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Francesca portò in macchina le lettere che le aveva dato Finch, e si sedette al posto di guida a leggerle. Tuttavia aveva così sonno che aveva difficoltà a concentrarsi ed era turbata dalle occhiate insistenti di Butch che, seduto davanti alla casa, la teneva d’occhio fissandola con aria torva.

Per sfuggire al suo sguardo penetrante e minaccioso, accese il motore, uscì dal deposito e si fermò a qualche centinaio di metri di distanza, per poter esaminare le lettere in pace pur restando vicina al deposito se avesse avuto bisogno di contattare Finch.

Dean iniziava ogni lettera con complimenti mielosi e giuramenti d’amore eterno, poi si sbizzarriva in vari modi per decantare la bellezza di Julia o renderle omaggio con poesie e acronimi usando le lettere del suo nome. Non avrebbe vinto certamente un premio Nobel per la letteratura, ma con quei versi le aveva fornito parecchi indizi utili sull’aspetto fisico di Julia.

Da quelle rime goffe, Francesca aveva appreso che Julia aveva gli occhi verdi e lunghi capelli scuri, ma soprattutto che non aveva neanche diciotto anni.

Considerato che la lettera in cui faceva riferimento alla sua età era stata scritta il maggio dell’anno prima, ormai sarebbe stata maggiorenne... sempre che fosse ancora viva.

Rileggendo le poesie dedicate a Julia, Francesca cercò altri aggettivi con cui Dean la definiva. Le balzarono agli occhi delle parole ricorrenti isolata e abbandonata. In una descrizione particolarmente ricercata, accennava al fatto che Julia fosse stata bersagliata dalla cattiva sorte. Forse proiettava su di lei caratteristiche che sentiva proprie, pensò Francesca. Anche lui viveva in un luogo isolato e si sentiva escluso dal mondo, abbandonato, appunto, e sfortunato.

Continuando a leggere, riuscì a mettere insieme altre informazioni utili. Aveva l’impressione che Dean la conoscesse bene, e che tutta la famiglia fosse in confidenza con lei. Nelle prime missive, Dean faceva diverse volte riferimento a Butch deplorando il modo in cui lui la guardava. In una lettera scriveva addirittura: Non curarti di Paris, è gelosa di te. E, in un’altra : Mamma sa che non è stata colpa tua.

Per quanto fossero criptici quei riferimenti, Francesca ne desumeva che Julia passasse molto tempo con Butch e i Wheeler, ma non riusciva a immaginare che Paris e Butch frequentassero qualcuno insieme a Dean, perciò stentava a capire come Julia potesse conoscerli tutti così bene e stare spesso con loro.

C’era solo una possibile risposta... Julia viveva con loro!

Quando Francesca giunse a quella conclusione ebbe un tuffo al cuore ma non poté soffermarsi a riflettere sulla possibile scoperta perché sentì il motore di un’auto che si avvicinava e, pochi istanti dopo, vide un pickup che percorreva la stradina sterrata alla sua destra.

Ricordò le parole di suo padre... Lui le aveva parlato del proprietario dell’appezzamento di terreno adiacente al deposito. Non vi abitava, perché in mezzo ai campi non c’era una casa, ma vi si recava spesso per controllare le coltivazioni.

Mise in moto e seguì la vettura, poi attirò l’attenzione del conducente a colpi di clacson e lampeggiando. L’uomo alla guida del pickup si fermò e attese che Francesca accostasse. Lei scese in fretta dall’auto e si avvicinò alla portiera.

«Mi scusi se la disturbo, ma dovrei parlarle con una certa urgenza.»

L’uomo anziano che era al volante la guardò incuriosito. «Dica pure» acconsentì di buon grado.

«Sono Francesca Moretti, un’investigatrice privata, e sto cercando una persona» si presentò lei.

«Che persona?»

«Una ragazza. Ha all’incirca diciotto anni, occhi verdi e capelli scuri, probabilmente bianca.»

L’uomo scosse la testa. «Io non abito qui, vengo solo a controllare la mia proprietà di tanto in tanto. Sa, per vedere i raccolti. Ma qui vicino c’è un deposito con una casa abitata. Può chiedere lì.»

«Ci ho già provato. La prego, rifletta. Girava da queste parti ma non di recente, e si chiamava Julia. Credo che vivesse in zona.»

