ho inseguito quando sei venuta qui la prima volta perché ero esasperato dal continuo viavai d’investigatori privati mandati dal marito della mia amica. Volevo farti capire chiaramente che non avrei sopportato di essere spiato e intimidito. Tutto qui, l’omicidio non ha niente a che fare con questa storia.»
Francesca capì che non avrebbe fatto progressi su quella strada, perciò cambiò tattica. «Hai mai sentito parlare di Bianca Andersen?»
«Chi?» esclamò Butch, però Francesca si accorse che aveva avuto un sussulto nel sentire quel nome, come se fosse rimasto sorpreso.
«Bianca Andersen» ripetè. «Mai sentita nominare?» lo pungolò. «Non mi chiedi chi è o perché ti ho chiesto se la conosci?»
«Ora basta, fuori di qui» sbottò Butch. «Sono stato sin troppo paziente con te.»
«I suoi resti sono stati trovati a Dead Mule Canyon. Non è lontano da qui, non trovi?»
«Non saprei, non ci sono mai stato.»
«Sicuro?»
Butch Vaughn fece il giro della scrivania. «Ho detto basta, fuori.»
Francesca si alzò ma si rifiutò di muoversi, anche quando lui le sì mise davanti.
Doveva insistere per indurlo a contraddirsi, altrimenti la sua visita sarebbe stata inutile. «Altrimenti?» lo provocò.
«Altrimenti chiamo la polizia. Sono stato gentile, ti ho restituito la borsetta...»
«Certo, perché l’avevi rubata» precisò Francesca interrompendolo.
«Non è vero!» si difese. «Quando sono tornato indietro a cercarla non l’ho più trovata. Era sparita. Credo che l’abbia presa quel matto di mio cognato, perché è stato lui a portarmela ieri sera.»
«Dean era a casa quel giorno?»
«Sì, certo. Non esce mai. Non può guidare perché assume psicofarmaci. E poi hai visto com’è fuori di testa. Chi vorrebbe uscire con lui?»
«Sinceramente, mi è sembrato molto meno ostile di te» gli fece notare.
Lui fece una smorfia. «Non lo conosci bene.»
«Posso sempre rimediare» azzardò Francesca, per fargli capire che forse, se avesse parlato con il cognato, le avrebbe dato un’altra versione dei fatti.
«È stato un errore, non avrei dovuto invitarti» borbottò lui uscendo dall’ufficio senza aggiungere altro, lasciandola sola.
Francesca si chiese se avesse detto la verità. Le sue giustificazioni, per quanto difficili da credere, non erano inverosimili. Stava per uscire quando notò con la coda dell’occhio un movimento dietro i vetri opachi per lo sporco e si accorse che Dean la stava spiando dall’esterno. Cercò di andarsene, ma lui le bloccò il passo appena fu uscita dall’ufficio.
«Che ti ha detto Butch?» le chiese, avviandosi verso l’uscita accanto a lei.
«Niente, perché?»
«Avete parlato molto. Qualcosa ti avrà pur detto» insistette lui.
Francesca lo guardò mentre camminava al suo fianco. Il suo tono di voce era calmo, ma il suo portamento era rigido e teso. «Mi ha chiesto scusa per il malinteso dell’altro giorno.»
«Quindi credi che sia stato solo questo? Un malinteso?» replicò Dean.
Francesca si fermò e lo guardò.
«Tu non sei dello stesso parere?»
Dean si guardò intorno come se avesse paura di correre dei rischi parlando con lei. «Butch non è una brava persona, ormai dovresti saperlo.»
Anche Francesca aguzzò la vista, ma Vaughn sembrava essersi volatilizzato. «Hai delle prove concrete di quello che dici?»
Dean scosse la testa. «No, e comunque non importa. Lascia perdere. Non so niente. Non dicevo sul serio. Butch non ha fatto niente di male» replicò lui in fretta.
Senza aggiungere altro, le voltò le spalle e si avviò a passo svelto verso la casa.