L’uomo aggrottò le sopracciglia cespugliose. «Sì, certo, ricordo benissimo Julia!» esclamò, poi. «Però non è più qui da un paio d’anni.»

«Sa dove abitava?»

«Nella casa a cui ho accennato poco fa» rispose l’uomo con un cenno del capo.

«Il deposito di materiali di recupero?»

«Esatto.»

La speranza di aver finalmente trovato un indizio attendibile attenuò la stanchezza che gravava su Francesca. «Viveva da Butch Vaughn?»

«Sì, è stata con lui e la sua famiglia per un po’. Sono stati gentili ad accoglierla. Era una specie di sbandata, credo che fosse fuggita di casa.»

«Conosce bene Vaughn e i Wheeler?»

«Conosco abbastanza bene Elaine e Bill, meno bene i figli e il genero. Ho acquistato le terre da loro vent’anni fa, quando gestivano il deposito. Ora sono pensionati e vi lavora il genero.»

«Ricorda qualcos’altro di questa Julia?» lo pressò Francesca.

L’uomo scosse la testa. «Non molto. Le ho parlato solo una volta. Ero rimasto a secco davanti casa loro perché l’indicatore di benzina del pickup si era bloccato ed ero in riserva da parecchio senza che me ne fossi accorto, perciò ho dovuto bussare ai Wheeler e chiedere una tanica con un paio di galloni di carburante. Venne Julia ad aprirmi e fu molto gentile. Andò a chiedere a Butch di riempirmi una tanica di benzina e mi offrì un bicchiere di tè freddo.»

«In quell’occasione vide i Wheeler?»

«Entrai in cucina e ricordo che c’erano Paris e Dean che stavano pranzando. Mi dissero che Julia era loro ospite e che era della California. Dean mi spiegò che l’avevano accolta perché i genitori la maltrattavano e se ne era andata via da casa. Per sdebitarsi dava una mano al deposito. Non so altro.»

«Quando è successo?»

«Un paio di anni fa. Credo che fosse estate perché era caldissimo. In seguito, vidi Julia un altro paio di volte passando davanti al deposito. Mi fece un cenno di saluto ma non ci parlai perché ero in macchina. Però due o tre mesi dopo andai da Butch per chiedergli se aveva un carburatore da vendermi e Julia non c’era più. Era andata via.»

«E lei come lo sa?»

«Ho chiesto a Butch di salutarla da parte mia, perché era stata gentile con me. Lui mi rispose che era andata via senza avvertirli e aggiunse che si era comportata da ingrata, dopo tutto quello che avevano fatto per lei.»

Francesca calcolò mentalmente che, se quell’uomo aveva parlato con lei in piena estate e tre mesi dopo Julia non era più dai Wheeler, doveva essere scomparsa tra ottobre e novembre.

«Le è mai capitato di vedere Butch o uno dei Wheeler fare qualcosa di strano? Li ha mai sentiti litigare tra loro o con altri?»

«Io non abito qui, passo solo davanti al deposito quando vado nei campi, perciò non saprei dirle cosa succeda in casa la sera. A me sembrano brave persone.» L’uomo la fissò sospettoso. «Perché tutte queste domande? Ma che succede qui? Ho visto arrivare la polizia, e poi lei è la seconda persona che mi chiede di Butch e dei Wheeler. Qualche giorno fa mi ha chiamato un tizio dal Montana, non ho capito bene se era un ispettore di polizia o un investigatore privato. Ci sono problemi?»

Era stato suo padre a chiamare il vicino di Butch, pensò Francesca. «Uno di loro potrebbe avere problemi con la legge. Posso solo dirle che stiamo cercando Julia per assicurarci che sia andata via di sua spontanea volontà, e non che sia stata uccisa.»

«Sospetta di Butch?» esclamò l’uomo, esterrefatto. «Spero che non sia stato lui, ma non posso escluderlo» ammise Francesca.

Lui scosse la testa.

«Non è il tipo. È grande e grosso, ma non farebbe male a una mosca. No, se qualcuno ha fatto qualcosa di male, è stato Dean.»

«Perché?»

«E sempre stato strano.»

Francesca poteva capire perché l’uomo avesse fatto quell’affermazione. Dean sembrava capace di uccidere qualcuno. Eppure perché era Butch a farle paura?

«Siamo in zona?» chiese Jonah a Ray con evidente impazienza.

Ray, il vigilante che aveva seguito Butch in montagna la notte prima, si guardava intorno, concentrato. «Mi sembra di sì, però il panorama in montagna sembra sempre lo stesso dovunque, e poi era buio...» si giustificò, dubbioso.

Jonah cominciava a perdere la speranza. Da un’ora percorreva quelle strade tortuose avanti e indietro, cercando il punto in cui Butch aveva svoltato addentrandosi nei boschi. Ray ricordava che vicino al sentiero imboccato da Butch c’era una baita, ma da quelle parti ce n’erano diverse e fino a quel momento non ne avevano trovata una che corrispondesse alla descrizione di Ray. Rammentava bene che aveva una grossa S sopra la porta, probabilmente l’iniziale del proprietario.

Quando passarono per la terza volta davanti a uno chalet di montagna, Jonah sterzò bruscamente e si fermò davanti. Non era quello descritto da Ray, ma pensò che non guastasse fare un tentativo e chiedere informazioni. Doveva esserci qualcuno in casa perché c’era un’auto parcheggiata davanti alla porta.

Jonah dovette bussare più volte prima che una donna si affacciasse alla finestra. Lo guardò con aria diffidente e gli chiese sgarbatamente cosa volesse. Jonah si presentò come un investigatore che collaborava con l’ufficio dello sceriffo e le chiese se avesse mai visto una baita con una grossa S sopra la porta. La donna lo informò che era la baita degli Schultz. Il proprietario era Doug Schultz e l’abitazione non era lontana. Gli diede indicazioni più precise per raggiungerla e Jonah la ringraziò, soddisfatto.

Tornò al volante e ripartì. Avevano ancora un pezzo di strada da fare prima di svoltare per raggiungere la baita. Jonah guardò l’orologio sul cruscotto. Erano già le cinque passate. Aveva sperato di tornare a Prescott per quell’ora ma, per come si erano messe le cose, non avrebbe rivisto Francesca prima delle sette o anche le otto di sera.

Era preoccupato, perché non voleva lasciarla sola al buio. Sperava almeno che le sue ricerche non fossero infruttuose...

 

Erano da poco passate le dieci e Butch era seduto al tavolo della cucina davanti a una bottiglia di whisky. Gli altri erano andati tutti a dormire ma lui stava cercando di trovare, con l’aiuto del liquore, la forza di concludere la faccenda che aveva messo in movimento. Era quasi finita; ora non gli restava altro da fare che aspettare.

Guardando il bicchiere mezzo vuoto, pensò che forse avrebbe dovuto sentirsi in colpa per ciò che stava facendo. Tuttavia era stato Dean a combinare quel disastro, per cui Butch sapeva di non essere il responsabile dei problemi che avevano. A lui toccava rimettere a posto le cose. Se quel ritardato di suo cognato non gli avesse messo di nascosto gli slip di Julia nel vano portaoggetti del pickup, a quell’ora non sarebbero stati nei guai. Lui non avrebbe dovuto mandare Dean da Francesca a recuperarli, la polizia non si sarebbe presentata al deposito con un mandato di perquisizione e non avrebbe trovato quel dannato congelatore.

Era stato Hunsacker a informarlo delle tracce di sangue trovate nel congelatore dagli esperti della Scientifica con il Luminol, una sostanza che, gli aveva spiegato Hunsacker, reagiva al ferro presente nell’emoglobina anche se un oggetto era stato pulito.

Butch aveva obiettato che il sangue era della carne di manzo messa a congelare, ma sapeva che sarebbe bastato un test per smentirlo.

Subito dopo, Butch aveva ricevuto un’altra brutta notizia. Finch gli aveva detto che Francesca l’aveva chiamato per informarlo che aveva scoperto che Julia aveva vissuto con loro e che aveva anche una descrizione della ragazza e che sapeva quando era scomparsa. Messo alle strette, l’unica soluzione era stata quella di dire all’ispettore che Dean era stato l’ultimo a vederla viva, che lei era scomparsa subito dopo aver parlato con il cognato e che era stato proprio lui ad avergli fatto credere che fosse andata via.

Finch e Hunsacker se l’erano bevuta senza difficoltà. Era facile dire bugie a qualcuno che era già propenso a credere a una certa versione dei fatti...

Butch era abbastanza compiaciuto di sé. L’unico ostacolo a come stava gestendo la situazione era rappresentato dalla suocera. Elaine, prevedibilmente, non era stata affatto contenta di vedere che Butch aveva attribuito a Dean la responsabilità per la scomparsa di Julia Ima era riuscito a convincerla che, per salvare Paris, avrebbero dovuto sacrificare Dean. Dopotutto era logico proteggere una figlia normale, per giunta madre di famiglia, invece di uno psicolabile? Chi avrebbe badato a Champ se Paris fosse finita in prigione?

Tutto sommato le sue argomentazioni erano state convincenti.

Una volta che gli ispettori avessero collegato gli slip al sangue nel congelatore e l’avessero identificato come quello di Julia, Dean non avrebbe avuto scampo. Anche le sdolcinate lettere d’amore di Dean indirizzate a Julia avrebbero giocato a suo sfavore.

Quell’imbecille sarebbe finito dietro le sbarre per tutta la vita, la polizia avrebbe smesso di prenderlo di mira e di tenere sotto controllo il deposito, e finalmente la sua vita sarebbe potuta tornare a scorrere tranquilla come un tempo.

Ogni tessera del puzzle stava per finire al suo posto. Dean aveva creato problemi e, per ironia della sorte, ora sarebbe stato proprio lui a fornire una soluzione.

Mentre beveva un sorso di whisky, sentì squillare il cellulare. Era un numero che non conosceva, probabilmente una cabina telefonica, quando rispose sentì la voce ansiosa del cognato.

«Pronto, Butch, sono io...»

Dean aveva lasciato il cellulare a casa, seguendo le sue istruzioni, per non essere rintracciato. Butch gli aveva spiegato che avrebbe dovuto chiamarlo da un telefono pubblico.

«Ciao, Dean. Che cos’è successo?» gli chiese fingendosi preoccupato.

«Ho tentato di fare come mi avevi detto tu, Butch, ma quella mi ha spruzzato in faccia una cosa che mi ha fatto bruciare gli occhi. Non riuscivo a respirare! E poi è scappata... Sono fuggito anch’io, cosa potevo fare?» gli spiegò Dean, concitato.

«Stai tranquillo, ora, calmati, è finita» lo rassicurò, suadente.

«Di’ alla mamma che... ho fatto il possibile!» Dean era sempre più agitato. Sembrava addirittura che piangesse. Tutta colpa del fatto che non aveva preso le medicine quel giorno, pensò Butch. «Ho tentato d’immobilizzarla per legarla ma è più forte di quanto sembri. Saresti dovuto venire con me.»

«Non preoccuparti, Dean, va bene così» insistette Butch con gentilezza.

Dean parve rimanere interdetto per la sua calma. «Allora non sei arrabbiato con me?»

«Assolutamente no. Hai fatto del tuo meglio, no?»

«Sì, davvero, ho fatto il possibile.»

«E ora dove sei?»

«Non lo so, veramente. Sono ore che giro... Mi avevi detto che non sarei potuto tornare a casa a meno che non avessi legato Francesca, ma mi è andata male e non sapevo cosa fare...»

«Calmati, ti aiuto io. Per ora non puoi tornare a casa, c’è la polizia al deposita Vai nella baita degli Schultz. Ricordi dov’è, vero?»

«Sì, certo. È lo chalet che abbiamo affittato lo scorso Natale, no?» i «Proprio quello.» «Ma non ho la chiave» obiettò il cognato. «Da quando una serratura è un problema per te?»

«Non lo è, infatti, ma vuoi che la forzi e m’introduca nella baita di nascosto?»

«Non c’è altra soluzione, credimi.» Butch cercava di essere convincente.

«Per quanto tempo devo restare lì?»

«Tu fermati e non fare niente. Penso a tutto io. Qualcuno verrà a prenderti se io non potrò venire di persona. Stai tranquillo» lo rassicurò Butch.

Dopo aver salutato Dean, chiamò Hunsacker.

«So dove potete trovare Dean» lo informò. «Mi ha appena chiamato in cerca d’aiuto.»

«Hai fatto bene a telefonarmi. Che Dean venga arrestato è la cosa migliore per tutti, credimi. Dimmi dov’è» rispose l’ispettore.

«Hai carta e penna?»